Reati tributari: indebita compensazione (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 30 settembre 2024, n. 36344).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. GIOVANNI LIBERATI – Presidente –

Dott. ANDREA GENTILI – Consigliere –

Dott. ANTONELLA DI STASI – Relatrice –

Dott. LORENZO ANTONIO BUCCA – Consigliere –

Dott. MARIA BEATRICE MAGRO – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS), nato a (OMISSIS) (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 31/01/2024 della Corte di appello di Brescia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;

lette le richieste scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Fulvio Baldi, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso con le statuizioni conseguenti.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 31/01/2024, la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza emessa in data 05/07/2023 dal Tribunale di Bergamo – con la quale (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) era stato dichiarato responsabile del reato di cui agli artt. 81 cod.pen. e 10-quater d.lgs 74/2000 e condannato alla pena di anni tre di reclusione con disposizione della confisca per equivalente – riconosciuta la continuazione tra i fatti contestati e quelli di cui alla sentenza emessa in data 28/09/2022 dal Tribunale di Bergamo, rideterminava la pena in anni tre e mesi sei di reclusione e confermava nel resto.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, articolando un unico motivo, con il quale deduce vizio di motivazione con riferimento all’entità della pena irrogata.

Argomenta che il Giudice di appello aveva confermato l’entità della pena finale di anni tre di reclusione, pur concesse le circostanze attenuanti generiche e gli aumenti operati per la continuazione, senza esporre le ragioni giustificanti una pena lontana dal minimo edittale previsto per il reato contestato; i Giudici di appello, poi, non avevano considerato elementi rilevanti ex art. 133 cod.pen., quali il comportamento collaborativo tenuto dall'(OMISSIS) sia nella fase procedimentale che in quella processuale, il profitto conseguito dal predetto ed il comportamento successivo al reato. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il motivo di ricorso è manifestamente infondato.

2. La sentenza impugnata ha fatto corretto uso dei criteri di cui all’art. 133 cod.pen., ritenuti sufficienti dalla giurisprudenza di legittimità, per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena; la Corte territoriale riguardo alla pena ha richiamato la rilevante entità delle indebite compensazioni ed il conseguente danno all’Erario, così che la pena irrogata, in misura inferiore alla media edittale, non è stata ritenuta suscettibile di ulteriore riduzione.

Va ricordato che, ai fini del trattamento sanzionatorio, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod.pen., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare la determinazione della pena; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato.

Ciò vale, a fortiori, anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante, non è tenuto a un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, deve indicare quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione (Sez. 2, n.19907 del 19/02/2009, Rv. 244880; Sez. 4, 4 luglio 2006, n. 32290).

Va, poi, ricordato che costituisce principio consolidato che la motivazione in ordine alla determinazione della pena base (ed alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti) è necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale, ipotesi che non ricorre nella specie.

Fuori di questo caso anche l’uso di espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congrua riduzione”, “congruo aumento” o il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell’imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall’art. 133 c.p. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al “quantum” della pena (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009 Rv. 245596; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Rv. 256197).

3. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

4. Va evidenziato che l’inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod.proc.pen., ivi compresa la prescrizione (Sez. U n. 21 del 11 novembre 1994, dep.11 febbraio 1995, Cresci; Sez. U n. 11493 del 3 novembre 1998, Verga; Sez. U n. 23428 del 22 giugno 2005, Bracale; Sez U n. 12602 del 17.12.2015, dep. 25.3.2016, Ricci).

5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 18/07/2024.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.