Militari, forze armate e di Polizia. Sospensione cautelare dal servizio in relazione ad un reato tentato o consumato (Consiglio di Stato, Sezione Prima, Sentenza 15 febbraio 2022, n. 379).

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 9 febbraio 2022

NUMERO AFFARE 01092/2021

OGGETTO:

Ministero dell’Interno.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con istanza di sospensiva, proposto da -OMISSIS-, contro la Questura di Milano, avverso il decreto del 19/02/2021 di sospensione cautelare dal servizio;

LA SEZIONE

Vista la relazione n. 333.A.U.C./3159/D del 17/09/2021 con la quale il Ministero dell’Interno ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;

Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Stefania Santoleri;

Premesso:

1. – Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, notificato il 23 giugno 2021, il ricorrente, ispettore superiore della Polizia di Stato, ha impugnato il decreto del 19 febbraio 2021, adottato dal Questore di Milano, notificato il 25 febbraio 2021, con il quale è stata disposta nei suoi confronti la sospensione cautelare dal servizio, ai sensi dell’art. 4 della legge 27 marzo 2001, n. 97, in quanto con la sentenza del 13 gennaio 2021, il Tribunale di Milano lo ha condannato alla pena di anni uno e mesi dieci di reclusione, applicando altresì la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di anni cinque, in relazione al reato (tentato) di concussione (art. 56 c.p. e 317 c.p.).

L’art. 4 della legge 27 marzo 2001, n. 97 stabilisce, infatti, che nel caso di condanna, anche non definitiva, ancorché sia concessa la sospensione condizionale della pena, per alcuni dei delitti previsti dall’art. 3, comma 1, della citata legge, tra cui anche l’art. 317 c.p., i pubblici dipendenti devono essere sospesi dalla funzione e dall’ufficio ricoperti.

Tale sentenza è stata impugnata dal ricorrente; la Corte di Appello di Milano, con sentenza del 15 settembre 2021, in parziale riforma della sentenza appellata, ha rideterminato la pena in anni uno e mesi otto di reclusione ed ha applicato la pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di anni uno.

2. – Con il ricorso straordinario il ricorrente ha formulato un unico profilo di doglianza con il quale ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 4 della L. n. 97/2001. Ha anche formulato l’istanza cautelare, rappresentando il suo stato di bisogno in considerazione dell’insufficienza dell’assegno alimentare per far fronte alle spese della sua famiglia.

In estrema sintesi, secondo il ricorrente, la previsione recata dai suddetti articoli si riferirebbe alla sola condanna per il reato (consumato) di concussione, e non anche alla condanna per il tentativo di concussione.

2.1 – Il Ministero ha controdedotto in merito a tale doglianza chiedendone il rigetto.

2.2 – La relazione ministeriale è stata trasmessa al ricorrente, che ha provveduto a replicare in ordine alle tesi ivi esposte.

2.3 – Nella relazione finale il Ministero ha ribadito le proprie tesi difensive chiedendo il rigetto del ricorso e dell’istanza cautelare.

Considerato:

3. – La controversia riguarda la legittimità del provvedimento di sospensione obbligatoria dal servizio del ricorrente disposta ai sensi degli artt. 3 e 4 della L. n. 97/2001.

L’art. 4 della L. n. 97/01 dispone che: “Nel caso di condanna anche non definitiva, ancorché sia concessa la sospensione condizionale della pena, per alcuno dei delitti previsti dall’articolo 3, comma l, i dipendenti indicati nello stesso articolo sono sospesi dal servizio”.

Il precedente art. 3 riguarda i dipendenti “di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica” e fa riferimento ai “delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317. 318, 319, 319-ter, 319-quater e 320 del codice penale e dall’articolo 3 della legge 9 dicembre 1941, n.1383”.

La disposizione, dunque, dispone l’allontanamento automatico dei dipendenti pubblici, senza lasciare alcuno spazio discrezionale all’amministrazione di appartenenza.

La norma dell’art. 3 sopra citata si riferisce alla condanna, anche non definitiva, per taluni delitti, tra i quali rientra anche quello previsto dall’art. 317 c.p. (concussione).

3.1 – La disposizione normativa nulla prevede in merito alla condanna per il tentativo di concussione che ricorre nel caso di specie: secondo il ricorrente, quindi, la norma si applicherebbe nei soli casi di condanna per il delitto consumato, e non anche nel caso della condanna per il delitto tentato; la legge, infatti, non contiene alcun riferimento ai delitti tentati, con la conseguenza che dovrebbe escludersi l’estensione della misura a tale ipotesi; ciò si desumerebbe dal principio di tassatività della legge penale, tenuto anche conto che, nel diritto penale, il delitto tentato costituisce una figura autonoma e distinta rispetto a quello consumato (Cass. Pen., Sez. II, 8 maggio 2001, n. 22628).

3.2 – La giurisprudenza avrebbe condiviso tale impostazione (cfr. TAR Emilia Romagna 31 maggio 2013 n. 413, non appellata; TAR Toscana 16 gennaio 2006 n. 117, non appellata; TAR Lazio, sede di Roma, 6 marzo 2017 n. 3138, non appellata) ritenendo che gli artt. 3 e 4 della L. 97/2001 sarebbero applicabili sono in caso di condanna, anche non definitiva, per delitti consumati, ma non nel caso di delitti tentati.

Il ricorrente ha quindi aggiunto, in replica alla relazione ministeriale, che in base alla giurisprudenza della CEDU la sospensione dovrebbe qualificarsi come “sanzione” amministrativa in base ai c.d. criteri Engel (sentenza Corte EDU 8/6/76), con la conseguenza che per le sanzioni amministrative varrebbero i medesimi principi previsti per quelle penali, dovendo quindi applicarsi il principio di legalità e, dunque, di tassatività e determinatezza della fattispecie.

3.3 – Inoltre, la previsione della sospensione obbligatoria in caso di condanna per taluni reati indicativi di un particolare disvalore per la P.A., si porrebbe come eccezione alla regola generale secondo cui la sospensione viene disposta a seguito di valutazione discrezionale da parte della stessa amministrazione.

Pertanto, secondo il ricorrente, sussistendo l’obbligo di interpretazione in modo tassativo della disposizione normativa, non potrebbe disporsi la sospensione dal servizio in seguito alla condanna per la fattispecie tentata del delitto di corruzione.

4. – In sintesi, gli argomenti addotti dal ricorrente per sostenere l’illegittimità del provvedimento impugnato, si possono ricondurre a tre profili:

1) quello “penalistico” che si richiama al principio di tassatività e di autonomia tra la fattispecie tentata e quella consumata del medesimo reato;

2) quello relativo alla qualificazione della “sospensione obbligatoria come misura sanzionatoria” in applicazione della giurisprudenza della CEDU (c.d. criteri Engel), tenuto conto della oggettiva afflittività della misura, che comporta la decurtazione dello stipendio;

3) quello relativo alla “natura eccezionale” della previsione che comporta il divieto di ricorso all’analogia.

4.1 – In merito al primo profilo è condivisibile quanto ritenuto dal Ministero dell’Interno richiamando il parere del 28 dicembre 2015 dell’Avvocatura Generale dello Stato, secondo cui la norma in esame si applica ai delitti ivi previsti, sia nella forma consumata che tentata, nella considerazione che la concezione autonomistica, con la distinzione del tentativo dalla fattispecie consumata, si è sviluppata in ambito penalistico e rileva esclusivamente in tale sede.

Infatti, se il delitto tentato non fosse costruito come figura autonoma di reato, non sarebbe mai punibile, essendo gli elementi costitutivi di questo del tutto differenti da quello consumato; ciò nonostante, sarebbe improprio utilizzare sul piano amministrativo la concezione penale del tentativo, trattandosi di ambiti completamente diversi sia per ratio che per funzione; pertanto, sotto il profilo amministrativo, il delitto tentato e il delitto consumato non possono che ricevere lo stesso trattamento, atteso che la finalità delle disposizioni recate dagli artt. 3 e 4 della legge 97/2001 è la tutela del buon andamento della pubblica amministrazione e la necessità di evitare di esporla al cd. strepitus fori, interessi che possono essere lesi in egual modo sia dal reato consumato che tentato.

Non possono, quindi, applicarsi ad una misura di carattere amministrativo le rigide regole del diritto penale, tanto più che la sospensione dal servizio non ha natura sanzionatoria, neppure in base ai criteri Engel, rivestendo natura cautelare.

La sottoposizione a processo penale di un appartenente alla Polizia di Stato per un grave reato in danno della P.A. come la concussione, da un lato mina alla radice la fiducia che l’Amministrazione pone nel dipendente, dall’altro lato genera una lesione del prestigio dell’istituzione tenuto conto del suo disvalore sociale, in quanto vengono lesi il prestigio, l’imparzialità e l’immagine interna ed esterna della pubblica amministrazione: la sospensione dal servizio del dipendente che è stato condannato per tali reati è funzionale al ripristino della legalità, alla tutela dell’immagine dell’istituzione che risulta compromessa dalla permanenza in servizio di un soggetto, autore di gravi condotte di valenza penale, nei confronti del quale, peraltro, si è incrinato il necessario rapporto fiduciario sotteso allo svolgimento del delicato servizio di pubblica sicurezza.

4.2 – La sospensione obbligatoria dal servizio, quindi, non ha carattere sanzionatorio, ma riveste una finalità prettamente cautelare che è quella, appunto, di garantire – a fronte di reati quali quelli elencati all’art. 3 del d.lgs. 97/01, che destano un particolare allarme sociale e che mettono a serio rischio la credibilità esterna ed interna dell’amministrazione -, il rispetto del buon andamento della P.A. (art.97 Cost.), l’adempimento con disciplina ed onore delle funzioni pubbliche affidate ai dipendenti dell’amministrazione (art.54 c.2, Cost.) e lo svolgimento delle funzioni pubbliche da parte dei dipendenti al servizio esclusivo della Nazione (art.98 co. l Cost.).

Essendo questa la ratio e la finalità della norma, non risulta applicabile la giurisprudenza della Corte EDU relativa alle “sanzioni” in quanto la misura, per propria natura transitoria in quanto correlata alla vicenda penale, ha finalità esclusivamente cautelari.

4.3 – Inoltre, tenuto conto della suesposta ratio, non assume rilevanza che il proposito criminoso del dipendente sia stato portato a compimento o che per cause a lui estranee lo stesso non si sia realizzato; in entrambi i casi, infatti, la sua condotta è stata sufficiente a destare l’attenzione e l’allarme della collettività e vi è stata una grave violazione dei doveri attribuiti ai pubblici dipendenti.

Correttamente il Ministero, nella propria relazione, ha richiamato alcune pronunzie cautelari che hanno ritenuto equiparabile la condanna per il delitto tentato a quello consumato in relazione alle fattispecie di reato indicate nell’art. 3 della L. 97/01 (ordinanza TAR Lombardia — Sezione Brescia — del 23 luglio 2004 n.1306/04 ordinanza Consiglio di Stato n. 5811/2007; ordinanza del Consiglio di Stato n. 1522/2014 in cui si è rilevato che “non si può distinguere, con riguardo ad ipotesi di reato particolarmente gravi, come la concussione, la fattispecie del delitto tentato da quella del delitto consumato, ai fini dell’applicazione del provvedimento di sospensione dal servizio ex art. 4, comma 1, legge n. 97/2001”).

Lo stesso orientamento è stato assunto dalla Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Sicilia (sentenza n. 3588 del 3 novembre 2011) e dall’ANAC con la delibera n.447 del 17 aprile 2019 che, pronunciandosi in ordine ad una problematica assolutamente similare, quale quella della conferibilità di incarichi dirigenziali nelle amministrazioni pubbliche e negli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico, ha evidenziato come lo scopo perseguito dall’art.3 del d.lgs 39/2013, (analogo a quello perseguito dal legislatore con gli artt. 3 e 4 della legge n.97/2001) è quello di intervenire, in un’ottica di tutela effettiva dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della P.A. contenuti nell’art.97 della Costituzione, rispetto a condotte infedeli del dipendente pubblico, anche per tutelare l’immagine dell’Amministrazione Pubblica.

4.4 – Da tale linea interpretativa discende, secondo l’Autorità, che l’inconferibilità (così come la sospensione obbligatoria) non riveste natura sanzionatoria o di effetto penale della condanna, ma carattere cautelare di prevenzione dell’illegalità e di garanzia dell’imparzialità dell’amministrazione, ritenendo, dunque, che il generale riferimento della norma alla condanna per uno dei delitti previsti dal capo I del titolo II del codice penale, pur in assenza di specificazione in ordine a fattispecie consumata piuttosto che tentata, deve essere considerato comprensivo di entrambe le fattispecie di reato, e ciò in considerazione sia del bene giuridico tutelato, appunto l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa, che non ammette una diversa rilevanza delle fattispecie di reato consumato rispetto a quello tentato, sia della completezza, dal punto di vista di tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, del delitto tentato rispetto a quello consumato.

Se si ragionasse diversamente si avrebbe un’irrazionale contraddizione sistematica all’interno dell’ordinamento e un vuoto di tutela dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa, richiamandosi a sostegno anche l’orientamento della giurisprudenza amministrativa che, in una materia analoga (e cioè quella della sospensione dal servizio dei dipendenti pubblici condannati, anche con sentenza non definitiva per uno dei delitti di cui all’art.3 della legge 97/2001) ha ritenuto che fra i delitti elencati nella disposizione normativa rientrano, senza che sia necessaria un’indicazione specifica, sia le fattispecie consumate che quelle tentate.

4.5 – Ne consegue che non sussiste un problema interpretativo della norma, in quanto al riferimento al titolo del reato comprende di per sé sia la fattispecie consumata che quella tentata, in quanto il disvalore della condotta tenuta dal dipendente deve ritenersi il medesimo.

5. – In merito, infine, alla chiesta rimessione della questione alla Corte Costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost. può richiamarsi la sentenza n. 145/2002 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della 1. n. 97/2001, affermando che “sia l’interesse generale al buon andamento della pubblica amministrazione che il rapporto di fiducia dei cittadini verso quest’ultima possono risultare gravemente compromessi dalla permanenza in servizio di un dipendente condannato – sia pure in via non definitiva – per taluno dei delitti riguardati dalla norma impugnata. E ciò in considerazione della particolare gravità dei delitti stessi, comportanti la violazione dei fondamentali obblighi di fedeltà del pubblico dipendente “.

Osserva, inoltre, la Corte che “emerge, d’altro canto con chiarezza, dai lavori preparatori, che l’intervento del legislatore, a tutela dei suddetti interessi, si è reso necessario per ovviare ad una situazione di diffusa inerzia della pubblica amministrazione nell’esercizio del suo potere di sospensione facoltativa dal servizio del dipendente sottoposto a procedimento penale per reati di notevole gravità e, sotto altro aspetto, per ristabilire in materia il principio di pari trattamento per tutti i pubblici dipendenti”.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Quanto all’istanza cautelare, la pronuncia nel merito ne determina l’assorbimento.

P.Q.M.

Esprime il parere nel senso che il ricorso debba essere respinto.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.

Depositato in Cancelleria il giorno 15 febbraio 2022.

Consiglio di Stato, Sentenza 15 febbraio 2022, n. 379 -.