L’obbligo di mantenimento dei figli non viene meno con la detenzione carceraria (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 8 maggio 2024, n. 12478).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

FRANCESCO ANTONIO GENOVESE  Presidente

MARINA MELONI                                Consigliere – Rel.

CLOTILDE PARISE                                Consigliere

LAURA TRICOMI                                  Consigliere

ALBERTO PAZZI                                   Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10966/2023 R.G. proposto da:

(omissis) (omissis), domiciliato rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis);

-ricorrente-

contro

(omissis) (omissis), domiciliata rappresentata e difesa dall’avvocato (omissis) (omissis);

-controricorrente-

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 277/2023 depositata il 06/03/2023.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/02/2024 dal Consigliere dott.ssa MARINA MELONI.

FATTI DI CAUSA

II Sig. (omissis) (omissis) ricorre avanti a questa Suprema Corte avverso la Sentenza n. 277/2023 della Corte di Appello di Catanzaro, Sezione l° Civile, nell’ambito del procedimento recante R.G. n. 1944/2022, depositata in data 06.03.2023 con la quale il Collegio definitivamente pronunciando, sull’appello proposto dal Sig. (omissis) (omissis) ha  confermato la Sentenza n. 1803/2022, depositata il 21.10.2023, dal Tribunale di Cosenza, che così aveva disposto:

1. Addebita a (omissis) (omissis) la già intervenuta pronuncia di separazione tra i coniugi;

2. dispone l’affidamento esclusivo alla madre di (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) rimettendo alla decisione dei minori il ripristino di un rapporto con il padre, compatibilmente allo stato di detenzione di quest’ultimo e secondo le regale proprie del regime detentivo medesimo;

3. pone a carico di (omissis) (omissis) l’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli mediante versamento della somma mensile di euro 400,00 {200,00 per ciascun figlio), oltre rivalutazione annuale secondo gli indici ISTAT;

4. pone a carico di (omissis) (omissis) l’obbligo di contribuire ad eventuali spese straordinarie riguardanti i figli nella misura del 50%;

5. condanna (omissis) (omissis) alla rifusione delle spese e competenze di lite in favore di (omissis) (omissis) che liquida in euro in favore dell’istante la complessiva somma di euro 2.417,50, oltre rimborso forfetario nella misura del 15%, iva se dovuta per legge e cpa, da corrispondersi in favore dell’erario in ragione dell’ammissione della parte vittoriosa al patrocinio a spese dello Stato.

Avverso la Sentenza n. 277/2023, della Corte di Appello di Catanzaro, ha proposto ricorso in cassazione (omissis) (omissis) affidato a due motivi. (omissis) (omissis) resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

I motivi di ricorso sono i seguenti:

“1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 151. c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; inesistenza dei presupposti per l’addebito della separazione.”

Secondo il ricorrente, per la domanda di addebito della separazione personale é da osservarsi il principio generale quello secondo cui il giudice deve verificare, alla stregua delle risultanze acquisite dalla compiuta istruttoria, se siano stati posti in essere da un coniuge ovvero da entrambi comportamenti coscienti e volontari in violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, ex art. 143 c.c., accertando la sussistenza del nesso di causalità tra questi ultimi ed il determinarsi della situazione d’intollerabilità della prosecuzione della convivenza coniugale (cfr. Cass. Civ. Sez. I n. 11922 del 22.05.2009).

La Corte di Appello avrebbe violato e falsamente applicato l’art. 143 c.c. vista che la pronunzia di addebito della separazione non solo presupponeva la violazione dei doveri coniugali, ma anche il nesso causale sulla determinazione specifica della crisi coniugale.

Nel caso di specie, nonostante le condanne penali in atti, da nessuna sentenza si evinceva che i comportamenti penalmente rilevanti abbiano inficiato il rapporto matrimoniale poiché i coniugi, di fatto, erano già da separati da “illo tempore“, seppur ancora “coabitavano” nella medesima casa coniugale.

Nemmeno sarebbe emersa la prova, da statuizione penale, che i coniugi (omissis) (omissis) abbiano interrotto il loro rapporto per le presunte violenze di quest’ultimo.

2. VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DI NORME DIRITTO EX ART. 360 CPC COMMA 1 N. 3 IN RIFERIMENTO ALLA SOSPENSIONE DEGLI OBBLIGHI DI MANTENIMENTO PER IMPOSSIBILITÁ OGGETTIVA E NON SOGGETTIVA – DETENZIONE CARCERARIA.

Risulta circostanza incontestata il fatto che il Sig. (omissis) (omissis) é detenuto presso la casa circondariale di Vibo Valentia e che ivi non presta alcuna attività lavorativa. Trattandosi di fatti non contestati si considerano pacifici ed esonerano l’attore dal fornire qualsiasi prova al riguardo (Cass. Civ. 26859/13; Cass. Civ. 20228/13).

Pertanto, non può che restare sospeso ogni obbligo di mantenimento come ritenuto dalla Suprema Corte di Cassazione con la sent. n. 31561 del 17/07/19, che ha ritenuto, in relazione allo stato di detenzione dell’obbligato, che lo stesso può configurarsi quale scriminante a condizione che il periodo di detenzione coincida con quello dei mancati versamenti e l’obbligato non abbia percepito comunque dei redditi.

In sede di adempimento degli obblighi di pagamento dell’assegno bisogna, infatti, valutare la colpevolezza o meno dell’obbligato in riferimento alla sua situazione oggettiva.

Osserva la Corte che il primo motivo di ricorso è infondato e deve essere respinto.

Invero, le reiterate violenze fisiche e morali inflitte da un coniuge all’altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per se sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanta cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore di esse.

Il loro accertamento esonera il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, al fini dell’adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei (Cass., n. 31351/22, n. 3925/18).

Tali principi, già affermati da questa Corte, vanno in questa sede ulteriormente ribaditi ed enunciati, come criteri guida prevalenti nelle valutazioni relative alle controversie sull’addebitabilità della separazione personale tra coniugi.

Nella specie, alla luce della citata consolidata giurisprudenza di questa Corte, cui il collegio intende dare continuità, l’affermato addebito della separazione é conforme al principi e legittimato dal consumato reato di maltrattamenti da parte del ricorrente, nei confronti di (omissis) (omissis), condotta che non può trovare esimente nella ipotizzata (ed esclusa dal giudice di merito) violazione dell’obbligo di fedeltà realizzato anteriormente, non trattandosi di condotte bilanciabili, come motivato dalla Corte territoriale, per il prevalente ed assorbente disvalore della condotta violenta e prevaricatrice per quanto in ipotesi successiva rispetto alla ipotizzata violazione dell’obbligo di fedeltà.

Inoltre, é inammissibile la censura di inefficacia causale della condotta violenta (nella specie violenze fisiche efferate, verbali e sessuali, vere e proprie condotte criminali plurime e continuate perpetrate verso la moglie alla presenza dei figli minori) rispetto alla presunta cessazione dell’affectio nel rapporto coniugale, atteso che le condotte criminali perpetrate prima della separazione inter partes assumono carattere preminente in quanto consapevolmente tese ad annientare la persona del coniuge rendendo del tutto irrilevante l’esaurirsi pregresso della comunione di vita, assumendo quelle un carattere assorbente e causativo dell’irreparabile fine del matrimonio per l’azione di tendenziale annientamento dell’altra persona (il coniuge), più facilmente raggiungibile e manipolabile, in ragione della prossimità di vita.

II secondo motivo di ricorso é ugualmente infondato.

Infatti, la giurisprudenza menzionata dalla Cassazione penale, con riferimento allo stato di detenzione, non esclude affatto la debenza dell’obbligo contributivo ma pone in discussione soltanto l’accertamento se tutto ciò comporti la scusabilità penale della condotta astrattamente criminosa.

Infatti, come osservato da Cass. Sez. 6, Sentenza n. 41697 del 15/09/2016: “In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’indisponibilità da parte dell’obbligato dei mezzi economici necessari ad adempiere si configura come scriminante soltanto se perdura per tutto il periodo di tempo in cui sono maturate le inadempienze e non é dovuta, anche solo parzialmente, a colpa dell’obbligato (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che lo stato di detenzione dell’obbligato integrasse una causa di forza maggiore idonea a scriminarne l’inadempimento rilevando che tale condizione era a questi imputabile e che, comunque, lo stato detentivo si era protratto per pochi mesi in relazione alla durata di oltre cinque anni del inadempimento).

Anche la più recente pronuncia della Sez. 6 -, Sentenza n. 13144 del 01/03/2022 Ud. (dep. 06/04/2022) afferma che: “In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, lo stato di detenzione dell’obbligato non può considerarsi causa di forza maggiore giustificativa dell’inadempimento, in quanto la responsabilità per l’omessa prestazione non é esclusa dall’indisponibilità dei mezzi necessari, quando questa sia dovuta, anche parzialmente, a colpa dell’obbligato, ma può rilevare ai fini della verifica della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente il dolo, non avendo l’imputato dato prova di aver fatto quanto possibile per fruire, in regime detentivo, di fonti di reddito lavorativo, presentando domanda di lavoro, ed avendo lo stesso la disponibilità di un cespite immobiliare, pur formalmente intestato ad una società estera, di cui non era stata neppure tentata la vendita)”.

Alla luce dei richiamati principi, il ricorso si palesa del tutto infondato in ordine ad entrambi i motivi e deve essere respinto, con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater DPR nr.115 del 30 maggio 2002 ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Dispone altresì che ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n. 196/03, in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, il 15/02/2024.

Il Presidente

Francesco Antonio Genovese

Depositato in Cancelleria l’8 maggio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.