Cartabia, la norma transitoria sulla messa alla prova in appello vale solo per le ipotesi ampliate (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 9 gennaio 2024, n. 657).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUARTA SEZIONE PENALE

Composta da:

EMANUELE DI SALVO          – Presidente –

ALDO ESPOSITO

MARIAROSARIA BRUNO      – Relatore –

ATTILIO MARI

ALESSANDRO D’ANDREA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 02/03/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MARIAROSARIA BRUNO;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 2 marzo 2023, la Corte di appello di Bologna ha confermato la pronuncia di condanna emessa a carico di­ (omissis) (omissis) per il reato di cui all’articolo 186, comma 2, lett. c); e 2-bis cod. strada alla pena di mesi otto di arresto ed euro duemila di ammenda; pena sospesa e non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, il quale si duole del rigetto della richiesta di applicazione dell’istituto della messa alla prova, deducendo violazione di legge ed erronea applicazione degli articoli 168-bis, ter e quater codice penale.

La legge n. 134/2021 e il decreto legislativo n. 150/2022, lamenta la difesa, concedono la possibilità all’imputato di accedere alla sospensione del procedimento con messa alla prova; tale richiesta può essere formulata fino all’apertura della prima udienza di trattazione e non richiede ulteriori formalità.

Nella specie la  richiesta è stata ritualmente avanzata innanzi alla Corte di appello nella udienza fissata per il giorno 2/3/2023.

Deve quindi ritenersi erronea la motivazione della Corte d’appello che ha rigettato la domanda ritenendo l’incompatibilità dell’istituto con la sospensione condizionale della pena già concessa.

2. Il Procuratore Generale, presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. II ricorso è inammissibile.

2. La Corte di appello ha rigettato la richiesta dell’imputato, sostenendo l’incompatibilità dell’istituto con la sospensione condizionale della pena già concessa, a cui l’imputato non ha rinunciato.

Ebbene, termini per richiedere l’applicazione della sospensione del procedimento con messa alla prova sono previsti dall’art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen., il quale recita: “La richiesta può essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo oppure, nel procedimento di citazione diretta a giudizio, fino alla conclusione dell’udienza predibattimentale prevista dall’articolo 554 bis. Se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, la richiesta è formulata entro il termine e con le forme stabiliti dall’articolo 458, comma 1. Nel procedimento per decreto, la richiesta e presentata con l’atto di opposizione non osservati dall’imputato”.

Dalla lettura del testo della norma si ricavc1 come ii ricorrente fosse decaduto dalla possibilità di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, avendo egli formulate la richiesta per la prima volta innanzi alla Corte di appello in argomento si veda, ex multis, Sez. 4, n. 43009 clel 30/09/2015 Rv. 265331, così massimata: “Nel giudizio di appello l’imputato non può chiedere la sospensione del procedimento con la messa alla prova di cui all’art. 168-bis cod. pen., attesa l’incompatibilità del nuovo istituto con il sistema delle impugnazioni e la mancanza di una specifica disciplina transitoria. (In motivazione la Corte ha precisato che, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 263 del 2011, la mancata applicazione della disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova nei giudizi di impugnazione pendenti alla data della sua entrata in vigore, non implica alcuna lesione del principio di retroattività della “lex mitior” da riferirsi esclusivamente alle disposizioni che definiscono i reati e le pene”).

Sebbene, dunque, la motivazione del rigetto offerta dalla Corte distrettuale si appalesi non corretta, il ricorrente non avrebbe potuto invocare l’applicazione dell’istituto nel giudizio di appello. Egli, infatti, avrebbe dovuto richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova innanzi al Tribunale, ricorrendo i presupposti di cui all’art. 168-bis cod. pen. già all’epoca della celebrazione del giudizio di primo grado.

II riferimento contenuto nel ricorso alla recente riforma introdotta in materia dal d.lgs 150/2022 non è conferente.

La riforma citata ha esteso il catalogo dei reati per i quali è consentito l’accesso alla messa alla prova.

L’art. 168-bis cod. pen., interessato dalla modifica, prevede che la messa alla prova possa essere richiesta non solo per i reati puniti con pena detentiva massima di quattro anni, come nel previgente testo, ma anche “per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale”, oggetto anch’esso di ampia modifica.

La disciplina transitoria prevista dall’art. 90 d.lgs. 150/2022 ha stabilito che la disposizione dell’art. 32, comma 1, lettera a) del d.lgs. 150/2022, si applichi anche ai procedimenti pendenti nel giudizio di primo grade e in grado di appello alla data di entrata in vigore dello stesso decreto legislativo.

Se sono già decorsi i termini di cui all’art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen., l’imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, può formulare richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, a pena di decadenza, entro la prima udienza successiva alla data di entrata in vigore del predetto decreto.

Quando nei quarantacinque giorni successivi alla data di entrata in vigore del decreto non è fissata udienza, la richiesta è depositata in cancelleria, a pena di decadenza, entro il suddetto termine.

Tuttavia, la riapertura dei termini per richiedere la messa alla prova in pendenza del procedimento innanzi alla Corte di appello, all’indomani dell’entrata in vigore della riforma, deve intendersi limitata ai casi interessati dall’ampliamento.

3. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/6/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

In Roma, così deciso il 7 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria, oggi 9 gennaio 2024.

SENTENZA