Infezioni ospedaliere, risarciti i parenti dalla medesima struttura sanitaria che ha avuto in cura il paziente deceduto (Tribunale Civile di Roma, Sezione XIII, Sentenza 4 luglio 2023, n. 10579).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA

SEZIONE TREDICESIMA

In persona del Giudice, dott.ssa Paola Larosa, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. 33363 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2019, e vertente

TRA

Omissis;

Omissis;

in proprio e nella qualità di eredi legittimi di Omissis, elettivamente domiciliati in Roma, Via Ludovisi n. 35 presso lo studio dell’Avv.to Massimo Lauri e dell’Avv. stabilito Claudio Saltimbanco, che li rappresentano e difendono come da procura stesa in calce al ricorso per procedimento sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c;

attori

CONTRO

Azienda Sanitaria Locale Roma 1, in persona del suo Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, dott. A.T., elettivamente domiciliata presso la sede dell’Azienda in Roma, Borgo Santo Spirito n. 3, rappresentata e difesa congiuntamente e disgiuntamente dagli Avv.ti Andrea Mollo, Gloria Di Gregorio e Alessia Alesii, giusta procura in calce alla memoria di costituzione e risposta;

convenuta

OGGETTO: responsabilità professionale medica;

CONCLUSIONI: come da verbale di udienza del 20.09.2022 che qui si intendono integralmente riportate e trascritte.

FATTO E DIRITTO

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. Omissis e Omissis hanno adito il Tribunale Civile di Roma per sentire accertare e dichiarare che il decesso del Sig. Omissis Omissis era riconducibile ad un comportamento colposo dei sanitari del Presidio Ospedaliero Santo Spirito in Sassia e violativo degli obblighi contrattualmente assunti.

Chiedevano, pertanto, che l’azienda sanitaria convenuta fosse condannata al risarcimento di tutti i danni subiti da Omissis e Omissis in proprio ( quali figli de de cuius) e quali eredi pro quota della madre Omissis, oltre che al risarcimento, iure hereditatis, del danno catastrofale subito dal de cuius, nella misura di euro 427.700,00 ciascuno, salvo diversa somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, da liquidarsi eventualmente anche in via equitativa, oltre interessi, lucro cessante e rivalutazione monetaria.

Con vittoria di spese competenze ed onorari di giudizio.

A fondamento della domanda spiegata esponevano quanto segue:

Omissis aveva esperito un ricorso ex art. 696 bis c.p.c. al fine dell’accertamento del nesso di causalità tra la condotta medica imperita e negligente ed il decesso del paziente Omissis, avvenuto in data Omissis, a seguito di ricovero del 14.10.2013 presso il Presidio Ospedaliero Santo Spirito in Sassia di Roma per ictus cerebrale ischemico e stenosi dell’arteria carotide di sinistra.

La CTU espletata in sede di ATP aveva accertato la sussistenza di una condotta medica negligente e del nesso causale tra la condotta colposa ed il decesso.

Sostenevano quindi di aver provato il nesso causale tra la condotta colposa grave del personale medico ed infermieristico del Santo Spirito ed il decesso di Omissis.

Chiedevano il risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio subito dalla moglie del de cuius, Omissis (trasmessosi ai figli Omissis e Omissis essendo la Sig.ra Omissis deceduta in data Omissis), del danno non patrimoniale iure proprio subito dai figli Omissis e Omissis a titolo di perdita del rapporto parentale e danno morale, nel quale doveva essere ricompresa anche la voce della sofferenza soggettiva patita in occasione dell’evento luttuoso.

Chiedevano anche il risarcimento, iure hereditatis, del danno non patrimoniale subito dal Sig. Omissis, visto il percorso ospedaliero del congiunto protrattosi per 45 giorni, in cui la capacità di intendere conservata fino a poche ore prima del decesso dimostrava la percezione, da parte del de cuius, della prossima perdita della vita.

Si costituiva in giudizio l’Azienda sanitaria Locale Roma 1, in persona del legale rappresentante pro-tempore, chiedendo, nel merito, in via principale e istruttoria, di disporre ex art. 702 ter c.p.c. la conversione del procedimento sommario di cognizione nelle forme del rito ordinario e disporre la rinnovazione della Ctu, in quanto le conclusioni raggiunte non apparivano condivisibili, oltre al rigetto della domanda attorea, per assenza del nesso causale tra l’insorgenza dell’infezione presso l’Ospedale Santo Spirito e il decesso del Sig. Omissis.

In via subordinata, chiedeva di ridurre l’entità dei danni lamentati dalle parti ricorrenti, in quanto la richiesta risarcitoria appariva incongrua eccessiva e non provata anche con riferimento al danno tanatologico; nell’ ipotesi che il Tribunale adito non avesse deciso di disporre la rinnovazione della ctu e avesse ritenuto di fondare la decisione della causa sulla consulenza depositata nel procedimento ex art. 696 c.p.c., nella quale si rilevava una colpa professionale dei sanitari coinvolti, chiedeva che questi ultimi rispondessero a titolo personale.

Nel merito, escludeva la responsabilità dei sanitari dell’ospedale Santo Spirito in riferimento al decesso dell’ Omissis e soprattutto dissentiva dall’affermazione dei CCTTUU secondo i quali nella condotta dei medici coinvolti potevano ravvisarsi elementi di colpa.

Nella propria comparsa ripercorreva la vicenda clinica di Omissis ed evidenziava ancora una volta che i parenti gli avevano portato cibo da casa nonostante il parere contrario dei sanitari e che avevano continuato ad alimentare il congiunto in modo non corretto anche dopo l’insorgenza dei sintomi legati all’infezione da salmonella.

Sottolineavano altresì come l’infezione da salmonella del Sig. Omissis fosse stata un evento sporadico che non aveva coinvolto altri pazienti, e che tale circostanza rendeva ancor più verosimile che l’origine fosse stata rappresentata da alimenti esterni non sottoposti a controllo igienico-sanitario da parte del personale dell’Ospedale.

L’azienda convenuta riteneva di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire la diffusione delle infezioni.

Sottolineava come il trasferimento del paziente presso altra struttura sanitaria non avesse determinato alcun intervallo nella assistenza prestata o nella somministrazione del trattamento farmacologico antibiotico.

Evidenziava inoltre che le terapie adottate a seguito del riscontro dell’infezione da salmonella risultavano adeguate e tempestive, e che il decesso del paziente appariva addebitabile alle condizioni in cui il paziente versava- trattandosi di un soggetto in età avanzata e affetto da varie comorbilità-, condizioni che, malgrado un trattamento antibiotico adeguato, avevano fatto sì che l’organismo non riuscisse a resistere all’infezione.

Contestava le voci di danno richieste, in particolare la richiesta di risarcimento del danno in favore della moglie Omissis in quanto si trattava di una persona deceduta, e la richiesta del danno tanatologico, richiamando la giurisprudenza della Cassazione secondo la quale occorre, per la risarcibilità di tale danno, che sia trascorso un lasso di tempo apprezzabile tra il momento della lesione e il decesso. All’udienza del 9.7.2020, il Giudice, ritenuto che il procedimento richiedesse un’istruzione non sommaria, mutava il rito da sommario a ordinario e fissava l’udienza ex art. 183 c.p.c.

Quindi, istruita con la documentazione prodotta dalle parti, la causa veniva trattenuta in decisione, con la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per comparse conclusionali e memorie di replica.

La domanda spiegata appare parzialmente fondata, per le ragioni esposte a seguire.

Al riguardo, va premesso che, secondo la giurisprudenza della Cassazione, “il diritto che i congiunti vantano, autonomamente sebbene in via riflessa ad essere risarciti dalla medesima struttura dai danni da loro direttamente subiti si colloca nell’ambito della responsabilità extracontrattuale” (Cass. n. 5590/2015; conforme Cass.14258/2020). Pertanto, sempre secondo la Cassazione recente, occorre “…dimostrare, da parte degli eredi del paziente deceduto, che l’omissione addebitata ai sanitari sia stata “più probabilmente che non” la causa del decesso, ovvero che l’intervento omesso…avrebbe più probabilmente che non” scongiurato l’evento letale ( Cass. Ord. n.5487/2019), e tale indagini deve essere svolta in base alle circostanze del caso concreto (Cass. n.8114/2022).

Nel caso di specie deve rilevarsi che è pacifico, in quanto affermato dagli attori, non contestato dalle controparti ed, inoltre, provato documentalmente, che il Sig. Omissis in data 14.10.2013 giungeva presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale Santo Spirito e veniva ricoverato presso il reparto di medicina dell’Ospedale Santo Spirito con la diagnosi di emiparesi destra in esito ad ictus cerebrale ischemico e stenosi dell’arteria carotide di sinistra.

Lamentavano, quindi, gli attori, che durante la degenza, il paziente contraeva una infezione da salmonella che portava, successivamente, al decesso del paziente stesso.

Deducevano i convenuti l’assenza di responsabilità e la correttezza dell’esecuzione degli interventi praticati, oltre che delle cure prestate al paziente.

La CTU espletata nel corso del giudizio di ATP e depositata in atti, a firma dei dottori Maurizio Bagnato e Ignazio Antonelli, svolta con metodo e rigore logico, in aderenza alla documentazione in atti e, pertanto, integralmente condivisibile nelle conclusioni raggiunte, ha consentito di confermare la responsabilità dell’azienda convenuta nella determinazione del decesso di Omissis.

Infatti i CCTTU, dopo aver analizzato la documentazione sanitaria prodotta, riassumevano sinteticamente la vicenda clinica del de cuius: “…Trattasi di paziente vasculopatico (Stenosi CI sin. >80% ed iperteso) di 79 anni con una pregressa ischemia cerebrale di pochi mesi prima (Agosto 2013) regredita spontaneamente, che in data 14/10/2013 avverte gli stessi sintomi e che si presenta al P.S. del P.O. S. Spirito “Sveglio, lucido ed orientato con deficit di forza emisoma dx” ma tale sintomatologia già parzialmente regredisce in sede di P.S. tant’è che viene ricoverato il giorno stesso al reparto di Medicina con la seguente diagnosi: “Deficit di forza emisoma dx. Stenosi CI sin nota” che evidenzia come i sanitari siano più preoccupati della stenosi della carotide, pressocchè ostruita, piuttosto dell’emiparesi in sé.

Infatti, le condizioni neurologiche vanno migliorando, effettuata FKT, cammina con deambulatore accompagnato dalla fisioterapista, rimane lucido e collaborante, e l’ipertensione sembra sufficientemente compensata dalla terapia farmacologica” (pag. 10 dell’elaborato peritale)… Il 18/10 viene riportato nella cartella infermieristica che si alimenta con vitto portato da casa e dopo 6 giorni senza alcun sintomo … il 24/10 comparsa di diarrea e febbre con coprocoltura positiva per Salmonella Arizonae…

La coprocoltura è positiva per Salmonella anche il 28/10 mentre il 29/10 Coprocoltura negativa per Salmonella, a positiva per Acinetobacter baumanii XDR….Il 2/11 ha solo diarrea senza febbre. Il 07/11 nella cartella infermieristica viene riportato che cena con vitto portato da casa. Il 9 e 10 Novembre non evacua ma ha febbre attorno ai 38°C. Il giorno successivo, afebbrile, in data 11/11 viene sospesa la terapia antibiotica … e trasferito al Nomentana Hospital (struttura di Lungodegenza) sulla scorta della negatività della coprocoltura del 29/10.

Qui però c’è un errore medico: le coprocolture negative dovevano essere due consecutive, effettuate a non meno di 24 ore una dall’altra e a non meno di 48 ore dalla sospensione di qualsiasi trattamento antimicrobico.

Alla Nomentana Hospital a seguito di episodi di diarrea e della coprocoltura positiva alla Salmonella del 13/11 viene nuovamente trasferito al S. Spirito (sveglio, lucido e orientato, paresi emisoma dx) in data 16/11….(pag. 11 e 12 dell’elaborato peritale).

I CCTTUU continuavano affermando che: “…è indubbio, ammesso anche dalla parte resistente, che il defunto A.A. abbia contratto in ambiente ospedaliero, esattamente alla Medicina del P.O. S. Spirito, l’infezione da Salmonella Arizonae che si ricorda appartiene alle Salmonellosi cosiddette minori con un’incubazione che può arrivare fino a 72 ore. L’Asl RM1 poggia la sua linea difensiva sostenendo che sarebbe stata veicolata attraverso il cibo portato dall’esterno dai parenti di cui si sarebbe nutrito in data 18/10 per la prima volta e successivamente il 07/11 (così come emerge dalle schede infermieristiche in atti). Ma mentre la seconda data appare compatibile, considerata la latenza media (48-72 ore), l’esordio sintomatologico e coprocolturale del 24/10 in relazione con l’alimentazione con cibo portato da casa del 18/10, ben sei giorni prima, non appare assolutamente correlabile. Dunque, con molta probabilità si è trattato di un’infezione di natura orofecale contratta in ambiente ospedaliero (nosocomiale) da cibo o portatori nosocomiali. Allo scopo sarebbe stato molto utile acquisire i dati dell’indagine epidemiologica a seguito della notifica di malattia infettiva a cura del SIAN.

Ma seppur ripetutamente richiesta l’indagine epidemiologica è l’unico documento che non si riesce a trovare e che avrebbe definitivamente azzerato il margine di incertezza su un eventuale ruolo di portatori sani anche a livello familiare o assistenziale. In particolare proprio il tipo di Salmonella isolata, l’Arizona e, che appartiene alle salmonellosi cosiddette minori è una specie piuttosto rara che ha un resorvoir naturale nei rettili con micro epidemie negli USA (da cui Arizonae) colpendo pazienti anziani fragili ricoverati e/o immunodepressi.

L’indagine epidemiologica avrebbe consentito di attribuire con un maggior margine di sicurezza la paternità, che con il tempo di latenza messo in relazione al cibo portato da casa, contrariamente a quanto auspicato dalla parte resistente, tale eccessivo lasso di tempo da contaminazione del cibo (18/10) con l’esordio (24/10), ben sei giorni, ha invece un effetto opposto, dovendola comunque considerare un’infezione nosocomiale a tutti gli effetti e che il “cibo casalingo”, con molta probabilità, non c’entra nulla.

L’assenza comunque di microfocolai epidemici, evidentemente esclusa dall’indagine epidemiologica (ammesso che sia mai stata compiutamente effettuata), analogamente a quanto riportato in letteratura in USA, deporrebbe per una contaminazione occasionale e individuale sulla base di una possibile immunodeficienza giustificabile dall’età e dagli antecedenti morbosi. Purtuttavia, qualunque sia l’origine della Salmonella, è indubitabile che sia stata contratta in Ospedale e in quella sede avrebbe dovuto essere trattata, ma sembra appare proprio che le cose non siano andate così”” ( pagg.13,14 e 15 della CTU).

I CCTTUU hanno quindi ritenuto che l’infezione da Salmonella è stata contratta in Ospedale e che in quella sede avrebbe dovuto essere trattata, censurando la scelta il trasferire il paziente presso il Nomentana Hospital, evidenziando sul punto che “…altro dato che l’infezione da salmonella evidenzia è l’errore medico nella sua gestione effettuato dai sanitari del Reparto di Medicina 1 del P.O. S. Spirito.

Tale errore diagnostico rivelatosi poi essenziale per il prosieguo della vicenda, ovvero di paziente sicuramente guarito dalla salmonella, si evidenzia in occasione del trasferimento alla Nomentana Hospital del 11/11. Infatti da quanto emerge dalla cartella hanno disposto il trasferimento sulla base di una sola coprocoltura negativa di ben tredici giorni prima (29/10) quando invece le coprocolture negative dovevano essere due consecutive effettuate a non meno di 24 ore una dall’altra e a non meno di 48 ore dalla sospensione di un qualsiasi trattamento antibiotico…” (pag.15 della CTU).

Secondo i consulenti la scelta di trasferire il paziente Omissis sulla base di una sola coprocoltura può qualificarsi come “un comportamento avventato, superficiale e sostanzialmente inosservante dei protocolli previsti. Il 13/11 il de cuius ha nuovamente diarrea e i sanitari del N.H. effettuano coprocoltura ancora positiva per Salmonella Group. Viene trattato con terapia …Il 25/11 è trasferito alla Rianimazione con Infezione da Salmonella e S. Paratifo B 2) Shock settico 3) Insufficienza respiratoria. Era presente inoltre una grave insufficienza renale e, durante il ricovero, si manifestarono: rettorragia (26/11) arresto cardiaco da infarto del miocardio (27/11) alcalosi respiratoria severa (25/11) e acidosi metabolica grave. Il 25/11 le condizioni del paziente permangono molto critiche… Il Paziente decede il 29/11 con il seguente certificato necroscopico da parte dell’UOC Anatomia Patologica del P.O. S. Spirito che rappresenta l’esatta evoluzione della vicenda clinica: Malattia iniziale: Infezione da salmonella.

Successioni morbose e complicate: Insufficienza respiratoria. Causa terminale: Shock settico.”

(pag. 15, 16 e 17 dell’elaborato peritale).

Ebbene per i consulenti “… Il de cuius A.A. è morto per infarto ma in uno stato settico causato da un’infezione da salmonella contratta in ambiente ospedaliero e gestita con imprudenza, non osservando i protocolli e la dovuta diligenza che ha determinato un trasferimento inopportuno del giorno 11/11 alla N.H. con un’infezione da Salmonella ancora in atto…” (pag.17 della CTU).

Quindi, rispondendo alla specifico quesito, in merito alla sussistenza di profili di negligenza, i CTU hanno rilevato che “….l’omissione diagnostica di persistenza di infezione da Salmonella … da parte del personale medico del reparto di Medicina I è alla base della catena di eventi determinante per il decesso, pertanto, sia per le conseguenze per il paziente e sia per la comunità; non si manda in giro un paziente potenzialmente infetto e contagioso, se non dopo attuazione scrupolosa ed attenta dei protocolli diagnostici e di profilassi. Ed i medici del S. Spirito hanno fatto almeno 3 gravi errori: si sono fidati di una sola coprocoltura negativa, invece delle due previste, risalente a ben 13 giorni prima, la coprocoltura di riferimento era addirittura in costanza di terapia antibiotica quando invece avrebbe dovuto essere sospesa preventivamente e sospendendola addirittura il giorno del trasferimento lasciando per alcuni giorni senza copertura antibiotica il paziente ed i colleghi del NH nell’incertezza diagnostica e terapeutica …; e da ultimo senza banalmente considerare che i due giorni precedenti al trasferimento il paziente aveva avuto febbre piuttosto elevata (oltre i 38°C). Pertanto, si ritiene tale comportamento NON DILIGENTE con un grado di colpa di natura omissiva GRAVE” (pag. 22 e 23 dell’elaborato peritale).

In riferimento al nesso di causalità tra l’infezione e il decesso i CTU hanno esposto che “ risulta evidente la continuità fenomenologica fra il decesso e l’infezione da Salmonella. Infatti, c’era chiara relazione di causalità fra l’infezione da Salmonella contratta in ambiente ospedaliero, omissioni di cautele con trasferimento di un paziente ancora malato, sospensione e ritardo terapeutico, ripristino della terapia in ospedale con AB più potenti, peggioramento delle condizioni generali con deficit multi-organo per la tossicità insita degli stessi ed immunodepressione che apre la via ad altri patogeni, innesco della spirale del danno multi- organo derivante da un’infezione da Salmonella non contenuta che porta allo shock settico causa determinante e motivo del decesso” (pag. 18 dell’elaborato peritale).

Ancora in relazione al nesso causale, e alla possibile incidenza causale delle coomorbilità hanno chiarito che “…il paziente è morto a causa, con e per l’infezione da Salmonella, dovendosi ritenere non rilevanti, pur in considerazione all’età, le preesistenze morbose che possono aver avuto un ruolo concausale sul decesso come la vasculopatia generalizzata” (pag. 19 dell’elaborato peritale) e che “Il decesso ha un nesso causale di alta significatività … C’è continuità fenomenologica fra l’infezione da Salmonella contratta in ambiente ospedaliero, omissioni di cautele con trasferimento di un paziente ancora malato, sospensione e ritardo terapeutico, ripristino della terapia in ospedale con AB più potenti, peggioramento delle condizioni generali con deficit multi-organo per la tossicità insita degli stessi ed immunodepressione che apre la via ad altri patogeni, innesco della spirale del danno multi- organo derivante da un’infezione da Salmonella non contenuta che porta allo shock settico causa determinante il decesso.

L’IMA ed il collasso cardiocircolatorio conseguenziale, si attiene debba intendersi secondario all’insufficienza multi-organo da protratto shock settico da persistente e principale infezione da Salmonella e per infezioni multi-organo promosse da agenti eziologici nosocomiali secondarie, le quali, hanno un rapporto di sicura concausa con l’infezione da Salmonella sostenente lo stesso shock settico protratto”( pag. 21 e 22 dell’elaborato peritale).

Concludendo, in punto di nesso causale, i CTU hanno sostenuto quanto segue:

“Il decesso del Sig. Omissis avvenuto il 29/11/2013 a seguito delle complicazioni insorte dopo infezione da salmonella contratta al P.O. S. Spirito, per IMA con collasso cardiocircolatorio per insufficienza multi-organo promosse da agenti eziologici nosocomiali con un rapporto di sicura concausa con l’infezione da Salmonella sostenente lo stesso shock settico protratto; ha avuto come causa efficiente all’exitus stesso l’omissione di cautele nella gestione del paziente con trasferimento inopportuno ad altro istituto di paziente infetto e contagioso, determinando ulteriore distress psico-fisico e ritardo diagnostico e sospensione nelle cure antibiotiche, necessitando così l’uso di antibiotici sempre più potenti e tossici che hanno ulteriormente debilitato il de cuius A.A., peraltro non riuscendo più a neutralizzare l’infezione da Salmonella … la quale ha causato il decesso per insufficienza multi-organo secondaria ad un protratto shock settico. Il paziente è morto a causa, con e per l’infezione da Salmonella, dovendosi ritenere non rilevanti, pur in considerazione dell’età, le preesistenze morbose o la coesistenza di patologie, come paraltro il motivo del ricovero (emiparesi dx) da cui era in via di risoluzione o che comunque, con un ruolo minimale, possono ritenersi quale concausa del decesso come la vascuolopatia generalizzata”. Le note critiche del CTP di parte convenuta sono state volte a contestare, per un verso, la negazione della riconducibilità dell’infezione da salmonella al cibo portato dai familiari del paziente, e, per altro verso, l’affermazione dell’erroneità del trasferimento presso altra struttura sanitaria, dal momento che presso la nuova struttura il paziente aveva continuato a ricevere terapia antibiotica.

I CTU hanno risposto a tali note critiche che:

“…in quanto infezione contratta in ambito ospedaliero andava trattata e risolta in tale ambito prima di poterlo inviare in qualsiasi altro istituto, e le cautele, proprio per tale motivo, dovevano essere ancora maggiori rispetto alle dimissioni al proprio domicilio o alla riammissione al lavoro…che questo errore abbia compromesso l’evoluzione clinica è nella cronologia dei fatti, viene dimesso l’11/11 dal S. Spirito con 1 dose di Bactrim (vecchio chemioterapico aspecifico di cui non si capisce il senso), dopo 3 giorni di assenza antibiotica, a coprocoltura positiva viene instaurata alla Nomentana terapia con Augmentin che pur rivelandosi buono all’ABG è tuttavia un antibiotico molto utilizzato, aspecifico e quantomeno con la stessa efficacia limitata di quelli utilizzati in precedenza al S. Spirito (Ciprosol, Gentalyn 80 e Colimicina) che tuttavia aveva fatto in mix consentendo un maggiore spettro d’azione; fa solo due giorni di terapia piena con Augmentin ed il 16/11 rientra al S. Spirito dove viene immediatamente sottoposto a drastica, importante (e tossica) terapia antibiotica di ultima generazione (Merrem 500 mg) che tuttavia non riuscirà più a contenere l’infezione, nonostante i cambi e gli aggiustamenti…la continuità fenomenologica scaturita dall’errore medico…è comprovato dai 3 giorni di assenza di terapia antibiotica dovuto all’inopportuno trasferimento e da 2 giorni di terapia poco mirata di Augmentin al Nomentana H., i quali hanno provocato il ricorso ad antibiotico molto più tossico insieme alla progressiva resistenza agli antibiotici che alfine ha determinato l’inutilità degli stessi considerato che è deceduto da per e con la salmonella”.

Appare provata, in base alle risultanze della relazione peritale, la negligenza dei sanitari dell’Ospedale Santo Spirito in Sassia, in quanto non risulta essere stata fornita la prova dell’adozione delle misure idonee ad evitare la contrazione di infezioni nosocomiali, oltre che per il fatto che non sono state poste in atto tutte quelle misure volte ad osservare i protocolli di gestione del paziente una volta che lo stesso era risultato affetto da Salmonella .

Con riferimento alla circostanza, sottolineata dalla parte convenuta anche in comparsa conclusionale, per cui il trasferimento presso una diversa struttura sanitaria non avrebbe determinato l’interruzione della terapia antibiotica, si evidenzia che, sulla base delle considerazioni dei CTU sopra riportate, appare chiaro che il trasferimento presso altro ospedale dapprima, ed il ritorno presso L’Ospedale Santo Spirito successivamente, hanno determinato diverse, ed in parte non congrue, modifiche della terapia antibiotica somministrata, che hanno contribuito a determinare un risultato finale di inefficacia della terapia somministrata.

Le considerazioni che precedono inducono a ritenere certamente fondata, pertanto, la domanda di responsabilità professionale avanzata nei confronti della ASL convenuta, essendo risultato provato, nel corso del giudizio, che i sanitari dell’Ospedale Santo Spirito non hanno operato con la diligenza necessaria e che il decesso del paziente è stato determinato da una catena causale innescata dalla contrazione dell’infezione da Salmonella oltre che dalle non corrette condotte terapeutiche.

La domanda di risarcimento del danno per la perdita del rapporto parentale è fondata, in quanto il coniuge e i figli hanno diritto a vedersi riconosciuto il danno non patrimoniale per lesione del vincolo parentale, dal momento che la condotta illecita ha leso diritti della persona costituzionalmente qualificati fondati sugli artt. 2, 29, 30 della Costituzione, con ciò nel rispetto dei principi relativi al riconoscimento del danno non patrimoniale, come configurati dalla Cass., Sez. Unite, 11.11.2008 n. 26972.

Si ritiene di dover operare la liquidazione del danno applicando la tabella di riferimento elaborata dal Tribunale di Roma, per le ragioni esposte di seguito.

La Corte di Cassazione, nel tentativo di individuare a livello nazionale un parametro in grado di assicurare la perequazione del risarcimento e la sua prevedibilità, ha individuato con la sentenza 7 giugno 2011, n.12408 la tabella adottata dal Tribunale di Milano nel 2009 a seguito delle cd sentenze gemelle delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2008 sul presupposto che le stesse erano utilizzate nella maggioranza relativa dei tribunali d’Italia.

Il giudicante ritiene che i criteri previsti nelle Tabelle del Tribunale di Roma soddisfino correttamente, come più volte riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, i parametri diretti ad assicurare un corretto esercizio del potere equitativo di determinazione del danno non ritenendo del tutto condivisibile l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione nella decisione della III sezione del 7 giugno 2011, n. 12408 nel quale si individuano dei criteri di riferimento concreti basati su principi che non appaiono al momento essere corrispondenti ai valori costituzionali ed alle indicazione dei criteri previsti dalla legge quali la valutazione del danno non patrimoniale secondo un incremento percentuale del biologico fino al 25% per un pregiudizio fino al 9% che cresce e fino al 50% per pregiudizio a partire dal 34% e rimane invariato fino al 100%, mentre per la personalizzazione si introduce un criterio che fissa il tetto più alto ai danni meno elevati e fissa un tetto massimo del 25% dal 34 fino al 100%, essendo evidente che in presenza di lesioni a interessi costituzionalmente rilevanti maggiori coincida la necessità di valutazioni che siano funzione diretta del pregiudizio correlabile al danno biologico (non si comprende perché in caso di pregiudizio fino al 9% possano essere liquidati importi fino al 50% mentre per pregiudizi del 90% possano essere liquidati importi ulteriori fino al 25% e ciò secondo criteri di norma essendo evidente che nei singoli casi si può divergere da tali criteri ma la divergenza deve rimanere la eccezione e non la regola essendo altrimenti errato il criterio) e non secondo criteri di funzionalità inversa (al crescere del primo parametro diminuisce il secondo) come ipotizzato dalle tabelle “Milanesi” cui fa riferimento la decisione citata, scelta che appare di difficile conciliazione con l’articolo 3 della Costituzione.

D’altra parte le sentenze successive alla sentenza 12408/2011, ad esempio quelle n. 14408/2011, 18641/2011, 16 febbraio 2012, n. 2228, del 28 febbraio – 3 ottobre 2013, n. 22585 e 22604 hanno in parte modificato l’assunto della sentenza facendo ritenere ancora oggetto di discussione la ricostruzione di un orientamento univoco della Corte di Cassazione sul punto tenuto anche conto che il risarcimento previsto dalle tabelle di Roma è comunque in linea con quanto deriverebbe dalla applicazione delle tabelle Milanesi (cfr Cass. Sez. III, 17 gennaio 2018, n. 913) salva una più attenta e prevedibile individuazione dell’importo fatta eccezione per la sussistenza degli elementi che devono essere presi in considerazione nella determinazione del danno, elementi estranei alla valutazione equitativa dal momento che la stessa Cassazione ha chiarito che l’equità non può trovare applicazione nell’accertamento del danno ma solo nella sua trasformazione in un valore economico sulla base dei criteri legislativi e giurisprudenziali esistenti.

Da ultimo, peraltro, Cassazione civile, sez. III, 10/11/2020, n. 25164, ha sostanzialmente sconfessato il precedente orientamento filomeneghino, laddove ha stigmatizzato l’erronea incorporazione del danno morale nel danno biologico operata dalle tabelle Milanesi, sancendo un principio, che, pur pronunciato in materia di danno da sinistro stradale, può ritenersi valido anche al di fuori della medesima (In tema di danno non patrimoniale derivante da sinistro stradale deve affermarsi il principio dell’autonomia del danno morale rispetto al danno biologico, laddove il primo non è suscettibile di accertamento medico-legalee si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d’animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto – pur potendole influenzare – dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato.

Ne consegue che, in caso di concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale, nell’ipotesi di positivo accertamento dei presupposti per la c.d. personalizzazione del danno, è necessario procedere all’aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato dalla componente del danno morale, automaticamente(ma erroneamente) conglobata nel danno biologico nella tabella milanese, giusta il disposto normativo di cui all’articolo 138, punto 3, del novellato Codice delle assicurazioni).

In ultimo si rileva che l’applicazione delle tabelle del Tribunale di Roma risponde all’esigenza di uniformare i criteri utilizzati per il calcolo del danno, evitando in tal modo disparità di trattamento tra giudizi instaurati dinnanzi al medesimo Tribunale.

Pertanto, si giudica equo applicare i criteri in uso presso questo Tribunale, tenuto conto del sistema ‘a punti’ bilanciato sulla valutazione di criteri concorrenti, consistenti:

a) nel rapporto di parentela;

b) nell’età della vittima e del parente superstite;

c) nella condizione di convivenza con la vittima;

d) nella valutazione complessiva del nucleo familiare, e aggiornato sulla base dei valori attuali.

Quindi, quanto al danno non patrimoniale iure proprio, si ritiene di dover liquidare, in via necessariamente equitativa, in favore di Omissis, deceduta in data 22/01/2018, all’epoca dei fatti moglie e convivente del de cuius (come da certificato di matrimonio allegato sub 3) del ricorso ex art. 702 bis c.p.c), la somma di euro 274.587,6, avendo la stessa acquisito il diritto al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, a seguito della morte del marito; dal momento che la Sig.ra Omissis, secondo quanto emerge dalla documentazione prodotta, era deceduta al momento dell’instaurazione del presente giudizio, la somma alla stessa spettante deve considerarsi trasmessa, in base alle norme del codice civile in materia ereditaria, ai due figli, eredi legittimi, Omissis e Omissis, in parti uguali.

Pertanto in favore di Omissis – figlio non convivente che all’epoca della morte del padre aveva 52 anni- deve essere liquidato, iure proprio, a titolo di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, l’importo di euro 225.554,1, oltre all’importo di euro 137.293,8 a titolo di erede della madre Omissis ( per il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale a quest’ultima spettante).

In favore di Omissis – figlia non convivente che all’epoca della morte del padre aveva 47 anni- deve essere liquidato, iure proprio, a titolo di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, l’importo di euro 225.554,1, oltre all’importo di euro 137.293,8 a titolo di erede della madre Omissis (per il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale a quest’ultima spettante).

Non è invece risarcibile, come autonoma voce di danno, il danno catastrofale, inteso come la sofferenza provata dalla vittima a causa della consapevolezza di dover morire in quanto, alla luce del rapido peggioramento insorto nelle condizioni del paziente gli ultimi giorni di vita, non vi è prova che lo stesso abbia compreso la gravità della situazione ed abbia avuto la consapevolezza dell’approssimarsi dell’evento infausto.

Oltre alla rivalutazione del credito, già determinato nel suo complessivo ammontare ai valori attuali, è dovuto, inoltre, il danno da lucro cessante conseguente alla mancata disponibilità della somma dovuta per il periodo intercorso dalla data del fatto lesivo (novembre 2013) alla presente decisione, consistente nella perdita di frutti civili che il danneggiato avrebbe potuto ritrarre – ove la somma fosse stata corrisposta tempestivamente – dall’impiego dell’equivalente monetario del valore economico del bene perduto, con l’attribuzione di interessi a un tasso non necessariamente coincidente con quello legale (Cass. Sez. Un. 1712 \95, Cass, 10300\01; 18445\05).

Tale danno deve essere liquidato applicando i criteri di cui alla sentenza della Corte di legittimità, per cui, posto che la prova del lucro cessante può essere ritenuta anche sulla base di criteri presuntivi ed equitativi, è “consentito calcolare gli interessi con riferimento ai singoli momenti (da determinarsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base agli indici prescelti di rivalutazione monetaria, ovvero mediante un indice medio”.

A tale orientamento il Giudicante ritiene di doversi allo stato adeguare, prendendo a base del calcolo, stante la sostanziale equivalenza del risultato, la semisomma dei due valori considerati (valore del risarcimento dovuto all’epoca del sinistro e valore attuale), e applicando sulla stessa il tasso medio del rendimento dei titoli di Stato (usuale modalità di impiego del risparmio da parte delle famiglie italiane), poiché nel periodo in questione (fatto – decisione) il rendimento medio di tali investi menti è stato pari allo 0,8% (cfr. Cass. SSUU 16 \7\08 n. 19499).

Sulle somme complessivamente dovute agli attori, da parte dell’azienda sanitaria convenuta, maggiorate del danno da ritardato pagamento, sono poi dovuti gli interessi legali dal deposito della sentenza al saldo. In base al criterio della soccombenza, la parte convenuta deve essere condannata, a rimborsare alla parte attrice le spese di lite, liquidate come da dispositivo, comprensive anche delle spese del procedimento di ATP.

PQM

definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione:

1) accoglie parzialmente la domanda formulata dagli attori Omissis e Omissis e, per l’effetto, condanna la parte convenuta Azienda Sanitaria Locale Roma 1, in persona del legale rappresentante, a corrispondere: ad Omissis la somma di euro 362.847,9, oltre al danno da ritardato pagamento calcolato secondo i criteri sopra indicati e interessi legali dalla data della pubblicazione della sentenza al saldo; ad Omissis la somma di euro 362.847,9, oltre al danno da ritardato pagamento calcolato secondo i criteri sopra indicati e interessi legali dalla data della pubblicazione della sentenza al saldo;

2) condanna, altresì, la parte convenuta Azienda Sanitaria Locale Roma 1, in persona del legale rappresentante, a rimborsare le spese del presente giudizio in favore degli attori, che liquida in euro 20.000,00 per compenso, euro 843,00 per spese, oltre rimborso forfettario spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma in data 3.07.2023.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2023.

Il Giudice

dott.ssa Paola Larosa

Si fa presente che alla redazione della sentenza ha partecipato la Dott.ssa Silvia Sarnataro, in qualità di GOP.

Sentenza Tribunale di Roma – copia non ufficiale -.