Reato di minaccia: verifica della gravità della condotta minatoria (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 8 maggio 2023, n. 19364).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CATENA Rossella – Presidente

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere

Dott. GIORDANO Rosaria – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 21/01/2022 del TRIBUNALE di BENEVENTO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa ROSARIA GIORDANO;

letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dott. TOMASO EPIDENDIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione del reato;

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Benevento ha confermato la pronuncia resa dal Giudice di pace di Benevento in data 8 giugno 2021, che aveva condannato il ricorrente per il reato di minaccia alla pena di euro 500,00 di multa, nonché al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile costituita.

I fatti in contestazione riguardano il reato previsto e punito dall’art. 612 c.p. ascritto al (OMISSIS) per aver minacciato, in data 11 novembre 2015, un ingiusto danno a (OMISSIS) (OMISSIS) il quale aveva segnalato alcune irregolarità nell’uso di una sua delega nel corso dell’assemblea del (OMISSIS) (Club (OMISSIS) di cui il predetto era socio e l’imputato presidente del collegio dei probiviri, dicendogli “finiscila con questa storia delle deleghe, altrimenti ti roviniamo come uomo e come allevatore”.

2. Avverso la richiamata sentenza del Tribunale di Benevento ha proposto ricorso l’imputato, per mezzo del difensore, avv. (OMISSIS) (OMISSIS) articolando quattro motivi d’impugnazione, di seguito riportati nei limiti declinati dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Con il primo motivo, si deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale, per la mancata ammissione dei testi addotti dalla difesa a prova contraria ex art. 468, quarto comma, cod. proc. pen., assumendo che, pur non essendo indicate le qualità dei testi e le circostanze sulle quali gli stessi sarebbero stati chiamati a deporre, ciò non sarebbe stato necessario, anche in virtù della rilevanza costituzionale della prova contraria ex art. 111 Cast. per l’esercizio del diritto di difesa, potendo desumersi implicitamente, a fronte di un unico capo di imputazione vertente su un fatto a propria volta unitario, i fatti sui quali avrebbe avuto luogo la testimonianza con i soggetti terzi addotti a prova contraria.

2.2. Il (OMISSIS) lamenta, con il secondo motivo, violazione dell’art. 178, secondo e terzo comma, cod. proc. pen. nella misura in cui la sentenza impugnata ha disatteso l’eccezione di violazione dell’art. 121 cod. proc. pen. rispetto alla memoria inoltrata a mezzo posta elettronica certificata il 5 settembre 2019, stralciata dal Giudice di pace nel giudizio di primo grado per essere stata inviata con uno strumento all’epoca non consentito, pur essendone l’autorità giudiziaria pervenuta ritualmente a conoscenza, memoria attestante la grave situazione clinica dell’imputato e quindi volta a supportare la richiesta di rinvio dell’udienza fissata per l’esame dello stesso per legittimo impedimento.

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente assume erronea valutazione delle prove e mancata assunzione di una prova decisiva come l’esame di esso imputato, previa rinnovazione dell’istruttoria in appello, in una situazione processuale nella quale l’accertamento dei fatti non sarebbe stato supportato in modo idoneo fondandosi solo sulle dichiarazioni della medesima persona offesa, non vagliate con il necessario rigore, e di quelle della sorella della stessa, che sarebbe incorsa in alcune contraddizioni rispetto a quanto dichiarato dal fratello.

2.4. Il (OMISSIS) infine, con il quarto motivo, inosservanza ed erronea applicazione di legge rispetto alla qualificazione come minaccia delle frasi asseritamente pronunciate nei confronti della persona offesa che non sarebbero state serie, non avrebbero prospettato un male ingiusto e non avrebbero potuto determinare ne (OMISSIS) alcun timore o turbamento psichico, anche alla luce del contesto nel quale erano state pronunciate.

3. Procuratore Generale, pur rilevando l’assorbente fondatezza del primo motivo di ricorso, ha chiesto annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata per intervenuta prescrizione del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è complessivamente infondato.

2. Quanto al primo motivo, questa Corte ha più volte ribadito che anche la c.d. “prova contraria” deve, al pari di quella diretta, avere ad oggetto fatti rilevanti ai fini dell’imputazione e non può tradursi in un diritto incondizionato volto ad ottenere l’ammissione di una prova manifestatamente superflua o vertente su fatti estranei a quelli contestati (Sez. 5, n. 55829 dell’8/10/2018, Gemmiti, Rv. 274623 – 01; Sez. 2, n.31883 del 30/06/2016, Di Rocco, Rv. 267483, N. 44736 del 2003 Rv. 227322), essendo a tal fine necessario che la parte faccia specifica richiesta di prova contraria sui fatti oggetto delle prove a carico, non essendo sufficiente un generico riferimento alle prove a discarico indicate nella lista depositata (Sez. 6, n.26048 del 17/05/2016, Gandini, Rv. 266976).

Invero, al fine di consentire il contraddittorio delle parti sulla richiesta di prova contraria e la delibazione del giudice, è necessario che la parte precisi, tanto i fatti oggetto di contraria dimostrazione quanto le generalità dei testi di cui richiede l’ammissione, non potendosi altrimenti verificare la sussistenza dello stesso ambito di contrarietà della prova rispetto ai fatti oggetto di prova diretta (cfr. Sez. 5, n. 55829 dell’8/10/2018, Gemmiti, cit.).

Il giudice d’appello ha fatto corretta applicazione degli enunciati principi, in quanto, come si evince dalla lettura del verbale dell’udienza del 10 ottobre 2017 e del resto riconosciuto dal medesimo imputato, che richiede nondimeno una differente e più favorevole interpretazione della legge processuale, non erano state indicate né la qualità né le circostanze sulle quali i testi (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS) sarebbero stati chiamati a deporre in prova contraria.

Né può rilevare per una differente conclusione l’unitarietà del fatto da dimostrare poiché deve essere consentita all’autorità giudiziaria in ogni caso una delibazione tanto sulla posizione di ciascun teste rispetto alle circostanze da dimostrare, quanto sulla effettiva derivazione del capitolo di prova diretta da quello articolato in prova contraria.

3. Il secondo motivo è anch’esso infondato per l’assorbente ragione che, come evidenziato dalla sentenza di appello, pur a fronte dello stralcio della memoria nella quale era documentata la malattia dell’imputato, l’udienza è stata in ogni caso rinviata dal Giudice di pace, e dunque non si è realizzata alcuna violazione del diritto di difesa.

Ne é superfluo, a riguardo, rilevare, anche in questa sede, che le successive due udienze sono state anch’esse rinviate dal giudice di pace per legittimo impedimento dell’imputato, sino alla decisione del giudizio solo all’udienza dell’8 giugno 2021, svolta ancora in assenza del (OMISSIS) che, tuttavia, non adduceva in detta data alcun legittimo impedimento.

4. Anche il terzo motivo è manifestamente infondato.

Invero, rispetto alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che la stessa, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, Sentenza n. 12602 del 17/12/2015 Ud. (dep. 25/03/2016) Rv. 266820).

Peraltro, la verifica della ricorrenza dei presupposti per la rinnovazione dell’istruttoria in appello è rimessa alla valutazione del Giudice di merito, ed è incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Sez. 6, Sentenza 48093 del 10/10/2018 Ud. (dep. 22/10/2018) Rv. 274230).

A quest’ultimo riguardo, nessun vizio motivazionale può imputarsi alla sentenza impugnata che dà invero conto in modo esaustivo delle ragioni per le quali ha ritenuto attendibile la prova assunta con la parte offesa costituita (non contradditorietà intrinseca delle dichiarazioni; esposizione dei fatti in modo circostanziato e senza celare la pregressa situazione di conflittualità con l’imputato), prova peraltro confermata, nel suo nucleo essenziale, anche dalle dichiarazioni della teste (OMISSIS) (OMISSIS).

Per sua parte, l’imputato avrebbe potuto richiedere in ogni momento di rendere dichiarazioni spontanee anche nel giudizio di gravame.

5. Il quarto motivo di ricorso è anch’esso manifestamente infondato.

Questa Corte ha costantemente ribadito, quanto ai presupposti del delitto di cui all’art. 612 cod. pen., che la gravità della minaccia deve essere accertata avendo riguardo, in particolare, al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto nel quale esse si collocano, onde verificare se, ed in quale grado, la condotta minatoria abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa (Sez. 5 -, Sentenza n. 8193 del 14/01/2019 Ud. (dep. 25/02/2019) Rv. 275889 01; Sez. 6, Sentenza n. 35593 del 16/06/2015 Ud. (dep. 25/08/2015) Rv. 264341 – 01).

Il Tribunale di Benevento ha fatto buon governo di tale principio, in quanto le frasi pronunciate dall’imputato erano in concreto idonee a generare il timore della persona offesa di subire un danno grave ed ingiusto, stante la posizione di preminenza rivestita dal ricorrente, in qualità di Presidente dei probiviri (OMISSIS) (OMISSIS), nella posizione che, nella prospettiva di un semplice socio, era effettivamente idonea a determinare nello stesso il timore di subire il pregiudizio minacciato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 10 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria l’8 maggio 2023.

SENTENZA – .