Reati societari: no alla perquisizione dello studio legale dell’avvocato indagato (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 25 novembre 2022, n. 44892).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Presidente –

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –

Dott. DE SANTIS Anna Maria – Rel. Consigliere –

Dott. COSCIONI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CERSOSIMO Emanuele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto dal

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI LIVORNO

avverso l’ordinanza resa dal Tribunale di Livorno in data 21/4/2022 -dato atto che si è proceduto a trattazione con contraddittorio cartolare ai sensi dell’art. 23, comma 8, D.L. n. 137/2020;

udita la relazione del Consigliere, Dott.ssa Anna Maria De Santis

-letta la requisitoria del Sost. Proc. Gen., Dott.ssa Mariaemanuela Guerra, che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;

-letta la memoria difensiva a firma degli Avv.ti Alberto (OMISSIS) e Annarosa (OMISSIS)

CONSIDERATO IN FATTO

1. Con l’impugnata ordinanza il Tribunale di Livorno, per quanto in questa sede rileva, accoglieva l’istanza ex art. 324 cod.proc.pen. formulata nell’interesse di (OMISSIS) Federica e per l’effetto annullava il sequestro e il decreto di convalida emesso dal P.m. in data 1/4/2022 limitatamente ai beni e ai documenti reperiti a seguito di perquisizione dello studio legale della ricorrente, cui ne disponeva la restituzione.

Il Tribunale del riesame, dopo aver disatteso le deduzioni a sostegno delle istanze dei coindagati, in relazione alla posizione dell’Avv. (OMISSIS) ha ritenuto sussistente la violazione delle garanzie previste dall’art. 103 cod.proc.pen. in caso di perquisizione e sequestro da eseguirsi all’interno di locali adibiti a studio legale.

In particolare l’ordinanza impugnata ha argomentato, in consapevole dissenso rispetto alla prevalente giurisprudenza, che le garanzie previste ai commi terzo e quarto dell’art. 103 cod.proc.pen., in base ad un’interpretazione logica e sistematica della disposizione, debbono trovare applicazione anche nel caso di perquisizione eseguita a carico dello stesso difensore a norma del primo comma lett. a) dell’art. 103 cod.proc.pen. ovvero nell’ipotesi in cui il legale stesso risulti indagato.

2. Ha proposto ricorso per Cassazione il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Livorno deducendo la violazione dell’art. 103 cod.proc.pen. per come interpretato dal Tribunale del riesame, il quale ha ritenuto di dover fare applicazione integrale delle garanzie di libertà previste in particolare ai commi 2, 3 e 4 nonostante la (OMISSIS) rivesta lo status di persona sottoposta alle indagini.

Il ricorrente, premesso che la (OMISSIS) è indiziata di far parte di un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti di natura fallimentare e tributaria nonché di truffe, autoriciclaggio e reimpiego di danaro di illecita provenienza, avendo messo a disposizione del sodalizio la propria attività professionale, piegandola alle esigenze illecite dei compartecipi, lamenta che l’ordinanza impugnata -pur avendo rigettato l’istanza di riesame con riguardo al fumus– ha ritenuto di accedere ad una rivisitazione dell’art. 103 del codice di rito, evidenziando la stretta interferenza esistente tra la condotta illecita investigata e l’attività professionale dell’indagata, la quale risulta incaricata della difesa di alcuni dei coindagati in due distinti procedimenti (nn. 3554/2015 rgnr e 3488/2019 rgnr).

Su detta base, discostandosi dalla consolidata interpretazione di legittimità, ha ritenuto che in ogni caso la perquisizione presso uno studio legale ed il conseguente sequestro debbano essere operati con tutte le garanzie dell’art. 103 e che il sequestro di carte e documenti, anche se custodite in ragione di un mandato difensivo, possono essere apprese solo in presenza della motivata necessità di ricercare “oggetti specifici e non per necessità esplorative”.

Secondo il P.m. detta interpretazione riconosce nella sostanza la sola possibilità di sequestrare carte e documenti che costituiscono corpo di reato anche se il legale risulti sottoposto ad indagini e si pone in contrasto con gli artt. 3 e 112 Cost., fornendo uno scudo a chi abbia in animo di delinquere.

Aggiunge ulteriormente il ricorrente che l’interpretazione accreditata dal collegio cautelare appare erronea anche sotto il profilo letterale in quanto il legislatore ha ben specificato l’ambito di applicazione delle garanzie di cui ai commi 2,3,4 dell’art. 103, norma volta a tutelare la funzione difensiva svolta, sicché è l’esistenza o meno di un incarico professionale a fornire il perimetro di operatività delle garanzie, diversamente risolvendosi la disposizione in un’irragionevole sorta di immunità penale, mentre la tutela delle prerogative della professione forense trova concreta applicazione non a priori ma ex post, al momento del vaglio della documentazione acquisita.

RITENUTO IN DIRITTO

1. Ritiene il Collegio che il ricorso non meriti accoglimento siccome infondato.

Il P.m. lamenta che l’ordinanza impugnata sia pervenuta all’annullamento del sequestro disposto nei confronti della (OMISSIS) sulla base di un’interpretazione dell’art. 103 cod.proc.pen. che si discosta dalla giurisprudenza di legittimità in quanto postula che le garanzie di libertà del difensore si estendano anche all’ipotesi di perquisizioni e conseguente sequestro nei confronti di legale indagato.

E’ del tutto evidente il riferimento alla giurisprudenza di legittimità secondo cui per l’esecuzione di un provvedimento di perquisizione e sequestro non occorre avvisare il Consiglio dell’ordine forense, qualora nella commissione del reato sia coinvolto anche un difensore, atteso che le guarentigie previste dall’art. 103 cod. proc. pen., non introducendo un principio immunitario di chiunque eserciti la professione legale, sono applicabili unicamente se devono essere tutelate la funzione difensiva o l’oggetto della difesa (Sez. 2, n. 32909 del 16/05/2012, Rv. 253263; n. 31177 del 16/5/2006, Rv. 234858; Sez. 5, n. 35469 del 04/06/2003, Rv. 228326).

Siffatto indirizzo risulta inaugurato da Sez. 2, n. 6766 del 12/11/1998, Benini, Rv. 211914, secondo cui, in tema di sequestro da eseguirsi nell’ufficio di un difensore, qualora il mezzo di ricerca della prova venga disposto nell’ambito di un procedimento relativo ad un reato attribuito al difensore medesimo, non è necessario l’avviso al Consiglio dell’ordine forense di cui al terzo comma dell’art.103 cod. proc. pen., e ciò in quanto nella predetta ipotesi, atteso che il soggetto attivo del reato non è la persona assistita bensì una persona che esercita la professione legale, non viene in rilievo la tutela della funzione difensiva e dell’oggetto della difesa”, cui è finalizzata la disposizione in esame.

Nondimeno, la presenza di un orientamento di legittimità all’apparenza consolidato non esime il giudice dalla necessità di interrogarsi sulla rispondenza della regola juris così come interpretata in sede giurisprudenziale alle peculiarità del caso concreto.

2. Nella specie, come evidenziato dall’ordinanza impugnata, alla (OMISSIS) si addebita la partecipazione ad un sodalizio criminoso operante dal 2013, organizzato e diretto da (OMISSIS) Samuele e (OMISSIS) Massimiliano, i quali, in veste di amministratori di fatto o di diritto di varie società, avrebbero posto in essere una sistematica evasione delle imposte dirette, dell’Iva e dei contributi previdenziali, accumulando provviste in nero reinvestite nell’acquisto di ulteriori attività produttive.

In detto contesto la (OMISSIS) avrebbe prestato un contributo significativo alla compagine delittuosa, fornendo assistenza professionale nell’acquisto di attività commerciali, consapevole della illiceità delle provviste finanziarie utilizzate a tal fine.

Dall’ordinanza impugnata emerge, altresì, che l’indagata al momento della perquisizione assisteva (OMISSIS) e (OMISSIS) nel procedimento penale per reati tributari iscritto al n. 3488/19 r.g.n.r. nonché (OMISSIS) Francesco, fratello di Massimiliano e anch’egli indagato per l’ipotesi associativa di cui si discorre, nel proc. n. 3554/2015 r.g.n.r per reati connessi al fallimento della srl (OMISSIS) (OMISSIS).

Siffatti processi, che per quanto consta sono ancora in corso di svolgimento, attengono fatti commessi nel periodo di presunta operatività del sodalizio e risultano ascritti a soggetti che, secondo la prospettazione accusatoria, ne erano promotori o partecipi con la conseguenza che appare del tutto affidabile la sussistenza di interferenze tra l’attività professionale dell’indagata e l’attività di ricerca della prova promossa dall’inquirente predicata dall’ordinanza impugnata.

2.1 Dai dati richiamati emerge, infatti, che nel caso a giudizio si controverte della prestazione da parte dell’indagata di attività professionale in favore dei presunti sodali in termini che esulano l’assistenza tecnica e trasmodano in un contributo cosciente e consapevole alle attività illecite da costoro poste in essere, in violazione delle regole dettate dal Codice deontologico forense all’art. 23, commi 5 e 6, secondo cui l’avvocato “deve rifiutare di prestare la propria attività quando, dagli elementi conosciuti, desuma che essa sia finalizzata alla realizzazione di operazione illecita” e “non deve suggerire comportamenti, atti o negozi nulli, illeciti o fraudolenti”.

Sono, dunque, il tenore e i contenuti della provvisoria incolpazione a carico della (OMISSIS) che chiamano in causa i rapporti intrattenuti con alcuni degli asseriti sodali e le modalità di svolgimento dell’attività professionale nel loro interesse.

Contrariamente a quanto assume il P.m. impugnante, pare arduo escludere che nella specie venga in rilievo la tutela della funzione difensiva e dell’oggetto della difesa”, cui sono finalizzate le guarentigie dell’art. 103 cod.proc.pen.

2.2 Né ha fondamento l’obiezione in ordine all’assenza di un mandato defensionale relativo all’odierno procedimento.

Sul punto è utile richiamare la risalente ma non superata giurisprudenza di questa Corte secondo cui le garanzie di libertà dei difensori, previste dall’art. 103 cod. proc. pen., sono apprestate a tutela non della dignità professionale degli avvocati, ma del libero dispiegamento dell’attività difensiva e del segreto professionale, che trovano il diretto supporto nell’art. 24 della Costituzione, che sancisce la inviolabilità della difesa, come diritto fondamentale della persona.

Tali garanzie mirano a prevenire il pericolo di abusive intrusioni nella sfera difensiva, in quanto l’attività di ricerca negli studi professionali implica la possibilità di esame di carte e di fascicoli utili per l’esercizio autonomo dell’attività di difensore.

Esse, perciò, non vanno limitate al difensore dell’indagato o dell’imputato nel cui procedimento sorge la necessità di attività di ispezione, ricerca o sequestro, ma vanno osservate in tutti i casi in cui tali atti vengono eseguiti nell’ufficio di un professionista, iscritto all’albo degli avvocati e procuratori, che abbia assunto la difesa di assistiti, anche fuori del procedimento in cui l’attività di ricerca, perquisizione e sequestro viene compiuta (in fattispecie relativa a rigetto del ricorso del pubblico ministero avverso ordinanza del Tribunale che aveva dichiarato la nullità, per violazione dell’art. 103 cod. proc. pen., del sequestro di documenti a seguito di perquisizione disposta dal Procuratore della Repubblica presso lo studio legale di un avvocato, indagato per il reato di cui all’art. 323 cod. pen.) (Sez. 6, n. 3804 del 27/10/1992, dep. 1993, Rv. 193106).

La richiamata decisione ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 103 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 3 e 76 Cost. in quanto le previsioni poste dall’art. 103, commi terzo e quarto, cod. proc. pen., a garanzia dei difensori non contrastano con la direttiva n. 37 di cui all’art. 2 della legge-delega, giacché non ostacolano né l’esercizio dell’azione penale né la ricerca ed acquisizione dei mezzi di prova, avendo il legislatore previsto una disciplina peculiare in relazione all’espletamento di attività ritenute ragionevolmente “a rischio” e, perciò, bisognevoli di particolari garanzie per la migliore tutela del diritto di libertà defensionale e del segreto professionale, indispensabili all’esplicazione di una libera ed efficace attività difensiva (Sez. 6, n. 3804/1992, cit.).

Si tratta di argomenti che mantengono piena attualità e valgono a confutare i dubbi di costituzionalità adombrati dal ricorrente.

3. Sulla questione è intervenuto anche il massimo consesso nomofilattico chiarendo che l’operatività dei limiti e delle garanzie previsti dall’art. 103 cod. proc pen. per le ispezioni e perquisizioni da eseguire negli uffici dei difensori non è subordinata alla condizione che tali atti siano disposti dall’autorità giudiziaria nello stesso procedimento in cui è svolta l’attività difensiva.

Ne consegue che deve ritenersi illegittima la perquisizione di uno studio di un difensore disposta dal pubblico ministero ed eseguita dalla polizia giudiziaria senza l’osservanza delle prescrizioni dell’art. 103 commi terzo e quarto cod. proc. pen., anche se con 69, riferimento ad un procedimento diverso da quello in cui era svolta attività difensiva (Sez. U, n. 25 del 12/11/1993, dep. 1994, Grollino,Rv. 195627).

Siffatta decisione, risolvendo il contrasto tra due contrapposti orientamenti interpretativi, il primo dei quali ritiene che “le speciali garanzie di libertà del difensore previste dall’art. 103 cod.proc.pen. sono riferibili ai soli avvocati che assumono l’ufficio di difensore nel procedimento nel quale vengono disposti la perquisizione o il sequestro e non ai legali che svolgano o abbiano svolto l’ufficio in favore dell’attuale investigato, ma in diversi affari o procedimenti” e “l’altro (che) invece giunge alla conclusione che tali garanzie non vanno limitate al difensore dell’indagato o dell’imputato nel cui procedimento sorge la necessità di attività di ispezione, ricerca o sequestro, ma vanno osservate in tutti i casi in cui tali atti vengono eseguiti nell’ufficio di un professionista, iscritto all’albo degli avvocati e procuratori, che abbia assunto la difesa di assistiti, anche fuori del procedimento in cui l’attività di ricerca, perquisizione e sequestro viene compiuta”, esprimeva adesione alla seconda opzione ermeneutica, valorizzando all’uopo le chiare indicazioni provenienti dalla Relazione al Progetto preliminare del 1978 e segnalando l’inesistenza di ragioni logico sistematiche a sostegno del difforme indirizzo, inteso a limitare la garanzia al difensore dell’indagato nel cui procedimento sorge la necessità di attività di ispezione, ricerca sequestro o intercettazione.

I giudici della sentenza Grollino segnalavano come siffatta limitazione risulterebbe ingiustificata perché darebbe “la possibilità di incidere sulla sfera riservata al difensore attraverso attività investigative formalmente estranee al procedimento de quo, ma che potrebbero far acquisire indirettamente alla polizia giudiziaria e al pubblico ministero notizie ed elementi utili ai fini dell’indagine”.

Veniva, peraltro, chiarito che l’interpretazione avallata risponde all’esigenza di garantire il libero ed ampio dispiegamento dell’attività difensiva e del segreto professionale (così come negli artt. 200 e 256 c.p.p.), che trovano diretto supporto nell’art. 24 Cost., il quale sancisce la inviolabilità della difesa, come diritto fondamentale della persona.

La latitudine e pregnanza interpretativa di Sez. U. Grollino, che muovendo dall’analisi testuale dell’art. 103 e confutando in via logica e sistematica il contrario orientamento, ha concluso “che la norma prende in considerazione l’attività difensiva e non il rapporto instaurato nel procedimento in cui sono compiuti gli atti di ricerca della prova” non è efficacemente contrastata dalla successiva giurisprudenza, solo apparentemente unanime nell’escludere le garanzie dell’art. 103 cod.proc.pen. al difensore indagato, dal momento che le decisioni evocate dal ricorrente hanno esaminato casi in cui non constava l’esistenza di un rapporto professionale tra il soggetto investigato e il legale (Sez. 2, n. 32909/2012, cit.), ovvero si riferiscono ad ipotesi in cui il difensore era indagato per reati commessi in danno dell’assistito (Sez. 2, n. 31177 del 16/05/2006, Rv. 234858); o, ancora, concernono specificamente le prerogative accordate agli investigatori privati (Sez. 6, n. 8295 del 09/11/2018, dep. 2019, Rv. 275091-02).

Nel segno della continuità con Sez. U. Grollino si pongono altre pronunzie che evidenziano come le speciali garanzie di libertà del difensore previste dall’art. 103 cod. proc. pen. non riguardano solo il difensore dell’indagato o dell’imputato nel procedimento in cui sorge la necessità di svolgerle attività di ispezione, perquisizione o sequestro, ma vanno osservate in tutti i casi in cui tali atti vengano eseguiti nello studio di un professionista iscritto all’albo degli avvocati, che abbia assunto la difesa di qualsiasi assistito, sia nel procedimento «de quo» che in altro procedimento, anche del tutto estraneo rispetto a quello in cui l’attività di ricerca, perquisizione e sequestro venga compiuta, atteso che non si tratta di privilegi di categoria, finalizzati alla «tutela» della dignità dei suoi appartenenti, ma del riflesso dell’inviolabilità del diritto di difesa, come diritto fondamentale della persona garantito dall’art. 24 della Costituzione (Sez. 6, n. 20295 del 12/03/2001, Rv. 218841; Sez. 4, n. 23002 del 03/04/2014, Rv. 262235; in tema di sequestro presso difensore indagato, Sez. 5, n. 27988 del 21/09/2020, Rv. 280665-01; Sez. 2, n. 19255 del 30/03/2017, Rv. 269660).

Deve pertanto concludersi che nel caso in esame la valutazione dell’ordinanza impugnata risponde ad una corretta esegesi dell’art. 103 codice di rito, postulando l’attività di ricerca della prova effettuata dal P.m., a norma del quarto comma della disposizione in esame, l’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, e, in esito, il rispetto dell’ulteriori garanzie stabilite a pena di nullità del terzo comma.

A tanto consegue il rigetto del ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma il 25 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.