REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. ROSA PEZZULLO – Presidente –
Dott. TIZIANO MASINI – Consigliere –
Dott. LUCIANO CAVALLONE – Consigliere –
Dott. PAOLA BORRELLI – Consigliere –
Dott. FRANCESCO AGNINO – Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
suI ricorso proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 30/11/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FRANCESCO AGNINO;
udito ii Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa MARIA FRANCESCA LOY che ha concluso chiedendo
II Procuratore Generale conclude come da requisitoria in atti per l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore (OMISSIS) (OMISSIS)
L’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) si associa alle conclusioni del Procuratore Generale e deposita conclusioni, alle quali si riporta, oltre a note spese;
anche l’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) si associa alle conclusioni del Procuratore Generale e deposita conclusioni, alle quali si riporta, oltre a note spese.
L’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) si richiama alle conclusioni in atti e chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, emessa ii 30 novembre 2023, la Corte di appello di Firenze in parziale riforma della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Firenze resa in esito a giudizio abbreviato, ha rideterminato in anni due reclusione la pena inflitta a (OMISSIS) (OMISSIS) per i reati, uniti dal vincolo della continuazione contestatati ai capi C) (art. 73, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) e D) (art. 586 cod. pen.) dell’imputazione.
All’imputato e contestato di avere ceduto a (OMISSIS) (OMISSIS) pasticche di sostanza stupefacente di tipo ecstasy, cagionando la morte della prima per intossicazione.
La Corte di Appello disponeva altresi la sospensione condizionale della pena, con le statuizioni risarcitorie in favore della parte civile costituita, con liquidazione di una provvisionale.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il suddetto imputato, a mezzo del proprio difensore, formulando i motivi di censura di seguito sinteticamente esposti.
2.1. II primo motivo denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ai sensi dell’articolo 603, comma 3, proc. pen. con riguardo all’esame delle persone informate sui fatti (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) ed il Prof. (OMISSIS) (OMISSIS) consulente de P.M.), che era stato richiesto nell’istanza di giudizio abbreviato condizionato, non accolta dal giudice.
La richiesta di integrazione probatoria era necessaria ai fini della decisione, giacche nessun testimone aveva dichiarato di aver visto il (OMISSIS) (OMISSIS) cedere alla (OMISSIS) (OMISSIS) due delle quattro pasticche di ecstasy.
2.2. Con il secondo motivo, la difesa censura la contraddittorietà ovvero manifesta illogicità della motivazione relativamente alla addebitabilità al (OMISSIS) di plurimi episodi di spaccio; sulla qualificazione giuridica di spaccio di gruppo; sul nesso di causalità tra le cessioni ed il decesso della vittima.
La difesa evidenzia l’assoluta assenza di prove in merito alla cessione da parte del (OMISSIS) alla (OMISSIS) di due pasticche di ecstasy, dovendosi precisare che tre testimoni hanno dichiarato di aver visto (OMISSIS) (OMISSIS) acquistare personalmente lo stupefacente MDMA da un pusher di origine marocchina.
In ogni caso, l’acquisto di droga da parte del (OMISSIS) era avvenuto su richiesta della (OMISSIS) che gli aveva fornito il denaro necessario, ipotesi da ricondurre nella fattispecie di spaccio di gruppo. aJ.
2.3. Con il terzo motivo si deduce la mancata motivazione in ordine alla provvisionale riconosciuta e liquidata in favore delle parti civili.
La Corte di Appello ha confermato una liquidazione della provvisionale stratosferica, senza tenere in alcun conto il fatto che, nel caso de quo, vi si sia stato un concorso maggioritario di colpa da parte della stessa vittima.
3. Con requisitoria scritta del 21.12.2024, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, dott.ssa M. Francesca Loy, chiede dichiararsi inammissibile il ricorso.
4. Con conclusioni scritte dell’8 gennaio 2025, la difesa del ricorrente insisteva per l’accogliento del ricorso.
5. Con distinte memorie del 7 gennaio 2025, l’Avv. (OMISSIS) (OMISSIS) difensore delle parti civili (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) – l’Avv. (OMISSIS) (OMISSIS) – difensore delle parti civili – chiedevano dichiararsi inammissibile il ricorso, confermare le statuizioni civili, formulando istanza di correzione di errore materiale del dispositivo della sentenza di primo grado, nel senso che ove si legge “condanna (OMISSIS) al pagamento a titolo provvisionale della somma di 100.000 euro a favore di (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) e deve intendersi” condanna della somma di 100.000 euro ciascuno a favore di (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. II ricorso va rigettato perche i motivi proposti sono infondati nel loro complesso.
2. Manifestamente infondata é la prima doglianza.
Invero, all’imputato, che, come nel caso in esame, dopo il rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato, abbia optato per il rito abbreviato “secco”, é preclusa la possibilità di contestazione successiva della legittimità del provvedimento di rigetto, in quanto la sua opzione per il procedimento senza integrazione probatoria é equiparata al mancato rinnovo in Iimine litis, ai sensi dell’art. 438, comma 6, cod. proc. pen., della richiesta di accesso al rito subordinata all’assunzione di prove integrative (Sez. 2, n. 13368 del 27/02/2020, Ruggiero, Rv. 278826).
É, del pari, costante l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale “in tema di giudizio abbreviato, l’esercizio del potere d’integrazione della prova, riconosciuto al giudice dall’art. 441, comma 5, cod. proc. pen., non é sindacabile in sede di legittimità, trattandosi di valutazione discrezionale” (Sez. V, n. 1763 del 04 ottobre 2021 – dep. 2022, Provenza, Rv. 282395).
Nel caso di specie, non essendosi ravvisata l’incompletezza dell’indagine e la conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti, la doglianza contenuta nel ricorso non é consentita in questa sede, poiché le parti non sono titolari di alcun diritto alla prova, potendo, nel giudizio di appello a seguito di abbreviato, unicamente sollecitare il giudice ad esercitare i propri poteri istruttori (Sez. 2, n. 5629 del 30/11/2021 – dep. 2022, Rv. 282585; Sez. 6, n. 51901 del 19/09/2019, PG c/ Graziano, Rv. 278061).
3. II secondo motivo di ricorso é infondato.
La Corte di appello, richiamando la sentenza di primo grado, ha puntualmente ricostruito fatti, valutato le molteplici prove acquisite in maniera non manifestamente illogica, spiegato perché:
–a) la ricostruzione alternativa lecita del ricorrente non trovi riscontro;
–-b) sia provato che l’imputato fornì la droga alla vittima, di cui conosceva lo stato di eccitazione connesso al consumo di sostanze stupefacenti manifestato non solo la sera del decesso, ma anche in occasione di altre serate;
–c) l’evento morte sia attribuibile sul piano psicologico all’imputato;
–d) non sussistano i presupposti per il riconoscimento del consumo di gruppo.
Le censure dedotte si sviluppano sul piano della ricostruzione fattuale e sono sostanzialmente volte a sovrapporre un’interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai giudici di merito, piuttosto che a far emergere un vizio della motivazione rilevante ai sensi dell’art. 606 cod. proc. proc.
Secondo i principi consolidati dalla Corte di cassazione la sentenza non può essere annullata sulla base di mere prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettura orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferire rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perché considerati maggiormente plausibili, o perché assertivamente ritenuti dotati di una migliore capacita esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si é in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148).
L’odierno ricorrente ha riproposto con il ricorso per cassazione la versione dei fatti dedotta in primo e secondo grado e disattesa dai Giudici del merito; compito del giudice di legittimità nel sindacato sui vizi della motivazione non é tuttavia quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
3.1. Secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte dell’assuntore di sostanza stupefacente é imputabile alla responsabilità del cedente sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) e con prevedibilità ed evitabilità dell’evento, da valutarsi alla stregua dell’agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale (v., ad es., Sez. 6, n. 49573 del 19/09/2018, Bruno, Rv. 274277, nel solco di Sez. U, n. 22676 del 22/01/2009, Ronci, Rv. 243381).
Anche nel caso di morte o lesioni conseguenti all’assunzione di sostanze stupefacenti, dunque, la responsabilità per questi ulteriori eventi a carico di colui che le abbia illecitamente cedute potrà essere ravvisabile quando sia accertata la sussistenza, da un lato, di un nesso di causalità fra la cessione e l’evento morte o lesioni, non interrotto da fattori eccezionali sopravvenuti, e, dall’altro, che l’evento non voluto sia comunque soggettivamente collegabile all’agente, ovvero sia a lui rimproverabile a titolo di colpa in concreto, valutata secondo i normali criteri di valutazione della colpa nei reati colposi.
II principio di colpevolezza, cosi come ha ribadito la Corte costituzionale, con la sentenza n. 322 del 2007, postula, invero, un coefficiente di partecipazione psichica del soggetto al fatto ed implica, quindi, che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all’agente ed a lui rimproverabili, siano cioè investiti dal dolo o dalla colpa.
La Corte costituzionale ha chiarito che, nell’ambito delle diverse forme di colpevolezza, il legislatore ben può “graduare” “il coefficiente psicologico di partecipazione dell’autore al fatto, in rapporto alla natura della fattispecie e degli interessi che debbono essere preservati: pretendendo dall’agente un particolare “impegno” nell’evitare la lesione dei valori esposti a rischio da determinate attività”.
Ciò significa che, qualora si tratti della tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, il legislatore non solo può prevedere che sia sufficiente la sola colpa, invece del dolo, ma puo anche richiedere un grado di attenzione ed un obbligo di conoscenza maggiori di quelli normalmente richiesti.
II legislatore ha voluto che l’agente sia tenuto a prendere in considerazione tutte le eventuali circostanze del caso concreto e a desistere dall’azione (ossia dalla cessione dello stupefacente) sia quando taluna di queste circostanze evidenzi un concreto pericolo per l’incolumità dell’assuntore, e sia anche quando rimanga in concreto un dubbio in ordine alla effettiva pericolosità della stessa. Lo spacciatore potrà, pertanto, ritenersi esente da colpa quando una attenta e prudente valutazione di tutte le circostanze del caso concreto non faccia prevedere l’evento morte o lesioni. La colpa potrà, invece, essere ravvisabile quando la morte sia prevedibile, ed anche quando non sia prevista perché una circostanza pericolosa sia stata ignorata per colpa o sia stata erroneamente valutata, sempre per colpa.
In sintesi, la colpa non potrà essere ravvisata nella prevedibilità in astratto dell’evento morte, desunta dalla presunta frequenza, o dalla notorietà, o dalla ordinarietà di tale evento in seguito alla assunzione di sostanza stupefacente, o in un pericolo che sarebbe presuntivamente insito in qualsiasi cessione della sostanza, ovvero nella natura di talune sostanze più pericolose di altre. La colpa andrà accertata sempre e soltanto in concreto, sulla base delle circostanze di fatto di cui il soggetto era o poteva essere a conoscenza e che dimostravano il concreto pericolo di un evento letale a seguito dell’assunzione di una determinata dose di droga da parte dello specifico soggetto.
3.2. Quanto all’ipotesi di morte o lesioni personali conseguenti alla cessione illecita di sostanze stupefacenti, le Sezioni Unite hanno quindi esplicitamente affermato che la regola cautelare, la cui inosservanza può costituire base della colpa, non può individuarsi nella norma che incrimina la cessione dello stupefacente né la colpa può ritenersi presunta in forza della sola stessa norma penale che incrimina la cessione dello stupefacente.
Ciò perché la legislazione in materia di sostanze stupefacenti non svolge in via diretta un ruolo di prevenzione delle offese alla integrità fisica dei cittadini, ma ha come scopo diretto ed immediato la repressione del mercato illegale della droga ” … e soltanto come scopo ulteriore, collocato sullo sfondo, la tutela della salute pubblica, accanto alla tutela deIla sicurezza e dell’ordine pubblico… “.
La conferma che l’attuale legislazione in materia non sia destinata in via diretta ed immediata alla tutela dell’integrità fisica dei cittadini, sta nella scelta del legislatore a favore della non punibilità del consumo personale di stupefacenti. Cosi prosegue la Corte: “… lo scopo ulteriore ed indiretto di tutelare la vita dei possibili consumatori riguarda solo un rischio ed un pericolo generali e generici per l’incolumità e la salute della massa dei consumatori, pericolo che é già incluso nel disvalore complessivo, severamente sanzionato dalle disposizioni sulla produzione e sullo spaccio degli stupefacenti.
In altri termini, anche riconoscendo che lo scopo “ultimo” della sfera di protezione delle norme che vietano lo spaccio di sostanze stupefacenti sia la tutela della vita dei possibili consumatori, il disvalore di questo rischio generico si esaurisce nell’imputazione per il reato presupposto. II pericolo “iniziale” per l’incolumità insito nel commercio di sostanze stupefacenti, che é di tipo “generico”, é già ampiamente previsto e punito per una efficace difesa prodromica della vita, dalle norme speciali sugli stupefacenti. .. “.
Affermano quindi le Sezioni Unite: “… tale disvalore e tale rischio non possono quindi essere replicati in un altro reato per il tramite di una applicazione dell’art. 586 cod. pen., del tutto sganciata dalla sussistenza di un profilo soggettivo di colpa e fondata esclusivamente su una responsabilità oggettiva o su una colpa presunta per violazione della legge penale, perché in tal modo si verrebbe a sanzionare nuovamente un fatto già incluso per il suo carico di disvalore nella condanna per lo spaccio di droga.
In altre parole, con le incriminazioni sul divieto dello spaccio viene sanzionata la creazione di un rischio generico per la salute della potenziale platea dei consumatori della sostanza, e non anche il rischio specifico del singolo assuntore, il quale viene invece sanzionato con le incriminazioni per morte o lesioni (dolose o colpose) sempre però che sussista una connessione diretta di rischio tra spaccio e morte del tossicodipendente e sempre che questo rischio specifico sia in concreto rimproverabile allo spacciatore perché da lui prevedibile ed evitabile.
E questa relazione non può – a meno di non ricadere appunto in una ipotesi di responsabilità oggettiva – essere automaticamente ed immancabilmente riconosciuta in tutti i casi ipotizzando fittiziamente che l’art. 586 cod. pen., attribuisca alle norme incriminatrici sullo spaccio di stupefacenti anche il valore di specifiche regole di cautela dirette a prevenire la morte o le lesioni del singolo assuntore … “.
Ha poi precisato il massimo concesso di legittimità che “ora, secondo l’opinione piu diffusa, la colpa “normale” consiste nella realizzazione di un fatto non voluto, rimproverabile al soggetto per la violazione di una regola di diligenza (di prudenza, di imperizia), che discende da una valutazione positiva di prevedibilità e di evitabilità della verificazione dell’evento … Tale valutazione, sempre secondo la tesi più diffusa, deve essere compiuta con un giudizio di prognosi postuma, collocandosi in una prospettiva ex ante, cioè riferita al momento in cui é avvenuto il fatto, da svolgersi in concreto, secondo il punto di vista di un omologo agente modello, ossia di un agente ideato mentalmente come coscienzioso ed avveduto che si trovi nella concreta situazione e nel concreto ruolo sociale dell’agente reale. Anche in ambito illecito, pertanto, occorre pur sempre che il fatto costitutivo del reato colposo sia una conseguenza in concreto prevedibile ed evitabile dell’inosservanza di una regola cautelare” (Sez. U, n. 22676 del 22/01/2009, Ronci, cit., in motivazione)
Dunque, ai fini della imputazione della conseguenza ulteriore non voluta di un reato base doloso, la colpa non può essere presunta in forza della sola violazione della legge incriminatrice del reato doloso. Occorre, invece, che l’agente abbia violato una regola cautelare diversa dalla norma che incrimina il delitto base, e che sia specificamente diretta a prevenire la morte o le lesioni personali, richiedendosi una valutazione positiva di prevedibilità ed evitabilità in concreto dell’evento, compiuta ex ante, sulla base del comportamento che sarebbe stato tenuto da un omologo agente modello, tenendo peraltro conto di tutte le circostanze della concreta e reale situazione di fatto. Si dovrà, pertanto, verificare se, dal punto di vista di un agente modello, nella situazione concreta, risultava prevedibile l’evento morte come conseguenza della condotta illecita tenuta dall’agente.
Il delitto di cui all’art. 586 cod. pen. é dunque annoverabile, in senso lato, tra i delitti aggravati dall’evento, perché si compone di una prima condotta dolosa, di per se costituente reato, da cui sia derivato l’ulteriore evento antigiuridico come conseguenza necessariamente non voluta della prima; ed assume, in senso stretto, i contorni di una forma speciale di aberratio delicti a mente dell’art. 83, comma secondo, cod. pen., perché l’evento lesivo, non voluto, che deriva dalla commissione del delitto doloso, necessariamente diverso da quello di percosse o di lesioni, é imputato all’agente ad autonomo titolo di colpa nell’ambito di un concorso formale di reati, e sanzionato ai sensi degli artt. 589 o 590 cod. pen. e la pena ivi prevista e aumentata in base agli ordinari criteri che regolano l’applicazione delle circostanze aggravanti comuni.
3.3. Questo comporta, con specifico riferimento alla situazione, qui rilevante, della morte conseguita alla assunzione di sostanza stupefacente ceduta da terzi, che l’evento sarà imputabile al cedente a titolo di colpa, ove dalle circostanze del caso concreto risulti evidente un concreto pericolo per l’incolumità dell’assuntore o comunque rimanga un dubbio in ordine alla effettiva pericolosità dell’azione, tali da dovere indurre l’agente ad astenersi dall’azione.
Ne discende che il coefficiente psicologico colposo, preteso dall’orientamento condiviso dal massimo consesso nomofilattico di questa Corte, deve essere valutato con esclusivo riferimento al momento di verificazione dell’evento-morte o piu latamente lesivo, ma in quanto eziologicamente collegato, sotto il profilo oggettivo, al delitto doloso antecedente; tanto impone che la violazione della regola precauzionale, da cui discenda l’attribuzione della responsabilità per l’evento lesivo, debba essere ricavata dalla condotta dolosa che ne costituisce antecedente causale e che, del resto, rimane azione “unitaria” nel contesto di un concorso formale eterogeneo ex art. 81, comma primo, cod. pen.
Nella casistica giurisprudenziale si é affermato che al cedente lo stupefacente é richiesto un particolare livello di attenzione e di prudenza, sicche lo stesso potrà essere ritenuto in colpa qualora non si sia astenuto dal cedere lo stupefacente dinanzi ad una circostanza dal significato equivoco o, comunque, quando abbia ignorato una circostanza pericolosa o sia caduto in errore sul suo significato e l’ignoranza o l’errore siano determinati da colpa e siano, quindi, a lui rimproverabili perché non inevitabili.
Così, si é ravvisata la responsabilità in un caso in cui l’acquirente della sostanza presentava caratteristiche esteriori di fragilità fisiche (Sez. 6, n. 5348 del 09/12/1989, Virdis, Rv. 184004); in un caso in cui la stessa vittima aveva dichiarato allo spacciatore di essere alla sua prima esperienza di assuntore di droga (Sez. 3, n. 41462 del 02/12/2012, De Witt, Rv. 253606); in altra fattispecie, in cui si era verificata la ripetuta vendita di cocaina, a breve distanza di tempo e destinata all’assunzione dello stesso soggetto, si é ritenuto integrata la violazione di una regola cautelare idonea a configurare la colpa in capo allo spacciatore e, quindi, ad imputare psicologicamente allo stesso l’evento morte dell’acquirente, verificatosi a distanza di poche ore (Sez. 4, n. 8058 del 23/09/2016, dep. 2017, Molocaj, Rv. 269127).
La colpa é stata ravvisata anche in particolari circostanze attinenti alla quantità, natura e qualità della sostanza ceduta, come nel caso in cui lo spacciatore predisponga dosi a composizione diversa da quelle usuali o miscelate con sostanze diverse, con consapevolezza delta probabilità di maggiori rischi per la vita del consumatore (Sez. 6, n. 49573 def 19/09/2018, Bruno, Rv. 274277, in un caso in cui era emerso che l’imputato era consapevole del fatto che la sostanza stupefacente ceduta presentava un’elevata concentrazione di principio attivo, tale da essere potenzialmente pericolosa per gli assuntori).
3.4. Posto che l’esistenza del reato a monte é confermata dalle plurime fonti dichiarative puntualmente richiamate dalla Corte di appelto (v. pp. 10-15 della sentenza di secondo grado), il tema della consapevolezza, da parte del (OMISSIS) della tendenza delta vittima ad esagerare nella assunzione di sostanza stupefacente nel corso delle serate in discoteca, é affrontata in termini di assoluta razionalità dalla Corte territoriale, la quale, coerentemente a quanta osservato in primo grado dal Tribunale, ha ricordato che era stato lo stesso imputato a dichiarare di essere a conoscenza della circostanza che in un’altra serata in discoteca la (OMISSIS) si era salvata “per miracolo” e che quella sera la vittima aveva dichiarato in treno, durante il viaggio per recarsi in discoteca, che stasera non voglio ricordarmi neppure come mi chiamo.
II ricorrente, quindi, era a conoscenza delle abitudini della vittima di fare uso massiccio di sostanze stupefacenti al fine di divertirsi nel corso delle serate in discoteca al punto che pochi mesi prima era sopravvissuta per miracolo, intento manifestato allo stesso (OMISSIS) la sera del decesso.
Risulta altresì dai passaggi testuali delle sentenze di merito, in doppia conforme, che l’imputato e la giovane (OMISSIS) abbiano trascorso la serata in discoteca sempre insieme, a consumare ecstasy.
Inoltre, lo stesso ricorrente nel corso degli interrogatori ha riferito di essere a conoscenza degli effetti provocati dall’ecstasy, e, quindi, del rischio maggiore di intossicazione acuta in caso di assunzione di più pasticche di ecstasy in un breve arco temporale, come accaduto.
Escluso in radice che le affermazioni di un terzo – in disparte l’ammissibilità della doglianza che neppure riporta siffatte dichiarazioni rese da (OMISSIS) ritenuto dagli stessi giudici di appello non compos sui, in quanto descritto dai testimoni come un vegetate, a causa della crisi di astinenza – possano superare l’efficacia dimostrativa delle dichiarazioni degli altri testimoni, si osserva che, in tale contesto, del tutto razionalmente la Corte territoriale ha colto nella cessione di pasticche di ecstasy (ben quattro) alla (OMISSIS) a breve distanza di tempo, unitamente alla conoscenza delle abitudini della stessa vittima e delle conseguenze letali derivanti dall’assunzione di ecstasy da parte dello stesso (OMISSIS) la violazione di una regola cautelare di condotta idonea ad integrare la colpa dell’agente e ad imputare a quest’ultimo sul piano psicologico l’evento morte dell’acquirente.
La valutazione espressa dai giudici di merito rispetta l’esigenza di accertare se il (OMISSIS) nel momento della realizzazione della cessione della droga, potesse rappresentarsi, in base ai dati di fatto conosciuti o conoscibili alla stregua dei normali indici sintomatici ai fini dell’individuazione di uno stato soggettivo colpevole, l’evento letale che poi effettivamente si verificò.
Del resto, gli esami tossicologici hanno evidenziato che il decesso dalla (OMISSIS) é stato procurato dall’assunzione massiccia di MOMA, ovvero il principio attivo dell’ecstasy (la vittima aveva nel sangue un tasso di MOMA di 5117 ng/ml, ampiamente superiore al tasso di letalità stimato tra i 400 e gli 800 ng/ml).
Infondato é il motivo di ricorso con il quale si contesta la sussistenza della prova del nesso causale tra la condotta dell’imputato e il decesso della (OMISSIS) omettendo di confrontarsi con la specifica motivazione rassegnata, sul punto, dalla Corte di appello, che ha ricostruito, al pari di quella conforme di primo grado, le circostanze che hanno consentito di affermare che la persona offesa assunse la droga nel corso della serata in discoteca, cedutale dall’odierno ricorrente.
3.5. Sotto altro aspetto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ricorre l’ipotesi di consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, che implica l’irrilevanza penale del fatto, sia nell’ipotesi di acquisto congiunto, che in quella di mandato all’acquisto collettivo ad uno dei consumatori, a condizione che:
–a) l’acquirente sia uno degli assuntori;
–b) l’acquisto avvenga sin dall’inizio per canto degli altri componenti del gruppo;
–c) sia certa sin dall’inizio l’identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anche finanziariamente all’acquisto (Sez. 4, 24102 del 23/03/2018, Verdoscia, Rv. 272961, sulla scia di Sez. U, n. 25401 del 31/01/2013, Galluccio, Rv. 255258).
In siffatta cornice di riferimento, con motivazione nella quale non é data cogliere alcun profilo di illogicità, la Corte territoriale ha escluso l’esistenza dei presupposti individuati dalla giurisprudenza, proprio in considerazione sia del fatto che non era emerso alcun accordo specifico tra l’imputato e la (OMISSIS) (v. p. 11 della sentenza in cui emerge, sulla scorta delte dichiarazioni testimoniali, che nel corso del viaggio in treno da il (OMISSIS) aveva mostrato quattro o cinque pasticche di ecstasy, acquistata ii giorno prima, poi consumate con la (OMISSIS) in discoteca, p. 16 delta sentenza di appello in cui si dà altresì spiegazione delta circostanza che le ulteriori due pasticche di ecstasy acquistate dal (OMISSIS) su incarico della (OMISSIS) non erano destinate ad essere consumate tra i due, giacché la testimone – ha riferito che la sostanza stupefacente é stata direttamente consegnata alla vittima che ne consuma immediatamente una, riponendo l’altra in un pacchetto di sigarette ove venne poi rinvenuta).
In tale contesto, le doglianze espresse in ricorso aspirano ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie preclusa in questa sede.
4. Anche l’ultimo motivo di ricorso, infine, con il quale si contestano le statuizioni civili, é inammissibile.
Sulla condanna al risarcimento dei danni, manca qualsiasi argomentazione critica.
II ricorrente, infatti, si sofferma solamente sul riconoscimento e la misura della provvisionale, dei quali non può, tuttavia, dolersi in questa sede, trattandosi di decisioni di natura discrezionale, meramente delibative e non necessariamente motivate, per loro natura insuscettibili di passare in giudicato e destinate ad essere travolte dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento.
Secondo una risalente pronuncia delle Sezioni unite, “il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nelta liquidazione definitiva, non é impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento” (Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990, dep. 1991, Capelli Rv. 186722).
Trattasi di un orientamento consolidato nella successiva giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486; Sez. 2 n. 49016 del 06/11/2014, Patricola, Rv. 261054), al quale ii Collegio aderisce, espresso anche in tempi piu recenti dalla Suprema Corte (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773; non massimate: Sez. 6, n. 28858 del 03/04/2019, Paggi; Sez. 5, n. 19700 del 05/03/2019, Oleari; Sez. 1, 29845 del 19/06/2018, dep. 2019, Raeli).
5. Al rigetto dell’impugnazione consegue obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento, oltre alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili difese dell’Avv. (OMISSIS) (OMISSIS) che liquida in complessivi euro 7.000,00, oltre accessori di legge e dalle parti civili difese dall’Avv. (OMISSIS) (OMISSIS) che liquida in complessivi euro 7.000,00, oltre accessori di legge.
6. La richiesta di correzione di errore materiale del dispositivo della sentenza di primo grado formulata dalle parti civili (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) con la quale chiedono la condanna di (OMISSIS) al pagamento a titolo provvisionale della somma di 100.000 euro ciascuno, non può trovare accoglimento dal momento che vi é perfetta sintonia tra motivazione e dispositivo della sentenza di primo grado, giacché il giudice di merito specificatamente ha inteso attribuire alle due parti civili la somma complessiva di 100.000 euro.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili difese dell’Avv. (OMISSIS) (OMISSIS) che liquida in complessivi euro 7.000,00, oltre accessori di legge e dalle parti civili difese dall’Avv. (OMISSIS) (OMISSIS) che liquida in complessivi euro 7.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 23/01/2025
Il Consigliere estensore Il Presidente
Francesco Agnino Rosa Pezzullo
Depositato in Cancelleria, oggi 28 febbraio 2025.
Il Cancelliere Esperto
Dr.ssa Sabrina Belmonte