Respinto il ricorso di Bulgari per il rimborso spese di rappresentanza grande evento mondano (Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, Sentenza 22 maggio 2023, n. 14049).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TINARELLI Giuseppe Fuochi – Presidente –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere Rel. –

Dott. DI NOCERA Maria Giulia – Consigliere –

Dott. CHIESI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da

(OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS), in persona del legale rappresentante, pro tempore, rappresentata e difesa in forzo di procura speciale – depositata in data 26 gennaio 2023 – dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS);

– ricorrente e controricorrente al ricorso incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore, pro tempore, rappresentata e difesa come per legge dall’avvocatura generale dello stato con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, sez. staccata di Pescara, n. 288/07/16 depositata in data 21/03/2016, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 09/03/2023 dal Consigliere Roberto Succio;

Rilevato che:

– la società (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a, società non residente di diritto svizzero, impugnava il provvedimento di diniego di rimborso dell’iva corrisposta a fronte della somma che da essa versata alla società di diritto italiano (OMISSIS) s.p.a. quale contributo alle spese di organizzazione di un grande evento mondano curato da quest’ultima;

– l’Ufficio motivava il diniego sul rilievo che si trattava di spese di rappresentanza escluse dal rimborso e non di spese di pubblicità;

– la CTP accoglieva il ricorso; appellava l’Amministrazione finanziaria;

– la CTR confermava la sentenza impugnata;

– questa Corte, su ricorso della Agenzia delle entrate soccombente nei gradi di merito, cassava la sentenza di secondo grado ritenendo che la decisione impugnata non desse adeguato conto dei motivi in forza dei quali il contributo in parola era stato ricondotto tra le spese di pubblicità piuttosto che tra quelle di rappresentanza;

– riassunto il giudizio di fronte al giudice del rinvio, la società eccepiva preliminarmente la nullità del giudizio di Cassazione svoltosi in sua assenza e la sentenza che l’aveva concluso per violazione del principio del contraddittorio in quanto il ricorso per cassazione non le era stato mai notificato; nel merito ribadiva le tesi avanzate fin dal primo grado di giudizio;

– con la pronuncia qui impugnata la CTR ha accolto l’appello dell’ufficio e compensato le spese;

– ricorre a questa Corte la società contribuente con atto affidato a due motivi di impugnazione illustrato da memoria; l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso e ha presentato nel medesimo atto ricorso incidentale articolato in un motivo, al quale resiste la società contribuente con proprio controricorso;

Considerato che:

– il primo motivo del ricorso principale denuncia la nullità ai sensi del combinato disposto dell’art. 360 1 n. 4 e dell’art. 139 c.p.c. del precedente giudizio di cassazione, introdotto da un ricorso non legittimamente notificato, per avere il giudice del rinvio erroneamente ritenuto correttamente notificato il ricorso per cassazione ancorché non risultasse essere stata inviata dal notificatore e comunque risultando non ricevuta dal destinatario la raccomandata c.d. “informativa” ex art. 139 c. 4 c.p.c., trattandosi di notifica stata eseguita con consegna del plico contenente l’atto giudiziario a mani del portiere;

– il secondo motivo del ricorso principale denuncia violazione e sulla falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 1 n. 3 c.p.c. degli artt. 19bis 1) comma 1, lett. h) del d.P.R. n. 633 del 1972, e 108 2 secondo e terzo periodo del TUIR per avere il giudice del rinvio mal governato la normativa in tema di spese di pubblicità e di spese di rappresentanza, mancando di valutare il contesto complessivo nel quale era reclamizzato il prodotto venduto e con ciò non ponendo la giusta attenzione alla sostanza e al fine intrinseco della spesa e mancando pertanto di compiere una adeguata analisi funzionale secondo attente valutazioni in fatto opportunamente contestualizzate e circostanziate;

– l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato denuncia la violazione degli 391 e 395 n. 4 c.p.c., in relazione all’aver parte ricorrente fatto valere in sede di riassunzione un preteso vizio revocatorio dell’ordinanza n. 15193/20111 di questa Corte, che si doveva dichiarare inammissibile;

– il primo motivo del ricorso principale e il motivo di ricorso incidentale vanno esaminati unitariamente perché in stretto rapporto di connessione;

– non osta a tal fine la natura condizionata del ricorso incidentale sia in ragione dell’esame congiunto delle doglianze sia perché proposto dalla parte interamente vittoriosa con riguardo a questione pregiudiziale rimasta assorbita che non ne preclude ineludibilmente l’esame e la decisione con priorità, ossia senza tenere conto della sua subordinazione all’accoglimento del ricorso principale, “quando sia fondato su una ragione più liquida che consenta di modificare l’ordine delle questioni da trattare, in adesione alle esigenze di celerità del giudizio e di economia processuale di cui agli 24 e 111 Cost.” (Cass. n. 23531 del 18/11/2016); nella vicenda in esame, in ogni caso, la questione, come risulta dal tenore della decisione impugnata, è stata del tutto trascurata dal giudice d’appello, che ne omette ogni cenno anche in sede di illustrazione delle domande delle parti, sicché l’esame con priorità è pacificamente ammissibile (v. in particolare Sez. U, n. 23019 del 31/10/2007);

– la doglianza proposta dall’Ufficio è fondata, derivandone l’inammissibilità del primo motivo del ricorso principale;

– premesso che l’errata indicazione della norma violata (391 anziché 391 bis p.c.) non determina l’inammissibilità della censura, occorre osservare che la doglianza sollevata dalla società in sede di rinvio – vizio di notifica del ricorso per cassazione – avrebbe dovuto essere proposta, in ogni caso, solo il ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c., unico mezzo consentito dall’ordinamento avverso le decisioni della Corte, e mai con una impugnazione innanzi al giudice del rinvio, alla cui cognizione si verrebbe altrimenti a sottoporre l’esame della decisione del giudice superiore e, addirittura, a consentire – in termini evidentemente incongrui e del tutto extra ordinem – di cassare la decisione della Corte di cassazione, neppure essendo ipotizzabile un qualsivoglia esito di una simile statuizione;

– del resto, l’art. 323 p.c. (che individua i mezzi di impugnazione) e l’art. 339 (che regola l’appello e si riferisce esplicitamente alle sole decisioni di primo grado) e, in termini univoci, l’art. 384, secondo comma, c.p.c., secondo il quale “La Corte, quando accoglie il ricorso, cassa la sentenza rinviando la causa ad altro giudice, il quale deve uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte, ovvero decide la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto”), portano ad escludere che la decisione di legittimità sia, in qualunque modo, suscettibile di censura da parte del giudice del rinvio;

– il secondo motivo del ricorso principale è infondato;

– come è noto, questa Corte ha indicato i criteri che debbono guidare l’interprete nella attribuzione ad un costo della qualifica di spesa di rappresentanza o di spese di pubblicità, chiarendo (si veda la recente pronuncia resa da Sez. 5, Sentenza n. 10440 del 21/04/2021) che il criterio discretivo tra le spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti, atteso che le prime sono sostenute per accrescere il prestigio della impresa senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, se non in via mediata e indiretta attraverso il conseguente aumento della sua notorietà e immagine, mentre le seconde hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati, mediante l’informazione ai consumatori circa l’esistenza di tali beni e servizi, unitamente all’evidenziazione e all’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a soddisfarne i bisogni, in modo da incrementare le relative vendite;

– ciò che rileva, quindi è la sussistenza o meno di una diretta «aspettativa di ritorno commerciale» (Cass., 27 maggio 2015, n. 10914; Cass., 23 marzo 2016, n. 5720). Coerentemente, quanto alle spese oggetto di contratti di sponsorizzazione, il sistema tributario prevede infatti che ove non vi sia alcun nesso tra l’attività sponsorizzata e quella posta in essere dallo sponsor, le relative spese non possono essere considerate di pubblicità, e come tali integralmente deducibili, ma devono ritenersi spese di rappresentanza soggette ai limiti previsti dall’art. 108 del TUIR e dalle disposizioni secondarie attuative (Cass., 23 marzo 2016, n. 5720, in motivazione);

– e a ben vedere, d’altro lato, le suddette considerazioni trovano recente conferma anche sul versante unionale, che rileva quanto alla detraibilità dell’iva relativa;

– la Corte di Giustizia, con la pronuncia 25 novembre 2021, causa C-334/20, ha invero, precisato, in materia di diritto alla detrazione Iva per costi di pubblicità, che “l’articolo 168, lettera a), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che un soggetto passivo può detrarre l’imposta sul valore aggiunto (IVA) assolta a monte per servizi pubblicitari ove una siffatta prestazione di servizi costituisca un’operazione soggetta all’IVA, ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2006/112, e ove essa presenti un nesso diretto e immediato con una o più operazioni imponibili a valle o con il complesso delle attività economiche del soggetto passivo, a titolo di sue spese generali, senza che sia necessario prendere in considerazione la circostanza che il prezzo fatturato per i suddetti servizi sia eccessivo rispetto a un valore di riferimento definito dall’amministrazione finanziaria nazionale o che tali servizi non abbiano dato luogo a un aumento del fatturato di detto soggetto passivo”;

– in continuità con tali affermazioni si è posta questa Corte (in termini , Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16812 del 24/07/2014) confermando come il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e di pubblicità vada individuato anche nella diversità, anche strategica, degli obiettivi, atteso che costituiscono spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio e l’immagine della società e per potenziarne le possibilità di sviluppo, senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre sono spese di pubblicità o propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque al fine diretto di incrementare le vendite, sicché è necessaria una rigorosa verifica in fatto della effettiva finalità delle spese;

– pertanto, deve conclusivamente riconoscersi che le spese di pubblicità si collocano in rapporto diretto con l’incremento delle vendite, che è risultato perseguito e atteso quale obiettivo e fine del loro sostenimento; le spese di rappresentanza sono in rapporto diretto con l’immagine dell’impresa, il cui miglioramento presso clienti e potenziali clienti è risultato perseguito e atteso quale obiettivo da realizzarsi;

– ulteriore conferma della correttezza di tale distinzione si ritrova nella ulteriore giurisprudenza di questa Corte secondo la quale ai sensi dell’art. 74 (ora 108), comma 2, del TUIR i costi sostenuti per la cessione gratuita a i.p. dei capi d’abbigliamento griffati di produzione del contribuente, senza alcun obbligo giuridico d’indossarli in manifestazioni pubbliche, integrano spese di rappresentanza, solo parzialmente deducibili e non di pubblicità o propaganda, interamente deducibili, proprio mancando in questo caso un collegamento obiettivo ed immediato con la promozione di un prodotto o di una produzione e con l’aspettativa diretta di un maggior ricavo (Cass. V., n. 8121 e 8123/2016);

– posto quindi che – come correttamente rileva in esordio di motivazione la CTR – era onere della società dar prova del proprio diritto al rimborso, la qualificazione dei costi in parola come spese di rappresentanza appare correttamente operata nella sentenza impugnata, alla luce degli accertamenti di fatto compiuti dei gradi di merito;

– infatti, la CTR ha in primo luogo accertato che “mentre sono state esibite le fatture di vendita dei tre gioielli di cui si è detto, ad altrettanti rivenditori (omissis) rimasta allo stato di mera allegazione difensiva la tesi secondo cui quegli stessi preziosi, di seguito, sarebbero stati venduti ai clienti finali che li avevano opzionati nel corso dell’esposizione”‘;

– difetta quindi, secondo l’accertamento di fatto sopra riportato, ormai intangibile in questa sede di Legittimità, la prova del collegamento di un nesso immediato e diretto tra il costo e l’attività promozionale, perché non è dimostrato che i gioielli in oggetto siano stati oggetto di attenzione, anche solo nella forma di manifestazione di interesse che deriva dal sottoporli ad opzione di acquisto, proprio da parte di alcuni dei facoltosi clienti ai quali è stato destinato il trattamento di benefits senza dubbio di esclusiva mondiale, quali l’esser ospiti nella meravigliosa sede di (omissis) per assistere – ospiti nei più lussuosi hotel della città lagunare – ad una esposizione evidentemente di altissimo pregio;

– secondariamente, ha rilievo ai fini che ci interessano l’ulteriore circostanza “che una parte delle somme pagate dalla s.p.a. (OMISSIS) ed al cui esborso ha contribuito (OMISSIS) fosse destinata al restauro della “(OMISSIS); e che la notizia di tale contributo abbia avuto ampia (ed auspicata) diffusione sugli organi di stampa”; essa è indice dell’ottenimento da parte della contribuente proprio di un ritorno in termini di valorizzazione dell’immagine della contribuente;

– la strategia sottostante alla realizzazione di operazioni siffatte, invero, è ben definita, sul piano generale, dall’art. 120 del Lgs. 42 del 2004, il Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 e rubricato “sponsorizzazione di beni culturali” secondo il quale “è sponsorizzazione di beni culturali ogni contributo, anche in beni o servizi, erogato per la progettazione o l’attuazione di iniziative in ordine alla tutela ovvero alla valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l’immagine, l’attività o il prodotto dell’attività del soggetto erogante”. Il successivo comma 2 precisa che “la promozione di cui al comma 1 avviene attraverso l’associazione del nome, del marchio, dell’immagine, dell’attività o del prodotto all’iniziativa oggetto del contributo, in forme compatibili con il carattere artistico o storico, l’aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare, da stabilirsi con il contratto di sponsorizzazione”;

– la disposizione sopradetta ricomprende tra gli scopi della sponsorizzazione, attività nella quale può ben rientrare il restauro della (OMISSIS) universalmente nota del già nominato (OMISSIS) sia quello di promuovere in via generale l’immagine dell’impresa, sia quello di promuovere il prodotto della stessa; con ciò confermando che sia l’una sia l’altra attività pur avendo ricadute benefiche sull’impresa restano autonome e distinte nella loro consistenza concettuale prima e giuridica poi;

– nel presente caso, l’associazione della (OMISSIS) (OMISSIS)- in forza delle costose e importanti operazioni di restauro – è evidentemente stata accertata sussistere, correttamente, con la società (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) A e non con i prodotti della stessa; in altre parole, i potenziali clienti della stessa hanno ottenuto da tale operazione la percezione (e il conseguente apprezzato della stessa come munifico mecenate) di un carattere della società contribuente, non derivando da tale apprezzamento direttamente altro se non una migliore e più favorevole percezione, appunto, della sua immagine e solo indirettamente una ricaduta in termini di (potenziali) incrementi delle vendite di gioielli esclusivi;

– per tali ragioni, quindi, è accolto il ricorso incidentale; il ricorso principale va rigettato;

– le spese seguono la soccombenza;

p.q.m.

accoglie il ricorso incidentale; rigetta il ricorso principale; condanna parte ricorrente principale al pagamento delle spese processuali in favore di parte controricorrente che liquida in euro 5.880,00 oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della i. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.