L’approvazione di lavori straordinari senza la previa costituzione di un fondo speciale rende nulla la delibera assembleare condominiale (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 25 maggio 2022, n. 16953).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE CIVILE

 

Composta da:
Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO – Presidente –
Dott. MARIO BERTUZZI – Consigliere –
Dott. ANTONIO SCARPA – Rel. Consigliere –
Dott. ROSSANA GIANNACCARI – Consigliere –
Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS – Consigliere –

 ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 23939-2021 proposto da:

(OMISSIS) ANGELO, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS) (OMISSIS);

 – intimato –

avverso la sentenza n. 194/2021 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 16/02/2021;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/05/2022 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Angelo (omissis) ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 194/2021 della Corte d’appello di Genova, depositata il 16 febbraio 2021.

L’intimato Condominio “(omissis) (omissis)” di Pietra Ligure, (omissis) (omissis) 102, non ha svolto attività difensive.

La sentenza impugnata ha rigettato l’appello contro la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Savona ed ha così respinto l’impugnazione ex art. 1137 c.c. presentata dal condomino Angelo (omissis) contro quattro deliberazioni dell’assemblea del Condominio “(omissis) (omissis)” di Pietra Ligure (del 2 maggio, del 19 agosto e del 28 novembre 2015, nonché del 5 marzo 2016), tutte volte al rifacimento della facciata condominiale. L’attore aveva prospettato la nullità di tali delibere, perché avevano approvato l’intervento di manutenzione dell’intera facciata dell’edificio, ripartendone le spese fra i condomini, benché parte di essa fosse di proprietà esclusiva.

La Corte d’appello ha richiamato l’atto 3 settembre 1959 a rogito del Notaio Pietro (omissis) con il quale Martino (omissis), proprietario unico di un edificio costituito da due piani fuori terra in corso di costruzione, aveva venduto “l’intera area sovrastante la soletta di copertura del primo piano sopra il piano terreno (e cioè del secondo piano fuori terra) alla Società Angelo (omissis) & C. S.n.c.”.

Tale rogito precisava che “sull’area come sopra acquistata la società compratrice avrà il diritto di costruire più piani che resteranno di assoluta e esclusiva proprietà della società compratrice stessa, e ciò senza dover corrispondere alcuna indennità al venditore, o suoi aventi causa, per la sopraelevazione, in deroga all’art. 1127 del Codice civile”.

Tale atto, alla postilla n. 2, aggiungeva: “In parziale deroga a quanto sopra convengono le parti che i muri perimetrali sino all’altezza dell’area, oggetto del presente atto, permangano in proprietà esclusiva del venditore; detti muri perimetrali restano, però, gravati della servitù di attraversamento per tubazioni, canali, ed altro necessario al servizio degli alloggi, costruendi sull’area compravenduta, e ciò limitatamente a quanto sarà eseguito dalla società compratrice sino alla data di ultimazione dei lavori e relativa dichiarazione di abitabilità dell’intero fabbricato”.

I giudici di secondo grado hanno tuttavia considerato che la delibera sulla ripartizione delle spese di risanamento della facciata, assunta in data 28 novembre 2015, aveva fatto riferimento “alle tabelle millesimali da sempre in uso e allegate al regolamento contrattuale di natura contrattuale…”, risalenti al 1961.

Ha così affermato la sentenza impugnata che la facciata, per quanto in parte non comune, svolge “una funzione strutturale per l’intero edificio per la cui manutenzione, ordinaria o straordinaria, i singoli partecipanti debbono concorrere nella misura proporzionale al valore anche delle loro proprietà esclusive, valutate nelle tabelle vigenti nel Condominio.

Del resto la pattuizione di cui al rogito sopra menzionata del 1959 non prevede che le spese dei muri perimetrali sino all’altezza dell’area, oltre tutto gravati della servitù di attraversamento per tubazioni, canali, ed altro necessario al servizio degli alloggi soprastanti, siano poste a carico del proprietario esclusivo di detti muri in base a una specifica ed espressa pattuizione, non potendosi altrimenti presumere che quest’ultimo (all’epoca il (omissis)) per il solo fatto di essersi riservata la proprietà esclusiva, abbia inteso assicurare le basi strutturali della facciata condominiale ai proprietari delle unità immobiliari soprastanti, con esonero dei medesimi da ogni concorso nelle spese di manutenzione del tetto”.

Per quanto qui ulteriormente rilevi, la Corte d’appello di Genova ha reputato poi che apparisse “evidente la volontà dell’assemblea di deliberare un costo dei lavori più contenuto di quelli messi a capitolato (“soltanto strettamente necessari…”) e comunque la previsione della costituzione di un fondo cassa di € 13.000,00 + iva consente di affermare che questa fosse la quantificazione dei lavori approvata, salvo i necessari aggiustamenti derivanti da varianti in corso d’opera”.

Il primo motivo del ricorso di Angelo (omissis) denuncia “la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1123, primo comma e 1137 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., tenuto conto che l’assemblea non ha il potere di decidere della sorte di beni che non costituiscono parti o servizi comuni, né tantomeno, quello di imporne l’obbligatorietà ed il relativo costo ai condomini assenti o dissenzienti”.

Il secondo motivo deduce la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1069 c.c. e dell’art. 68 disp. att. c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., considerato che se è vero che la manutenzione delle opere in re aliena è posta a carico dei proprietari dei fondi dominanti, è altrettanto vero che la manutenzione della parte del fondo servente non interessata da dette opere resta a carico dei proprietari di quest’ultimo”.

Il terzo motivo di ricorso allega la “violazione e/o falsa rappresentazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., avendo ritenuto che l’interesse del ricorrente fosse limitato alla sola ripartizione delle spese (ed alla relativa delibera) e non anche all’esercizio del più generale potere decisionale dell’assemblea rappresentato da tutte le delibere impugnate”.

Il quarto motivo lamenta la “violazione e/o falsa rappresentazione dell’art. 1135, primo comma, n. 4, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. avendo ritenuto legittima la determinazione del fondo speciale in maniera arbitraria e non «pari» all’ammontare dei lavori”.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere accolto per manifesta fondatezza, con la conseguente defínibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

I quattro motivi vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e sono fondati nei sensi di seguito indicati.

Le determinazioni prese dai condomini in assemblea sono da considerare, a tutti gli effetti, come veri e propri atti negoziali, ovvero come coacervo di dichiarazioni individuali, espressione in quanto tale non della volontà dell’assemblea, bensì della maggioranza in essa formatasi, e quindi atto dell’organizzazione condominiale.

La delibera costituisce, in sostanza, un momento della gestione condominiale, e in tal senso il problema della sua validità o invalidità è correlato alle ripercussioni che essa ha sulla medesima gestione.

Oggetto del giudizio di validità ex art. 1137 c.c. è perciò il valore organizzativo della deliberazione, dovendosi accertare se quel valore merita di essere conservato o va, piuttosto, eliminato con la sentenza di annullamento o con la declaratoria di nullità.

La valenza organizzativa emergente dal testo della delibera dell’assemblea costituisce, allora, il coefficiente determinante nella scelta tra la sanzione invalidante e la contrapposta esigenza di stabilità delle deliberazioni in seno alla compagine condominiale e di certezza dei rapporti giuridici instaurati per decisione dell’organo collegiale.

Avendosi riguardo, nel caso in esame, a lavori di rifacimento della facciata dell’edificio condominiale, occorre considerare che la determinazione dell’oggetto delle opere di manutenzione straordinaria (e cioè degli elementi costruttivi fondamentali delle stesse nella loro consistenza qualitativa e quantitativa) e la ripartizione delle relative spese ai fini della riscossione dei contributi dei condomini rientrano nel contenuto essenziale della deliberazione assembleare imposta dall’art. 1135, comma 1, n. 4, c.c. (Cass. Sez. 2, 26 gennaio 1982, n. 517; Cass. Sez. 2, 21 febbraio 2017, n. 4430; Cass. Sez. 6-2, 16 novembre 2017, n. 27235; Cass. Sez. 6-2, 17 agosto 2017, n. 20136; Cass. Sez. 2, 20 aprile 2001, n. 5889).

Come da ultimo ulteriormente precisato in Cass. Sez. Unite, 14 aprile 2021, n. 9839, uno dei casi in cui la deliberazione dell’assemblea dei condomini deve ritenersi affetta da nullità è quella della “impossibilità dell’oggetto, in senso materiale o in senso giuridico, da intendersi riferito al contenuto (c.d. decisum) della deliberazione”.

L’impossibilità giuridica dell’oggetto, in particolare, va valutata in relazione alle “attribuzioni” proprie dell’assemblea: l’assemblea, quale organo deliberativo della collettività condominiale, può occuparsi solo della gestione dei beni e dei servizi comuni.

Perciò, l’assemblea non può “occuparsi dei beni appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condomini o a terzi, giacché qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell’edificio non può essere adottata seguendo il metodo decisionale dell’assemblea, che è il metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi”.

È indubbio pertanto che sia nulla, e perciò sottratta al termine di impugnazione di cui all’art. 1137 c.c., la delibera dell’assemblea di condominio che approvi e ripartisca una spesa priva di inerenza alla gestione condominiale, come, ad esempio, quella che concerna la manutenzione di beni di proprietà esclusiva.

La sentenza impugnata ha errato, pertanto, nel ritenere di competenza dell’assemblea condominiale le spese di rifacimento della porzione dei muri perimetrali di proprietà esclusiva (come accertato in forza del titolo contrario ex art. 1117 c.c. rinvenuto nell’atto 3 settembre 1959), né l’integrale accollo ai condomini delle opere di manutenzione di tali beni può trovare fondamento nella “servitù di attraversamento per tubazioni, canali, ed altro necessario al servizio degli alloggi soprastanti”, operando semmai al riguardo, in assenza di diversa specifica pattuizione avente forma scritta, i criteri di cui all’art. 1069 c.c.

I muri maestri o perimetrali, come le facciate di prospetto, di un edificio condominiale, sono, invero, oggetto di proprietà comune, ai sensi dell’art. 1117, n. 1, c.c., sempre che non risulti il contrario dal titolo (cfr. Cass. Sez. 2, 28/09/2016, n. 19215; Cass. Sez. 2, 20/03/2012, n. 4430; Cass. Sez. 2, 15/06/1998, n. 5948; Cass. Sez. 1, 29/05/1973, n. 1593; Cass. Sez. 2, 06/11/1971, n. 3133).

Neppure il riferimento “alle tabelle millesimali da sempre in uso” può lasciar intendere approvata per “facta concludentia” una convenzione che ponga a carico dei condomini le spese di manutenzione delle porzioni di proprietà esclusiva (arg. da Cass. Sez. 2, 15/10/2019, n. 26042).

Se è pur vero che il fondamento della partecipazione agli oneri condominiali, ai sensi degli artt. 1123 e ss. c.c., non è necessariamente correlato alla contitolarità della res, spesso piuttosto derivando dalla utilitas che essa arreca alle singole unità immobiliari, indipendentemente dal regime di proprietà (Cass. Sez. 2, 16 ottobre 2020, n. 22573), ove si voglia giustificare il concorso dei condomini nelle spese di manutenzione di un bene di proprietà esclusiva, perché nella specie gravato di servitù in favore del condominio, ciò deve farsi in proporzione dei rispettivi vantaggi.

La Corte d’appello di Genova ha egualmente errato nel fare applicazione dell’art. 1135, comma 1, n. 4, c.c., desumendo dalla limitata costituzione del fondo speciale una “volontà dell’assemblea di deliberare un costo dei lavori più contenuto di quelli messi a capitolato”, ovvero “che questa fosse la quantificazione dei lavori approvata”.

La deliberazione assembleare imposta dall’art. 1135, comma 1, n. 4), c.c. deve determinare l’oggetto delle opere di manutenzione straordinaria, e quindi anche l’ammontare dei lavori, e poi ripartire le relative spese (Cass. Sez. 6 – 2, 10/09/2020, n. 18793).

Lo stesso art. 1135, comma 1, n. 4), c.c., come modificato dapprima dalla legge n. 220 del 2012 e poi dal d.l. n. 145 del 2013, convertito nella legge 9 del 2014, prescrive, inoltre, che la medesima delibera di approvazione di interventi di manutenzione straordinaria o di innovazioni provveda “obbligatoriamente” a costituire un preventivo fondo speciale di importo pari all’ammontare predeterminato dei lavori, ovvero, se sia così previsto dal contratto, un fondo pari ai singoli pagamenti dovuti in funzione del progressivo stato di avanzamento delle opere.

L’art. 1135, comma 1, n. 4 c.c., imponendo l’allestimento anticipato del fondo speciale “di importo pari all’ammontare dei lavori”, configura, pertanto, una ulteriore condizione di validità della delibera di approvazione delle opere indicate, la cui sussistenza deve essere verificata dal giudice in sede di impugnazione ex art. 1137 c.c.

E’, dunque, dal testo della deliberazione assembleare che approva le opere di manutenzione straordinaria dell’edificio che deve necessariamente emergere il prezzo dei lavori, al cui importo occorre che equivalga quello del fondo speciale nella prima ipotesi di cui all’art. 1135, comma 1, n. 4, c.c., non potendo, viceversa, trarsi implicitamente dall’importo del fondo in concreto costituito quale sia l’ammontare delle spese necessarie.

Il ricorso va perciò accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione, che procederà ad esaminare nuovamente la causa uniformandosi agli enunciati principi e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 13 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.