Il lavoratore non può chiedere all’INPS l’accredito dei contributi non versati dal datore di lavoro (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 9 gennaio 2024, n. 701).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Rel. Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

SENTENZA

sul ricorso 22407/2021 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma Via (OMISSIS) n. 13 presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS);

-ricorrente-

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS);

-controricorrente-

avverso la sentenza n. 54/2021 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 03/03/2021R.G.N. 292/2020;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/11/2023 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) per delega verbale avvocato (OMISSIS) (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 3.3.2021, la Corte d’appello di Genova ha rigettato l’appello proposto da (omissis) (omissis) nei confronti della pronuncia di primo grado che aveva disatteso la sua domanda volta ad ottenere dall’INPS la regolarizzazione della propria posizione contributiva, con accreditamento dei contributi omessi nel periodo settembre 2012 – agosto 2013 dal proprio ex datore di lavoro e certificazione dei medesimi nell’estratto conto assicurativo.

La Corte, in particolare, pur ritenendo che la contribuzione relativa al periodo in contestazione non si fosse prescritta, ha reputato, sulla scorta di Cass. n. 2164 del 2021, che – al di fuori delle specifiche ipotesi previste dalla legge, ad es. in tema di ricongiunzione delle posizioni assicurative – nessuna azione potesse riconoscersi al lavoratore per ottenere l’accredito dei contributi da parte dell’ente previdenziale, residuando semmai in suo favore l’azione risarcitoria di cui all’art. 2116 comma 2°c.c. nonché la speciale azione volta alla costituzione della rendita vitalizia di cui all’art. 13, l. n. 1338/1962.

Avverso tale pronuncia (omissis) (omissis) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura, successivamente illustrato con memoria.

L’INPS ha resistito con controricorso.

Il Pubblico ministero ha chiesto il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di censura, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2116 c.c. e 27, comma 2°, r.d.l. n. 636/1939 (nel testo risultante dalla modifica apportata dall’art. 23-ter, d.l. n. 267/1972, conv. con l. n. 485/1972, e rafforzato dall’art. 3, d.lgs. n. 80/1992), nonché dell’art. 54, l. n. 88/1989, per avere la Corte di merito ritenuto, pur affermando che il termine di prescrizione dei contributi non era ancora spirato, che egli non avesse alcun diritto all’accredito da parte dell’INPS dei contributi omessi dal proprio ex datore di lavoro: a suo avviso, una simile conclusione, oltre a privare di rilevanza la differenza tra contributi prescritti e non prescritti, così svuotando il principio di automaticità delle prestazioni di cui all’art. 2116 c.c., si porrebbe in contrasto con un consolidato orientamento di questa Corte di legittimità e della stessa Corte costituzionale secondo il quale, viceversa, il lavoratore avrebbe un vero e proprio diritto all’integrità della propria posizione contributiva che potrebbe essere esercitato nei confronti dell’INPS allorché quest’ultimo, a seguito di denuncia del lavoratore, non abbia provveduto a recuperare i contributi omessi dal datore di lavoro, salvo in ogni caso il suo diritto al risarcimento del danno ex art. 2116 c.c., anche nella speciale forma di cui all’art. 13, l. n. 1338/1962.

Sotto altro profilo, il ricorrente sostiene che, anche a voler seguire la prospettazione adottata dai giudici di merito, la sua domanda non avrebbe dovuto essere rigettata, ma semmai estesa all’ex datore di lavoro, essendo la materia del contendere costituita dalla copertura assicurativa dei periodi di lavoro per i quali era stata omessa la contribuzione.

Chiede, in conclusione, che questa Corte dia risposta ai seguenti quesiti di diritto:

“Se dall’art. 2116, comma 1°, c.c., e dall’art. 54, l. 88/1989, derivi il diritto del lavoratore all’integrità della posizione contributiva già costituita mediante accredito automatico dei contributi non prescritti il cui versamento sia stato omesso in tutto o in parte dal datore di lavoro, ai fini della percezione delle prestazioni previdenziali di cui all’art. 2114 c.c.;

se di conseguenza tale diritto possa essere esercitato nei confronti dell’ente previdenziale che, malgrado la denuncia di omissione del lavoratore, sia rimasto inerte senza provvedere alla riscossione eventualmente coattiva del proprio credito contributivo dovuto dalla società datrice di lavoro;

se tale diritto possa e debba essere esercitato anche prima del maturare dei requisiti per le relative prestazioni previdenziali, una volta accertato il mancato versamento dei contributi prima dello spirare del termine di prescrizione;

se, in ogni caso, nel giudizio nei confronti dell’ente previdenziale, il diritto alla copertura contributiva di periodi di omesso versamento in relazione ai quali non è spirato il termine di prescrizione possa e debba essere accertato mediante l’integrazione del contraddittorio con il datore di lavoro, indipendentemente dal maturare di una determinata prestazione previdenziale”.

Il motivo è infondato.

In punto di fatto, è pacifico che l’odierno ricorrente, dopo essersi dimesso per giusta causa dall’impiego alle dipendenze di (omissis) (omissis) (omissis) s.r.l., a seguito del mancato pagamento delle retribuzioni maturate nel periodo settembre 2012-agosto 2013, ha dapprima presentato all’INPS denuncia di omissione contributiva in relazione al medesimo periodo, chiedendo contestualmente all’Istituto di provvedere alla regolarizzazione della propria posizione assicurativa in forza del principio di automaticità delle prestazioni, e poi, non avendo ricevuto riscontro alcuno, ha promosso l’odierno giudizio esclusivamente nei confronti dell’Istituto medesimo, chiedendone la condanna alla regolarizzazione della sua posizione assicurativa con conseguente certificazione nell’estratto conto assicurativo di cui all’art. 54, l. n. 88/1989.

Tanto premesso, giova ricordare che l’art. 2116 c.c. stabilisce, al primo comma, che “le prestazioni indicate nell’articolo 2114 sono dovute al prestatore di lavoro anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali”, e aggiunge al secondo comma che “nei casi in cui, secondo tali disposizioni, le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro”.

Come correttamente ricordato dai giudici territoriali, questa Corte, interpretando la disposizione citata, ha ormai consolidato il principio di diritto secondo cui il nostro ordinamento non prevede alcuna azione dell’assicurato volta a condannare l’ente previdenziale alla regolarizzazione della sua posizione contributiva, nemmeno nell’ipotesi in cui l’ente previdenziale, che sia stato messo a conoscenza dell’inadempimento contributivo prima della decorrenza del termine di prescrizione, non si sia tempestivamente attivato per l’adempimento nei confronti del datore di lavoro obbligato: ciò che residua in tali casi in favore dell’assicurato è unicamente il rimedio risarcitorio nei confronti del datore di lavoro di cui al secondo comma dell’art. 2116 c.c., salva la possibilità del lavoratore di surrogarsi in luogo del datore (e di esser tenuto indenne da quest’ultimo) per la costituzione della rendita vitalizia di cui all’art. 13, l. n. 1338/1962 (cfr., tra le più recenti, Cass. nn. 2164 e 6722 del 2021 nonché Cass. nn. 26002 e 26248 del 2023, tutte sulla scorta di Cass. nn. 6569 del 2010 e 3491 del 2014).

Si tratta – come ricordato da Cass. n. 3491 del 2014, cit. – di una conseguenza naturale della scomposizione della fattispecie dell’assicurazione obbligatoria nei due distinti rapporti contributivo e previdenziale: mentre l’obbligazione contributiva ha per soggetto attivo l’ente previdenziale e per soggetto passivo il datore di lavoro, che è debitore di tali contributi nella loro interezza (artt. 2115 comma 2° c.c. e 19, l. n. 218/1952), il lavoratore è unicamente il beneficiario delle prestazioni previdenziali dovutegli dagli enti, restando affatto estraneo al rapporto contributivo e non potendo vantare alcun diritto di natura risarcitoria nei confronti dell’ente medesimo, nemmeno nell’ipotesi in cui quest’ultimo non si sia tempestivamente attivato nei confronti del datore di lavoro per il loro recupero.

Si deve piuttosto aggiungere che, diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente (da ult. nella memoria ex art. 378 c.p.c., a sostegno della richiesta di rimessione del presente giudizio alle Sezioni Unite), tali conclusioni, lungi dal costituire un revirement rispetto a quanto in precedenza sostenuto da questa Corte, costituiscono espressione del suo costante orientamento fin da quando è stata superata l’antica costruzione trilaterale della fattispecie dell’assicurazione obbligatoria: già Cass. nn. 9 del 1971 e 2001 del 1972 (richiamate pressoché in termini, tra le altre, da Cass. n. 6911 del 2000) avevano infatti affermato che la potestà degli enti previdenziali di procedere all’accertamento degli obblighi contributivi e al recupero dei contributi omessi è strettamente connessa al conseguimento dei propri fini istituzionali di carattere pubblicistico e non già all’interesse del singolo prestatore di lavoro, che non solo non può ritenersi titolare di alcun diritto sui contributi, ma non può vantare alcun diritto di natura risarcitoria nei confronti degli enti per l’omesso recupero dei contributi stessi, potendo solo agire in via risarcitoria nei confronti del datore di lavoro inadempiente qualora dall’omissione contributiva abbia ricavato un danno.

Reputa il Collegio che a tali conclusioni vada senz’altro data continuità, con le precisazioni che seguono.

Va anzitutto ribadito che l’indiscutibile interesse del lavoratore all’integrità della posizione contributiva, che la costante giurisprudenza di questa Corte costruisce alla stregua di diritto soggettivo, pur essendo connesso sia geneticamente che funzionalmente al diritto di credito che l’ente previdenziale vanta sui contributi, è nondimeno affatto distinto da quest’ultimo: non solo perché sopravvive all’estinzione per sopraggiunta prescrizione del diritto dell’ente al versamento dei contributi medesimi, ma soprattutto perché, salva la speciale ipotesi di cui all’art. 3, d.lgs. n. 80/1992 (di cui si dirà meglio infra), ha come soggetto passivo unicamente il datore di lavoro, nei cui riguardi può esser fatto valere sub specie di diritto al risarcimento del danno (così già Cass. nn. 2392 del 1965, 1304 del 1971, 1374 del 1974, 7104 del 1992 e, più recentemente, 3661 del 2019 e 6311 del 2021).

Sotto questo profilo, anzi, si palesa l’assoluta irrilevanza della distinzione che parte ricorrente pretenderebbe di introdurre in relazione al fatto che il rapporto di lavoro sia stato o meno regolarmente denunciato e i contributi si siano o meno prescritti: si tratta infatti di circostanze che, lungi dal conferire fondamento alla domanda proposta nel presente giudizio, possono semmai rilevare ai fini della prova e della stessa conservazione del diritto alle prestazioni previdenziali, valendo normalmente l’automatismo di cui all’art. 2116 comma 1° c.c. nei limiti della prescrizione dei contributi (ex art. 27, r.d.l. n. 636/1939), e, in caso contrario, ad integrare il presupposto per l’azione risarcitoria da esperirsi nei confronti del datore di lavoro, di cui questa Corte ha da tempo ammesso la proponibilità anche prima del verificarsi del danno in concreto (cfr. in tal senso già Cass. nn. 10945 del 1998 e 11842 del 2002).

In secondo luogo, va rilevato che l’art. 2116 comma 1° c.c. riferisce testualmente l’automatismo alle “prestazioni”, non già alla contribuzione: anzi, la sua funzione consiste precisamente nel togliere ogni rilievo, nell’ambito del rapporto previdenziale, all’inadempimento datoriale verificatosi sul versante del rapporto contributivo, sul presupposto (già evidenziato nella Relazione di accompagnamento al codice civile, n. 52) che, essendo il lavoratore estraneo a quest’ultimo, giammai potrebbe compiere atti idonei ad incidere sulla sua conformazione giuridica.

Non a caso un risalente ma affatto consolidato orientamento di questa Corte sostiene che il lavoratore non ha alcun autonomo e diretto interesse al regolare versamento dei contributi assicurativi che non sia quello di non subire, a causa di omissioni contributive cadute in prescrizione, una lesione del suo diritto alle prestazioni (Cass. n. 3747 del 1974); e, sempre nella stessa ottica, si è efficacemente rilevato che, essendo la tutela di tale interesse affidata all’azione risarcitoria che questi possiede nei confronti del datore di lavoro, non vi è neppure l’esigenza di riconoscere la sussistenza di un diritto soggettivo degli assicurati a che gli enti previdenziali provvedano al recupero dei contributi evasi: ove si configurasse un obbligo dell’istituto assicuratore di provvedere coattivamente al recupero dei contributi sulla base di una semplice denuncia dell’assicurato, si esporrebbero infatti gli enti previdenziali al rischio di dover sopportare le conseguenze dell’esito negativo di controversie giudiziarie basate essenzialmente sull’accertamento di fatti inerenti ad un rapporto (quello di lavoro) a cui essi sono estranei, frustrando ogni pianificazione delle loro funzioni ispettive di carattere pubblicistico e mettendone a repentaglio lo stesso buon andamento (così, in motivazione, Cass. n. 6911 del 2000, cit.).

Così ricostruita la portata precettiva dell’art. 2116 c.c., affatto apparenti si rivelano le presunte difformità che parte ricorrente ha ritenuto di ravvisare tra le superiori affermazioni e i dicta di Cass. nn. 10119 del 2012 e 9125 del 2002, espressamente invocati a pagg. 7 e 10 del ricorso per cassazione.

Circa il primo dei due, è sufficiente ricordare che oggetto di quel giudizio era la domanda di un’assicurata alla ricostituzione della pensione, sul presupposto che a tal fine dovessero essere computati i contributi non versati (e non ancora prescritti) dagli ex datori di lavoro, da calcolare sui maggiori importi delle retribuzioni percepite nel corso degli anni e non denunciate ai fini previdenziali: si trattava, dunque, di un caso tipico in cui – per dirla con l’art. 2116, comma 1°, c.c. – la prestazione previdenziale era risultata dovuta pur non avendo il datore di lavoro versato regolarmente i contributi dovuti (per un caso analogo v. Cass. n. 16300 del 2004), non già – come nella specie – di una domanda di accredito di contributi a valere su una futura ed eventuale prestazione previdenziale.

Circa il secondo, è appena il caso di precisare che l’affermazione secondo cui il lavoratore vanta, ex art. 54, l. n. 88/1989, uno specifico diritto alla corretta informazione circa la consistenza della sua posizione contributiva, il quale, ove sia rimasto insoddisfatto a causa della mancata o non corretta determinazione da parte dell’ente previdenziale, può esser fatto valere in giudizio contro quest’ultimo, nulla ha a che fare con l’odierna pretesa di aver accreditati dall’INPS i contributi che siano stati evasi dal datore di lavoro: fermo restando che Cass. n. 9125 del 2002 (come pure la successiva Cass. n. 30470 del 2019) ha deciso in un giudizio volto al riconoscimento della c.d. supervalutazione contributiva derivante da esposizione all’amianto, ex art. 13, l. n. 257/1992 (la quale, come poi precisato da Cass. n. 2351 del 2015 e succ. conf., costituisce un beneficio di carattere previdenziale autonomo rispetto al diritto alla pensione, che consiste in una modalità più favorevole di calcolo della contribuzione per la determinazione della pensione medesima e va richiesto esclusivamente all’INPS: cfr., fra le innumerevoli, Cass. 16592 del 2014), dirimente è in ogni caso rilevare che la violazione dell’obbligo di comunicare agli iscritti i dati rilevanti ai fini della loro situazione previdenziale e pensionistica, di cui all’art. 54, l. n. 88/1989, cit., può mettere capo esclusivamente alla responsabilità degli enti per i danni eventualmente derivati dall’inesatta informazione (giurisprudenza costante fin da Cass. n. 6865 del 2001), ma non già costituire l’ente previdenziale quale responsabile nei confronti dell’assicurato per i contributi non versati dal datore di lavoro: e ciò non solo perché nulla del genere è dato leggere nella disposizione dell’art. 54, cit., ma soprattutto perché ne verrebbe stravolto il sistema delineato dall’art. 2116 c.c., che – come s’è visto – in caso di inadempimento dell’obbligo contributivo accorda al lavoratore non già il diritto all’accredito dei contributi, bensì il diritto alle prestazioni anche in assenza di copertura contributiva e, ove queste ultime non siano più conseguibili per effetto dell’inadempimento, il risarcimento del danno da parte del datore di lavoro.

Si deve peraltro aggiungere che contrari argomenti non possono essere desunti da quelle pronunce con cui questa Corte di legittimità – sulla scorta di Corte cost. n. 374 del 1997 – ha ritenuto che già prima del pensionamento il lavoratore potesse far valere la computabilità, nella sua posizione assicurativa, di contributi ancora dovuti ma il cui pagamento fosse stato omesso da datori di lavoro poi sottoposti a procedure concorsuali (cfr. ad es. Cass. nn. 1460 del 2001, 5767, 6409 e 17223 del 2002, 13874 del 2007): fermo restando che l’oggetto del contendere dinanzi a questa Corte non concerneva più, in quei casi, l’astratta possibilità del lavoratore di richiedere all’INPS l’accreditamento di contributi non prescritti, ma piuttosto l’applicabilità ai Fondi speciali (nella specie, il c.d. Fondo volo) del principio dell’automatismo delle prestazioni, per come interpretato da Corte cost. n. 374 del 1997, cit., decisivo appare rilevare che il giudice delle leggi, con la pronuncia dianzi cit., ha prospettato un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2116 comma 1° c.c. in relazione al peculiare istituto della ricongiunzione dei periodi assicurativi, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 6, l. n. 29/1979, nella parte in cui – secondo la prospettazione del giudice rimettente – non avrebbero consentito che l’INPS trasferisse nella gestione di destinazione anche i contributi non versati ma ancora dovuti nella gestione di provenienza.

Ciò precisato, reputa il Collegio che siano proprio le peculiarità proprie dell’istituto della ricongiunzione dei periodi assicurativi a escludere che dalla citata pronuncia del giudice delle leggi possano discendere conseguenze di rilievo per la vicenda che qui occupa.

Con la domanda di ricongiunzione, infatti, l’assicurato chiede, “ai fini del diritto e della misura di un’unica pensione”, che “tutti i periodi di contribuzione obbligatoria, volontaria e figurativa dei quali sia titolare” siano trasferiti “presso la gestione in cui risulti iscritto all’atto della domanda, ovvero presso una gestione nella quale possa far valere almeno otto anni di contribuzione versata in costanza di effettiva attività lavorativa” (art. 2, comma 1°, l. n. 29/1979); ed è evidente che, negando che il trasferimento nella gestione di destinazione debba comprendere anche i contributi non versati e non prescritti propri della gestione di provenienza, egli verrebbe ad essere trattato in modo deteriore rispetto al lavoratore che, invece della ricongiunzione, abbia chiesto precisamente una prestazione previdenziale, dal momento che gli si addosserebbe, per il solo fatto della domanda di ricongiunzione, il rischio della mancata copertura assicurativa.

In altri termini, sono le peculiarità proprie dell’istituto della ricongiunzione dei periodi assicurativi ad attribuire eccezionalmente rilievo alla provvista contributiva: il principio di automaticità delle prestazioni, di cui all’art. 2116, comma 1°, c.c., opera infatti normalmente sul piano del rapporto previdenziale che lega l’assicurato all’ente previdenziale, consentendo che le prestazioni di cui all’art. 2114 c.c. siano corrisposte “anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e assistenza”, ma non implica affatto l’obbligo dell’ente previdenziale di accreditare in favore dell’assicurato una corrispondente provvista contributiva, ché anzi – come efficacemente affermato da Corte cost. n. 374del 1997, cit. – la sua funzione consiste precisamente nel non far ricadere sull’assicurato il rischio di eventuali inadempimenti del datore di lavoro in ordine agli obblighi contributivi, che a sua volta è corollario della finalità di protezione sociale inerente ai sistemi di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti.

Va semmai ricordato che tale garanzia è stata ulteriormente rafforzata dal legislatore, in attuazione della direttiva 80/987/CEE, attraverso la sua estensione al caso di obblighi contributivi non adempiuti e prescritti, gravanti su un datore di lavoro sottoposto a procedure fallimentari o di amministrazione straordinaria: l’art. 3, d.lgs. n. 80/1992, nel disporre il recepimento della normativa comunitaria cit. (oggi codificata nella direttiva 2008/94/CE), ha infatti stabilito che, nel caso in cui il datore di lavoro sottoposto a fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa o procedura di amministrazione straordinaria abbia omesso, in tutto o in parte, di versare i contributi per l’assicurazione obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti e non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione, il lavoratore interessato, a condizione che non vi sia stata costituzione della rendita vitalizia ai sensi dell’art. 13, l. n. 1338/1962, e che il suo credito sia rimasto in tutto o in parte insoddisfatto in esito a una delle procedure indicate, “può richiedere al competente istituto di previdenza e assistenza obbligatoria che, ai fini del diritto e della misura della prestazione, vengano considerati come versati i contributi omessi e prescritti”.

Salvo che, non ricorrendo in concreto alcuno dei presupposti su cui si fonda l’applicabilità della disposizione normativa cit. (ossia l’assoggettamento del datore di lavoro inadempiente ad una procedura concorsuale, in conseguenza dell’accertato suo stato di insolvenza, e la prescrizione dei contributi omessi), risulta evidente la sua irrilevanza nel presente giudizio; ed altrettanto irrilevante è, per conseguenza, la questione pregiudiziale sollevata ex art. 267 TFUE nella memoria dep. ex art. 378 c.p.c. in relazione all’art. 7 della direttiva cit., secondo cui “gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che il mancato pagamento ai loro organismi assicurativi di contributi obbligatori dovuti dal datore di lavoro prima dell’insorgere dell’insolvenza a titolo dei regimi legali nazionali di sicurezza sociale non leda i diritti alle prestazioni dei lavoratori subordinati nei confronti di questi organismi assicurativi nella misura in cui i contributi salariali siano stati trattenuti sui salari versati”, specie ove si consideri che questa Corte ha già affermato che, ai fini dell’applicazione della speciale prestazione di cui all’art. 3, d.lgs. n. 80/1992, cit., non è necessario che l’omissione contributiva debba essere connessa e dipendente dal fallimento, essendo sufficiente che l’omissione vi sia stata e che il datore di lavoro obbligato sia stato successivamente dichiarato fallito (Cass. n. 14204 del 2012).

Chiarito, pertanto, che – salva la speciale disposizione di cui all’art. 3, d.lgs. n. 80/1992, cit., e al netto delle ipotesi di ricongiunzione dei periodi assicurativi – la garanzia del lavoratore in caso di inadempimento degli obblighi contributivi ha come unico oggetto le prestazioni previdenziali e non anche i contributi medesimi, sui quali egli non ha alcun diritto, resta da dire che le anzidette argomentazioni inducono a non poter dare continuità al principio di diritto espresso dalla –invero isolata– Cass. n. 7459 del 2002, espressamente invocata a pagg. 8 ss. del ricorso, secondo cui, ove il lavoratore abbia dato comunicazione dell’omissione contributiva del datore di lavoro al competente ente previdenziale e quest’ultimo non abbia provveduto a conseguire i contributi omessi, lo stesso ente sarebbe tenuto anche ex artt. 1175 e 1176 c.c. a provvedere alla regolarizzazione della posizione assicurativa del lavoratore medesimo, qualora a quest’ultimo sia precluso di ricorrere alla costituzione della rendita ex art. 13, l. n. 1338/1962, o all’azione di risarcimento danni ex art. 2116 c.c.- Indipendentemente dal fatto che, nel caso di specie, non vi è stata nemmeno allegazione della sussistenza di una tale preclusione (il primo giudice ha anzi accertato che la società datrice di lavoro è ancora in attività: cfr. pag. 5 della sentenza impugnata), si deve infatti rilevare che il principio di diritto testé cit. si pone diametralmente in contrasto con la lettera dell’art. 2116 c.c., che – come s’è più volte detto – non solo priva di rilievo per il lavoratore l’eventuale scopertura contributiva, s’intende quando opera il principio di automaticità delle prestazioni, ma soprattutto individua nel datore di lavoro l’unico responsabile del danno che il lavoratore abbia subito in conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo contributivo allorché il principio di automaticità, in conseguenza dell’estinzione per prescrizione dei contributi dovuti, non possa più operare; né giova in contrario richiamare gli obblighi di correttezza e diligenza di cui agli artt. 1175 e 1176 c.c., giacché questi ultimi valgono bensì a conformare il rapporto previdenziale che s’instaura tra l’ente assicuratore e l’assicurato allorché si sia verificato l’evento protetto o, ancora, a disciplinare l’adempimento degli obblighi di informazione che gravano sull’ente ex art. 54, l. n. 88/1989, ma non possono, di per sé soli, fondare una responsabilità dell’ente nei confronti dell’assicurato per non avere tempestivamente richiesto al datore di lavoro inadempiente i contributi omessi: così argomentando, infatti, oltre a negare il carattere pubblicistico dei contributi e la stessa autonomia del rapporto contributivo rispetto al rapporto previdenziale, si sposterebbero integralmente sulla collettività di cui l’ente assicuratore è esponenziale le conseguenze derivanti dall’inadempimento datoriale, che il legislatore ha invece inteso rigidamente circoscrivere con la previsione di cui al comma 1° dell’art. 2116 c.c., cit., di talché al lavoratore basterebbe denunciare una qualunque omissione contributiva per vedersi ipso facto accreditare la corrispondente contribuzione previdenziale, in totale spregio del comma 2° dell’art. 2116 c.c., che invece accolla al datore di lavoro le conseguenze (risarcitorie) di tale omissione.

Che il sistema così delineato sia passibile di dubbi di legittimità costituzionale, come paventato da parte ricorrente in relazione all’art. 38 e all’art. 117 Cost., in combinato disposto con l’art. 1 del Protocollo n. 1 annesso alla CEDU, deve – a parere del Collegio – recisamente escludersi: una volta acclarato che lo scopo dell’automatismo delle prestazioni è precisamente quello di assicurare al lavoratore il diritto alle prestazioni previdenziali ancorché non sia stata versata o comunque recuperata la provvista contributiva dovuta dal datore di lavoro, non si comprende davvero in che modo la norma di cui al combinato disposto dell’art. 2116 c.c. e dell’art. 27, r.d.l. n. 636/1939, sia suscettibile di ledere l’art. 38 Cost. o, per tramite dell’art. 117 Cost., la norma interposta dell’art. 1, Protocollo n. 1 annesso alla CEDU, specie considerando che i giudici territoriali hanno in specie escluso – con affermazione ormai passata in giudicato – che i contributi omessi si siano prescritti e che nel presente giudizio non risulta proposta alcuna domanda volta a conseguire una qualche prestazione previdenziale.

Deve infine escludersi che la Corte di merito abbia errato allorché ha rigettato la domanda senza previamente integrare il contraddittorio con l’ex datrice di lavoro dell’odierna parte ricorrente.

La più recente giurisprudenza di questa Corte ha infatti ravvisato la necessità di un litisconsorzio necessario iniziale tra il lavoratore, il datore di lavoro e l’ente previdenziale solo in presenza di una domanda del lavoratore volta ad ottenere la condanna del datore di lavoro a versare all’ente i contributi omessi (cfr. Cass. nn. 8956, 17320 e 24924 del 2020), in funzione della necessità di assicurare un risultato utile alla parte attrice.

Tuttavia, una domanda del genere non è stata affatto proposta nel presente giudizio, avendo piuttosto parte ricorrente preteso di ottenere dall’INPS ciò che non ha ritenuto di chiedere al proprio ex datore di lavoro; e una volta così strutturato il processo ex parte actoris, un’estensione della lite all’ex datore di lavoro sarebbe stata possibile solo allorché l’INPS avesse proposto nei suoi confronti un’autonoma domanda volta alla condanna al pagamento dei contributi omessi, chiedendone conseguentemente l’intervento coatto ex art. 106 c.p.c., oppure se il giudice avesse motu proprio chiamato in causa il datore di lavoro, ritenendo la causa a lui comune, ex art. 107 c.p.c.- Né l’uno né l’altro caso configurano tuttavia ipotesi di litisconsorzio necessario iniziale ex art. 102 c.p.c.; e risolvendosi pertanto la decisione del primo giudice circa la chiamata in causa in valutazioni assolutamente discrezionali, resta escluso che possa formare oggetto di appello o di ricorso per cassazione (così, tra le più recenti, Cass. n. 21706 del 2019).

Il ricorso, pertanto, va conclusivamente rigettato, con l’enunciazione dei seguenti principi di diritto:

Salvo il caso di ricongiunzione dei periodi assicurativi, di cui alla l. n. 29/1979, e salva altresì la speciale ipotesi di cui all’art. 3, d.lgs. n. 80/1992, il principio di automaticità delle prestazioni, di cui all’art. 2116, comma 1°, c.c., non comporta alcun accredito automatico dei contributi non prescritti il cui versamento sia stato omesso in tutto o in parte dal datore di lavoro, ma consiste nel garantire al lavoratore le prestazioni previdenziali cui ha diritto ai sensi dell’art. 2114 c.c. anche quando il datore di lavoro abbia omesso il pagamento dei contributi”;

“In ragione della tutela assicuratagli dal principio di automaticità delle prestazioni previdenziali, di cui all’art. 2116, comma 1°, c.c., e di quella risarcitoria di cui all’art. 2116, comma 2°, c.c., il lavoratore, in caso di omissione contributiva da parte del datore di lavoro, non ha alcun diritto di agire nei confronti degli enti previdenziali per ottenere la regolarizzazione della propria posizione contributiva, nemmeno nel caso in cui tali enti, nonostante la sua denuncia, non abbiano provveduto alla recupero dei contributi dovuti dal datore di lavoro e questi si siano prescritti, potendo solo agire nei confronti del datore di lavoro ove l’inadempimento dell’obbligo contributivo abbia comportato la perdita delle prestazioni previdenziali”;

“L’art. 54, l. n. 88/1989, garantisce al lavoratore un diritto alla corretta informazione circa la consistenza della sua posizione contributiva, il quale, ove sia rimasto insoddisfatto a causa della mancata o non corretta determinazione da parte dell’ente previdenziale, può esser fatto valere in giudizio contro quest’ultimo esclusivamente in ordine alla responsabilità per i danni eventualmente derivati dall’inesatta informazione, non derogando in alcun modo tale disposizione alla norma di cui all’art. 2116 comma 2° c.c., secondo cui del danno da mancata o irregolare contribuzione, che si sia tradotto in una perdita totale o parziale delle prestazioni dovute al lavoratore ai sensi dell’art.2114 c.c., è responsabile il datore di lavoro”;

Sussiste litisconsorzio necessario iniziale tra lavoratore, datore di lavoro ed ente previdenziale, ai sensi dell’art. 102 c.p.c., solo in presenza di una domanda del lavoratore volta ad ottenere la condanna del datore di lavoro a versare all’ente i contributi omessi, in funzione della necessità di assicurare un risultato utile alla parte attrice, ma non anche allorché il lavoratore abbia convenuto in giudizio l’ente previdenziale allo scopo di ottenere la regolarizzazione della sua posizione contributiva, salva comunque la possibilità dell’ente di chiamare in causa il datore di lavoro per sentirlo condannare al pagamento dei contributi dovuti, ai sensi dell’art. 106 c.p.c., o del giudice di chiamare in causa il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 107 c.p.c., e fermo restando che, in tali casi, la decisione assunta dal primo giudice, involgendo valutazioni discrezionali, non è suscettibile né di appello né di ricorso per cassazione”.

L’intima complessità delle questioni trattate suggerisce la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità, mentre, in considerazione del rigetto del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13.

Così deciso nella camera di consiglio del 14.11.2023.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.