La vendita di un immobile locato determina la surroga dell’acquirente nelle obbligazioni del venditore senza il consenso del conduttore (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 4 marzo 2024, n. 5704).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALDO CARRATO                       – Presidente –

Dott. REMO CAPONI                         – Rel. Consigliere –

Dott. ANTONIO SCARPA                   – Consigliere –

Dott. CESARE TRAPUZZANO            – Consigliere –

Dott. CRISTINA AMATO                    – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

Ordinanza

sul ricorso n. 10614/2018 proposto da:

(omissis) (omissis) & C. s.n.c., rappresentata e difesa dall’avvocato (omissis) (omissis) e domiciliata in Roma, alla Piazza (omissis) n. 2, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis);

-ricorrente-

contro

Condominio di Via (omissis) (omissis) n.18-22 di Taranto;

-intimato-

avverso la sentenza del Tribunale di Taranto n. 247/2018, depositata il 30/01/2018.

Ascoltata la relazione del consigliere dr. Remo Caponi.

Fatti di causa

L’odierna ricorrente in cassazione, la società costruttrice (omissis) (omissis) s.n.c. si è vista rigettare in primo dal Giudice di pace di Taranto, con sentenza n. 3452/2015, confermata in appello dal Tribunale di Taranto (con sentenza n. 247/2018) l’opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento della somma di € 4.414,45 ottenuto nel 2015 dal Condominio di via (omissis) n. 18 e n. 22 (in Taranto), a titolo di contributi condominiali dovuti per gli anni 2008-2014 da (omissis) (omissis) relativamente a due unità immobiliari dal luglio 2008 fino al giugno 2014, di cui aveva goduto quale cessionario dalla ricorrente e cedente società costruttrice, allorquando quest’ultima rientrava nella disponibilità degli immobili in questione.

Allegava il citato Condominio che aveva ottenuto titoli esecutivi giudiziali nei confronti di (omissis), sulla base dei quali aveva promosso infruttuosamente due procedure di espropriazione mobiliare, e che nel luglio del 2014 la (omissis) (omissis) s.n.c. era rientrata in possesso degli immobili menzionati per poi concederli subito in locazione, già a decorrere dallo stesso mese, a tale (omissis) (omissis) (circostanza che pure era stata portata a conoscenza dell’amministratore del Condominio con nota del 30 dicembre 2014).

La società ingiunta faceva valere i motivi poi riproposti essenzialmente nel giudizio di legittimità.

La (omissis) (omissis) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.

Il Condominio intimato non ha svolto attività difensiva.

Ragioni della decisione

1. – Il primo motivo (p. 9) denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., degli artt. 1118 e 1123 c.c., dell’art. 63 disp. att. c.c. in quanto il giudice di appello non ha correttamente qualificato la domanda del Condominio in sede monitoria, incorrendo in un’erronea applicazione delle norme sul pagamento dei contributi di gestione ordinari relativi alle parti e ai servizi comuni.

Si deduce che il ricorso per decreto ingiuntivo non trovava giustificazione negli stati di riparto approvati in assemblea, che riportavano le somme dovute dalla ricorrente, quanto nei titoli esecutivi di condanna al pagamento, ottenuti dal Condominio nei confronti del (omissis).

Infatti, secondo il Condominio, la società proprietaria «è obbligata a pagare i contributi e le conseguenti spese legali ma la stessa non ha dato alcun riscontro alla lettera del 7 gennaio [2015] con la quale è stata invitata ad ottemperare al pagamento; ricorrono le condizioni per la concessione dell’ingiunzione ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., sulla base dei precedenti decreti ingiuntivi [emessi nei confronti del (omissis), n.d.r.] vertendosi in materia di contributi condominiali». (v. p. 11).

Si lamenta che l’azione proposta nei confronti della società riguardava una non meglio qualificata responsabilità, quale ex proprietaria-cedente dei due immobili facenti parte del Condomini o, e per esserne poi divenuta nuovamente proprietaria.

Al massimo si sarebbe potuta ammettere – ex art. 63 , co. 4 , disp. att. c.c. – la sua responsabilità per l’anno in corso e quello precedente il riacquisto (quindi per tutto 2013 e fino al mese di giugno 2014).

Il secondo motivo (p. 15) ripropone la sostanza del primo motivo sotto il profilo di omesso esame ex 360 n. 5 c.p.c. dei documenti a base del ricorso per decreto ingiuntivo proposto dal Condominio, da cui si sarebbe dovuto desume che essa ricorrente, quale ingiunta, era stata destinataria di un provvedimento monitorio per pagare debiti altrui (del (omissis)).

Il terzo motivo (p. 17 ss.) denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., nonché la violazione del principio dell’irretroattività della legge in relazione all’applicazione dell’art. 63 disp. att. c.c. in quanto il giudice di appello aveva imputato alla stessa, quale opponente, l’onere di produrre il contratto di vendita degli immobili al (omissis), mentre avrebbe dovuto valutare come non necessitante di prova un fatto pacificamente ammesso, ed aveva applicato inoltre il citato art. 63 disp. att. c.c. nella formulazione introdotta nel 2012, ad una fattispecie anteriore.

Il quarto motivo (p. 20 ss.) denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., in combinato disposto con gli artt. 115 e 116 c.p.c., la violazione del principio della immodificabilità della domanda proposta dinanzi al giudice di pace ex art. 311, 319 e 320 c.p.c., nonché la violazione degli artt. 163 e 183 c.p.c. poiché il giudice di appello aveva erroneamente applicato i principi sull’onere della prova, omettendo di valutare che la cessione dell’immobile al (omissis) fosse stata ammessa dal Condominio ed aveva omesso di rilevare l’inammissibilità della modifica della causa petendi da parte del Condominio nel passaggio dalla fase monitoria alla fase di opposizione e, comunque, omettendo di trarre le dovute conseguenze anche dalla tardiva costituzione in giudizio.

Si prospetta che era stata allegata solo all’udienza di discussione in primo grado – e, quindi, tardivamente – la mancata cessione e la visura catastale da cui risultava la proprietà de essa società ricorrente al maggio 2014, con un mutamento della ragione della domanda, in cui si argomentava dalla qualità della società come proprietaria originaria (mentre nel ricorso per decreto ingiuntivo si invocava la qualità di nuova proprietaria della società per aver riacquistato gli immobili dal (omissis).

Il quinto motivo (p. 25 ss.) denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. poiché il giudice di appello aveva omesso di pronunciarsi sull’eccezione di prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 4 c.c. sollevata con l’atto di appello, in questi termini: «Ribadiamo, a tal proposito, che mai prima del 7/1/2015, la società è stata informata dell’asserita morosità del (omissis); né è mai stata convocata, quale presunta condomina per le unità immobiliari di pertinenza del (omissis) nelle assemblee di approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi delle spese condominiali richieste con il decreto ingiuntivo opposto».

In particolare, si deduce che, trattandosi di quote condominiali ordinarie, dovute con cadenza periodica, non essendo stata inoltrata nei confronti della società alcuna richiesta di pagamento delle quote condominiali prima dell’invio dell’unica richiesta di pagamento ricevuta (il 7/1/2015), dovevano ritenersi prescritti i pretesi crediti precedenti al 7/1/2010. Viceversa, erano stati qualificati come atti interruttivi le iniziative nei confronti del (omissis).

2. – I primi quattro motivi, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono fondati.

Infatti, per quanto dedotto e provato nel corso dei gradi di merito, l’odierna società ricorrente aveva comunicato al Condominio con missiva del 16/9/2008 l’avvenuta cessione delle due unità immobiliari al sig. (omissis), nei cui riguardi era maturata la morosità indicata nel decreto ingiuntivo.

Il Condominio – per quanto indicato con il ricorso monitorio ed in relazione al periodo indicato dal settembre 2008 al giugno2014 – aveva ottenuto titoli di condanna per il recupero delle somme nei confronti del conduttore.

Pertanto, era nei confronti del cessionario (omissis) che andava richiesto il ricorso per decreto ingiuntivo e non della società cedente, la quale – tutt’al più –avrebbe potuto rispondere, per effetto della sopravvenuta entrata in vigore della modifica apportata al citato art. 63 disp. att. c.c., solo delle ultime due annualità, ovvero del 2013 e fino al mese di giugno del 2014.

In sostanza, il Tribunale tarantino ha illegittimamente invertito l’onere della prova relativamente alla qualità di condomino al fine dell’accertamento dell’obbligo di pagamento dei contributi negli anni controversi, imputando erroneamente alla società oggi ricorrente l’onere di dimostrare l’inesistenza in capo a sé della qualità di condomina con riferimento al periodo della morosità dedotta nel ricorso monitorio e non già correttamente al Condominio l’onere di comprovare l’esistenza di tale qualità in capo alla società, tenuto conto di tutte le vicende –di cessione e di successivo riacquisto della disponibilità da parte della stessa -che avevano riguardato i due immobili.

La sentenza impugnata deve essere, perciò, cassata, con enunciazione dei seguenti principi di diritto:

a) in mancanza di una contraria volontà dei contraenti, la vendita (come la donazione o cessione) di un immobile fatto oggetto di locazione determina, ai sensi degli artt. 1599 e 1602 c.c., la surrogazione del terzo acquirente (o donatario o cessionario) nei diritti e nelle obbligazioni del venditore (o donante o cedente) – locatore senza necessità del consenso del conduttore, perciò anche il subentro nell’obbligo di pagamento delle quote condominiali del Condominio di cui fa parte l’immobile locato;

b) l’onere della prova relativo al fatto costitutivo della pretesa del Condominio implicante l’individuazione del soggetto obbligato al pagamento delle quote condominiali in caso di vicende traslative o di cessione o di locazione di immobile facente parte del Condominio stesso nel periodo di maturazione della morosità spetta a quest’ultimo, incombendo, invece, a colui che nega tale qualità, in caso di esercizio di siffatta pretesa nei suoi confronti, la prova su eventuali fatti modificativi od estintivi escludenti la sua responsabilità;

c) il nuovo art. 63 disp. att. c.c. (entrato in vigore con la decorrenza prevista dall’art. 32, comma 1, della legge 11 dicembre 2012, n. 220) sancisce, al comma 4, che chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei soli contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente (e non quindi anche con rispetto a quelli ulteriormente precedenti), precisandosi che detta norma non si applica retroattivamente.

3. – I primi quattro motivi devono, quindi, essere accolti, con assorbimento del quinto.

Alla cassazione della sentenza impugnata consegue il rinvio della causa al Tribunale di Taranto, in diversa composizione monocratica, il quale, oltre a uniformarsi ai principi di diritto su enunciati, provvederà anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi quattro motivi di ricorso e dichiara assorbito il quinto motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Taranto, in diversa composizione monocratica, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma il 15/02/2024, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Suprema Corte di cassazione.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.