L’atto di adesione del contribuente col Fisco esclude la confiscabilità del profitto del reato tributario (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 8 agosto 2024, n. 32282).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. GASTONE ANDREAZZA – Presidente –

Dott. ALESSIO SCARCELLA – Relatore –

Dott. ANTONIO CORBO – Consigliere –

Dott. UBALDA MACRÌ – Consigliere –

Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

(omissis) (omissis) (omissis) nato a (omissis) (ROMANIA) il xx/xx/19xx;

(omissis) (omissis) nato in (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso l’ordinanza del 05/10/2023 del TRIB. LIBERTA’ di Siena.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Alessio Scarcella;

letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, Dott. DOMENICO SECCIA, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;

letta la memoria di replica alla requisitoria scritta del PG, depositata telematicamente nell’interesse del ricorrente (omissis) (omissis) (omissis) dal difensore, Avv. (omissis) (omissis), con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 5 ottobre 2023, il Tribunale del riesame di Siena rigettava gli appelli cautelari proposti da (omissis) (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), confermando, per l’effetto, il decreto di revoca parziale del sequestro preventivo emesso in data 23 agosto 2023 del GIP del Tribunale di Siena, funzionale alla confisca del profitto del reato di cui all’art. 3, D.Igs. n. 74 del 2000, contestato agli imputati c.s. generalizzati, per aver – omesso di dichiarare per l’anno 2015 la somma di euro 2.750.000,00 e, per l’anno 2016, la somma di euro 412.500,00.

2. Avverso l’ordinanza impugnata nel presente procedimento, i predetti hanno proposto separati ricorsi per cassazione tramite i rispettivi difensori di fiducia, deducendo complessivamente quattro motivi, di seguito sommariamente indicati.

2.1. Deduce (omissis) (omissis) (omissis), con l’unico motivo proposto, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 12-bis, 13, e 13-bis, D.Igs. n. 74 del 2000, 321, commi 2 e 3, cod. proc. pen., 240, comma 2, cod.pen. nonché 1, 6, 8 e 9, D.Igs. n. 218 del 1997.

In sintesi, si contesta la violazione delle norme che disciplinano la procedura di accertamento con adesione del contribuente e con l’Agenzia delle entrate.

Il Tribunale ha ritenuto che il giudice penale è libero di determinare autonomamente l’ammontare del profitto del reato tributario alla luce della prima ed originaria quantificazione di esso unilateralmente effettuata dalla Agenzia delle entrate attraverso il processo verbale di constatazione, ciò indipendentemente dalla rideterminazione del profitto effettuata successivamente dalla stessa Agenzia delle entrate, ossia l’unico reale creditore, una volta attivato il contraddittorio con il contribuente a seguito dell’esperimento della procedura di accertamento con adesione.

Quanto sopra sarebbe possibile in quanto la procedura di accertamento con adesione avrebbe una natura convenzionale-transattiva, ciò che sarebbe indizio di rinuncia parziale da parte dell’Agenzia rispetto al proprio credito originario.

In altri termini, secondo il Tribunale, il giudizio penale, rispetto all’ammontare del profitto del reato tributario ai fini della revoca del sequestro o della confisca, sarebbe sempre svincolato ed autonomo rispetto alla quantificazione del profitto effettuata in seconda istanza dall’Agenzia delle entrate a seguito di contraddittorio del contribuente, allegando i giudici dell’appello a sostegno alcune decisioni di questa Corte.

Ritiene, tuttavia, la difesa che tale tesi non possa essere accolta in quanto lo scopo della procedura di accertamento con adesione è quello di attivare un contraddittorio tra Agenzia delle entrate e contribuente al fine di giungere all’esatta determinazione dell’imposta evasa: il confronto innestato tra l’Agenzia delle entrate e il contribuente può condurre eventualmente ad un riconoscimento della non debenza parziale o totale del debito tributario, ma non certo ad una rinuncia transattiva o stralcio da parte dell’Amministrazione finanziaria, come del resto evidenziato da parte di questa stessa Corte (il riferimento è alla sentenza della Cassazione civile, sezione tributaria, n. 16675 del 2022).

Dunque, il contraddittorio tra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente può condurre semmai ad una determinazione dell’imposta evasa più corretta e più ponderata ed aderente alla realtà rispetto a quella unilateralmente ed originariamente effettuata da parte della Agenzia delle entrate, ma non ad una rinuncia, con la conseguenza che, in quest’ultimo caso, si avrà la cristallizzazione dell’effettiva consistenza del debito tributario, ossia dell’imposta evasa, che il contribuente dovrà pagare.

A sostegno di quanto sopra militerebbero due ulteriori rilievi: anzitutto, che l’adesione del contribuente viene espressa riguardo ad una proposta interamente formulata dall’Agenzia delle entrate e che costituisce la rideterminazione in via definitiva a seguito di nuova valutazione della stessa Agenzia; in secondo luogo, si rileva che la determinazione dell’esatto ammontare del debito tributario, ossia il profitto del reato, rimarrebbe ferma e cristallizzata anche nel caso in cui il contribuente non adempisse alla propria obbligazione di pagamento, sia essa o meno rateale. In tal caso, infatti, verrebbe elevata una sanzione pari al 60% del tributo evaso così come rideterminato all’esito della predetta procedura, ma l’ammontare dell’imposta evasa rimarrebbe cristallizzato rispetto alla rideterminazione, anche in questo caso autonoma, effettuata in seconda istanza dall’Agenzia delle entrate.

Quanto sopra sarebbe poi confermato dalla vigenza nell’ordinamento interno del principio della indisponibilità del credito tributario, per il quale non è possibile concordare un’esenzione sia essa totale o parziale, da qualunque tipologia di imposte o tasse, rendendosi la pretesa tributaria perciò stesso indisponibile anche da parte dell’Agenzia delle entrate in sede di adesione.

Le poche e uniche eccezioni a questo principio sono infatti previste esclusivamente dalla legge, come nell’ipotesi della transazione fiscale e della gestione della crisi da sovraindebitamento del soggetto privato.

La conseguenza di quanto sopra è che, una volta saldato il debito tributario così come rideterminato dall’Agenzia delle entrate, nessun profitto può più dirsi sussistente, con la conseguente illegittimità del mantenimento del sequestro preventivo a fini di successiva confisca.

Si osserva, inoltre, come, quand’anche si ritenesse che la procedura di accertamento con adesione abbia natura transattiva, negoziale o convenzionale, nulla muterebbe rispetto a quanto sinora sostenuto, dovendosi giungere alla medesima conclusione poiché, una volta saldato il debito tributario, nessun profitto di reato può dirsi sussistente, e ciò sia nel caso di determinazione originaria dell’ammontare del profitto del reato-debito tributario, sia nel caso della rideterminazione successiva di questo, in quanto l’integrale pagamento del debito soddisfa l’unico creditore che è l’Erario, il quale non potrebbe pretendere, né tantomeno accettare, dal contribuente, più di quanto quest’ultimo ha già pagato in aderenza con la quantificazione del debito fatta dall’Agenzia.

Si osserva, infatti, che, secondo la giurisprudenza di legittimità, per i reati tributari, il mantenimento del sequestro preventivo sui beni dell’indagato è giustificato solo fino al momento in cui si realizza il recupero delle somme evase a favore dell’Amministrazione finanziaria, citando a tal proposito giurisprudenza di questa Corte alla pagina 11 del ricorso.

Da qui, dunque, il cortocircuito logico-interpretativo nel quale sarebbe caduto il Tribunale decidendo sull’appello cautelare poiché, una volta soddisfatto integralmente il debito tributario, l’Erario non potrebbe pretendere né ricevere alcuna somma ulteriore, sicché il contribuente non potrebbe più essere assoggettato a sequestro, atteso che quest’ultima misura non avrebbe più alcuno scopo, atteso che la pretesa creditoria erariale, ossia l’ingiusto arricchimento, è stata estinta col pagamento integrale del debito fiscale, e questo costituirebbe il paradigma pratico della duplicazione sanzionatoria: a ritenere diversamente, come invece sostenuto dal Tribunale, si giungerebbe al paradosso per cui l’indagato, pur avendo saldato il proprio debito erariale, mai potrebbe vedersi eliminato il sequestro preventivo dei propri beni, se non pervenendosi all’assoluzione, né mai potrebbe rimuovere il sequestro, anche volendo ipoteticamente pagare più di quanto dovuto per imposte evase e stabilito dall’Agenzia delle entrate, visto che l’Agenzia stessa mai potrebbe accettare un pagamento superiore a quanto dovuto.

Tale soluzione sarebbe peraltro avvalorata da plurime decisioni di questa Corte che vengono richiamate in ricorso alle pagine 13/19.

Alla luce di quanto sopra, dunque, l’errore interpretativo commesso dai giudici dell’appello cautelare consisterebbe nell’aver confuso il piano operativo del doppio binario, non cogliendo la netta differenza tra l’accertamento della sussistenza degli elementi costitutivi del reato fiscale da una parte, e la determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa ai fini dell’individuazione del profitto rilevante per la confisca, dall’altra. In relazione all’accertamento della responsabilità penale è operante il principio del doppio binario, laddove, in relazione alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, tale principio non opera e non potrebbe operare, se non creando una netta frizione con il principio di non duplicazione sanzionatoria.

In altri termini, il giudice sarebbe sì libero di effettuare una differente ricostruzione del tributo evaso rispetto alla quantificazione dello stesso operato dall’amministrazione finanziaria, ma ciò potrebbe avere effetti solo sul piano strettamente penale, come ad esempio sull’accertamento del superamento della soglia di rilevanza penale prevista quale elemento costitutivo del reato, ovvero sulla commisurazione della sanzione penale applicabile o, ancora, rispetto all’applicabilità o meno di circostanze attenuanti o di cause di non punibilità.

Diversamente, il giudice penale non sarebbe libero di determinare l’ammontare dell’imposta ai fini della irrogazione della confisca ove il Fisco sia stato già integralmente soddisfatto dal versamento effettuato dal contribuente in aderenza alla determinazione dell’imposta evasa effettuata dallo stesso ente: in questo caso, non sussisterebbe più alcun profitto di reato confiscabile giacché l’imposta evasa è stata integralmente versata dal contribuente.

Quanto sopra, infine, sarebbe confortato anche dalla interpretazione letterale e sistematica sia dell’articolo 12 -bis del D.Igs. n. 74 del 2000 (che non può essere interpretato nel senso che la confisca operi per gli importi eccedenti le imposte evase, così come rideterminata dall’amministrazione finanziaria in sede di adesione) sia dagli articoli 13 e 13-bis del D.Igs. n. 74 del 2000, i quali confermano che il regime del cosiddetto doppio binario opera solo sul piano strettamente penale, ma non anche sul piano della determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa ai soli fini della valutazione del profitto confiscabile.

2.2. Deduce (omissis) (omissis), con il primo dei due motivi originariamente proposti, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 12-bis, D.Igs. n. 74 del 2000.

In sintesi, si premette che il Gip aveva disposto per i soli reati tributari il sequestro preventivo per equivalente, quantificabile nell’importo evaso corrispondente all’Ires non dichiarata e non versata.

Si aggiunge, peraltro, che, successivamente, è intervenuto un atto di adesione con l’Agenzia delle entrate attraverso il quale l’importo da versare per Ires, Iva, ed Irap è stato determinato per l’anno di imposta 2015 e per l’anno di imposta 2016 a titolo di Ires, rispettivamente, nella misura di euro 1.258.245,11 e di euro 518.907,92, importi interamente versati.

I giudici dell’appello cautelare hanno ritenuto che il giudice non sarebbe vincolato nella determinazione del profitto confiscabile all’imposta risultante a seguito dell’accertamento con adesione o del concordato fiscale tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente anche se, per potersi discostare dal dato quantitativo convenzionalmente accertato e tenere invece conto dell’iniziale pretesa tributaria dell’Erario, occorre che risultino concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’originaria quantificazione dell’imposta dovuta.

Tale assunto, secondo la difesa, non sarebbe condivisibile nella parte in cui si afferma che la valutazione includente quella finale del profitto non può richiedere in fase cautelare un’indagine altrettanto penetrante rispetto a quella che dovrà formare oggetto di accertamento specifico nel giudizio di merito, in quanto è proprio l’art. 12-bis, comma 2, del D.Igs. n. 74 del 2000, a prevedere che la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’Erario anche in presenza di sequestro.

Si tratterebbe, altresì, di un assunto carente di motivazione, laddove recita che occorre che risultino concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’originaria quantificazione dell’imposta dovuta, in quanto presuppone implicitamente dimostrata la stessa tesi che si intende dimostrare, ossia l’aver indicato gli elementi di fatto da cui derivare tale maggiore plausibilità, ai fini del profitto del reato, del PVC della Guardia di finanza rispetto all’intesa raggiunta dal contribuente con l’Agenzia delle entrate.

Laddove il debito tributario sia stato adempiuto, la confisca, non avendo il reato comportato la realizzazione di alcun profitto, non avrebbe più alcuna ragion d’essere come, del resto, si osserva in ricorso, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (il riferimento è alla sentenza di questa sezione n. 28225 del 2016).

Il principio del doppio binario trova, dunque, applicazione in relazione alla sussistenza degli elementi tipici di questo o di quell’illecito penale tributario, ma non relativamente alla determinazione del profitto del reato laddove il creditore, ossia l’Agenzia delle entrate, a seguito del pagamento di quanto dovuto dal contribuente, dichiari di non avere più nulla da pretendere dal contribuente medesimo, come affermato da questa Corte e, segnatamente, dalla sentenza di questa sezione n. 32213/2018.

Né potrebbe avere rilievo il fatto che vi sia una divergenza tra la quantificazione dell’imposta evasa compiuta dal Tribunale e l’accertamento del suo ammontare da parte dell’Erario.

A tal proposito, si ricorda come proprio questa stessa Corte ha precisato che in materia di confisca costituente il profitto o il prezzo dei reati tributari, la previsione di cui all’art. 12-bis non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’Erario anche in presenza di sequestro, facendo esplicito riferimento alla procedura di accertamento con adesione.

Il principio in forza del quale deve attribuirsi rilevanza determinante ai fini dell’esclusione della confiscabilità del profitto del reato tributario alla quantificazione di esso operata in sede amministrativa, anche laddove la stessa sia divergente rispetto a quella acquisita in sede penale in ragione dell’intervenuto raggiungimento di forme di accordo tra il contribuente e l’ufficio, sarebbe a fortiori operante laddove non solo di impegno ad adempiere l’obbligazione tributaria si tratti, ma di effettivo adempimento di essa, comprensivo di interessi e di sanzioni.

Tale interpretazione sarebbe in linea con quanto affermato da questa Corte, ad esempio in materia di sgravio da parte dell’ufficio (il riferimento è alla sentenza di questa sezione n. 39187 del 2015).

Non sarebbe, perciò, pertinente il richiamo operato dal Tribunale al principio del doppio binario che trova applicazione in relazione alla sussistenza degli elementi tipici di questo o di quell’illecito penale tributario, ma non relativamente alla determinazione del profitto del reato laddove l’Agenzia delle entrate, a seguito del pagamento di quanto dovuto dal contribuente, dichiari di non aver più nulla a pretendere dal contribuente medesimo.

2.3. Deduce (omissis) (omissis), con il secondo dei due motivi originariamente proposti, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 111, commi 6 e 7, Cost., 125, comma 3, cod. proc. pen., in ordine all’omessa indicazione dei concreti elementi di fatto che rendono maggiormente attendibile l’iniziale pretesa dell’Agenzia delle entrate, sulla cui base è stato ritenuto sussistente il fumus del reato tributario e quantificato l’ammontare dell’imposta evasa su cui commisurare il sequestro, rispetto alla definizione del rapporto tributario per le annualità in discussione, intervenuto tra l’Agenzia delle entrate e la società contribuente a seguito di accertamento con adesione.

In sintesi, si censura l’ordinanza impugnata per assoluta carenza motivazionale nella parte in cui i giudici dell’appello cautelare ritengono che per potersi discostare dal dato quantitativo convenzionalmente accertato e tenere invece conto dell’iniziale pretesa tributaria dell’Erario, occorre che risultino concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’originaria quantificazione dell’imposta dovuta.

La motivazione addotta dal Tribunale si limiterebbe infatti a richiamare esclusivamente una massima giurisprudenziale (il riferimento è alla sentenza di questa sezione n. 29091 del 2019), senza tuttavia enunciare gli elementi concreti di fatto idonei a garantire una maggiore attendibilità dell’iniziale pretesa.

Come rilevato da questa stessa Corte, si osserva in ricorso, cambia la regola di giudizio ma non la regola da applicare, essendo ben chiaro che occorre tenere distinta la nozione di pretesa tributaria da quella di profitto illecito nei reati tributari.

Dunque, si osserva, il giudice penale non è vincolato all’imposta accertata in sede tributaria, ma per discostarsi dal dato quantitativo risultante dell’accertamento con adesione o dal concordato fiscale e tener conto invece dell’iniziale pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria, occorre che risultino concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’iniziale quantificazione dell’imposta dovuta.

Orbene, il Tribunale avrebbe omesso ogni valutazione degli elementi emergenti dalla procedura di accertamento con adesione, giustificando il proprio convincimento della sussistenza del fumus con l’affermazione secondo cui la conciliazione giudiziale non rileverebbe sotto il profilo penale e non apparirebbe decisiva al fine di rideterminare l’ammontare del profitto del reato, affermazione ritenuta apodittica in quanto non terrebbe conto del ben diverso criterio di calcolo seguito dall’Amministrazione finanziaria e della relativa determinazione finale.

In ultima analisi, dunque, mancherebbe ogni motivazione che dia conto del perché l’originaria contestazione contenuta nel PVC sia preferibile alla determinazione cui è pervenuta l’Agenzia delle entrate nella conciliazione giudiziale che, sottolinea la Cassazione, si osserva in ricorso, costituisce un dato dal quale il giudice penale non può prescindere.

2.4. Deduce (omissis) (omissis), con il motivo nuovo depositato in data 4 giugno 2024, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 111 Cost., commi 6 e 7, e dell’art. 125 cod. proc. pen., attesa la mancanza/apparenza di motivazione del provvedimento impugnato in ordine all’omessa indicazione dei concreti elementi di fatto che rendono maggiormente attendibile l’iniziale pretesa dell’Agenzia delle Entrate – in relazione alla quale è stato ritenuto sussistente il fumus commissi delicti e quantificato l’ammontare dell’imposta su cui commisurare il sequestro – rispetto alla definizione del rapporto tributario per le annualità in discussione intervenuto tra l’Agenzia delle Entrate e la società contribuente a seguito di accertamento con adesione.

In sintesi, riprendendo quanto già esposto nel secondo motivo del ricorso originario, la difesa, replicando alla requisitoria scritta del PG, sostiene che il riferimento ai “costi” è, senz’altro, errato in quanto, nel caso di specie, non vengono in rilievo indebite detrazioni di imposta, ma la natura dei finanziamenti erogati alla (omissis) SRL, ossia se i medesimi abbiano natura finanziaria, oppure costituiscano sopravvenienze attive.

Nell’insistere, poi, sul vizio di motivazione assente od apparente del provvedimento impugnato, rileva la difesa che la motivazione non si confronta con il contenuto dell’atto di adesione del contribuente con l’Agenzia delle entrate di Siena, richiamato e trascritto integralmente nel motivo aggiunto, censurandosi l’atteggiamento del collegio di merito che si è discostato dalle approfondite argomentazioni dell’Agenzia delle entrate, avendo fatto riferimento il Tribunale, esclusivamente, al processo verbale di constatazione iniziale, senza considerare la nuova determinazione dell’imposta in base alla procedura di accertamento con adesione.

Le conclusioni cui è pervenuta l’Agenzia poggiano – diversamente da quanto ritenuto dal Procuratore Generale, che ha fatto riferimento ad una inesistente voce “costi” (del tutto avulsa dal caso in scrutinio) – su elementi caratterizzati da certezza e precisione (come prescrive l’ultima parte del citato comma 4), e non rappresentano, affatto, il mero frutto dell’adesione dell’Amministrazione finanziaria alle argomentazioni della parte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi, trattati cartolarmente in assenza di richiesta di discussione orale, sono fondati.

2. Entrambi meritano di essere trattati congiuntamente, attesa l’intima connessione dei profili di doglianza sottesi alle omogenee censure svolte dalla difesa degli attuali ricorrenti.

3. Il tema, comune ad entrambi i ricorsi, è quello della natura dell’accertamento con adesione e delle conseguenze che l’integrale pagamento del debito tributario, conseguente alla procedura conciliativa con l’Erario, assume rispetto all’adozione (o, come nella specie, al mantenimento) del sequestro funzionale alla confisca per equivalente.

4. Occorre premettere, e sul punto non vi è contestazione, che il Gip territorialmente competente disponeva, nei confronti dell’indagato (omissis) (omissis) per i delitti tributari attribuiti, in data 30 novembre 2020, il sequestro preventivo per equivalente, ex art. 12-bis D. Lgs. n. 74 del 2000, quantificabile nell’importo evaso, corrispondente all’IRES non dichiarata e non versata, per € 2.750.000,00 per l’anno di imposta 2015 e, per € 412.500, per l’anno di imposta 2016, pari a complessivi € 3.162.500.

Risultava sequestrata al ricorrente (omissis) (omissis), la misura percentuale di circa l’80% del capitale sociale della (omissis) S.p.a.

La società definiva poi le obbligazioni tributarie per gli anni di riferimento attraverso atto di adesione, anno di imposta 2015, IRES per € 1.258.245, interamente versati e con atto di adesione, anno di imposta 2016, IRES per € 518.907,92 interamente versati, con un versamento totale all’agenzia delle Entrate del complessivo importo di C 1.777.153,03. Riteneva, in definitiva, l’assenza di ogni profitto confiscabile per il versamento così ritenuto, ritenendosi estinto il pagamento tributario.

Per il secondo indagato (omissis) (omissis) (omissis), si disponeva, nel medesimo modo, la revoca parziale del sequestro disposto ai sensi dell’art. 12-bis citato, sulla base dell’avvenuto accordo tributario intervenuto per la società Sicilia S.p.A. (oggi (omissis) S.p.A.) che definiva con l’Amministrazione Finanziaria le obbligazioni tributarie relative ai periodi di imposta 2015 e 2016, corrispondendo immediatamente tutto il dovuto nei termini e modi che seguono:

a) atto di adesione per l’anno di imposta 2015, IRES per complessivi euro 1.258.245,11, somma integralmente versata;

b) atto di adesione per l’anno di imposta 2016, IRES per complessivi euro 518.907,92, somma integralmente versata, per un totale di euro 1.777.153,03.

5. Tanto premesso, occorre anzitutto affrontare il tema della natura dell’accertamento con adesione intervenuto tra le parti e che ha condotto l’Ufficio alla rideterminazione dell’imposta evasa.

L’accertamento con adesione è un accordo stipulato con l’Agenzia delle Entrate prima che venga instaurato il contenzioso: consente di negoziare la pretesa e di ottenere la riduzione delle sanzioni al terzo del minimo, quand’anche l’Ufficio intenda irrogarle nella misura massima. Esso può riguardare tutte le tipologie di reddito ed è esteso a qualsiasi fattispecie accertativa.

Le pene previste per i delitti tributari sono diminuite sino ad un terzo e non si applicano le sanzioni accessorie qualora il contribuente provveda alla estinzione dei debiti tributari prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, anche a seguito di adesione, a condizione che il pagamento riguardi altresì le sanzioni (art. 13 -bis del D.Igs. n. 74 del 2000).

L’attenuante è condizione per accedere al patteggiamento. Solo per la compensazione di crediti non spettanti, l’effetto è la non punibilità del reato (art. 13, comma 1, del Digs. n. 74 del 2000). In merito ai reati caratterizzati da una soglia di punibilità come la dichiarazione infedele ex art. 4 del D.Igs. n. 74 del 2000, parte della giurisprudenza ha affermato che se la pretesa è condotta sotto la soglia il reato non sussiste (Sez. 4, n. 7615 del 30/01/2014, Bova, non massimata; nel senso, invece, che il giudice penale non è vincolato dall’accordo di adesione, Sez. 3, n. 51038 del 19/09/2018, Rv. 274094 – 01).

6. Occorre, in particolare , analizzare gli effetti che l’atto di adesione esplica con riferimento alla misura cautelare reale del sequestro funzionale alla confisca per equivalente ex art. 12 -bis, Digs. n. 74 del 2000.

Con specifico riferimento ai reati tributari, si è precisato che detto sequestro va riferito all’ammontare dell’imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di «profitto», costituito dal risparmio economico da cui consegue l’effettiva sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo (così Sez. 3, n. 1199 del 02/12/2011, dep. 2012, Rv, 251893 – 01).

La quantificazione di detto risparmio è comprensiva del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributario (con riferimento, in particolare, al delitto di cui all’art. 11, D.Igs. n. 74 del 2000: Sez. 5, n. 1843 del 10/11/2011, dep. 2012, Rv. 253480 — 01).

Si è inoltre evidenziata la necessità, da parte del giudice del merito, di una valutazione sul valore dei beni sequestrati, al fine di verificare il rispetto del principio di proporzionalità tra il credito garantito ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare, al fine di evitare che la misura cautelare si riveli eccessiva nei confronti del destinatario (Sez. 3, n. 41731 del 07/10/2010, Rv. 248697 – 01 e successive conformi).

Il sequestro non può, conseguentemente, riguardare beni di valore eccedente il profitto del reato (tra le tante: Sez. 3, ord. n. 1893 del 12/10/2011, dep. 2012, Rv. 251797 – 01).

7. Tanto premesso, ritiene il Collegio che i ricorsi meritino entrambi accoglimento.

Posto che la ragione della confisca, in materia penale tributaria, risiede nel recupero del debito tributario, come accertato dall’Agenzia delle Entrate, una volta integralmente adempiuto quest’ultimo, come nel caso di specie, viene meno la funzione del vincolo reale disposto a carico del contribuente.

In altri termini, stante l’assenza di profitto, in conseguenza della procedura di accertamento con adesione seguita dall’integrale versamento del debito tributario in relazione ad entrambe le annualità in contestazione, non vi è più spazio per il provvedimento ablatorio, restando, peraltro, impregiudicato il futuro giudizio di merito in ordine alla sussistenza del reato. Ed invero, in questa sede, non è in discussione la sussistenza del delitto di cui all’art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000, ascritto ad entrambi i ricorrenti, ma solo le condizioni legittimanti il disposto sequestro del profitto del reato in esame.

8. Quanto sopra rende evidente come l’ordinanza impugnata non abbia fatto corretta applicazione dell’art. 12-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, secondo cui “la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”.

Invero, il sequestro in questione è stato disposto come misura prodromica volta a garantire l’effettività dell’eventuale successiva confisca del profitto del reato; orbene, osserva la Corte come la circostanza che i contribuenti abbiano interamente versato all’Erario gli importi richiesti dall’Agenzia delle Entrate, con riguardo a tutte le annualità in contestazione, si pone come elemento necessariamente ostativo alla possibilità di procedere alla confisca di quello che, dal Tribunale, è ritenuto essere il profitto del reato e, per l’effetto, al sequestro finalizzato alla confisca medesima.

9. Né (come già affermato da questa stessa Sezione, con decisione cui il Collegio reputa di dover dare continuità: Sez. 3, n. 32213 del 09/05/2018, De Francesco, non massimata) può avere un qualche rilievo il fatto, che, nel caso di specie, vi sia divergenza fra la quantificazione dell’imposta evasa compiuta dal Tribunale – peraltro quantificando il profitto sulla base del mero richiamo al processo verbale di contestazione, senza specificamente indicare, nel discostarsi dal dato quantitativo convenzionalmente accertato laddove ha tenuto conto dell’iniziale pretesa tributaria dell’Erario, di “concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’originaria quantificazione dell’imposta dovuta”: Sez. 3, n. 29091 del 04/04/2019, Rv. 276756 – 03 – e l’accertamento del suo ammontare da parte dell’Erario, ossia del creditore, il quale, per giustificare detta quantificazione, aveva svolto delle approfondite argomentazioni, puntualmente riportate anche nel motivo aggiunto del ricorso della difesa (omissis).

Orbene, il Collegio – con indicazione che merita di ricevere continuità in quanto evidente espressione di un atteggiamento di favor del legislatore per le forme di definizione del profilo strettamente tributario delle vicende connesse alla violazione delle disposizioni penali di cui al d.lgs. n. 74 del 2000 che consentano comunque all’Erario di conseguire il pagamento delle imposte ritenute dovute – ricorda come questa Corte ha già precisato che, in materia di confisca di beni costituenti il profitto o il prezzo di reati tributari, la previsione di cui all’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, introdotta dal d.lgs. n. 158 del 2015, secondo la quale, anche in caso di condanna o di applicazione della pena concordata, la confisca, diretta o per equivalente, “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”, si riferisce alle assunzioni d’impegno nei termini riconosciuti e ammessi dalla legislazione tributaria di settore, ivi compresi gli accertamenti con adesione, la conciliazione giudiziale, le transazioni fiscali ovvero l’attivazione di procedure di rateizzazione automatica o a domanda (Sez. 3, n. 28225 del 09/02/2016, Rv. 267334 – 01; Sez. 3, n. 5728 del 14/01/2016, Rv. 266037 – 01).

Indubbiamente tale principio, in forza del quale deve attribuirsi rilevanza determinante, ai fini della esclusione della confiscabilità del profitto del reato tributario, alla quantificazione di esso operata in sede amministrativa, anche laddove la stessa sia divergente rispetto a quella acquisita in sede penale in ragione dell’intervenuto raggiungimento di forme di accordo, conciliazione o transazione fiscale fra il contribuente e la Agenzia delle Entrate, è, a fortiori, operante laddove non di solo impegno ad adempiere alla obbligazione tributaria si tratti ma, come nel caso di specie, di effettivo adempimento di essa, comprensivo di interessi e sanzioni.

E, difatti, tale interpretazione è in linea con quanto affermato da questa Corte, secondo cui in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche per equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, con la conseguenza che lo stesso non è configurabile, e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di “sgravio” da parte dell’Amministrazione finanziaria (Sez. 3, n. 39187 del 02/07/2015, Lombardi Stronati, Rv. 264789; Sez. 3, n. 19994 del 21/09/2016, dep. 2017, Bifulco, Rv. 269763 – 01; Sez. 3, n. 8226 del 28/10/2020, dep. 2021, PMT in proc. Soave, Rv. 281586 – 01).

10. Coglie dunque nel segno l’obiezione delle difese secondo cui non è pertinente il richiamo, operato dal Tribunale, al principio del “doppio binario”, ossia al fatto che le determinazioni assunte dall’Agenzia delle Entrate non sono vincolanti per il giudice penale. Un principio del genere, infatti, trova applicazione in relazione alla sussistenza degli elementi tipici di questo o quell’illecito penale tributario, ma non relativamente alla determinazione del profitto del reato, laddove il creditore, ossia l’Agenzia delle Entrate, a seguito del pagamento di quanto dovuto dal contribuente, dichiari di non aver più nulla da pretendere dal contribuente medesimo.

La confisca in ambito tributario è, per sua natura, collegata al recupero delle imposte evase ed in quest’ottica l’art. 12-bis introduce un sistema finalizzato a favorire l’adempimento del debito tributario prevedendo, a fronte di tali condotte, l’esclusione della confisca del profitto. Si tratta di una disposizione che si inserisce nella più ampia logica del sistema penale tributario, nell’ambito del quale le condotte di ravvedimento, mediante pagamento del debito tributario, sono valorizzate anche al fine di escludere la punibilità del reato o di attenuazione della sua gravità (artt. 13 e 14).

11. In definitiva, l’intero apparato sanzionatorio è calibrato in modo tale da tener conto – sia con riguardo alle conseguenze patrimoniali, che alla configurazione dell’attenuante speciale o della causa di non punibilità – dell’adempimento del debito, valorizzando la strumentalità dell’apparato penale rispetto all’esigenza di recupero delle imposte evase o non dichiarate.

Non vi sono dunque valide ragioni in punto di diritto per escludere l’applicabilità dell’art. 12-bis anche al sequestro del profitto del reato di cui all’art. 3, D.Igs. n. 74 del 2000, contestato ad entrambi i ricorrenti, corrispondente ad un abbattimento della base imponibile (Sez. 3, n. 35719 del 23/09/2020, Oliva, Rv. 280429 – 01), nella specie oggetto di una rimeditata rideterminazione operata dall’Agenzia delle Entrate nel contraddittorio con i contribuenti-ricorrenti.

Una volta che l’adempimento è intervenuto, infatti, viene meno il rapporto di strumentalità necessaria tra il sequestro del profitto e l’esigenza di recupero delle imposte evase.

Ne consegue che, ferma restando la sussistenza del reato, l’esigenza di disporre la misura cautelare reale viene necessariamente meno.

12. Del resto, questa stessa Corte ha chiarito che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non può essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione, poiché, altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa (tra le tante: Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Rv. 263409 – 01).

Principio questo che, se vale nei casi di adempimento parziale del debito tributario, a maggior ragione deve trovare applicazione nei casi, come quello in esame, in cui l’adempimento del debito tributario è stato integrale, a seguito del versamento totale da parte dei contribuenti delle somme, corrispondenti alle imposte evase.

In altri termini, così come la previsione di cui al comma 1 dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, disponendo, come obbligatoria, la confisca dei beni che, ai fini che qui rilevano, costituiscono il profitto dei reati tributari, è posta a garanzia della pretesa tributaria, parimenti l’ipotesi del comma 2 sta a significare che, se non vi è pretesa tributaria, nemmeno vi può essere confisca e, di conseguenza, neanche la cautela reale ad essa finalizzata.

13. L’impugnata ordinanza, unitamente al provvedimento che vi ha dato causa, devono essere conclusivamente essere annullati senza rinvio, conseguendone il dissequestro e la restituzione di quanto ancora sotto cautela reale agli aventi diritto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché il provvedimento di revoca solo parziale di sequestro del gip del Tribunale di Siena del 23/08/2023 e ordina il dissequestro e la restituzione di quanto ancora in sequestro agli aventi diritto.

Manda alla Cancelleria per l’immediata comunicazione al Procuratore generale in sede per quanto di competenza ai sensi dell’art. 626 cod. proc. pen.

Così deciso, il 20 giugno 2024

Il Consigliere estensore                                                                                                 Il Presidente

Alessio Scarcella                                                                                                       Gastone Andreazza

Depositato in Cancelleria, oggi 8 agosto 2024.

SENTENZA