Rifiuta la visita domiciliare a un’anziana signora: il ‘codice bianco’ relativo alle condizioni della donna non salva il medico (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 25 novembre 2022, n. 45057).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSTANZO Angelo – Presidente –

Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere –

Dott. DI GERONIMO Paolo – Consigliere –

Dott. D’ARCANGELO Fabrizio – Consigliere –

Dott. DI GIOVINE Ombretta – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(OMISSIS) Antonio, nato a Brindisi il 24/11/19xx;

avverso la sentenza del 27/01/2021 della Corte di appello di Torino;

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

udita la relazione del consigliere Dott.ssa Ombretta Di Giovine;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Silvia Salvadori, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, riduceva la pena principale e la pena accessoria inflitte all’imputato per omissione di atti d’ufficio (art. 328 cod. pen.), per essersi, in qualità di medico di continuità assistenziale, rifiutato di recarsi presso il domicilio di una paziente di età avanzata, impossibilitata a muoversi e di cui il figlio, nella telefonata al 118, aveva denunciato gravi difficoltà respiratorie.

2. Avverso la sentenza l’imputato, per il tramite del suo difensore, avvocato Roberto (OMISSIS), presenta ricorso, articolandolo in due motivi.

2.1. Nel primo motivo deduce errata applicazione dell’art 328 cod. pen. sul piano della tipicità oggettiva e correlato vizio di motivazione.

Premesso che in base alla normativa regolamentare e agli accordi collettivi, non sussiste un obbligo di visita domiciliare, essendo la relativa decisione rimessa alla discrezionalità del medico, che la esercita in base alla valutazione del caso concreto, secondo il ricorrente la sentenza della Corte d’appello avrebbe contraddittoriamente usato l’argomento del c.d. “codice bianco“, speso nei giudizi di merito per evidenziare l’assenza di gravi rischi per la salute della donna.

In motivazione sarebbe stata infatti valorizzata la testimonianza della centralinista del 118, la quale aveva precisato che a tutte le chiamate viene assegnato tale codice, e si sarebbe invece taciuto che dalle risultanze processuali era emerso che il collega di (OMISSIS), recatosi presso il domicilio della donna dopo il diniego di quest’ultimo, aveva confermato, all’esito della visita, il “codice bianco” e dunque la bontà della diagnosi fatta da (OMISSIS), secondo cui non sussisteva un rischio di danni gravi per la salute.

2.2. Nel secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e vizio della motivazione, relativamente all’elemento soggettivo del reato, osservando che per la sussistenza del dolo occorre che l’agente rifiuti di porre in essere un atto che sa di dover compiere senza ritardo, ciò che nella fattispecie secondo la valutazione del ricorrente, ex post rivelatasi peraltro corretta, non era.

3. Il ricorrente presenta altresì una memoria di replica alle deduzioni del Procuratore Generale in cui insiste per l’accoglimento del ricorso.

4. Il procedimento è stato trattato in forma cartolare, ai sensi dell’art. 23, comma 8, dl. n. 137 del 2020, convertito con modificazioni dalla I. 18 dicembre 2020, n. 176, e dell’art. 16, comma 1, d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito dalla I. 25 febbraio 2022, n. 15.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non si confronta con le puntuali deduzioni contenute nella sentenza di appello ed appare, sotto questo profilo, generico, oltre che manifestamente infondato.

2. Con il primo motivo si denuncia la mancanza, nel fatto concreto, degli elementi costitutivi la tipicità oggettiva della fattispecie di omissione di atti d’ufficio (art. 328 cod. pen.).

2.1. Sul punto e muovendo dall’individuazione di quello che va ritenuto, in concreto, I”atto dell’ufficio” la cui omissione è suscettibile di assumere rilievo penale, il ricorrente correttamente afferma che la visita domiciliare rappresenta soltanto una delle opzioni attraverso le quali il medico di continuità assistenziale può adempiere al suo dovere, ben potendo egli – laddove non la ritenga necessaria – limitarsi ad un consulto telefonico.

Infatti, vero è che l’art. 13, comma 3, dell’accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici addetti al servizio di guardia medica ed emergenza territoriale, reso esecutivo (ai sensi dell’art. 48 legge 23 dicembre 1978, n. 833) con d.P.R. 25 gennaio 1941, n. 41, postula un apparente automatismo ove stabilisce che il medico di continuità assistenziale «è tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che siano chiesti direttamente dall’utente […] entro la fine del turno al quale è preposto».

Tuttavia, altre fonti normative, rilevanti nel caso concreto, puntualizzano che, come d’altronde logico, il medico «deve valutare, sotto la propria responsabilità, l’opportunità di fornire un consiglio telefonico, recarsi al domicilio per una visita, invitare l’assistito in ambulatorio» (così, il Manuale per il medico di continuità assistenziale approvato dal Comitato permanente aziendale – Azienda USL della Valle d’Aosta).

Nel caso di specie, si configuravano, pertanto, tre opzioni al cui interno l’imputato era chiamato a scegliere, in base al suo apprezzamento della situazione concreta.

Ebbene, posto che la terza possibilità era fuori discussione a causa dell’età e delle condizioni della paziente (la signora per la quale era richiesto l’intervento era molto anziana, aveva riportato una frattura alle costole e non era dunque nelle condizioni di recarsi a una visita ambulatoriale), dal tenore della sentenza di secondo grado emerge come l’imputato non si fosse nemmeno prestato ad un consulto telefonico: «(OMISSIS) neppure ha rivolto consigli terapeutici puntuali, tale non potendo ritenersi l’alternativa di chiedere l’intervento di un’ambulanza ovvero, se la situazione fosse rimasta stazionaria, rivolgersi, il giorno dopo, al medico di base».

Deve ribadirsi che la necessità e l’urgenza di effettuare una visita domiciliare, in virtù di quanto previsto dal citato l’art. 13 dell’accordo collettivo nazionale, è rimessa alla valutazione discrezionale del sanitario di guardia, sulla base della propria esperienza, ma tale valutazione sommaria non può prescindere dalla conoscenza del quadro clinico del paziente, acquisita dal medico attraverso la richiesta di indicazioni precise circa l’entità della patologia dichiarata (Sez. 6, n. 34047 del 14/01/2003, Miraglia, Rv. 226594): richiesta che, nel caso di specie, non risulta essere stata formulata da (OMISSIS).

L’unica opzione residua era, dunque, la visita domiciliare, in relazione alla cui mancata esecuzione l’imputato non ha addotto – tantomeno documentato – alcun impedimento durante le due fasi del giudizio di merito.

2.2. La censura del ricorrente riguarda, infatti, soltanto la mancanza del requisito dell’urgenza, insito nella necessità – secondo il dettato dell’art. 328 cod. pen. – che l’atto vada «compiuto senza ritardo».

Premesso che, sul punto, la giurisprudenza di legittimità riconosce pacificamente la connotazione discrezionale della valutazione del medico, riservando tuttavia al giudice il potere di sindacarla quando emergano elementi che evidenzino l’evidente erroneità di quest’ultima (in tal senso, ex aliis: Sez. 6, n. 23817 del 30/10/2012, dep. 2013, Tomas, Rv, 255715; Sez. 6, n. 12143 del 11/02/2009, Bruno, Rv. 242922; Sez. 6, n. 34047 del 14/01/2003, Miraglia, cit.), si rileva che nel giudizio in esame, tale potere è stato esercitato dal giudice dell’appello, là dove scrive: «È evidente che, nel caso di specie, il quadro clinico descritto dall’utente avrebbe imposto di recarsi immediatamente al domicilio della malata, affetta da difficoltà respiratorie ir un contesto di età avanzata e frattura alle costole».

Il ricorrente reputa tale motivazione apparente e contraddittoria, posto che – osserva – la valutazione dell’imputato, che aveva evidentemente escluso l’urgenza della visita, era risultata ex post corretta, essendo stata validata dal collega di (OMISSIS), che, all’esito della visita, aveva confermato il codice bianco assegnato dalla centralinista la quale diramava le telefonate in entrata al 118.

Quest’ultima notazione tralascia però di considerare – ed in ciò consiste il profilo di inammissibilità del ricorso – come su questo aspetto il giudice di appello abbia fornito una risposta puntuale, con motivazione completa ed esente da vizi di illogicità.

In sentenza si trova infatti replicato che, in tanto il suddetto codice bianco era stato confermato, in quanto il secondo medico, che si era recato a seguito della inerzia dell’imputato a casa della donna, diagnosticandole una bronchite, aveva prescritto «idonea terapia».

Dunque, premesso che l’omissione di atti d’ufficio ha natura di reato di pericolo, sulla base della ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito – ricostruzione, non sindacabile dalla Corte di cassazione – tale pericolo (nel caso di specie, per la salute dell’assistito) sussisteva al momento della realizzazione della condotta omissiva, a nulla rilevando la sua successiva neutralizzazione ad opera di un terzo (nella specie, il secondo medico contattato).

3. Per la stessa ragione, manifestamente infondata risulta altresì la deduzione formulata nel secondo motivo di ricorso, tesa a negare la sussistenza del dolo, poiché l’imputato non si sarebbe rappresentato la necessità di compiere l’atto senza ritardo, non avendo egli ritenuto urgente la condizione clinica della donna.

Infatti, in base alla ricostruzione operata dai giudici di merito, l’indifferibilità dell’atto dell’ufficio era ragionevolmente ipotizzabile al momento della telefonata, alla luce delle circostanze del fatto (quali le condizioni e l’età della donna, nonché la tipologia di sintomi riferita dal figlio), con la conseguenza che il soggetto agente non poteva che essersela rappresentata.

Né, come ovvio, può incidere sull’elemento soggettivo, elidendolo, la circostanza che — sempre sulla base della ricostruzione fattuale del giudice di appello, insindacabile in quanto compiutamente e coerentemente motivata — il pericolo fosse venuto meno, per effetto del successivo intervento, in chiave terapeutica, del secondo medico di continuità assistenziale.

4. Da quanto precede deriva che il ricorso è inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 28/10/2022.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.