REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. GEPPINO RAGO – Presidente –
Dott. ANNA MARIA DE SANTIS – Consigliere –
Dott. MARIA DANIELA BORSELLINO – Consigliere –
Dott. SANDRA RECCHIONE – Consigliere –
Dott. DONATO D’AURIA – Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
DIMINO ACCURSIO nato a SCIACCA il xx/xx/19xx;
NICOSIA ANTONINO nato a SCIACCA il xx/xx/19xx;
e dal
PROCURATORE GENERALE PRESSO la CORTE di APPELLO di PALERMO
nel procedimento a carico di questi ultimi avverso la sentenza del 29/11/2022 della CORTE di APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DONATO D’AURIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. PIETRO MOLINO, che si è riportato alla requisitoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso avanzato dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Palermo, per l’annullamento della sentenza impugnata con riferimento alla circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis, comma 4, cod. pen. in relazione alla posizione di entrambi gli imputati e per il rigetto nel resto dei ricorsi;
uditi i difensori, avv. (omissis) (omissis), per Dimino Accursio, che dopo breve discussione ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
avv. (omissis) (omissis), in sostituzione degli avv. (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), per Nicosia Antonino, che dopo breve discussione ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Palermo con sentenza del 29/11/2022 – in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo in data 30/3/2021, che aveva condannato tra gli altri Antonino Nicosia e Accursio Dimino per i reati loro ascritti – assolveva il Nicosia dal reato di cui al capo 7), rideterminando la pena e riduceva la pena al Nicosia.
2. Antonino Nicosia, a mezzo dei difensori, ha interposto due distinti ricorsi per cassazione.
2.1 Il ricorso dell’avv. (omissis) (omissis).
2.1.1 Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento alla ritenuta partecipazione al sodalizio di cui all’art. 416-bis cod. pen.
Si osserva sul punto che la Corte territoriale ha valorizzato i) il contenuto delle conversazioni intercorse tra il ricorrente ed il coimputato Accursio Dimino; ii) l’attività svolta dal Nicosia quale assistente parlamentare dell’on. Giuseppina Occhionero, quale esperto della tematica trattamentale carceraria, che gli avrebbe permesso di porre in essere condotte rafforzative dell’associazione mafiosa;
che, sotto il primo profilo, le conversazioni intercettate riguardano la astratta progettazione di fatti mai realizzatisi, alcuni dei quali legati a vicende di carattere personale e non associative;
che, sotto il secondo profilo, il ricorrente agiva come longa manus dell’on. Occhionero, avendo concordato con la parlamentare ogni azione posta in essere, per cui agiva in nome e per suo conto; che, proprio per chiarire detto aspetto, con i motivi di appello era stata richiesta la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, con l’escussione dell’on. Occhionero e dell’avv. (omissis) (omissis), ma che detta richiesta è stata respinta senza adeguata motivazione (unitamente alla sentenza si impugna anche l’ordinanza del 23/6/2022);
che, anche con riferimento alla vicenda Maniscalco, le argomentazioni spese dalla Corte territoriale risultano illogiche, in quanto non tengono conto che Domenico Maniscalco è stato assolto con sentenza irrevocabile dalla contestazione di appartenenza al sodalizio mafioso, né che nel corso della conversazione il ricorrente consiglia all’interlocutore di interrompere i rapporti con Sergio Guicciardi e Leonardo Zinna;
che, dunque, gli elementi utilizzati dai giudici dell’appello non consentono di affermare la permanente disponibilità dell’odierno ricorrente al servizio dell’organizzazione mafiosa, circostanza questa che deve manifestarsi concretamente in una serie di attività delittuose che il partecipe pone in essere in maniera stabile nell’interesse del sodalizio, avendo la condotta partecipativa natura dinamica e funzionale.
2.1.2 Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., con riferimento al reato di cui al capo 6).
Rileva che dal dispositivo della sentenza impugnata risulta che il Nicosia è stato assolto dal reato di cui al capo 7), mentre la sentenza di primo grado è stata confermata con riferimento al reato di cui al capo 6);
che dalla lettura della motivazione, invece, emerge che la Corte territoriale ha ritenuto sussistente il reato di cui al capo 7) e insussistente la condotta contestata al capo 6);
che è pacifico in giurisprudenza che, specie quando la motivazione non è redatta contestualmente, nel contrasto tra dispositivo e motivazione prevalga il primo;
che in ogni caso la motivazione relativa al reato di cui al capo 7) non convince, atteso che tiene conto della concreta attività svolta dal Nicosia, tralasciando il dato formale relativo alla mancata iscrizione all’albo dei giornalisti;
che, infine, con riferimento al reato di cui al capo 6), la motivazione della sentenza impugnata, seppur distonica rispetto al dispositivo, dà atto delle ragioni per le quali il delitto non può dirsi integrato.
2.1.3 Con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 416-bis.1, comma primo, cod. pen., evidenziando che non vi sono agli atti elementi per ritenere che il ricorrente avesse asservito la sua attività di assistente parlamentare alle finalità della consorteria mafiosa, tenuto conto che Maniscalco Domenico è risultato estraneo con sentenza definitiva al sodalizio mafioso.
2.1.4 Con il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen.
Osserva in proposito che la circostanza aggravante in discorso è stata ritenuta sulla scorta di un automatismo, che prescinde da qualsivoglia verifica processuale, una volta provata la condotta di partecipazione all’associazione;
che, invece, è necessario verificare la sussistenza di quei contegni che giustifichino la sussistenza delle aggravanti previste dall’art. 416-bis cod. pen.;
che nel caso di specie nessun elemento consente di dimostrare, nemmeno a livello indiziario, la attuale disponibilità di armi da parte del ricorrente o del coimputato Dimino.
2.1.5 Con il quinto motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 99, comma quarto, cod. pen.
Evidenzia che i giudici di appello hanno ritenuto la recidiva reiterata, nonostante il ricorrente con le precedenti condanne non fosse stato mai dichiarato recidivo e che, in ogni caso, il reato associativo risulta commesso dal 1/1/1999, quando il Nicosia era incensurato, atteso che le altre condanne hanno ad oggetto reati commessi successivamente, circostanza questa che preclude l’applicazione della recidiva reiterata.
2.1.6 Con il sesto motivo lamenta la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 63, comma quarto e 416-bis, comma quarto, cod. pen.
Rileva che la Corte territoriale nella determinazione della pena, dopo l’aumento per la recidiva reiterata, ha effettuato un ulteriore aumento per la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen., in aperta violazione della regola posta dall’art. 63, comma quarto, cod. pen. – che disciplina il concorso tra circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa e quelle ad effetto speciale – in quanto la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen. non rientra tra queste ultime, atteso che non comporta un aumento di pena superiore ad un terzo;
che, dunque, la circostanza dell’essere l’associazione mafiosa armata non può essere assoggettata al cumulo giuridico previsto dall’art. 63, comma quarto, cod. pen.
2.1.7 Con il settimo motivo deduce la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen.
Evidenzia come la Corte territoriale abbia considerato solo i precedenti penali da cui risulta gravato il ricorrente, senza tener conto del comportamento processuale serbato (segnatamente l’essersi sottoposto ad esame all’udienza del 26/5/2022).
2.2 II ricorso dell’avv. (omissis) (omissis).
2.2.1 Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione alla partecipazione all’associazione mafiosa di cui al capo 1).
Rileva che la Corte territoriale ha ritenuto accertata la partecipazione mafiosa del ricorrente per un periodo temporale di oltre venti anni sulla base di sparuti elementi in se stessi non inquadrabili nella condotta penalmente sanzionata di cui all’art. 416-bis cod. pen.;
che la motivazione è del tutto insufficiente e nutrita dalla logica del sospetto, oltre che priva dei passaggi e delle argomentazioni necessarie per consentire il controllo nel successivo grado di giudizio;
che agli atti non vi sono elementi da cui desumere che il ricorrente si sia trovato in rapporto di stabile e di organica compenetrazione nel tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicarne un ruolo dinamico e funzionale al perseguimento dei fini del sodalizio;
che, invero, la profonda fiducia nutrita nei suoi confronti dal coimputato Dimino, le pretese diverse cointeressenze economiche con quest’ultimo, la condivisione di una certa cultura mafiosa, la non meglio identificata partecipazione ad incontri riservati con esponenti di Cosa nostra, peraltro del tutto inesplorati nel contenuto, la maniacale cura per la riservatezza di spostamenti e comunicazioni nulla hanno a che fare con la condotta di partecipazione e con il contributo concreto portato alla vita dell’associazione;
che tale vuoto probatorio non può essere colmato con il riferimento alle visite presso gli istituti carcerari, in molti casi nemmeno compiutamente esplorate;
che in ogni caso tutti gli elementi di fatto ritenuti significativi si collocano negli anni 2028 e 2019, fatta eccezione per la vicenda riguardante tale Domenico Liotta, che risulta comunque del tutto priva di autonoma valenza dimostrativa;
che di conseguenza la retrodatazione della condotta sino all’anno 1999, in difetto di concreti elementi fattuali, definisce solo in apparenza l’epoca di inizio della condotta delittuosa, così integrando la violazione della disciplina di legge sostanziale, atteso che in tema di associazione mafiosa la condotta tipica deve essere provata con puntuale riferimento al periodo temporale considerato nell’imputazione.
2.2.2 Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen.
Osserva che la sussistenza della circostanza aggravante dell’essere l’associazione armata è stata ritenuta con una motivazione per relationem, che rinvia a quanto in precedenza osservato per il coimputato Dimino, tenuto conto della natura oggettiva della stessa;
che dalla motivazione sul punto si desume che la mera notorietà della natura armata della complessiva associazione Cosa nostra, cui parteciperebbe l’imputato, rende configurabile anche in capo a lui l’aggravante di cui si discute;
che, invece, l’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen. si configura a patto che il partecipe abbia la disponibilità di armi e non anche in forza della mera notorietà di tale disponibilità in capo alla complessiva organizzazione;
che nel caso di specie risulta dagli atti che né l’odierno ricorrente, né gli altri imputati con cui ebbe contatti, nel periodo in contestazione utilizzarono armi, né che ne avessero la disponibilità.
2.2.3 Con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 99, comma quarto, cod. pen.
Evidenzia all’uopo come la Corte territoriale abbia errato nel ritenere sussistente la recidiva reiterata, tenuto conto che il Nicosia nelle precedenti sentenze di condanna non è stato mai formalmente dichiarato recidivo;
che, peraltro, nel caso di specie le condanne nei confronti del Nicosia sono state emesse negli anni 2003, 2004 e 2006, dunque, successivamente all’epoca di commissione del reato associativo, che è cristallizzato nella imputazione a far data dal 1999.
2.2.4 Con il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 99 cod. pen.
Rileva in proposito che erroneamente è stata ritenuta la recidiva infraquinquennale, atteso che l’ultimo precedente penale da cui risulta gravato il ricorrente risale al 2006, mentre il reato associativo è contestato «dal 1999 e con condotta perdurante».
2.2.5 Con il quinto motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 63, comma quarto, cod. pen.
Osserva come erroneamente la Corte territoriale abbia considerato circostanza ad effetto speciale quella di cui all’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen., pur non prevedendo tale circostanza aggravante un aumento della pena superiore ad un terzo;
che più correttamente avrebbe dovuto determinare la pena prevista per la circostanza indipendente di cui all’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen. e poi effettuare l’aumento per la circostanza ad effetto speciale di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen.
2.2.6 Con il sesto motivo lamenta la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., ancora in relazione all’art. 63, comma quarto, cod. pen., evidenziando come l’aumento di un terzo effettuato dai giudici di appello per la circostanza di cui all’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen. non risulta motivato;
che l’aumento previsto nel caso di concorso di più circostanze ad effetto speciale è facoltativo, ma va comunque motivato sia in relazione alle ragioni per le quali ritenga di operarlo sia in relazione alla misura dell’aumento;
che nel caso di specie il generico riferimento alla «dedizione alla causa mafiosa per un considerevole lasso temporale» non è sufficiente a far ritenere assolto l’onere motivazionale.
2.2.7 Con il settimo motivo deduce la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 62-bis, 132 e 133 cod. pen.
Rileva che, pur applicando al Nicosia il minimo della pena edittale, non sono state poi riconosciute le circostanze attenuanti generiche, nonostante la circostanza per cui gli artt. 132 e 133 cod. pen., che presiedono alla determinazione della pena, valgano a delineare anche gli elementi che fondano il riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62-bis cod. pen.;
che, dunque, sul punto la motivazione è contraddittoria.
3. Accursio Dimino, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo con il primo motivo la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 416-bis cod. pen., nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Osserva che manca agli atti la prova dell’elemento oggettivo del reato, l’assenza della forza di intimidazione e la condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, tenuto conto che la non praticabilità effettiva della “condotta parlata” e mai posta in essere rende impossibile individuare la capacità intimidatoria del duo Dimino-Nicosia, con il rischio di una evanescenza dell’elemento oggettivo del reato;
che l’aver conversato con il coimputato, non giudicato mafioso prima di oggi, non è indice della pressione derivante dal vincolo associativo e, in assenza del compimento di specifici atti di intimidazione, nemmeno può ritenersi configurato il metodo mafioso;
che non è dato comprendere quale sia stato il concreto contributo causale in cui si è estrinsecata la partecipazione all’associazione, atteso che il semplice apprezzamento di valori negativi del sodalizio o quello per il capo dello stesso non è suscettibile di integrare il delitto in esame;
che la condotta di partecipazione all’associazione, per essere punibile, non può esaurirsi in una manifestazione positiva di volontà del singolo di trattare argomenti inerenti un sodalizio che si è già formato;
che, in conclusione, nel caso di specie si tratta di mafia millantata, non integrante gli elementi della condotta oggettiva di cui all’art. 416-bis cod. pen.
3.1 Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 81, comma secondo e 99, comma quarto, cod. pen.
Evidenzia che la Corte territoriale, ritenuto più grave il reato associativo per cui si procede, ha effettuato gli aumenti per la continuazione con altri reati, tra i quali anche due reati associativi già giudicati;
che, dunque, i giudici di appello hanno tratto la prova della mafiosità del Dimino da precedenti condanne per il delitto associativo, che sono poi state tramutate in reati satellite;
che delle due l’una: o il Dimino è associato a Cosa nostra da tempo remoto ovvero è fuoriuscito dall’organizzazione mafiosa per poi farvi nuovamente rientro;
che, in altri termini, la Corte territoriale, una volta riconosciuto più grave il reato associativo per cui si procede, non avrebbe dovuto effettuare gli aumenti per le altre condanne definitive relative allo stesso reato, pena la violazione del principio del ne bis in idem;
che, dunque, la militanza in Cosa nostra del ricorrente non può essere conteggiata aritmeticamente due volte, prima come reato più grave, poi come reato satellite;
che, infine, altra criticità è costituita dall’aumento effettuato sulla pena base per la recidiva reiterata specifica, che comporta che i precedenti per il reato associativo siano stati fonte di un ulteriore aumento di pena.
4. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo ha proposto ricorso per cassazione, eccependo il difetto di motivazione con riferimento alla pronuncia di assoluzione dal reato di cui al capo 6).
Rileva come la Corte territoriale abbia apoditticamente affermato l’esistenza di un rapporto professionale tra il Nicosia e l’on. Giuseppina Occhionero, stabile e continuativo, tale da escludere la sussistenza del reato di cui al capo 6);
che ciò i giudici di appello hanno desunto dal fitto scambio di corrispondenza tra i due e tra il Nicosia e la segreteria politica della deputata;
che, tuttavia, agli atti non emerge affatto l’esistenza di detta corrispondenza, per cui evidente è il travisamento degli atti processuali in cui è incorsa la Corte territoriale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi proposti nell’interesse di Antonino Nicosia sono fondati nei limiti che seguono; quello proposto da Accursio Dimino è inammissibile, così come quello del Procuratore Generale.
2. Il ricorso proposto dall’avv. (omissis) (omissis).
2.1 II primo ed il terzo motivo non sono consentiti, in quanto costituiti da mere doglianze di fatto, tutte finalizzate a prefigurare una rivalutazione alternativa delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità.
Peraltro, entrambi i motivi sono reiterativi di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti e all’interpretazione del materiale probatorio già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale.
Va, poi, evidenziato che la sentenza di appello oggetto di ricorso in relazione alla affermazione della responsabilità degli imputati costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Giudice dell’udienza preliminare, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sezione 2, n. 6560 del 8/10/2020, Capozio, Rv. 280654 – 01).
Tanto premesso, si osserva che la modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge n. 46 del 2006, non consente alla Corte di legittimità di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali possa essere dedotta sotto lo stigma del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sezione 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217 – 01; Sezione 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099 – 01; Sezione 4, n. 35683 del 10/07/2007, Servidei, Rv. 237652 – 01).
Questa Corte, infatti, con orientamento (Sezione 2, n. 5336 del 9/1/2018, L., Rv. 272018 – 01; Sezione 6, n. 19710 del 3/2/2009, Buraschi, Rv. 243636 – 01) che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza della c.d. “doppia conforme”, ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l’affermazione di responsabilità in ordine al reato associativo e la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.), il vizio di travisamento della prova possa essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado.
In altri termini, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte (Sezione 2, n. 9106 del 12/2/21, Caradonna, Rv. 280747 – 01; Sezione 6, n. 5465 del 4/11/2020, F., Rv. 280601 – 01), il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia:
a) “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;
b) non “manifestamente illogica”, ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;
c) non internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;
d) non logicamente “incompatibile” con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione (nell’affermare tale principio, la Corte ha precisato che il ricorrente, che intende dedurre la sussistenza di tale incompatibilità, non può limitarsi ad addurre l’esistenza di “atti del processo” non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione o non correttamente interpretati dal giudicante, ma deve invece identificare, con l’atto processuale cui intende far riferimento, l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione adottata dal provvedimento impugnato, dare la prova della verità di tali elementi o dati invocati, nonché dell’esistenza effettiva dell’atto processuale in questione, indicare le ragioni per cui quest’ultimo inficia o compromette in modo decisivo la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione).
2.1.1 Non è dunque sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante e con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità, né che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante.
Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento.
È, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.
Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti “atti del processo”.
2.1.2 Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza della “resistenza” logica del ragionamento del giudice.
Al giudice di legittimità resta, invero, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.
Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispettino sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.
Può quindi affermarsi che, anche a seguito delle modifiche dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) ad opera dell’art. 8 della L. n. 46 del 2006, «mentre non è consentito dedurre il travisamento del fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità si sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, è invece, consentito dedurre il vizio di travisamento della prova, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano» (Sezione 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215 – 01).
2.1.3 Pertanto, il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può quindi estendersi all’esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa.
Né il giudice di legittimità può trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo l’argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto e all’esigenza della completezza espositiva (Sezione 6, n. 40609 del 01/10/2008, Ciavarella, Rv. 241214 – 01).
2.1.4 Nel caso di specie, la Corte territoriale ha risposto punto per punto alle doglianze avanzate dalla difesa (riportate analiticamente alle pagine 33-39), specificando che se, da un lato, «la struttura dell’atto di appello mira, essenzialmente, a fornire diverse chiavi di lettura dei singoli episodi ricostruiti dal primo Giudice, evidenziando come gli stessi potrebbero trovare spiegazioni diverse da quelle individuate in sentenza», dall’altro, «il Giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi»; ha ritenuto che la difesa non si fosse confrontata con «la formidabile portata indiziante degli stessi episodi se globalmente considerati» e che nelle conversazioni intercorse con il coimputato Accursio Dimino – nel corso delle quali si programma anche il compimento di gravi reati – i riferimenti agli interessi mafiosi appaiono macroscopici ed inequivocabili;
che in ogni caso l’effettivo compimento dei reati fine non è condizione necessaria del delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen.;
che le visite eseguite presso diverse carceri italiane vanno lette alla luce degli altri elementi di prova (stretti legami con il Dimino, cointeressenze di natura economica oltre che di cultura mafiosa, partecipazione a riunioni con elementi di spicco dell’associazione mafiosa, progettazione di gravi atti di intimidazione), oltre che del contenuto delle conversazioni intercettate, anche a ridosso delle visite; che gli incontri avvenuti con i mafiosi detenuti – esaminati analiticamente uno per uno – erano funzionali a mantenere i contatti tra i sodali detenuti con ruoli apicali e quelli liberi;
che a ciò non era di ostacolo la presenza della parlamentare Occhionero o delle guardie penitenziarie (la motivazione, assolutamente adeguata, si trova alle pagine 64 e 65), come emerge dal contenuto di alcune conversazioni intercettate, puntualmente indicate nella sentenza;
che, quanto alla richiesta di riapertura dell’istruttoria, la stessa è stata ritenuta assolutamente non decisiva, non essendo in discussione che il Nicosia abbia anche svolto attività politica e sociale, quanto il fatto che detta attività sia stata asservita agli interessi della consorteria; che, quanto alla circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., la stessa deve ritenersi sussistente in ragione del fatto che il reato di falso è stato commesso al fine di agevolare l’associazione mafiosa denominata Cosa nostra, come si desume dai temi di rilevanza associativa trattati nel corso delle visite;
che, con specifico riferimento alla visita ispettiva finalizzata ad incontrare Domenico Maniscalco, in odore di pentimento, assume significato il preventivo incontro con Simone Mangiaracina, al quale erano state chieste informazioni in ordine alla condotta carceraria tenuta dal Maniscalco.
Ebbene, a fronte di una motivazione congrua, analitica ed esaustiva, del tutto esente da qualsivoglia vizio logico, la difesa si è limitata a riproporre doglianze, già avanzate ai giudici di appello, con le quali ha continuato nell’opera di parcellizzazione del materiale probatorio ed ha cercato di fornire una lettura in fatto alternativa a quella fatta propria dai giudici di entrambi i gradi di merito.
2.2 Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Invero, si rileva il denunciato contrasto tra il dispositivo e la motivazione, atteso che, mentre la motivazione della sentenza emessa dalla Corte territoriale ritiene insussistente il reato di cui al punto 6), il dispositivo riporta invece la pronuncia di assoluzione in relazione al reato di cui al capo 7), rispetto al quale la motivazione ha confermato la sentenza di condanna di primo grado. Trattasi di evidente errore materiale, di un palese lapsus calami.
Come è stato autorevolmente sostenuto, l’errore materiale «consiste, nella sostanza, nel frutto di una svista, di un lapsus espressivo, da cui derivano il divario tra volontà del giudice e materiale rappresentazione grafica della stessa e difformità tra il pensiero del decidente e l’estrinsecazione formale dello stesso, senza alcuna incidenza sul processo cognitivo e valutativo da cui scaturisce la decisione» (Sezioni Unite n. 16103 del 27/3/2002, Basile).
In tutti questi casi, è stato affermato che la correzione dell’errore materiale «non si pone come (inammissibile) rimedio ad un vizio della volontà del giudice o ad un suo errore di giudizio, ma è soltanto lo strumento per eliminare la disarmonia tra quanto emerge dal percorso logico argomentativo seguito nella motivazione ed il dispositivo.
Dunque, la correzione non incide, modificandolo, né sul processo volitivo o valutativo del giudice, né sulla sua decisione di interpretazione che, anche se errata, sia stata posta a fondamento della pronuncia finale sul thema decidendum» (Sezioni Unite n. 7945 del 31/1/2008, Boccia, Rv. 238426 – 01).
Tanto premesso, si osserva che è vero che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza va risolto nel senso della prevalenza del primo (che è l’atto con il quale si estrinseca la volontà del giudice), sulla seconda, che ha solo una funzione strumentale (tra le tante, Sezione 6, n. 19851 del 13/4/2016, Mucci, Rv. 267177 – 01; Sezione 2, n. 25530 del 20/5/2008, Laini, Rv. 240649 – 01); che, tuttavia, è altrettanto vero che detto principio è stato progressivamente attenuato sul rilievo che la regola generale secondo cui, in caso di difformità, il dispositivo prevale sulla motivazione della sentenza incontra una deroga nel caso in cui l’esame della motivazione stessa consenta di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente il procedimento seguito dal giudice, sì da condurre alla conclusione che la divergenza dipende da un errore materiale, obiettivamente riconoscibile, contenuto nel dispositivo.
Difatti, la sentenza ha un carattere unitario nell’ambito del quale dispositivo e motivazione si integrano a vicenda, concorrendo a rendere comprensibile la volontà del giudice; ciò comporta che, se la divergenza dipende, come nel caso di specie, da un errore materiale, obiettivamente riconoscibile, contenuto nel dispositivo, il contrasto si rivela solo apparente ed è legittimo il ricorso alla motivazione per chiarire l’effettiva portata del dispositivo (Sezione 2, n. 35424 del 13/7/2022, Raimondi, Rv. 283516 – 01; Sezione feriale, n. 35516 del 19/8/2013, Liuni, Rv. 257203 – 01; Sezione 3, n. 19462 del 20/2/2013, Dong, Rv. 255478 – 01; Sezione 1, n. 4055 del 4/12/2012, Mancini, Rv. 254218 – 01; Sezione 4, n. 40796 del 18/9/2008, Marchetti, Rv. 241472 – 01).
Nel caso oggetto di scrutinio è evidente il lapsus calami in cui è incorsa la Corte territoriale nella stesura del dispositivo, atteso che, mentre quest’ultimo pronuncia sentenza assolutoria con riferimento al reato di cui al capo 7), la motivazione, in maniera chiara, che non dà adito a dubbi (pagine 67 e segg.), ha confermato la sentenza di condanna di primo grado con riferimento al reato di cui al capo 7), mentre ha ritenuto insussistente il reato di cui al capo 6), circostanza quest’ultima esplicitamente affermata a pagina 73 in occasione della rideterminazione della pena («tenendosi conto dell’intervenuta assoluzione dal delitto contestato al capo 6)», si legge testualmente).
Tale errore può essere corretto dal Collegio – nel senso che dove si legge “capo 7)” dovrà leggersi “capo 6)” – in presenza di tutti gli elementi necessari contenuti nel corpo della sentenza per adeguare il dispositivo alla motivazione.
2.2.1 Quanto alla doglianza relativa alla mancanza del presupposto per la configurazione del reato di cui al capo 7), individuato dalla difesa nella circostanza per cui il Nicosia non è iscritto all’albo dei giornalisti, osserva il Collegio che la motivazione della sentenza impugnata sul punto è corretta, oltre che esaustiva, in quanto evidenzia che la norma fa riferimento anche ad «altra attività attinente», nella quale rientra certamente l’attività di chi – come il ricorrente – è impegnato nel settore dell’informazione e della comunicazione, riguardanti temi di attualità politica e sociale.
2.3 II quarto motivo è manifestamente infondato.
Ed invero, il Collegio intende dare continuità al consolidato orientamento, secondo il quale, in tema di associazioni di tipo mafioso storiche (nella specie, Cosa nostra), per la configurabilità dell’aggravante della disponibilità di armi, non è richiesta l’esatta individuazione delle stesse, ma è sufficiente l’accertamento, in fatto, della disponibilità di un armamento, desumibile anche dalle risultanze emerse nella pluriennale esperienza storica e giudiziaria, essendo questi elementi da considerare come utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori (Sezione 2, n. 22899 del 14/14/2022, Seminara, Rv. 284761 – 01, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto che, nel caso in cui l’associazione contestata sia storicamente riconducibile a Cosa nostra, il riferimento alla stabile dotazione di armi costituisce un fatto notorio).
In altri termini, in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, la circostanza aggravante della disponibilità di armi, prevista dall’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen., è configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa, per l’accertamento della quale assume rilievo anche il fatto notorio della stabile detenzione di tali strumenti di offesa da parte del sodalizio mafioso (Sezione 2, n. 50714 del 7/11/2019, Caputo, Rv. 278010 – 01; Sezione 6, n. 32373 del 4/6/2019, Aiello, Rv. 276831 – 02, che, in applicazione di tale principio, in relazione alla riconosciuta esistenza di un’associazione autonoma, formata da cellule “locali” di ‘ndrangheta federate, ha ritenuto che, ai fini della ravvisabilità dell’anzidetta aggravante, sia necessario fare riferimento al sodalizio nel suo complesso, prescindendo dallo specifico soggetto o dalla specifica cellula “locale” che abbia la concreta disponibilità delle armi).
Nel caso di specie deve aggiungersi che per l’associazione mafiosa in discorso già due sentenze passate in giudicato hanno accertato la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen. e non risultano elementi da cui desumere una sopravvenuta indisponibilità di armi in capo a Cosa nostra.
2.4 n quinto motivo è infondato.
Ed invero, quanto al primo profilo, osserva il Collegio che recentemente le Sezioni Unite di questa Corte (n. 32318 del 30/3/2023, Sabbatini, Rv. 284878 – 01) hanno avuto cura di affermare che, in tema di recidiva reiterata contestata nel giudizio di cognizione, ai fini della relativa applicazione è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice.
Quanto al secondo profilo, è sufficiente osservare che la condotta associativa è contestata dal 1999 con condotta perdurante, di talchè in tale arco temporale si collocano le altre condanne, che dunque risultano precedenti.
2.5 II sesto motivo coglie nel segno, atteso che la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen. non rientra tra quelle ad effetto speciale, atteso che non comporta un aumento di pena superiore ad un terzo.
La Corte territoriale più correttamente, dopo aver individuato la pena prevista per il reato associativo aggravato dall’essere il sodalizio armato, avrebbe dovuto effettuare l’aumento per la circostanza aggravante speciale di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen.
Orbene, avendo tutti gli elementi a disposizione, il Collegio può procedere a calcolare la pena secondo i parametri utilizzati dal giudice di appello, fissando la pena base nel minimo edittale previsto dall’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen., pari ad anni dodici di reclusione (applicata la normativa vigente in considerazione della permanenza contestata all’attualità), aumentata per la recidiva contestata alla pena di anni venti di reclusione, ulteriormente aumentata per la continuazione con il reato di cui al capo 7) alla pena di anni venti mesi tre giorni dieci di reclusione, ridotta infine per la scelta del rito alla pena di anni tredici mesi sei giorni sei di reclusione.
2.6 L’ultimo motivo, relativo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato.
Sul punto, è sufficiente evidenziare che tale statuizione è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità – avendo la Corte territoriale confermato il negativo giudizio di personalità effettuato dal giudice di prime cure, in considerazione dei plurimi precedenti penali da cui il Nicosia risulta gravato, anche specifici – con la conseguenza che è insindacabile in cassazione (Sezione 3, n. 2233 del 17/6/2021, Bianchi, Rv. 282693 – 01; Sezione 5, n. 43952 del 13/4/2017, Pettinelli, Rv. 271269 – 01; Sezione 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163 – 01; Sezione 6, n. 42688 del 24/9/2008, Caridi, Rv. 242419 – 01).
Del resto, è ormai pacifico il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sezione 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02; Sezione 5, n. 43952/20017 cit.; Sezione 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899 – 01; Sezione 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).
3. Il ricorso proposto dall’avv. (omissis) (omissis).
3.1 II primo motivo non è consento, atteso che le doglianze mirano ad una rivalutazione del compendio probatorio, di cui si offre una lettura alternativa, preclusa in sede di legittimità. Sul punto, si rinvia alle articolate considerazioni svolte al punto 2.1.
Resta solo da aggiungere che il motivo, con riferimento alla contestazione, segnatamente al tempus commissi delicti (assume, invero, la difesa che gli elementi di fatto ritenuti significativi della partecipazione del Nicosia al sodalizio mafioso si collocano negli anni 2028 e 2019, fatta eccezione per la vicenda riguardante Domenico Liotta, che risulta comunque del tutto priva di autonoma valenza dimostrativa), risulta generico, non essendo esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici, rispetto alle ragioni poste a fondamento della decisione impugnata.
Nel caso di specie, invero, la doglianza si limita ad una mera asserzione, senza che siano esplicitate le ragioni sottese.
Sotto diverso profilo, peraltro, il motivo in parte qua risulta, altresì, aspecifico, in quanto solo apparentemente si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato, che spiega compiutamente l’importanza dell’episodio (l’imposizione al soggetto che doveva eseguire alcuni lavori pubblici dei fornitori del materiale edile e l’affermazione della “competenza territoriale” della famiglia di Sciacca in relazione a quei lavori, con esclusione dei sodali di Sambuca di Sicilia), che prova il pieno inserimento del Nicosia nel sodalizio in contestazione già dai primi anni 2000.
3.2 Il secondo motivo è manifestamente infondato per le ragioni esposte al punto 2.3, cui integralmente – per evitare inutili ripetizioni – si rimanda.
3.3 II terzo motivo è infondato per le ragioni esplicitate al punto 2.4, cui per brevità si rinvia.
3.4 Il quarto motivo è inammissibile, atteso che manca qualsivoglia interesse concreto: è stata correttamente contestata la recidiva reiterata specifica, con la conseguenza che, se pure dovesse essere esclusa la recidiva infraquinquennale, alcun beneficio deriverebbe in termini di pena.
3.5 II quinto motivo è fondato per le ragioni indicate al punto 2.5, cui per economia si rinvia, in esso assorbito il sesto motivo.
3.6 Manifestamente infondato è il settimo motivo.
Invero, non si ravvisa contraddizione nel mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche – in ragione dei plurimi ed anche gravi precedenti penali da cui il ricorrente risulta gravato – e l’individuazione della pena nel minimo edittale, dovuta alla severità della pena edittale.
Del resto, le statuizioni relative al quantum della pena, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione (Sezione 2, n. 36104 del 27/4/2017, Mastro, Rv. 271243 – 01), tale dovendo ritenersi quella dell’impugnata sentenza che, come si è evidenziato, ha stimato decisivo l’elevato rigore delle pene edittali, optando per quella edittale minima.
Dunque, in tema di dosimetria della pena, per costante giurisprudenza non vi è margine per il sindacato di legittimità quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge ed ai canoni di logica, in aderenza ai principi enunciati dagli artt. 132 e 133 cod. pen.
4. Il ricorso di Accursio Dimino è inammissibile.
4.1 Il primo motivo non è consentito dalla legge, perché aspecifico.
Va, innanzitutto, ribadito che la sentenza impugnata, costituendo una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, va letta congiuntamente a quella di primo grado, costituendo un unicum (Sezione 2, n. 6560/2020 cit.).
Ciò posto, ribadisce il Collegio che la Corte territoriale ha con motivazione congrua, diffusa ed esaustiva, oltre che scevra da vizi logici, dato conto dei motivi per cui ha ritenuto di dover confermare il giudizio di penale responsabilità espresso dal Giudice dell’udienza preliminare.
Ebbene, il ricorrente non si confronta con le ampie ragioni esplicitate nella sentenza impugnata da pagina 11 a pagina 25, limitandosi a riproporre pedissequamente le stesse questioni avanzate con l’appello.
Orbene, la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce, tale revisione critica si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità, debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Contenuto essenziale del ricorso in cassazione è, pertanto, il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento oggetto di impugnazione (per tutte, Sezioni Unite, n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822 – 01).
Il motivo di ricorso in cassazione è, infatti, caratterizzato da una duplice specificità, dovendo contenere l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell’impugnazione e contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, deducendo, in modo analitico, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen, alla inammissibilità della impugnazione (Sezione 6, n. 23014 del 29/4/2021, B., Rv. 281521 – 01; Sezione 2, n. 42046 del 17/07/2019, Botartour Sami, Rv. 277710 – 01; Sezione 2, n. 45958 del 21/10/2022, Bocchino, non massimata).
Risulta, pertanto, di chiara evidenza che, se il ricorso si limita, come nel caso oggetto di scrutinio, a riprodurre il motivo di appello, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso, posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento impugnato, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato.
Rileva il Collegio che nel caso di specie la Corte territoriale, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, ha evidenziato come tutte le conversazioni telefoniche e tra presenti intercettate militassero congiuntamente nell’indicare il Dimino ancora stabilmente inserito nel sodalizio mafioso cui partecipava dal 1990, come risulta inequivocabilmente accertato da ben due sentenze passate in giudicato;
che, in tema di associazione mafiosa, la prova del permanere dell’adesione al sodalizio di un soggetto già condannato per lo stesso reato può essere tratta anche dal contenuto delle conversazioni intercettate, che siano indicative del suo coinvolgimento nelle dinamiche criminali della associazione, citando sul punto un arresto di legittimità;
che dai dialoghi intercettati emerge un ruolo del tutto attuale del ricorrente, anche con riferimento al periodo temporale delle operazioni di captazione, atteso che accanto a vicende criminali pregresse le conversazioni hanno ad oggetto anche questioni attuali, atti di intimidazione da porre in essere e progetti futuri;
che plurime sono che non rileva ai fini della configurabilità del reato associativo la circostanza per cui i reati fine non risultino realizzati;
che non è per nulla verosimile che si tratti di azioni millantate, posto che sarebbe del tutto insensato che un soggetto del calibro criminale del Dimino, che più volte manifesta il timore di essere intercettato (che il ricorrente avesse siffatta preoccupazione emerge in maniera palese dagli atti, tenuto conto del continuo cambio di schede telefoniche), parli poi in libertà di azioni intimidatorie e di attentati solo per millanteria.
Tale motivazione – con la quale il ricorrente non si confronta, ignorandola – per essere immune da vizi logici non è censurabile in questa sede.
4.2 Manifestamente infondato è anche il secondo motivo. Invero, alcuna violazione del principio del ne bis in idem può ravvisarsi nel caso di specie, tenuto conto che la sentenza di condanna interrompe il reato permanente, per cui la condotta successiva realizza un nuovo reato (Sezione 2, n. 35419 del 11/6/2010, Ferrara, Rv. 248301 – 01) e che l’aumento per la recidiva trova giustificazione nella maggiore pericolosità del reo.
4.3 Va a questo punto evidenziato che la Corte territoriale, anche con riferimento alla posizione del Dimino, è incorsa nello stesso errore nella determinazione della pena commesso per il Nicosia, atteso che ha individuato la pena base nel minimo edittale previsto per la partecipazione all’associazione di cui all’art. 416-bis cod. pen., ha poi effettuato l’aumento per la recidiva qualificata di cui al comma quarto dell’art. 99 cod. pen. e ha ulteriormente aumentato la pena per la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen. Si rinvia in proposito alle considerazioni svolte al punto 2.5..
Orbene, pur non essendo stata dedotta tale violazione di legge con i motivi di ricorso, ritiene il Collegio che nel caso di specie debba operare il principio dell’effetto estensivo dell’impugnazione – scolpito nell’art. 587, comma 1, cod. proc. pen. per l’ipotesi in cui più persone concorrano nello stesso reato ed il motivo di impugnazione di uno dei coimputati non sia esclusivamente personale – sub specie della estensione degli effetti della sentenza.
Si tratta di un istituto che nell’ambito di processi plurisoggettivi mira per un verso ad evitare il conflitto tra giudicati (Sezioni Unite, n. 3391 del 26/10/2017, Visconti, in motivazione; da ultimo, Sezione 4, ord. n. 46202 del 2/10/2013, Serio, Rv. 258156 – 01) e per altro verso ad assicurare identità di trattamento a soggetti che versino in situazioni giuridiche, sostanziali o processuali, eguali o interdipendenti (Sezioni Unite, n. 3391/2017 cit., in motivazione; Sezione 5, n. 633 del 6/12/2017, Boschetti, Rv. 271927 – 01; Sezione 1, n. 15288 del 24/3/2005, Manzi, Rv. 231242 – 01), tutte le volte in cui il motivo di impugnazione non sia esclusivamente personale, ma si riferisca, anche parzialmente, a circostanze obbiettive comuni al soggetto impugnante ed ai coimputati.
In altri termini, il principio dettato dall’art. 587 cod. proc. pen. consente l’estensione all’imputato non impugnante sul punto degli effetti favorevoli derivanti dall’accoglimento del motivo di natura oggettiva dedotto dal coimputato (Sezione 2, n. 22903 del 1/2/2023, Bastioli, Rv. 284727 – 05; Sezione 6, n. 21739 del 29/1/2016, Tarantini, Rv. 266917 – 01).
Invero, secondo la giurisprudenza di legittimità, deve considerarsi non ricorrente anche il coimputato presente nel giudizio di cassazione che non abbia impugnato il punto della decisione annullata in accoglimento dei motivi non esclusivamente personali proposti da altro coimputato (Sezione 2, n. 4159 del 12/11/2019, Germinario, Rv. 278226 – 01).
In tal modo, si realizza un ampliamento della sfera soggettiva del devoluto, nel senso che la domanda estensibile attrae nell’alveo del relativo perimetro decisorio anche le posizioni soggettive estranee a quella domanda, ma attingibili dai relativi effetti positivi (l’istituto opera solo in favor, come si ricava dalla espressone «giova», che all’evidenza esplica il fine – ed il limite – dell’istituto, che, come si è accennato, è anche quello di impedire che si realizzi un contrasto tra giudicati endoprocessuali).
Così, solo a titolo esemplificativo e per quel che qui interessa con riferimento alle regole che presidiano al trattamento sanzionatorio, sono stati ritenuti motivi oggettivi dalla giurisprudenza di legittimità: quello concernente la violazione dell’art. 81 cod. pen. (Sezione 6, n. 7938 del 21/3/1995, Roccia, Rv. 202162 – 01), quello relativo alla mancata applicazione della diminuente prevista per il rito abbreviato non ammesso nel giudizio di primo grado (Sezione 2, n. 3750 del 24/1/2013, Ferrante, Rv. 254549 – 01; Sezione 4, n. 45496 del 14/10/2008, Capraro, n. m.), quello inerente alla applicazione della nuova pena indicata dai ricorrenti, a norma dell’art. 3 della legge n. 14 del 1999, in relazione alla diversa qualificazione giuridica del fatto- reato loro ascritto (Sezione 6, n. 11394 del 5/2/2003, Rossitto, Rv. 224267 – 01; Sezione 1, n. 1475 del 7/5/1999, Freda, Rv. 213507 – 01).
Alla luce delle premesse poste, allora, tornando al caso di specie, deve affermarsi che la decisione di annullamento della sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio, a seguito della specifica doglianza del Nicosia, giova anche al Dimino, che non ha dedotto quella violazione di legge.
Ed invero, deve osservarsi che entrambi gli imputati concorrono nello stesso reato associativo e che il motivo in punto di criteri di determinazione della pena, comune ai due ricorsi del Nicosia, è per così dire depurato da riferimenti personali, attingendo il profilo oggettivo delle regole che presidiano il calcolo della pena in presenza di più circostanze aggravanti, situazione questa che ricorre in maniera del tutto sovrapponibile anche con riferimento alla posizione del Dimino.
Non viene posta, dunque, una questione di merito, in relazione al quantum della pena irrogata con riferimento alla posizione personale del ricorrente, né viene in rilievo il potere discrezionale del giudice nella irrogazione della pena, perché la doglianza attinge la violazione della legge sostanziale che disciplina il calcolo della pena, verificatasi in modo analogo per entrambi i concorrenti nel reato associativo.
Detto altrimenti, la corretta applicazione delle regole sul calcolo della pena rappresenta una quaestio che, in presenza – come nella specie – di presupposti comuni a più posizioni processuali, pur se ritualmente proposta da un solo ricorrente, si estende anche nei confronti del coimputato non ricorrente sul punto, che si trovi in una identica situazione processuale, considerata la dimensione “sostanziale” che la regola del concorso delle circostanze aggravanti di cui all’art. 63, comma quarto, cod. pen. assume per tutti i coimputati. In conclusione, deve essere affermato il seguente principio di diritto: «La censura relativa all’applicazione delle regole sul calcolo della pena è motivo di impugnazione non esclusivamente personale e, quindi, se accolto, è estensibile ai coimputati concorrenti nello stesso reato che non lo abbiano proposto».
4.4 Anche con riferimento alla posizione del Dimino, dunque, avendo tutti gli elementi a disposizione, il Collegio può procedere a rideterminare la pena secondo i parametri utilizzati dal giudice di appello, fissando la pena base nel minimo edittale previsto dall’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen., pari ad anni dodici di reclusione (applicata la normativa vigente in considerazione della permanenza contestata all’attualità), aumentata per la recidiva contestata alla pena di anni venti di reclusione, ridotta per la scelta del rito alla pena di anni tredici mesi quattro di reclusione.
Alla pena così rideterminata devono aggiungersi gli aumenti per la continuazione con i reati già giudicati con sentenza irrevocabile, segnatamente i) anni due di reclusione per il delitto di associazione mafiosa di cui alla sentenza del Tribunale di Sciacca del 16/7/1996, anni uno mesi otto di reclusione per il delitto di associazione mafiosa di cui alla sentenza della Corte di appello di Palermo del 22/1/2015, iii) giorni quindici di reclusione per il delitto di detenzione illegale di armi di cui alla sentenza del Tribunale di Sciacca del 16/7/1996, iiii) giorni quindici di reclusione per il delitto di falsità ideologica di cui alla sentenza del Tribunale di Sciacca del 8/1/2003, nin) giorni quindici di reclusione per il delitto di truffa di cui alla sentenza del Tribunale di Sciacca del 8/1/2003, mi,,) mesi uno giorni quindici di reclusione per il delitto di danneggiamento seguito da incendio di cui alla sentenza della Corte di appello di Palermo del 22/1/2015, giungendo in tal modo alla pena finale di anni diciassette e mesi tre di reclusione.
5. Il ricorso del Procuratore generale è inammissibile, atteso che l’unico motivo cui è affidato non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato.
Invero, la Corte territoriale ha fondato la sentenza di assoluzione del Nicosia in relazione al reato di cui al capo 6) non solo sul fitto scambio di corrispondenza intercorso tra l’odierno ricorrente e l’on. Occhionero ovvero tra il Nicosia e la segreteria politica della parlamentare, di cui effettivamente non vi è traccia agli atti, ma anche sulle risultanze della attività di captazione relativa al periodo anteriore al 1/1/2019, dunque, precedente alla formalizzazione del rapporto (pag. 69).
Effettivamente, dalle conversazioni intercettate (significativa è quella del 4/1/2019 tra il Nicosia e tale Pippo Bono) e dagli accertamenti di polizia giudiziaria ad esse conseguiti, riportati anche nella sentenza di primo grado, emerge che già nel dicembre 2018 il rapporto di collaborazione tra il Nicosia e la Occhionero, sia pure solo di fatto, era in essere e che proprio in virtù di esso il ricorrente aveva potuto accedere in diversi istituti penitenziari (segnatamente la Casa di reclusione di Palermo e le Case circondariali di Sciacca, Trapani ed Agrigento) per far visita ad alcuni detenuti imputati di reati di stampo mafioso, che prima non era riuscito a incontrare in ragione dei pregiudizi penali da cui risultava gravato.
Ebbene, tali dati sono del tutto trascurati nell’impugnazione del Procuratore generale.
Come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sezione 6, n. 23014 del 29/4/2021, B., Rv. 281521 – 01; Sezione 3, n. 50750 del 15/6/2016, Dantese, Rv. 268385 – 01; Sezione 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sezione 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano Rv. 236945 – 01).
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Dimino Accursio e Nicosia Antonino, limitatamente al trattamento sanzionatorio, che ridetermina: quanto al Nicosia, in anni tredici mesi sei e giorni sei di reclusione; quanto al Dimino, in anni diciassette e mesi tre di reclusione; dichiara inammissibili nel resto il ricorso.
Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale.
Dispone correggersi il dispositivo della sentenza impugnata nel senso che, laddove é scritto «assolve Nicosia Antonino dal reato a lui ascritto al capo 7)», deve leggersi ed intendersi «assolve Nicosia Antonino dal reato a lui ascritto al capo 6)».
Così deciso in Roma, il giorno 25 gennaio 2024.
Depositato in Cancelleria, oggi 22 febbraio 2024.
SENTENZA – copia non ufficiale -.
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Stante l’interesse di cronaca di fatti e situazioni trattati in sentenza (ex art. 21 Cost.), l’omissività di alcuni dati riconducibili agli imputati, non viene applicata.