La Suprema Corte sulla distinzione tra truffa contrattuale e frode in commercio (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 16 marzo 2020, n. 10093).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Rel. Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

Dott. RAMACCI Luca –  Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

VENUTI GIUSEPPE nato a OMISSIS il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 23/06/2014 della CORTE APPELLO di MESSINA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO MATTEO SOCCI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. PAOLO CANEVELLI che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore, Avv. Massimo Mellaro, chiede l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Messina con sentenza del 12 luglio 2019, confermava la sentenza del Tribunale di Messina del 13 settembre 2017, che aveva condannato Giuseppe Venuti alla pena di mesi 8 di reclusione, con la sospensione condizionale della pena, relativamente al reato di cui all’art. 515 cod., primo comma, pen. perché, nell’esercizio dell’attività commerciale, consegnava all’acquirente D’Amico Salvatore, una bicicletta dotata di potenziometro, e quindi assimilabile ad un ciclomotore, dichiarando che si trattava di una bicicletta con pedalata assistita e pertanto non soggetta agli obblighi previsti per i ciclomotori; commesso il 23 giugno 2014.

2. L’imputato ha proposto ricorso in cassazione (integrato con successiva memoria) a mezzo del proprio difensore deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, commal, disp. att., cod. proc. pen.

2.1. Violazione di legge (art. 559, quarto comma, in relazione all’art. 546, terzo comma, cod. proc. pen.).

Il giudice che aveva provveduto al dibattimento (Salvatore Venuto) non ha poi redatto la motivazione e sottoscritto la sentenza.

La stessa risulta sottoscritta dal Presidente della Sezione penale come annotato nella sentenza, senza peraltro specificare chi ha redatto la motivazione della decisione.

Sussiste pertanto incertezza assoluta su chi ha predisposto la motivazione. Inoltre, c’è un generico riferimento alle ragioni di salute del giudice Salvatore Venuto, senza alcuna specificazione che ne consenta il controllo sull’effettività dell’impedimento (Cassazione n. 6660 del 1997).

Ne consegue che la mancata sottoscrizione del giudice del dibattimento deve ritenersi ingiustificata (non assoluta) con la nullità della decisione.

2.2. Violazione di legge (art. 521 cod. proc. pen.). Nell’imputazione è contestata la sola vendita della bicicletta a D’Amico Salvatore, mentre nella motivazione della Corte di appello si fa riferimento a vendite generalizzate di biciclette con pedalata assistita che in realtà erano motocicli.

La Corte di appello, quindi, ha modificato il fatto contestato, da una singola vendita ad un’attività generalizzata di vendite.

2.3. Omessa pronuncia su un motivo dell’atto di appello.

Con il terzo motivo dell’appello il ricorrente contestava la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato in relazione al fatto che l’acquirente (come da lui stesso dichiarato in udienza) era a perfetta conoscenza del potenziometro posto sul manubrio, tanto che lo utilizzava. L’acquirente era del resto stato informato del doppio uso, con o senza il potenziometro e sugli obblighi dell’uso con potenziometro.

Conseguentemente non si configura il reato di cui all’art. 515 cod. pen. Infatti, i testi Runci, Attanà e anche Venuti Gabriele (figlio e collaboratore del ricorrente) dichiaravano che agli acquirenti erano specificati i due usi in maniera dettagliata. La Corte di appello non motiva sulla specifica conoscenza dell’acquirente dell’uso del potenziometro a sua volontà e discrezione e, quindi, non risponde ad uno specifico e dettagliato motivo di impugnazione.

2.4. Violazione di legge (art. 515 cod. pen.).

L’acquirente è stato informato sull’uso e sugli oneri del potenziometro, tanto che lo aveva fatto volontariamente funzionare e pertanto nessun mezzo diverso da quello pattuito è stato consegnato a D’Amico e non risulta configurabile il reato contestato.

2.5. Motivazione illogica e contraddittoria.

La Corte di appello ha ritenuto la responsabilità del ricorrente dal fatto che sui ciclomotori, detenuti per la vendita in negozio, già era installato il potenziometro e che avrebbe omesso di avvisare gli acquirenti sul potenziometro (che faceva considerare il mezzo un motociclo e non più una bicicletta, con obbligo di assicurazione, abilitazione alla guida e casco).

La motivazione suddetta si pone in palese contrasto con quanto dichiarato dai testi Runci, Attanà e anche Venuti Gabriele (figlio e collaboratore del ricorrente), ovvero che agli acquirenti erano specificati i due usi in maniera dettagliata.

Runci infatti sceglieva di non montare il potenziometro, dopo le spiegazioni sul suo uso. Conseguentemente il montaggio e l’uso del potenziometro erano a scelta del cliente.

2.6. Violazione di legge (art. 515 in relazione all’art. 640 cod. pen.).

Il ricorrente sottacendo le caratteristiche effettive del mezzo consegnato all’acquirente avrebbe commesso in effetti una truffa (art. 640 cod. pen.) e non una frode in commercio (art. 515 cod. pen.).

Per la truffa manca la querela. La Corte di appello sul punto si limita ad osservare che i due reati potevano “semmai concorrere”. Si tratta di motivazione apparente e comunque erronea.

D’Amico ha riferito di sapere come funzionava il potenziometro, ma di essere stato ingannato sulle caratteristiche del mezzo, “se volevo un motorino, andavo ad acquistare un motorino”. L’inganno, quindi, avrebbe riguardato le effettive caratteristiche del mezzo e pertanto il reato configurabile è quello della truffa e non il reato di cui all’art. 515 cod. pen.

2.7. Violazione di legge (art. 131 bis cod. pen.); motivazione apparente o illogica. Il mezzo acquistato ha un prezzo di acquisto modesto e con la disattivazione del potenziometro risulta una bicicletta con pedalata assistita. Il potenziometro accresce il valore del mezzo, non lo diminuisce; è un optional.

Conseguentemente il danno è insignificante se non assente. Inoltre, la Corte di appello richiama per escludere la particolare tenuità del fatto la perdurante attività di vendita di mezzi identici, circostanza che però non risulta contestata nell’imputazione.

2.8. Violazione di legge (art. 62 bis e 133 cod. pen.); motivazione apparente sul trattamento sanzionatorio.

La Corte di appello riferendosi genericamente all’antigiuridicità (elemento astratto e vacuo) della condotta conferma la pena irrogata dal primo giudice, senza alcuna motivazione sull’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e su tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. pen.

3. Ha chiesto quindi l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente si deve rilevare l’infondatezza del primo motivo processuale, la nullità della sentenza per la sottoscrizione del Presidente della Sezione penale, in relazione all’impedimento del giudice relatore.

La sottoscrizione della sentenza da parte del Presidente della Sezione importa logicamente anche l’assunzione di paternità del contenuto della motivazione; sul punto, quindi, non sussiste alcuna incertezza su chi ha redatto la motivazione, come prospetta il ricorrente. Il generico riferimento alle ragioni di salute – ritenuto dal ricorrente illegittimo, per l’impossibilità di un controllo dell’impedimento, se assoluto o no – deve ritenersi idoneo, in quanto l’art. 559, quarto comma e l’art. 542, comma 2, cod. proc. pen. richiedono letteralmente solo “la previa menzione della causa della sostituzione”.

La norma, quindi, richiede una mera menzione non un’indicazione dettagliata e, peraltro, non è prevista alcuna nullità.

Infatti, da ultimo, questa Corte di legittimità ritiene valida solo una indicazione dell’impedimento, senza ulteriori aggiunte o dettagli della causa: “In tema di requisiti della sentenza, nel caso in cui, per l’impedimento del Presidente, la sentenza sia sottoscritta dal componente più anziano del collegio, questi deve fare menzione dell’impedimento medesimo, certificandone l’esistenza, ma non è tenuto a specificare quale sia la natura dello stesso, e neanche a formulare generico richiamo agli atti d’ufficio” (Sez. 1, n. 20446 del 12/02/2014 – dep. 16/05/2014, Buscemi e altri, Rv. 25979001; invece vedi Sez. 6, n. 34628 del 27/06/2008 – dep. 04/09/2008, Sartarelli, Rv. 24078501, e Sez. 6, n. 6660 del 09/05/1997 – dep. 09/07/1997, Dragone ed altri, Rv. 20973201, per il rinvio agli atti d’ufficio, cui le parti possano accedere per il controllo; vedi per l’assenza di nullità Sez. U, n. 600 del 29/10/2009 – dep. 08/01/2010, Galdieri, Rv. 24517401).

Del resto, nessuna lesione del diritto di difesa o di altri istituti di garanzia è stata prospettata nel ricorso in cassazione.

Anche nel processo civile l’attestazione dell’impedimento da parte del Presidente non risulta sindacabile in sede di impugnazione, in relazione al margine di discrezionalità riconosciuta dalla norma: “In tema di provvedimenti del giudice civile, la menzione, da parte del presidente del collegio che sottoscriva la sentenza, dell’impedimento dell’estensore nel frattempo collocato a riposo, è assistita da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., solo in relazione all’attestazione dell’impedimento medesimo, ma non investe il giudizio ad essa attestazione connesso, dal quale scaturisce, se positivo, la legittimità della mancata sottoscrizione da parte del magistrato impedito.

Ciò nondimeno lo stesso giudizio, se erroneo, non può essere sindacato in sede di impugnazione, essendo ad esso intrinseco un margine di discrezionalità, direttamente attribuito dalla legge” (Sez. 3, Sentenza n. 10797 del 09/07/2003, Rv. 564921 – 01).

2. Il ricorso risulta fondato, invece, relativamente alla qualificazione giuridica del reato, se truffa o frode in commercio.

L’appello sul punto con il IV motivo aveva specificamente sottoposto alla Corte di appello il problema della qualificazione giuridica dei fatti alla luce delle dichiarazioni dell’acquirente D’Amico che riferiva di essere stato ingannato sulle caratteristiche del mezzo acquistato (“se volevo un motorino, andavo ad acquistare un motorino”).

La Corte di appello sullo specifico motivo di appello risponde con una motivazione carente e manifestamente illogica: “Quanto al reato di truffa esso poteva semmai concorrere, ricorrendone la procedibilità con quello di frode in commercio”.

Per il ricorrente al momento della conclusione del contratto (l’accordo) ci sarebbe stato un artificio nell’ingannare D’Amico facendogli credere che il mezzo acquistato fosse una bicicletta e non un motorino con i relativi obblighi (casco, assicurazione, permesso di guida ecc.).

Come emerge dalla stessa sentenza impugnata nel negozio del ricorrente c’erano locandine che specificavano “Bici con pedalata assistita no patente no assicurazione”; questa circostanza non è stata analizzata in relazione alla volontà di D’Amico di concludere il contratto di acquisto che altrimenti non avrebbe concluso (“se volevo un motorino, andavo ad acquistare un motorino”).

Sul punto deve richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte di legittimità che individua il reato di truffa contrattuale quando l’inganno sia stato determinante per la conclusione del contratto e, invece, la frode in commercio quando si consegna una cosa diversa da quella dichiarata o pattuita ma con un contratto liberamente intervenuto, senza alcun raggiro o artificio: “La fattispecie della truffa contrattuale si distingue da quella della frode in commercio perché l’una si concretizza quando l’inganno perpetrato nei confronti della parte offesa sia stato determinante per la conclusione del contratto, mentre l’altra si perfeziona nel caso di consegna di una cosa diversa da quella dichiarata o pattuita, ma sul presupposto di un vincolo contrattuale costituito liberamente senza il concorso di raggiri o artifici. (Fattispecie di annullamento di sentenza di condanna per il reato ex art. 515 cod. pen., avendo la Corte ravvisato il diverso reato ex art. 640 cod. pen. nella consegna di autovettura, in cambio di denaro, previa induzione ad acquistarla mediante inganno sulle caratteristiche del motore della stessa)” (Sez. 3, n. 40271 del 16/07/2015 – dep. 07/10/2015, Manconi, Rv. 26516301).

Nello stesso senso già Sez. 6, n. 11914 del 17/06/1977 – dep. 29/09/1977, ARNALDI, Rv. 13686801: “Il delitto di truffa si distingue da quello di frode in commercio per l’esistenza del raggiro o dell’artificio, che costituisce un plus rispetto alla frode in commercio e può realizzarsi anche nella fase di esecuzione del contratto.

3. Pertanto, risponde del delitto di truffa il venditore che, in sede di esecuzione del contratto, avvalendosi di artifici e raggiri, induca l’altra parte ad accettare condizioni diverse da quelle pattuite”.

I due reati sono alternativi – tranne ipotesi particolari e specifiche che non risultano nel caso in giudizio – e non concorrono, poiché il reato di truffa si distingue da quello di frode in commercio per l’esistenza del raggiro o dell’artificio, che costituisce un plus rispetto alla frode in commercio.

L’analisi in fatto su questi elementi è mancata da parte della Corte di appello, pur in presenza di specifico motivo di impugnazione.

Può conseguentemente esprimersi il seguente principio di diritto: “La fattispecie della truffa contrattuale si distingue da quella della frode in commercio perché l’una si concretizza quando l’inganno perpetrato nei confronti della parte offesa sia stato determinante per la conclusione del contratto, mentre l’altra si perfeziona nel caso di consegna di una cosa diversa da quella dichiarata o pattuita, ma sul presupposto di un vincolo contrattuale costituito liberamente senza il concorso di raggiri o artifici; la truffa contrattuale ha, quindi, un plus costituito dall’artificio o dal raggiro non presente nella frode in commercio”.

4. Si impone pertanto l’annullamento della decisione con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria.

Così deciso il 23/01/2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.