Indebito utilizzo di carte di pagamento da parte di un avvocato e “confusione” tra i concetti giuridici di prodotto e di profitto (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 10 dicembre 2021, n. 45568).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PAOLA Sergio – Presidente –

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere –

Dott. PERROTTI Massimo – Rel. Consigliere –

Dott. PARDO Ignazio – Consigliere –

Dott. PAZIENZA Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto nell’interesse di:

(OMISSIS) Andrea, nato a Firenze il 30/11/19xx;

avverso la ordinanza del 25/3/2021 del Tribunale di Pistoia, sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari reali;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione della causa svolta dal consigliere Dott. Massimo Perrotti;

udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Assunta Cocomello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore del ricorrente, avv. Giovanni (OMISSIS), che ha concluso per l’annullamento della ordinanza impugnata in accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata, il tribunale per il riesame delle misure cautelari reali di Pistoia rigettava la richiesta di riesame proposta averso il decreto di sequestro preventivo, emesso dal GIP dello stesso tribunale in data 12 gennaio 2021, delle somme di denaro nella disponibilità di Andrea (OMISSIS), fino alla concorrenza del valore di 77.150,80, costituenti prodotto e profitto dei reati di cui all’art. 493 ter cod. pen. contestati ai capi Al.), 61), C1), DI.). E1), G1), I1), S1) della provvisoria imputazione.

2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione, a ministero del difensore di fiducia, Andrea (OMISSIS), nella veste di indagato, che deduceva, ai sensi dell’art. 606, comma 1, del codice di rito:

2.1. violazione della legge penale, sostanziale e processuale (art. 493 ter cod. pen., 125, comma 3, cod. proc. pen.), avendo il tribunale per il riesame errato nella qualificazione giuridica del fatto contestato, che meglio rispondeva al paradigma di condotta alternativo indicato al primo comma dell’art. 493 ter, cod. pen., avendo il professionista -incaricato dai propri assistiti di chiedere alle relative compagnie di assicurazione il risarcimento dei danni asseritamente subiti- attivato in prima persona sia le carte elettroniche di pagamento indicate alle compagnie per il versamento delle somme dovute a titolo di risarcimento, che i relativi conti di appoggio, ed avendo quindi certamente realizzato la fattispecie alternativa posta storicamente a monte dell’utilizzo sanzionato al comma primo del detto articolo, con evidente incompatibilità ontologica con la condotta di illecita utilizzazione della carta “altrui” intestata, difettando l’altruità della carta elettronica, solo formalmente intestata ad altri, ma artatamente formata e illecitamente posseduta dall’agente.

2.2. la violazione di legge, per assoluta carenza di motivazione o sua mera apparenza, caratterizza anche il secondo motivo di ricorso, avendo il tribunale della cautela reale chiaramente eluso il tema della finalità di profitto sottoposto al suo esame;

2.2.1. Inoltre, le somme prelevate dal professionista dalla provvista formata con le somme versate dalle compagnie assicuratrici erano costituite dall’entità del risarcimento (versato regolarmente agli infortunati), dal compenso per il difensore, riscosso in via diretta e dal compenso per il medico legale, pure riscosso dal professionista per il successivo versamento al creditore della prestazione professionale.

Donde la confusione tra i concetti di prodotto e profitto, non risolti dalla motivazione del provvedimento del riesame, dovendo certamente detrarsi dal profitto le somme dovute al legale per l’attività professionale resa, oltre quelle da corrispondere ai medici per le consulenze svolte in favore dei danneggiati, né il tribunale poteva liquidare la questione relativa alle posizioni Fazio (OMISSIS) e le altre per le quali i danneggiati hanno reso dichiarazioni satisfattorie del credito, rinviando alla fase di merito del processo, sussistendo evidente incertezza sul quantum delle somme sottoposte al sequestro finalizzato alla confisca di somme che certamente non costituiscono profitto del reato;

2.3. Infine, con il terzo motivo si deduce ancora violazione di legge, giacché nel disporre la confisca “diretta” del profitto del reato, il GIP non ha svolto alcun accertamento per verificare che le somme giacenti sul conto corrente dell’indagato fossero direttamente riconducibili, secondo un rapporto di diretta pertinenzialità, a quanto dalle carte prepagate tratto.

2.4. Con motivi aggiunti depositati il 21 ottobre 2021, il nuovo difensore, nominato in luogo di quello (revocato) che aveva proposto il ricorso, ha insistito per l’annullamento del provvedimento impugnato per evidente violazione della legge processuale nella quantificazione delle somme sottoposte a sequestro, quale profitto del reato, non sussistendone i presupposti ontologici e giuridici.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei termini in appresso indicati.

1.1. Quanto a sussistenza del fumus commissi delicti e qualificazione giuridica dei fatti contestati, il tribunale per il riesame ha correttamente argomentato il proprio convincimento in ragione delle condotte chiaramente delineate sulla base dei fatti denunziati dalle numerose persone offese e suffragati dai successivi accertamenti contabili di polizia giudiziaria.

Del resto, l’autonomia della condotta di illecita utilizzazione delle carte di pagamento altrui intestate rende contezza della correttezza delle provvisorie contestazioni; ciò in quanto, nelle norme a più fattispecie come quella di cui all’art. 493 ter cod. pen., le più distinte condotte di contraffazione, possesso ed utilizzazione possono concorrere (Sez. 2, n. 46652, del 18/9/2019, Rv. 277777: In motivazione la Corte ha precisato che l’autore della contraffazione, quando proceda anche all’utilizzo indebito del mezzo di pagamento, risponderà in concorso delle due autonome ipotesi di reato previste dall’art. 493-ter, primo comma, cod. pen.).

1.2. In punto di adeguata valutazione della sussistenza del fumus commissi delicti, apprezzato in termini di concretezza rispetto alla fattispecie processuale oggetto di scrutinio (Sez. 3, n. 37851, del 4/6/2014, Rv. 260945; Sez. 5, n. 3722, del 11/11/2019, Rv. 278152), va ancora preliminarmente precisato che, essendo caduto il “giudicato cautelare” sulla gravità indiziaria che sostiene la misura personale nei confronti dello stesso indagato in relazione ai medesimi fatti, in virtù del principio di “assorbimento” che regola l’apprezzamento del fatto nella materia cautelare (Sez. 2, n. 39473, del 22/9/2015, Rv. 264813) è preclusa la questione relativa alla sussistenza del fumus commissi delicti in relazione ai reati contestati in cautela reale, così come qualificati.

1.3. Ciò posto quanto a corretto apprezzamento del fumus commissi delicti, va ribadito ancora una volta che avverso le ordinanze emesse a norma degli artt. 322-bis e 324 cod. proc. pen., il ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione di legge, a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrando nella nozione di “violazione di legge” la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice» (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004; si vedano anche, nello stesso senso, Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, e Sez. U, n. 5 del 26/02/1991, Bruno; nonché Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini; Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012, Chiesi; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, Buonocore).

1.4. Orbene, dalla lettura del provvedimento impugnato si evince che il tribunale ha argomentato -in forma certamente non apparente- in ordine alla indicazione della sussistenza di un profitto certo nella condotta tenuta dall’avvocato (OMISSIS), che attraverso lo strumento artificioso delle carte di debito (formalmente) altrui intestate, ma direttamente possedute ed utilizzate, è riuscito a lucrare la differenza tra quanto accreditato dalle compagnie di assicurazione a titolo di risarcimento in favore dei danneggiati e quanto effettivamente a costoro corrisposto, al netto -naturalmente- delle sue competenze professionali e di quanto dovuto ai consulenti medici.

Tale profitto, secondo una nozione non controversa, consiste nel vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito (Sez. U., n. 29951, del 24/5/2004, Rv. 228166; Sez. 5, n. 16008, del 12/2/2005, Rv. 263702; Sez. 2, n. 53650, del 5/10/2016, Rv. 268854).

Inoltre, il punto devoluto relativamente alla dedotta “confusione” tra i concetti giuridici di prodotto e di profitto non risulta previamente sottoposto al tribunale del riesame, il che ne preclude l’analisi nella sede di legittimità per la evidente interruzione della catena devolutiva (Sez. 5, n. 48416 del 6/10/2014, Rv. 261029-01).

1.5. Ciò che, viceversa, certamente è apparente nell’argomentare del tribunale è la indicazione del quantum di profitto concretamente conseguito dall’avvocato (OMISSIS), che lo stesso tribunale, riconosciuta la equivocità dei dati rappresentati dagli atti di indagine compendiati nel decreto di sequestro preventivo, vorrebbe rimesso al giudizio di merito, pur mantenendo il sequestro a fini di confisca della somma indicata nel dispositivo del decreto impugnato.

Non è dubbio, infatti, che il profitto confiscabile, in via diretta o, in mancanza, per equivalente valore giacente sui conti correnti dell’indagato, va apprezzato al netto del vantaggio comunque reso o conseguito dalla persona offesa (Sez. 2, n. 8339, del 12/11/2013, Rv, 258787); come pure va nella fattispecie detratto il corrispettivo dovuto ai consulenti medici per l’opera professionale prestata. Il calcolo della detta somma, in quanto elemento essenziale del provvedimento che sottrae alla disponibilità dell’indagato le somme in suo (presunto) legittimo possesso, va correttamente eseguito nella sede propria cautelare, dovendo altrimenti ritenersi che le somme siano state sequestrate senza titolo legittimo.

2. Consegue l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, dovendo il tribunale esaminare nel merito la fondatezza della istanza di riesame in punto di esatta quantificazione delle somme costituenti profitto del reato per cui si procede e compiutamente argomentare circa la correttezza del calcolo che ha quantificato il detto profitto; somme sottoposte a vincolo con il decreto emesso dal GIP in data 12 gennaio 2021, impugnato dall’interessato.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Pistoia per nuovo esame in punto di quantificazione delle somme costituenti profitto dei reati contestati.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria, addì 10 dicembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.