REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. Gastone Andreazza – Presidente –
Dott. Aldo Aceto – Consigliere –
Dott. Luca Semeraro – Consigliere –
Dott. Stefano Corbetta – Relatore –
Dott. Emanuela Gai – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 18/10/2022 delta Corte di appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Stefano Corbetta;
letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generate Dott. Giuseppe Riccardi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni del difensore, avv. (omissis) (omissis), che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Bologna, ai fini qui di interesse, confermava la pronuncia emessa dal Tribunale di Ravenna e impugnata dall’imputato, la quale, applicate le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e ritenuta la continuazione, aveva condannato (omissis) (omissis) alla pena di un anno e quattro di reclusione per i delitti di cui agli artt. 5 e 11 d.lgs. n. 74 del 2000, rispettivamente contestati ai capi A) e B) della rubrica; il Tribunale, inoltre, aveva assolto il (omissis) dal reato di cui all’art. 367 cod. pen. perché il fatto non costituisce reato.
In particolare, al (omissis) si contesta, nella veste di amministratore di fatto della (omissis) s.r.l., in concorso con (omissis) (omissis) amministratore di diritto, l’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali per gli anni di imposta 2012 e 2013, nonché la distrazione, dal conto corrente della società, della somma di 357.834,45 euro, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto ovvero degli interessi o sanzioni amministrative, per un ammontare complessivo di 418.330,38 euro per gli anni di imposta 2012 e 2013.
2. Avverso la sentenza, l’imputato, tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
2.1. Con un primo motivo si deduce il vizio di motivazione relativamente al rigetto delle istanze di assoluzione avanzate con i motivi di appello.
In relazione al delitto di cui al capo B), espone il difensore che, con i motivi di appello, era emersa la prova che, nel corso del periodo 2012-2014, dal conto corrente della società furono prelevate somme di denaro fuori dai casi consentiti ma, in ogni caso, non con la volontà di sottrarsi al pagamento delle imposte, prova ne é che il (omissis) denunciò l’accaduto per ottenere provvedimento per impedire al (omissis) di effettuare altri prelievi; al riguardo, la Corte di appello si é riportata alla sentenza di primo grado, senza però fornire adeguata motivazione in punto di sussistenza del dolo specifico.
Quanta al delitto di cui al capo A), ad avviso del difensore emerge dagli atti che il commercialista, dott. (omissis) (omissis) su incarico ricevuto dal (omissis) aveva provveduto alla compilazione dei registri obbligatori e alla registrazione delle fatture, nonché alla redazione e al deposito del bilancio di esercizio 2013; anche su tale aspetto, la motivazione della Corte di merito sarebbe del tutto inadeguata.
2.2. Con un secondo motive si lamenta il vizio di motivazione in ordine al rigetto dei motivi di appello incentrati sul trattamento sanzionatorio.
Espone il difensore che, con l’atto di impugnazione, si era richiesto il contenimento della pena anche per effetto dell’esclusione della recidiva, la cui applicazione é stata confermata dalla Corte di merito con motivazione apparente, nonostante la risalenza nel tempo e la non specificità dei precedenti penale; allo stesso modo, la motivazione sarebbe inadeguata laddove ha confermato il giudizio di equivalenza, anziché di prevalenza, delle attenuanti generiche sulla recidiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. II ricorso é inammissibile.
2. La materialità dei fatti non é contestata.
2.1. Come si apprende dalla sentenza impugnata (p. 2), la società (omissis) s.r.l. fu costituita il (omissis) da (omissis) (omissis) che, dopa pochi mesi (omissis) il quale, dal I, effettuo una cessione di quote in favore di (omissis) (omissis) (omissis) fu anche nominato amministratore unico.
Come esposto dallo stesso (omissis) nella denuncia-querela del (omissis) e nel corso dell’istruttoria di primo grado, la cessione di quote al (omissis) era stata simulata a causa di sue pendenze debitorie con (omissis) per precedenti attività imprenditoriali; alla formale situazione societaria, dunque, non corrispondeva concretamente alcuna sostituzione nella gestione societaria, che, per stessa ammissione dell’imputato, permaneva sempre in capo al (omissis) medesimo.
Nel (omissis) il (omissis); si avvide che il (omissis) in data (omissis) dal conto della società aveva prelevato in contanti la somma di 10 mila euro e contestualmente aveva effettuato un bonifico ad un proprio conto corrente personale dell’importo di 90 mila euro; per tale motivo, sporse denuncia contra il (omissis).
Dalla sentenza di primo grado risulta altresì che, nel corso degli accertamenti sulla società effettuati a seguito della denuncia emerse, tra l’altro, che dal conto corrente intestato alla società erano stati disposti bonifici in favore di terze persone, tra cui anche il (omissis) (per 15.000,70 euro) e il (omissis) (per 163.665,39 euro), bonifici non giustificati contabilmente nei libri della società, se non con la dicitura “finanziamento soci”, “saldo provvigioni”, “fornitori ordinari”, ma privi di alcuna documentazione di supporto, per un totale complessivo di 357.834,45 euro, somma in cui sono ricompresi sia il prelievo di 10 mila euro, sia il bonifico di 90 mila euro di cui alla denuncia querela del (omissis).
3. Ciò posto, così venendo al primo motivo, si rammenta che l’art. 11 d.lgs. 74 del 2000 (rubricato “sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”) sanziona, nell’ipotesi di cui al comma 1, la condotta di chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore a cinquantamila euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, applicandosi una pena edittale più elevata laddove l’ammontare delle imposte, degli interessi e delle sanzioni, sia superiore a duecentomila euro.
Ai fini che qui rilevano, si osserva che, accanto al dolo generico, che copre la condotta – l’alienazione simulata ovvero il compimento di altri atti fraudolenti -, la norma incriminatrice esige anche il dolo specifico, che consiste nel “fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore a cinquantamila euro”.
La prova del dolo specifico di evasione deriva dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi, presenti nel singolo caso concreto, che il soggetto ha consapevolmente preordinato la simulata alienazione ovvero il compimento di altri atti fraudolenti alla sottrazione al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale.
II dolo specifico – come per ogni altra figura criminosa riconducibile a tale categoria di reato – ricorre anche laddove l’atto simulato o fraudolento sia compiuto anche per altre distinte ed autonome finalità, non richiedendo la norma che ii fine di sottrarsi al pagamento dei debiti tributari sia esclusivo (Sez. 3, n. 10763 del 12/02/2021, Filip, Rv. 281329).
4. Orbene, come emerge dalla sentenza di primo grado, cui rinvia la decisione di appello, il dolo specifico e stato correttamente desunto dal fatto che il (omissis) amministratore di fatto, così come l’amministratore di diritto, aveva utilizzato la società come cassa da cui attingere per scopi personali, come testimoniato dal continuo prelievo dal conto corrente sociale a mezzo bonifici, così sottraendo tali somme di denaro alla garanzia dell’Erario per quanto dovuto a titolo di imposta, circostanza che l’imputato si era certamente rappresentato, essendo ben consapevole dei redditi prodotti dalla società e dell’omessa dichiarazione i.v.a., e, quindi, del sorgere del debito erariale.
La circostanza che i prelievi fossero anche motivati per arricchimento personale non elide la sussistenza del dolo specifico, proprio perché il fine indicato dalla norma può ben essere non esclusivo, potendo concorre con altre e distinte finalità.
Tale conclusione non é smentita dalla denuncia sporta nel (omissis) la quale é successiva ai prelievi in contestazione e, quindi, non assume rilevanza con riguardo ai pregressi atti di spoliazione dal conto corrente della società attuati dall’imputato.
5. Quanto al delitto di cui al capo A), premesso che del reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA, l’amministratore di fatto risponde quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale (Sez. 3, n. 38780 del 14/05/2015, Biffi, Rv. 264971), si osserva che, secondo quando accertato dai giudici di merito, la circostanza, riferita dal (omissis) di aver affidato al commercialista l’incarico di compilare la dichiarazione non e stata confermata dal commercialista medesimo (cfr. p. 3 della sentenza impugnata).
In ogni caso, come costantemente affermato da questa Sezione, l’affidamento ad un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione in quanto la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il relativo dovere, essendo unicamente delegabile la predisposizione e l’inoltro telematico dell’atto (Sez. 3, 9417 del 14/01/2020, Quattri, Rv. 278421; Sez. 3, n. 37856 del 18/06/2015, Porzio, Rv. 265087; Sez. 3, n. 9163 del 29/10/2009, dep. 2010, Lombardi, Rv. 246208).
6. II secondo motivo é manifestamente infondato.
6.1. Invero, entrambi i giudici di merito, con valutazione convergente, alla luce dei gravi e reiterati precedenti penali di cui e gravato il (omissis) (tra cui ricettazione del 2005 e partecipazione ad associazione per delinquere del 2009; cfr. p. 3 della sentenza impugnata), hanno ritenuto che i reati per cui é processo siano espressione di una maggiore pericolosità sociale, che fonda la sussistenza della contestata recidiva.
A fronte di tale motivazione, che certamente supera il vaglio di legittimità, il motivo e generico, perché si limita ad affermare, in maniera del tutto apodittica, la risalenza e la non specificità dei comportamenti illeciti pregressi.
6.2. Allo stesso modo, posto che la condotta collaborativa del (omissis) é stata valutata ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche – nonostante gli indicati precedenti penali – la Corte di merito non ha ravvisato alcun altro e diverso elemento – peraltro nemmeno indicato dal ricorrente – per un diverso e più favorevole esito del giudizio ex art. 69 cod. pen.
Anche in tal caso, si é al cospetto di una valutazione di fatto non manifestamente illogica che, quindi, non é censurabile in sede di legittimità.
7. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Cosi deciso il 10/10/2023.
Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2023.