Sede sgradita alla preside: legittima la decadenza sancita dal Ministero dell’Istruzione (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 11 luglio 2023, n. 19679).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ili.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANTONIO MANNA – Presidente –

Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO – Cons. Relatore –

Dott. SALVATORE CASCIARO – Consigliere –

Dott. NICOLA DE MARINIS – Consigliere –

Dott. MARIA LAVINIA BUCONI – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 23730 – 2017 proposto da:

(omissis) (omissis), domiciliata ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (omissis) (omissis);

– ricorrente-

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato ope legis in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI N. 12, presso gli uffici dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO dalla quale è rappresentato e difeso;

– controricorrente –

nonché contro

UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE DELL’EMILIA ROMAGNA, (omissis) (omissis);

– intimati –

avverso la sentenza n. 295/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, pubblicata il 21/04/2017 R.G. n.  650/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/05/2023 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO

RILEVATO CHE

1. la Corte d’appello di Bologna ha respinto l’appello proposto da (omissis) (omissis) avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato le domande volte ad ottenere l’accertamento del diritto ad essere assunta a tempo indeterminato quale dirigente scolastico con decorrenza dal 1° settembre 2012 e la condanna del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca al risarcimento dei danni «parametrati alle maggiori retribuzioni medio tempore spettanti»;

2. la (omissis), docente a tempo indeterminato della scuola media secondaria superiore, aveva presentato domanda di partecipazione al concorso per dirigenti scolastici indetto dal MIUR nell’anno 2011 ed era stata esclusa dalla procedura per asserita carenza della richiesta anzianità di servizio;

3. il TAR Lazio, con ordinanza cautelare n. 3624/2011, aveva disposto l’ammissione con riserva alla procedura concorsuale e, successivamente, con sentenza del 28 novembre 2013 n. 10178, aveva accolto il ricorso;

4. pendente il giudizio amministrativo, la ricorrente aveva sostenuto «con riserva» le prove concorsuali e si era collocata al 154° posto della graduatoria finale, approvata con decreto del 17 agosto 2012;

5. il Ministero, che inizialmente aveva accantonato i posti da destinare ai vincitori ammessi con riserva, in data 3 settembre 2012 aveva convocato la ricorrente per la sottoscrizione del contratto di lavoro e l’immissione in servizio presso la direzione didattica di Forlì, che la (omissis) aveva rifiutato, contestando l’assegnazione della sede e dichiarandosi disponibile ad accettare l’incarico direttivo presso l’Istituto comprensivo di Imola, sicché il Ministero, con successivo decreto n. 624 del 13 settembre 2012, aveva dichiarato la decadenza dal diritto all’assunzione;

6. l’azione era stata proposta dalla ricorrente con ricorso cautelare del 19 marzo 2014 (inizialmente accolta dal Tribunale, ma poi respinta in sede di reclamo), al quale aveva fatto seguito il giudizio di merito, che il Tribunale aveva definito con sentenza di rigetto delle domande sul rilievo assorbente della tardività dell’impugnazione del provvedimento di decadenza;

7. la sentenza di rigetto è stata confermata dalla Corte distrettuale che, con la decisione qui impugnata, ha ritenuto preclusiva all’accoglimento delle domande la mancata presentazione senza giustificato motivo presso la sede di destinazione;

8. il giudice d’appello ha richiamato la previsione contenuta nell’art. 20 del bando di concorso, applicativa del disposto dell’art. 17 del d.P.R. n. 487/1994, ed ha sottolineato il carattere «pregiudiziale, dirimente ed assorbente» del rilievo (confermativo della sentenza di primo grado e dell’ordinanza emessa dal medesimo Tribunale in sede di reclamo ex 669 terdecies cod. proc. civ.) rispetto «ai restanti argomenti, anch’essi peraltro nel merito infondati, sviluppati dalla difesa della ricorrente/appellante»;

9. per la cassazione della sentenza (omissis) (omissis) ha proposto ricorso sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria, ai quali ha opposto difese con controricorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, mentre sono rimasti intimati (omissis) (omissis) e l’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna.

CONSIDERATO CHE

1. con il primo motivo è denunciato, ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ravvisato dalla ricorrente nella mancata valutazione da parte della Corte territoriale della lettera del 4 settembre 2012 di «contestazione procedura di nomina in ruolo Dirigenti scolastici», con la quale erano state denunciate irregolarità commesse nell’assegnazione delle sedi e la (omissis) si era dichiarata disponibile ad accettare l’immissione in ruolo presso l’istituto comprensivo di Imola;

2. la seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360 4 cod. proc. civ., denuncia la violazione degli artt. 112, 132 n. 4, 161 e 345 cod. proc. civ. nonché «mancanza assoluta di motivazione; violazione del principio della domanda; error in procedendo; nullità della sentenza»;

si addebita alla Corte territoriale di non avere speso alcuna argomentazione sul motivo di appello con il quale era stato censurato il capo della sentenza che aveva ritenuto la Boracchini decaduta dall’impugnazione del decreto n. 624 del 13 settembre 2012;

la ricorrente evidenzia che detta totale mancanza di motivazione integra violazione sia dell’art. 132 cod. proc. civ., sia dell’art. 112 cod. proc. civ. e determina la nullità della pronuncia gravata;

3. con il terzo motivo, ricondotto al vizio di cui al 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del bando di concorso, dell’art. 20 del decreto MIUR 13.7.2011 pubblicato sulla G.U. n. 56 del 15.7.2011, dell’art. 17 del d.P.R. n. 487/1994, dell’art. 29, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 1353 cod. civ.;

la ricorrente sostiene, in sintesi, che la decadenza prevista dal bando in caso di rifiuto dell’assunzione o di mancata presentazione senza giustificato motivo non poteva operare nella fattispecie perché, unilateralmente e illegittimamente, era stata proposta la sottoscrizione di un contratto sottoposto a condizione risolutiva;

4. il quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., denuncia, sotto altro profilo, la violazione dell’art. 112 proc. civ. nonché degli artt. 345 e 346 cod. proc. civ. perché, si sostiene, non poteva la Corte d’appello ritenere legittimo il decreto adottato dall’amministrazione scolastica in assenza di impugnazione incidentale da parte del Ministero o, quantomeno, di riproposizione dell’eccezione ex art. 346 cod. proc. civ.;

il Tribunale, infatti, nel motivare il rigetto della domanda, aveva fatto leva unicamente sulla mancata tempestiva impugnazione ed aveva dichiarato di condividere «le considerazioni ed obiezioni della ricorrente relative alle irregolarità compiute dall’Amministrazione quanto alla scelta della sede e non invece quelle del Tribunale collegiale sul punto»;

5. infine con la quinta critica, rubricata «nullità del procedimento in relazione agli 101, comma II, 112 e 159 c.p.c. nonché violazione dell’art. 2969 c.c. – violazione del principio della domanda – violazione del contraddittorio», si sostiene che la Corte distrettuale avrebbe dovuto riformare la pronuncia di prime cure, in accoglimento del motivo di appello con il quale era stato dedotto che non poteva il Tribunale rilevare d’ufficio la decadenza dall’impugnazione del decreto n. 624 del 13 settembre 2012, non eccepita dai resistenti, senza provocare il contraddittorio sulla questione rilevata d’ufficio;

6. il ricorso, che presenta profili di inammissibilità di cui si dirà in prosieguo, non può trovare accoglimento, perché correttamente la Corte distrettuale ha ritenuto assorbente, rispetto ad ogni altra questione, l’intervenuta decadenza dal diritto all’assunzione, derivata dalla mancata sottoscrizione del contratto individuale e dall’omessa immissione in servizio nel termine assegnato dall’amministrazione;

non è in discussione che detta decadenza, come accertato dal giudice di merito, fosse espressamente prevista dal bando di concorso, che, correttamente, il giudice d’appello ha ritenuto attuativo del precetto dettato dall’art. 17 del d.P.R. n. 487/1994, richiamato dall’art. 70, comma 13, del d.lgs. n. 165/2001, secondo cui «il vincitore, che non assuma servizio senza giustificato motivo entro il termine stabilito, decade dalla nomina. Qualora il vincitore assuma servizio, per giustificato motivo, con ritardo sul termine prefissatogli, gli effetti economici decorrono dal giorno di presa di servizio.»;

6.1. infatti nell’impiego pubblico, seppure contrattualizzato, la procedimentalizzazione stabilita, non solo per le operazioni concorsuali, ma anche per gli adempimenti successivi all’approvazione della graduatoria, è finalizzata ad assicurare trasparenza ed efficienza all’agire delle Pubbliche Amministrazioni giacché il rispetto delle cadenze imposte, oltre a consentire al datore di lavoro pubblico di disporre delle risorse di personale necessarie per il suo funzionamento, garantisce la corretta gestione delle graduatorie, tutelando, sia pure di riflesso, anche gli interessi dei non vincitori che, in caso di mancata accettazione o di non tempestiva assunzione in servizio dei chiamati, potrebbero a questi ultimi subentrare per effetto dello scorrimento (così in motivazione Cass. n. 6743/2022);

il contratto individuale di lavoro, che con la contrattualizzazione ha sostituito il decreto di nomina, deve essere dunque sottoscritto, contestualmente all’assunzione in servizio, nel termine fissato dall’amministrazione;

6.2. manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso, nella parte in cui sostiene che detti principi non potrebbero operare nella fattispecie, in ragione della condizione risolutiva unilateralmente imposta dall’amministrazione scolastica;

è pacifico, e ne dà atto la sentenza impugnata, che la ricorrente, inizialmente esclusa dalla procedura concorsuale, era stata ammessa «con riserva» a seguito dell’ordinanza cautelare emessa dal TAR Lazio, sicché l’assunzione doveva essere necessariamente condizionata alla formazione del giudicato inerente al possesso dei requisiti necessari per la partecipazione alla procedura medesima;

è consolidato, infatti, nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui nell’impiego pubblico «sussiste un inscindibile legame fra la procedura concorsuale ed il rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica, poiché la prima costituisce l’atto presupposto del contratto individuale, del quale condiziona la validità, posto che sia la assenza sia la illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dall’art. 35 del d.lgs n. 165 del 2001, attuativo del principio costituzionale affermato dall’art. 97, comma 4, della Carta fondamentale.» (Cass. n.13884/2016);

espressione dei principi generali sui quali detto orientamento riposa è anche la disciplina contrattuale dettata per la dirigenza scolastica, la quale espressamente prevede che «Costituisce in ogni modo causa di risoluzione del contratto, senza obbligo di preavviso, l’annullamento della procedura di reclutamento che ne costituisce il presupposto. » (art. 12 del CCNL 11 aprile 2006);

necessariamente, pertanto, (e non illegittimamente come asserito dalla ricorrente), l’assunzione di un candidato ammesso con riserva alla procedura concorsuale è subordinata, quanto all’efficacia, al positivo scioglimento della riserva stessa, in ragione dell’inscindibile legame di cui si è detto fra la stipula del contratto individuale e la legittima partecipazione alla procedura medesima;

6.3. quanto, poi, alle giustificazioni che, a detta della ricorrente, renderebbero illegittimo il provvedimento di decadenza dal diritto all’assunzione, va detto che questa Corte si è già espressa sull’interpretazione dell’art. 17 del richiamato d.P.R. n. 487/1994 (del quale in ambito scolastico e per il personale docente l’art. 436 del d.lgs. n. 297/1994 riprende il contenuto) e, in linea con la giurisprudenza amministrativa, ha evidenziato che le disposizioni citate rimettono alla Pubblica Amministrazione il potere di valutare la sussistenza o meno del giustificato motivo e non riconoscono un diritto incondizionato al differimento della presa di servizio perché il termine è imposto a tutela di interessi pubblici, che possono divenire recessivi rispetto a quelli dell’assunto solo qualora quest’ultimo faccia valere ragioni gravi ed obiettive che impediscano la condotta doverosa;

si deve essere in presenza di un impedimento, seppure non assoluto, connotato da gravità, che giustifichi la mancata immissione in servizio (cfr. in tal senso Cass. n. 6743/2022 che richiama Cass. n. 4393/2020), impedimento sicuramente non ravvisabile nella fattispecie nella quale la ricorrente fa valere, non  giustificazioni, bensì contestazioni mosse alla regolarità della procedura, contestazioni che, all’evidenza, non esoneravano la (omissis) dalla presentazione nel giorno e nel luogo fissato per la stipula del contratto individuale e per l’accettazione dell’incarico conferito;

7. dalle considerazioni che precedono discende l’infondatezza del primo motivo, giacché, anche a voler ritenere che l’omesso apprezzamento della lettera inviata il 4 settembre 2012 possa integrare omesso esame di un fatto, anziché, come ritiene il Collegio, di una risultanza istruttoria, perché l’assenza di giustificazioni è stata accertata dalla Corte distrettuale, il fatto sul quale si fa leva sarebbe comunque privo di decisività, in quanto, lo si ripete, secondo la stessa prospettazione della ricorrente, si trattava non di giustificazioni della mancata presa di servizio, da intendere nei termini sopra indicati, bensì di contestazioni mosse all’amministrazione in relazione all’assegnazione delle sedi, che la (omissis) avrebbe dovuto far valere solo in un momento successivo all’instaurazione del rapporto di impiego;

8. inammissibile è la seconda critica, che addebita alla Corte territoriale il vizio motivazionale in relazione al motivo di appello con il quale era stata censurata la pronuncia del Tribunale che aveva ritenuto la parte decaduta dall’impugnazione del decreto dirigenziale del 13 settembre 2012;

il ricorso non coglie pienamente la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha ritenuto assorbente rispetto ad ogni altra considerazione la mancanza di valide giustificazioni dell’omessa assunzione in servizio nella sede indicata;

questa Corte ha già affermato (cfr. Cass. n. 20020/2022 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione), ed al principio occorre dare continuità, che allorquando, come nella fattispecie, il giudice di merito ritenga ogni altra questione assorbita da quella esaminata e ritenuta fondata o infondata, la pronuncia non è omessa, se non in senso formale, ma deriva implicitamente dalla decisione di assorbimento, né è resa in assenza di motivazione, in quanto la ragione del decisum sta, appunto, nell’affermazione del carattere assorbente della questione esaminata, affermazione alla quale, se l’assorbimento è correttamente dichiarato, non occorre aggiungere null’altro per assolvere agli oneri motivazionali imposti dall’art. 132 cod. proc. civ.;

escluso, quindi, che il vizio di motivazione possa riguardare in sé la decisione di assorbimento, va detto che un problema motivazionale si può porre solo qualora si riveli fondata la censura proposta avverso la decisione di assorbimento, censura che non è stata proposta in questa sede perché il ricorso, che non si confronta pienamente con il decisum della pronuncia gravata, non ha denunciato l’assenza di implicazione fra la questione assorbente e quella assorbita;

9. per le medesime considerazioni è inammissibile il quinto motivo giacché, lo si ripete, la questione della tardività dell’impugnazione proposta avverso il decreto dirigenziale del 13 settembre 2012 è stata ritenuta assorbita dalla Corte territoriale e, pertanto, la censura con la quale si torna a sostenere che la decadenza dall’azione non poteva essere rilevata d’ufficio dal Tribunale senza prima sollecitare il contraddittorio è priva di specifica attinenza al decisum;

9.1. nel giudizio di cassazione, a critica vincolata, i motivi devono avere i caratteri della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, sicché la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi, richiesta dall’art. 366 n. 4 cod. proc. civ., e determina l’inammissibilità, in tutto o in parte del ricorso, rilevabile anche d’ufficio ( cfr. fra le tante Cass. n. 20910/2017, Cass. n. 17125/2007, Cass. S.U. n. 14385/2007);

10. infine manifestamente infondato è il quarto motivo con il quale, riprendendo un argomento già accennato nello sviluppo del primo motivo, si sostiene, in sintesi, che in assenza di impugnazione incidentale o, quantomeno, di riproposizione ex art. 346 cod. proc. civ., sarebbe divenuta intangibile la sentenza del Tribunale nella parte in cui aveva affermato, in motivazione, che le contestazioni mosse alla procedura di assegnazione della sede integravano una valida giustificazione della mancata presa di servizio;

10.1. sono suscettibili di giudicato interno solo i capi della sentenza completamente autonomi rispetto a quelli investiti dall’impugnazione, perché fondati su autonomi presupposti di fatto e di diritto, tali da consentire che ciascun capo conservi efficacia precettiva anche se gli altri vengono meno, sicché il giudicato non può essere opposto in relazione a meri passaggi motivazionali (Cass. n. 24358/2018), tra l’altro resi ad abundatiam perché, una volta ritenuta inammissibile l’azione per asserita tardività della stessa, il Tribunale si era spogliato della potestas iudicandi (cfr. fra le tante Cass. n. 18429/2022 e Cass. n. 29529/2022);

10.2. a fronte della pronuncia di rigetto resa dal Tribunale, impugnata in appello, ben poteva la Corte territoriale  confermare quella pronuncia con diversa motivazione perché «in  tema  di  giudizio  di appello,  il  principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del tantum devolutum quantum appellatum, non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate dall’istante, né incorre nella violazione di tale principio il giudice d’appello che, rimanendo nell’ambito del petitum e della causa petendi, confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice» (Cass. n. 513/2019);

11. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo;

12. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione,  liquidate in € 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso nella Adunanza camerale del 4 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria l’11 luglio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.