Il Ministero non paga la Onlus per l’accoglienza ai migranti (poco meno di 2 milioni) se tenuti in condizioni disumane (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 10 febbraio 2025, n. 3362).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. Enrico Scoditti               – Presidente –

Dott. Umberto L.C.G. Scotti  – Consigliere –

Dott. Luigi Abete                     – Consigliere –

Dott. Luciano Varotti              – Consigliere –

Dott. Luigi D’Orazio                – Consigliere – Rel. –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso n. 5601/2024 r.g. proposto da:

Associazione (OMISSIS) in persona del legale rappresentante, pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. (OMISSIS) (OMISSIS) il quale chiede di ricevere le comunicazioni al proprio indirizzo di posta elettronica certificata indicate.

ricorrente

contro

Ministero Interno – Prefettura di Frosinone, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, siti in Roma alla via dei Portoghesi n. 12, é, ope  legis,  domiciliato.

controricorrente

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, n. 823/2024, depositata in data 6/2/2024;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7/2/2025 dal Consigliere dott. Luigi D’Orazio;

RILEVATO CHE:

1. Con atto di citazione in riassunzione la (OMISSIS) chiedeva aI Ministero dell’Interno-Prefettura di Frosinone il pagamento degIi importi previsti dalla Convenzione stipulata con la Prefettura di Frosinone per l’affidamento dei servizi di accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale, assegnati aI territorio della provincia di Frosinone.

Deduceva che la Convenzione era stata stipulata ii 6/12/2016, a seguito di gara pubblica con bando del 3/8/2016, ma che a partire dal mese di maggio 2017 la Prefettura aveva cessato di saldare le fatture emesse dall’associazione.

La (OMISSIS) chiariva che la Prefettura aveva bloccato ogni pagamento anche per l’anno 2018, solo in forza di fogli di firma, ossia di raccolte giornaliere delie sottoscrizioni delie persone ospitate nelle strutture convenzionate, relative aI periodo maggio-ottobre 2017.

Il credito vantato dalla ricorrente per ii periodo maggio 2017- novembre 2018 ammontava complessivi euro 1.923.155,30.

2. Si costituivano in giudizio il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Frosinone evidenziando che «il comportamento deIla (OMISSIS) era stato gravemente inadempiente, a tutto danno degli immigrati stranieri ospitati in condizioni disumane, condizioni igieniche precarie, mancanza di alimentazione e alloggio adeguato; a danno altresì delle risorse statali stanziate per tale servizio e pagate dai cittadini».

Proseguivano i convenuti sottolineando anche che «il mancato pagamento delle fatture era stato determinato daIla omessa indicazione, da parte del (OMISSIS) delle condizioni normative prescritte per la verifica delle prestazioni, in particolare la sottoscrizione dei soggetti ospitati, con irregolarità taIi da rendere necessaria la segnalazione aIla procura della Repubblica».

Deducevano che il comportamento deIla (OMISSIS) era stato gravemente inadempiente a danno degIi immigrati stranieri «che sarebbero stati ospitati in condizioni disumane, in condizioni igieniche precarie, con la mancanza di alimentazione ed alloggio adeguato, a danno delie risorse stataIi stanziate per tale servizio».

Inoltre, aggiungevano che in data 25/10/2018 la Prefettura aveva comunicato all’ente gestore di volersi avvalere deIla clausola risolutiva dell’atto pattizio, ai sensi dell’art. 1456 c.c., per grave inadempimento.

3. Il tribunale di Roma, con ordinanza del 9/12/2020, accoglieva la domanda, condannando la Prefettura di Frosinone e il Ministero dell’Interno, in solido tra loro, al pagamento, a titolo di corrispettivo dovuto per iI periodo maggio 2017/novembre 2018, deIla somma di euro 1.9 155,30.

In motivazione, il tribunale rilevava che la controversia atteneva esclusivamente aIla contestazione da parte dei convenuti in ordine alla regolarità delle sottoscrizioni, tra l’altro esclusivamente per il periodo da maggio ad ottobre del 2017 («la Prefettura di Frosinone, costituendosi in giudizio, ha chiesto il rigetto dell’avversa domanda, contestando la debenza delle somme richieste per una asserita irregolare produzione della documentazione a sostegno, quantomeno neI periodo maggio-ottobre 2017»).

Al contrario – ad avviso del tribunale – «[e]sulano, quindi, dalla presente decisione tutte le questioni relative alie modalità con le quali l’associazione ha provveduto alla prestazione del servizio di assistenza e alle eventuaIi responsabilità riscontrabili (oggetto di indagine penale, peraltro, allo state, non conclusa), responsabilità allegate daIla parte resistente e contestate decisamente daIla ricorrente, secondo la quale eventuaIi carenze sarebbero da addebitare alla mancanza di fondi causata proprio dal mancato pagamento dei corrispettivi dovuti».

In tal modo, sarebbe stato «così precisato e delimitato l’oggetto deIla lite suIla base delle domande reciprocamente formulate dalle parti».

La Prefettura, con nota del 25/10/2018, dopa aver segnalato aI Ministero la presenza di «anomalie nella gestione dei servizi e anche di natura cantabile» aveva comunicato alla (OMISSIS) «di volersi avvalere della clausola risolutiva dell’atto pattizio (art. 13 Convenzione), ai sensi e per gli effetti dell’art. 1456 c.c. “per grave inadempimento, avendo codesta associazione comunicato la sospensione con decorrenza immediata dell’erogazione dei servizi di prima accoglienza nei centri gestiti”».

Dalla documentazione prodotta in giudizio – ad avviso del tribunale – risultava che l’associazione (OMISSIS) aveva provveduto a trasmettere, sia pure in ritardo a trasmettere, «la  documentazione prevista dalla Convenzione, come specificata anche a seguito dell’emanazione del D.M. 18/10/2017».

Sul contenuto di tale documentazione la Prefettura non aveva formulato alcuna specifica contestazione «eccezion fatta per le fatture relative aI periodo maggio-ottobre 2017»,

Per tali fatture, infatti, la contestazione aveva riguardato esclusivamente la accertata anomalia dei fogIi di firma (identiche sottoscrizioni in diversi giorni dello stesso mese e differenze tra taIi firme e quelie riportate neI report giornaliero).

Si trattava, peraltro, di una irregolarità solo formale, in ragione delle dichiarazioni rese dagli operatori deIla struttura.

Aggiungeva il tribunale che «la contestazione sollevata dalla Prefettura non appare suffragata da sufficienti elementi di prova» e che «pur dovendosi ravvisare l’esistenza di indizi a favore deIla tesi dell’amministrazione, non vi é dubbio che la contraria tesi del carattere meramente formale delle anomalie riscontrate appare confortata non solo dalle dichiarazioni rese dagli operatori sotto pena di una personale responsabilità ma anche dalla mancanza di altri riscontri negativi, facilmente desumibile, ove esistenti, da un complessivo esame deIla documentazione allegata alle singole fatture».

Non risultava effettuato «un incrocio dei dati indicati nelle fatture e negli elenchi degli ospiti con i dati relativi all’erogazione del Pocket Money».

Concludeva il tribunale nel senso che «le anomalie riscontrate (e ammesse daIla stessa ricorrente) non potevano giustificare una integrale sospensione dei pagamenti ne per i mesi in contestazione ne, a maggior ragione, per tutti i mesi successivi, fino a novembre 2018, in costanza di rapporto e in presenza di prestazioni effettuate daIl’associazione e non specificatamente contestate daIl’amministrazione».

4. Avverso tale ordinanza proponevano appello il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Frosinone.

In particolare, con il primo motivo d’appello la Prefettura e il Ministero deducevano che iI tribunale aveva violato i principi generaIi in materia di inadempimento di cui all’art. 1218 c.c., in quanto si prevede la responsabilità risarcitoria del debitore «non solo per inadempimento totale della prestazione, ma anche per non averla eseguita “esattamente” cioè secondo i parametri quantitativi e qualitativi concordati». Le prestazioni eseguite «erano state oggetto di contestazione in relazione aIla mancanza dei minimi criteri qualitativi che potessero integrare gli elementi di un “prestazione eseguita”.

Con il secondo motivo di appello deducevano la «violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione aII’onere probatorio deIla parte attrice».

II tribunale aveva affermato che dalle prove documentali la contestazione sollevata daIla Prefettura non appariva suffragata da sufficienti elementi di prova.

Tale affermazione, però, conteneva un chiaro stravolgimento dell’onere probatorio.

Il tribunale, pur riconoscendo la insufficienza probatoria dell’attrice, aveva fatto carico alla convenuta amministrazione dell’onere probatorio che in realtà spettava all’attore.

Aggiungevano gli appellanti che «[q]uanto aIla necessità di incrocio dei dati, il giudice era tenuto, avendone espresso la necessità, ad esperire un’adeguata istruttoria, anche mediante la nomina di un CTU, e non certo soprassedendo circa l’esigenza fondamentale della prova del diritto, in assenza del quale ii giudice era tenuto a respingere la domanda e non gia ad accoglierla».

Con il terzo motivo di appello si deduceva la «violazione delie norme in materia probatoria e di contabilità pubblica», in quanto il Ministero aveva ritenuto del tutto insufficiente la documentazione prodotta daIla (OMISSIS) in ragione delle anomalie riscontrate anche con rilievo penale.

5. La Corte d’appello di Roma accoglieva ii gravame proposto dal Ministero e daIla Prefettura.

In particolare, preliminarmente, rigettava l’eccezione di inammissibilità deII’appello per genericità, sottolineando che «iI Ministero appellante ha comunque prospettato le questioni ed i punti contestati daIla sentenza impugnata e le relative doglianze».

Inoltre, chiariva che «dall’esame deIla copiosa documentazione versata in atti da entrambe le parti, contrariamente a quanto ritenuto daI tribunale, non possa essere condivisa la delimitazione deIla causa petendi», non potendosi prescindere «dal vaglio delle condotte tenute da entrambe le parti nell’ambito dell’esecuzione della Convenzione del 6/12/2016 oggetto del presente giudizio», trattandosi di contratto a prestazioni corrispettive ad esecuzione continuata.

Per la Corte territoriale la difesa erariale aveva contestato che il servizio di assistenza degli stranieri era stato svolto «in condizioni disumane» ed era stato caratterizzato, nel corso della sua esecuzione, da «carenze ed inadempienze sotto il profilo strutturale e della erogazione dei servizi in favore degli ospiti», con l’elencazione degli specifici interventi effettuati presso le strutture di accoglienza di (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS).

La Corte d’appello proseguiva elencando tutti gIi interventi effettuati anche dai NAS presso le singole strutture, muovendo dalie contestazioni relative all’immobile sito in (OMISSIS) da pag. 20; poi pag. 25; ospite affetto da TBC), in (OMISSIS) (da pagina 26), (OMISSIS) (da pagina 33) e (OMISSIS) (da pagina 37).

Quanto aIla CTU, la Corte territoriale ha rilevato che le fatture «non erano corredate daIla documentazione da egIi stesso evidenziata» e che, in particolare, «non risultavano essere stati prodotti in atti i rendiconti delle spese (ad eccezione del mese di maggio 2017), gli elenchi ed i relativi fogli firma mensili degli operatori impegnati ed il report delle attività eseguite».

L’art. 1 della Convenzione, invece, prevedeva che l’operatore affidatario «é tenuto a trasmettere alla Prefettura l’elenco dei fornitori di cui si avvale per l’espletamento delie prestazioni oggetto della Convenzione».

Quanto all’efficacia probatoria delle dichiarazioni sostitutive di atto notorio, esse, pur avendo attitudine certificativa probatoria nelle procedure amministrative, risultavano priva di efficacia in sede giurisdizionale, dovendo essere sottoposta valutazione del giudice.

Si richiamavano le conclusioni del CTU, in base alle quaIi, «per le fatture relative alle mensilità da novembre 2017 a novembre 2018, per complessivi euro 1.145.015,40, non essendo stati prodotti in atti i fogli firma delle presenze ed i prospetti di erogazione dei Pocket Money, non risulta possibile verificare la corrispondenza degIi importi fatturati con riferimento sia all’erogazione del servizio di accoglienza che dei Pocket Money che la (OMISSIS) era tenuta ad effettuare in base alla Convenzione n. 32237 del 6/12/2016».

Con la precisazione, da parte del CTU, che «per ii periodo novembre e dicembre 2017, ad eccezione delle fatture emesse da (OMISSIS) non risultano prodotti ne i frontespizi, ne la documentazione prescritta daIla Convenzione. Casi per il periodo da gennaio a novembre 2018, ad eccezione delle fatture emesse da (OMISSIS) non risulta prodotta in atti la documentazione indicata nei frontespizi (quella prevista dal D.M. delle 18/10/2017); non risulta inoltre prodotto il frontespizio di novembre 2018».

Tra l’altro, le fatture prodotte erano carenti anche sotto il profilo deIla compiuta identificazione della causale posta a fondamento deI credito, «daI momento che la causale indicata nelle fatture riguarda solo la generica indicazione del servizio fatturato ed il periodo temparale cui imputarlo, ma senza fare riferimento alcuno neanche al centro di accoglienza interessato».

Pertanto per ii CTU «non essendo state prodotte in atti le fatture passive di (OMISSIS) relative alle spese sostenute per l’accoglienza dei cittadini stranieri e per l’erogazione dei servizi connessi presso i centri di accoglienza indicati nella Convenzione o utilizzati in costanza deIla stessa, non é possibile verificare documentaImente la riferibilità delle spese ai servizi erogati (quaIi i servizi di gestione amministrativa, i servizi di assistenza generica alla persona, i servizi di pulizia ed igiene ambientale, i servizi di erogazione dei pasti e di tutti i generi di prima necessita) presso le strutture nel periodo in esame».

Mancava, peraltro, la rendicontazione, mentre «l’unico rendiconto presente in atti é quello del mese di maggio 2017».

Per la Corte dunque «le fatture depositate e relative al periodo che va dal novembre 2017 al novembre 2018 non costituiscono documentazione sufficiente per consentire l’erogazione del corrispettivo previsto daIla Convenzione in base ai requisiti daIla stessa richiesti».

Tanto é vero che ii CTU ha precisato nelle sue conclusioni l’importo da liquidare ad (OMISSIS) «sulla base, e con i limiti, della documentazione prodotta in atti, cosi come indicato nel quesito, in complessivi euro 1.668.839,90».

Per la Corte territoriale tale indicazione non é «coerente rispetto ai limiti ed alle lacune documentali evidenziate nella parte motiva della CTU e cui si é fatto riferimento in precedenza; deve, quindi, essere ribadito che la somma da riconoscere in favore di (OMISSIS) ammonta ad euro 750.694,20».

Dovevano essere respinti motivi di appello incidentale proposti dall’appeIlata (OMISSIS) relativi alla liquidazione delle spese neI giudizio di primo grado ed alla domanda ex art. 96 c.p.c.

6. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la (OMISSIS).

7. Resisteva con controricorso il Ministero dell’interno-Prefettura di Frosinone.

8. Questa Corte con ordinanza n. 25927 del 2024, depositata ii 2/10/2024, ha rigettato ii ricorso.

9. L’Associazione (OMISSIS) ha, quindi, proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 823/2024 della seconda sezione civile della Corte d’appello di Roma, emessa nel giudizio per la revocazione deIla sentenza n. 1910/2023, ai sensi dell’art. 395, primo comma, n. 4, c.p.c., che ha rigettato l’impugnazione della società.

CONSIDERATO CHE:

1. Con un unico motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione degli articoli 115 e 116, e 395, n. 4, c.p.c.».

In particolare, la ricorrente la ricorrente afferma che «il presente ricorso si basa suIla completa omissione delle dichiarazioni e conclusioni del CTU, Dott. (OMISSIS) (OMISSIS) presenti nelle pagine 103, 104, 139, 140 e 143 del suo elaborato peritale e, ovviamente, nell’errata disamina dei motivi della citazione per revocazione della sentenza n. 1910/2023».

La sentenza deIla Corte d’appello n. 823 del 2024 impugnata in sede di legittimità, si sarebbe limitata «a trascrivere buona parte della motivazione della sentenza n. 1910/2023 censurata da (OMISSIS) (OMISSIS).

Dopo tale trascrizione deIla motivazione della sentenza n. 1910/2023 la Corte d’appello (sentenza n. 832 del 2024), in sede di giudizio di revocazione, ha affermato che «ne deriva, dalla semplice lettura della motivazione della sentenza, che nessun errore percepito é ravvisabile nello sviluppo motivazionale della Corte d’appello, giacche risulta da queI collegio chiaramente evidenziato come lo stesso CTU, alle pagine 140,137,116,112 e 113 della perizia (n.d.r. sopra sottolineate) avesse dato atto della documentazione mancante, di talché la conclusione formulata dall’ausiliare a pagina 144 della perizia non fosse coerente con i precedenti rilievi dello stesso CTU», con la precisazione per cui «é evidente, dunque, che qualsivoglia giudizio si voglia formulare sulle conclusioni adottate dalla Corte d’appello, viene in rilievo l’aspetto valutativo delie risultanze peritaIi e non già quello percettivo».

La sentenza deIla Corte d’appello sarebbe erronea «sia nella parte in cui ha riportato passi della sentenza n. 1910/2023 (dimenticando per errore percettivo i risultati del CTU nelle pagine menzionate 103,104,139,140 e 143), sia ed a maggior ragione nella parte in cui […] ritiene che l’impugnata sentenza n. 1910/2023 contenga una motivazione articolata e, quindi, una attenta valutazione del materiale probatorio utilizzato e non, invece, sia il frutto di un evidente errore percettivo dello stesso materiale probatorio».

Sarebbe, allora, evidente «la svista della Corte d’appello di Roma», dimenticata «ora neIla sentenza n. 823/2024».

In realtà – ad avviso della ricorrente – il CTU avrebbe più volte rassicurato in ordine alla sussistenza di tutta la documentazione necessaria per la riscossione del credito vantato dalla (OMISSIS)

II CTU avrebbe affermato che «dall’esame della documentazione prodotta in atti, si evince che la (OMISSIS) ha inviato aIla prefettura la documentazione elencata nei “frontespizi” (riportanti ii timbro della prefettura “posta in arrivo”) relativi ai mesi da maggio ad ottobre 2017 che risulta in linea con quella prevista daIla convenzione, prot. n. (OMISSIS) del 6/12/2016, e da gennaio a ottobre 2018 che risulta in linea con quella prevista dal D.M. del 18/10/2017 [ …] ».

La Corte d’appello, invece, avrebbe dimenticato completamente tale circostanza commettendo, sia pagina 45, che nelle pagine 47 e 48 «questo gravissimo errore».

Trattasi di «errore percettivo e non di errore valutativo», in quanto il CTU, in più parti del suo elaborato peritale, aveva dichiarato che la documentazione prevista daIla convenzione del dicembre 2016 era stata «consegnata da (OMISSIS) alla prefettura di Frosinone», come del resto aveva già accertato il tribunale di Roma». La Corte d’appello di Roma non avrebbe «speso una parola sulle diverse pagine della CTU (evidenziate da (OMISSIS) nelle quali lo stesso consulente spiega e dimostra perché, proprio secondo la convenzione sottoscritta dalle parti e nel rispetto della normativa del c.d. Decreto Minniti, andassero liquidata di (OMISSIS) anche le fatture deI periodo gennaio-ottobre 2018, per complessivi euro 918.145,70.

La Corte d’appello, dunque, si sarebbe limitata statuire che non trattavasi di errore percettivo, senza procedere a «comparare le dichiarazioni del CTU contenute nelle pagine 103,104,139,140 e 143, con le pagine 44-48 della sentenza n. 1910/2023, nelle quali non vi é alcun cenno sull’esame delle precise dichiarazioni conclusioni del CTU, ma dalle quali si evince, invece, la chiara mancata percezione delle stesse dichiarazioni del CTU».

2. Il motivo é inammissibile.

Infatti, per questa Corte, nel ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza emessa nel giudizio di revocazione non sono deducibiIi censure diverse da quelle previste dall’art. 360 c.p.c. e, in particolare, non sono denunciabili ipotesi di revocazione ex art. 395 c.p.c., non rilevando, in contrario, la circostanza che la sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione non possa essere a sua volta impugnata per revocazione (Cass., sez. 15/12/2020, n. 28452).

2.1. Inoltre, costituisce principio consolidato di legittimità quello per cui l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, compresa quella della Corte di cassazione, presuppone l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una daIla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuaIi; il detto errore deve:

a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato aIla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso suI quale il giudice si sia pronunciato;

b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive;

c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (Cass., sez., 6-2, 10/6/2021, n. 16439).

Ed infatti, l’errore di fatto, che può dar luogo a revocazione deIla sentenza ai sensi dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., richiamato dall’art. 391-bis cod. proc. civ., presuppone ii contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, una delle quali emergente daIla sentenza, I’altra dagIi atti e documenti processuaIi, purche la realtà desumibile daIla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio (Cass., sez.L, 12/4/2001, n. 5515).

3. La Corte di appello, con pieno accertamento meritale, ha ritenuto che non vi sia stata alcuna svista da parte del giudice di merito. Ha tra l’altro anche specificato che la censura formulata dalla (OMISSIS) era relativa ad un’errata valutazione delle risultanze processuaIi, sicché esulava dei profili della revocazione.

Ed invero, l’errore di fatto previsto dall’art. 395 n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione deIla realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisive incontestabilmente escluso, oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga ad un’errata valutazione delle risultanze processuaIi (Cass., sez. 6-1, 26/1/2022, n. 2236).

La ricorrente, in realtà, chiede una nuova rivalutazione degIi elementi di fatto già congruamente effettuata daIla Corte d’appello, in sede di revocazione, nella quale ha escluso, con assoluta precisione, la sussistenza di una «svista» compiuta da altro collegio della Corte d’appello con la precedente sentenza n. 1910 del 2023.

Senza contare che il fatto era anche «controverso», in quanto si discuteva tra le parti proprio in ordine alla valutazione delle risultanze deIla CTU; mentre la ricorrente, sia dinanzi aIla Corte d’appello che in questa sede, continua a rimarcare che il giudice del merito avrebbe esaminato solo alcune pagine della CTU e non altre, segnatamente quella da essa indicate.

Non può peraltro sfuggire che l’oggetto deIla censura é un errore di fatto che sarebbe stato commesso dalla sentenza sulla revocazione (in pratica, é come se fosse stata proposta un’impugnazione per revocazione della sentenza di revocazione, inammissibile ex art. 403 cpc).

4. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente a rimborsare in favore del controricorrente le spese deI giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 9.000,00, oltre spese prenotate a debito, oltre rimborso forfettario nella misura deI 15% delie spese generaIi, Iva e cpa, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, da atto deIla sussistenza dei presupposti processuaIi per il versamento, da parte deIla ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per ii ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso art. 1, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025

II Presidente

Enrico Scoditti

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2025.

SENTENZA – copia non ufficiale -.