REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILE
Composta da
Rosa Maria DI VIRGILIO – Primo Presidente f.f. –
Danilo SESTINI – Consigliere –
Adriano Piergiovanni PATTI – Consigliere –
Alberto GIUSTI – Consigliere –
Lina RUBINO – Consigliere –
Marco MARULLI – Consigliere –
Guido MERCOLINO – Consigliere Rel. –
Enzo VINCENTI – Consigliere –
Giuseppe TEDESCO – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17377/2023 R.G. proposto da:
(omissis) (omissis) rappresentata e difesa dall’Avv. (omissis) (omissis) con domicilio eletto in Roma, via (omissis) (omissis)
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA e PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimati –
avverso l’ordinanza della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura n. 75/23, depositata ii 28 luglio 2023.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 16 gennaio 2024 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;
udito l’Avv. (omissis) (omissis) per delega dell’Avv. (omissis) (omissis);
udito ii Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale (omissis) (omissis), che ha concluso chiedendo la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con ordinanza del 28 luglio 2023, la Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha rigettato l’istanza di revoca della misura della sospensione cautelare facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio, con il collocamento fuori del ruolo organico della magistratura, comminata alla Dott.ssa (omissis) (omissis) magistrato in servizio presso ii Tribunale di Catania, con ordinanza n. 58 del 6 luglio 2023.
La misura cautelare era stata adottata nel procedimento disciplinare promosso a carico della Dott.ssa (omissis) (omissis) per l’illecito disciplinare previsto dall’art. 4, lett. d), del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, a seguito della trasmissione da parte del Tribunale di Messina del dispositivo della sentenza penale emessa il 31 maggio 2023, con cui la Dott.ssa (omissis) (omissis) era stata dichiarata responsabile dei medesimi fatti per i quali era stato promosso il procedimento disciplinare, e precisamente del delitto previsto dagli artt. 81, 56-317 cod. pen., perché, «quale pubblico ufficiale, magistrato in servizio presso la sesta sezione civile del Tribunale di Catania, abusando della sua qualità e dei suoi poteri, compiva più atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere funzionari di Riscossione Sicilia spa alla cancellazione di procedure esecutive contro di lei intentate».
A fondamento della decisione, la Sezione disciplinare ha ritenuto insussistente il dedotto travisamento delle dichiarazioni rese dal teste (omissis) (omissis) su cui era fondata l’incolpazione, rilevando che i fatti dallo stesso narrati nel procedimento penale a carico dell’incolpata risultavano integralmente e correttamente riportati nell’ordinanza: da quest’ultima emergeva infatti che il (omissis) (omissis) funzionario della Riscossione Sicilia, aveva ricevuto una telefonata dalla Dott.ssa (omissis) (omissis) con cui quest’ultima gli aveva chiesto di annullare un’inscrizione a ruolo, e, al suo rifiuto, aveva reagito in modo arrogante, ripromettendosi di fargliela pagare.
Ha aggiunto che il teste aveva riferito di aver appreso successivamente che a seguito del predetto rifiuto la Riscossione Sicilia aveva subito diverse condanne in procedure esecutive immobiliari trattate dall’incolpata, delle quali era parte, mentre in una lettera riservata indirizzata al legale della società il (omissis) (omissis) aveva dichiarato che la Dott.ssa (omissis) (omissis) non aveva l’obbiettività e la serenità necessarie per continuare a giudicare nelle predette procedure.
Precisato inoltre che, come emergeva dalla sentenza penale di primo grado, era stato lo stesso teste a ricollegare le due condotte ascritte all’incolpata, ha osservato che l’affermazione secondo cui era chiaro l’intento della Dott.ssa (omissis) (omissis), di non limitarsi alla telefonata non costituiva una mistificazione dei fatti, ma il frutto della valutazione degli atti.
Quanta poi alla dedotta impossibilità di ricondurre i fatti agli artt. 56, 81 e 317 cod. pen., la Sezione disciplinare ha richiamato la precedente ordinanza cautelare, ribadendo che ai fini dell’integrazione della condotta materiale della concussione non occorre una minaccia esplicita del pubblico ufficiale, ma é sufficiente un comportamento dal quale sia desumibile la prospettazione di un danno ingiusto il cui verificarsi dipenda dalla volontà dell’agente, compiuto mediante abuso della qualità di pubblico ufficiale, ed escludendo la possibilità di ravvisare nell’interruzione della chiamata telefonica la manifestazione della volontà di non proseguire oltre, in considerazione dell’allusione a ripercussioni potenziali e future, ampiamente documentate nell’ordinanza cautelare.
Ha ritenuto ininfluenti le dichiarazioni rese dal (omissis) (omissis) in un altro processo penale, non essendo stato precisato quale fosse l’oggetto della testimonianza, e non potendo le stesse infierire quelle utilizzate a sostegno dell’ordinanza cautelare e della sentenza penale di primo grado, ed ha reputato irrilevante anche la circostanza che l’ordinanza cautelare avesse richiamato alcuni passi di un’altra sentenza penale poi annullata, trattandosi di una tecnica di redazione motivazionale giustificata dalla condivisione della ricostruzione e della qualificazione della vicenda, ed essendo stata la sentenza annullata per motivi processuali.
Ha ritenuto inoltre priva di significato probatorio la dichiarazione di ricusazione presentata dall’incolpata nei confronti del Presidente del Collegio che aveva emesso la sentenza penale di condanna, in quanta intervenuta a processo già concluso e fondata su mere congetture, escludendo infine che il contenuto della telefonata fosse ascrivibile all’incolpata in qualità di privata cittadina, giacche ella si era qualificata esplicitamente come magistrato.
La Sezione disciplinare ha pertanto concluso per l’idoneità degli elementi acquisiti a far ritenere sussistente il fumus commissi delicti, osservando che a tal fine non era necessario un accertamento completo in ordine alla sussistenza dell’addebito, ma si richiedeva soltanto una valutazione circa la rilevanza dei fatti contestati, astrattamente considerati, e la delibazione della possibile sussistenza degli stessi, e rilevando che dalle indagini compiute in sede penale e disciplinare erano emersi gravi indizi di colpevolezza, che avevano indotto ii Tribunale di Messina ad emettere due sentenze di condanna ad una pena severa, la prima annullata per una nullità processuale, e la seconda pronunciata a seguito di tale annullamento.
2. Avverso la predetta ordinanza la Dott.ssa (omissis) (omissis) ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi.
II Ministero della giustizia non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione della legge processuale e la mancanza, l’illogicità e la manifesta contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza impugnata, ai sensi dell’art. 606, primo comma, c) ed e), cod. proc. pen., osservando che, cosi come quella che ha disposto la misura cautelare, l’ordinanza impugnata ha omesso di procedere ad un’autonoma valutazione dei fatti, avendo richiamato acriticamente le sentenze penali, una delle quali era stata annullata, mentre per l’altra non era stata ancora depositata la motivazione.
Sostiene che, pur essendo stato pronunciato per motivi processuali, l’annullamento della prima sentenza ne comportava l’inesistenza, precludendo quindi il richiamo della relativa motivazione.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l’apparenza, illogicità manifesta e contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza impugnata e il travisamento dei fatti, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. c) e d), cod. proc. pen., rilevando che nella ricostruzione dei fatti l’ordinanza impugnata ha attribuito al teste (omissis) (omissis) dichiarazioni dallo stesso mai rese e non corrispondenti al vero.
Premesso che nel giudizio penale l’esame del teste era stato effettuato con la partecipazione di un difensore d’ufficio dell’imputata, non avendo il difensore di fiducia potuto presenziare all’udienza per un impedimento ritenuto non legittimo, sostiene che, nel porre in relazione le dichiarazioni d’inammissibilità degl’interventi della Riscossione Sicilia con la minaccia proferita dalla Dott.ssa (omissis) (omissis) nel colloquio telefonico con il (omissis) (omissis), l’ordinanza impugnata non ha tenuto conto del lungo periodo di tempo (sette anni) trascorso da quest’ultima e delle funzioni svolte dall’incolpata, che in quanto addetta all’esecuzione immobiliare si era occupata soltanto marginalmente degl’interventi della Riscossione Italia.
Aggiunge che la Sezione Disciplinare ha omesso di valutare elementi addotti dalla difesa, sopravvenuti rispetto all’ordinanza cautelare, e consistenti nelle dichiarazioni rese da funzionari della Riscossione Sicilia, che avevano confermato l’imparzialità dell’incolpata, e nell’avvenuta estinzione del debito cui si riferiva la telefonata, in epoca anteriore al 2016.
Precisa che all’epoca dei fatti risultava pendente nei con fronti della Dott.ssa (omissis) (omissis) un’altra procedura esecutiva, avverso la quale l’incolpata aveva proposto opposizione, facendo valere la prescrizione dei debiti e l’estinzione di una parte degli stessi per mancata notificazione del verbale di contravvenzione nei termini di legge.
3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 4, lett. d), del lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, in relazione all’art. 317 cod. proc. civ., censurando l’ordinanza impugnata per aver qualificato la fattispecie come tentata concussione, anziché come minaccia, eventualmente aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale, e per aver ravvisato un collegamento tra la conversazione telefonica e le condotte tenute dall’incolpata nella gestione dei procedimenti in cui era parte la Riscossione Sicilia.
Premesso che, in quanto non finalizzata al perseguimento di un risultato concretamente individuato, la spendita della qualità di magistrato nel corso della telefonata non costituiva abuso della stessa, e non escludeva quindi la persistenza della qualità di cittadina, sostiene che l’effetto della minaccia si é esaurito con la fine della conversazione, seguita soltanto a distanza di anni dagli altri fatti contestati, i quali in tanto avrebbero potuto essere qualificati come atti concussivi in quanto fossero volti ad ottenere l’annullamento dell’iscrizione a ruolo. Aggiunge che, nel ritenere ininfluenti le dichiarazioni rese dal teste (omissis) (omissis), nel dibattimento penale, l’ordinanza impugnata non le ha prese neppure in esame.
4. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la nullità dell’ordinanza impugnata e la violazione della legge processuale, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b) e c), proc. pen., lamentando l’immotivata applicazione della misura cautelare massima della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, in luogo di quella meno afflittiva del trasferimento d’ufficio.
Premesso che la funzione propria delle misure cautelari postula necessariamente l’adeguatezza delle stesse alle esigenze da salvaguardare, sostiene che l’art. 22 del d.lgs. n. 109 del 2006, cosi come consente al giudice disciplinare di revocare in qualsiasi momento anche d’ufficio la misura applicata, non gli impedisce neppure di applicare una misura meno afflittiva di quella richiesta, sulla base di una valutazione della gravità del comportamento contestato.
Premesso che l’ordinanza impugnata é stata preceduta dalla revoca di un’altra ordinanza di sospensione, adottata in relazione ai medesimi fatti e la cui esecuzione si era protratta per quattro anni, afferma che la Sezione Disciplinare ha omesso di valutare la possibilità che la precedente sospensione avesse comportato la consumazione del potere di disporre la misura cautelare.
5. II primo motivo, concernente l’ammissibilità del richiamo alle sentenze penali di condanna emesse nei confronti della ricorrente, é infondato.
L’ordinanza impugnata, pur avendo richiamato le sentenze di condanna per il reato di cui all’art. 81, 56 e 317 cod. proc. civ. pronunciate nel giudizio penale svoltosi a carico dell’incolpata, non si é infatti limitata a recepirne acriticamente il contenuto, ma ha sottoposto ad un’autonoma valutazione i fatti emersi dall’istruttoria penale, anche alla luce dei rilievi formulati nell’istanza di revoca della misura cautelare, evidenziando ii tenore della deposizione resa in sede penale dal teste (omissis) (omissis) e della nota riservata da lui trasmessa all’Avv. (omissis) (omissis) da cui si evincevano le minacce proferite dalla Dott.ssa (omissis) (omissis) ed i sospetti di non obiettività avanzati con riguardo al comportamento successivamente tenuto dalla stessa, e ponendo altresi in risalto la conformità di tali circostanze ai fatti riferiti dal (omissis) (omissis) in altro procedimento disciplinare promosso nei confronti dell’incolpata.
L’esigenza di un’autonoma valutazione, predicabile in linea generale a fronte di fatti che non abbiano ancora costituito oggetto di accertamento con sentenza penale passata in giudicato, si poneva d’altronde in maniera particolarmente stringente nel caso in esame, proprio in considerazione della circostanza, fatta valere dalla difesa della ricorrente, che la sentenza di condanna pronunciata in primo grado nel procedimento penale svoltosi a carico dell’incolpata era stata annullata dalla Corte d’appello, per un vizio di natura processuale, ed in sede di rinnovazione del giudizio non era stata ancora depositata la motivazione della nuova sentenza, con la conseguenza che, tanto alla data di pronuncia dell’ordinanza di sospensione quanta a quella della decisione sull’istanza di revoca, non poteva ritenersi ancora sussistente alcun accertamento dei fatti.
A ciò si aggiunga che alla data di presentazione dell’istanza di revoca risultava ancora pendente il termine per l’impugnazione dell’ordinanza con cui era stata disposta la sospensione, sicché, non essendosi ancora formato il giudicato cautelare, l’esame del Giudice disciplinare non poteva ritenersi limitato al riscontro dei fatti nuovi eventualmente allegati a sostegno dell’asserito miglioramento del quadro fattuale tenuto presente ai fini dell’autorizzazione della misura, ma poteva estendersi anche alla ricostruzione dei fatti sulla base dei quali la stessa era stata disposta.
Tale verifica, come si é detto, e stata puntualmente compiuta dalla Sezione disciplinare, la quale ha proceduto ad una nuova valutazione del materiale probatorio acquisito nel giudizio penale e nel procedimento disciplinare, prendendo in esame anche i rilievi formulati dalla difesa della ricorrente in ordine alla ricostruzione dei fatti ed alla qualificazione giuridica della fattispecie, e concludendo per l’insussistenza di elementi idonei a giustificare la revoca della misura.
La decisione adottata può essere dunque ritenuta conforme al principio più volte ribadito da queste Sezioni Unite nella materia in esame, secondo cui la sospensione cautelare facoltativa, prevista dall’art. 22 del d.lgs. n. 109 del 2006 per il caso in cui il magistrato sia stato sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo punibile, anche in via alternativa, con pena detentiva, presuppone una valutazione della gravita dei fatti ascritti in sede penale, tenendo conto del titolo dei delitti e di tutte le circostanze del caso concreto ai fini del giudizio circa l’esistenza di una lesione del prestigio e della credibilità dell’incolpato tale da non essere compatibile con l’esercizio delle funzioni, restando preclusa soltanto la formulazione di una prognosi circa l’esito del procedimento penale, giacche al Giudice disciplinare non é attribuito il potere di negare, nella sostanza, lo stesso presupposto prescritto dalla legge per l’applicazione della sospensione cautelare, ovverosia la sottoposizione a procedimento penale (cfr. cass., Sez. Un., 19/02/2019, n. 4882; 1/ 06/2010, n. 13337).
6. É invece inammissibile il secondo motivo, riguardante la ricostruzione dei fatti compiuta dall’ordinanza impugnata.
Come si é detto, infatti, il rigetto dell’istanza di revoca della sospensione cautelare trova giustificazione in un’approfondita e coerente disamina degli elementi di fatto emersi dall’istruttoria penale e disciplinare e dei profili giuridici dell’illecito ascritto all’incolpata, accompagnata da un’analisi dei nuovi elementi addotti a sostegno dell’asserito miglioramento del quadro fattuale sotteso all’autorizzazione della misura cautelare, si da potersi escludere la configurabilità di una motivazione meramente apparente o connotata da vizi logici talmente gravi da impedire la ricostruzione del ragionamento seguito per giungere alla decisione.
É noto d’altronde che il sindacato di queste Sezioni Unite sulla motivazione delle decisioni della Sezione disciplinare del CSM é limitato alla verifica della congruità, adeguatezza e logicità della stessa, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, giacche, anche a seguito della modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotta dalla legge n. 46 del 2006, risulta estraneo al controllo di legittimità il riscontro della correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (cfr. cass., Sez. Un., 19/04/2022, n. 12446; 19/03/2019, n. 7691; 9/06/2017, n. 14430).
Non possono pertanto trovare ingresso, in questa sede, le censure proposte dalla ricorrente, le quali non risultano idonee ad evidenziare lacune argomentative o incongruenze dell’ordinanza impugnata, limitandosi a sollevare questioni nuove, mai prospettate in precedenza, oppure a sollecitare un riesame della valutazione dei fatti, senza che vengano addotti elementi decisivi in contrario.
Non appaiono determinanti, in particolare, ne le dichiarazioni rese dai funzionari della Riscossione Sicilia, a fronte dell’approfondito esame della deposizione resa dal teste (omissis) (omissis) né l’avvenuta estinzione del debito riportato nelle cartelle esattoriali delle quali la Dott.ssa (omissis) (omissis) chiese l’annullamento nel corso della conversazione telefonica intercorsa con ii teste, essendo pacifica la sussistenza del debito alla data in cui ebbe luogo la predetta conversazione; la stessa ricorrente ha peraltro riconosciuto che all’epoca in cui si verificarono le vicende successive che hanno determinato l’apertura del procedimento disciplinare (la mancata astensione nelle procedure esecutive cui partecipava la Riscossione Sicilia, la dichiarazione d’inammissibilità de gl’interventi di quest’ultima, gli apprezzamenti negativi espressi in pubblica udienza in ordine all’operato degli avvocati della medesima società) essa era ancora debitrice e sottoposta a procedura esecutiva, la cui pendenza non può essere esclusa in virtù della mera circostanza, fatta valere mediante opposizione all’esecuzione, che i debiti azionati fossero prescritti o estinti.
Quanto poi all’assenza del difensore della ricorrente nell’udienza in cui il (omissis) (omissis) rese la sua deposizione, trattasi di una questione non menzionata nell’ordinanza impugnata, la cui prospettazione non risulta corredata né dall’indicazione della sede in cui é stata sollevata né dall’individuazione degli elementi indispensabili per la ricostruzione dei relativi presupposti fattuali (cfr. cass. pen., Sez. III, 22/11/2022, n. 7038; 17/06/2021, n. 35494; cass. pen. Sez. VI, 8/10/2015, n. 44774).
7. É parimenti inammissibile il terzo motivo, avente ad oggetto la qualificazione giuridica dell’illecito penale.
In quanto imperniate essenzialmente sulla sottolineatura del lungo periodo di tempo intercorso tra conversazione telefonica svoltasi tra la Dott.ssa (omissis) (omissis) ed il (omissis) (omissis) ed i comportamenti tenuti in seguito dall’incolpata, ritenuto idoneo ad escludere qualsiasi collegamento tra la minaccia da quest’ultima rivolta alla Riscossione Sicilia ed i provvedimenti adottati nei procedimenti in cui tale società aveva spiegato intervento, le censure proposte dalla ricorrente non attengono infatti ai profili giuridici della vicenda, ma all’apprezzamento di fatto compiuto dalla Sezione disciplinare in ordine alla configurabilità di un nesso logico e cronologico tra le condotte contestate nel capo d’incolpazione.
L’adeguatezza di tale apprezzamento, sindacabile in questa sede esclusivamente per incongruenza o illogicità della motivazione, deve essere d’altronde riscontrata tenendo conto dell’oggetto e dei limiti propri del giudizio rimesso alla Sezione disciplinare del CSM in sede di adozione del provvedimento di cui agli artt. 21 e 22 del d.lgs. n. 109 del 2006: come più volte affermato da queste Sezioni Unite, la sospensione del magistrato dalle funzioni e dallo stipendio, non costituendo una sanzione disciplinare ma una misura cautelare, non richiede infatti un accertamento pieno e completo in ordine alla sussistenza degli addebiti (riservato al giudizio di merito sull’illecito disciplinare), ma presuppone soltanto una valutazione circa la rilevanza dei fatti contestati, astrattamente considerati, e la delibazione della possibile sussistenza degIi stessi (cfr. Cass., Sez. Un., 27/01/2020, n. 1719; 21/12/ 2012, n. 23856; 25/11/2008, n. 28046).
A tale principio si é correttamente attenuta l’ordinanza impugnata, la quale, pur senza approfondire particolarmente la questione sollevata con il motivo in esame, ha posto opportunamente in risalto la consistenza degli elementi fattuali emersi in ordine alla sussistenza della condotta ascritta all’incolpata e la riconducibilità della stessa, almeno prima facie, al paradigma dell’art. 317 cod. pen., ritenendo per tanto integrato il fumus commissi delicti necessario per l’applicazione della misura cautelare.
8. Non merita infine accoglimento neppure il quarto motivo, riguardante l’individuazione della misura cautelare più appropriata in relazione all’illecito contestato.
Premesso che la valutazione della minore gravità dei fatti, ai fini dell’adozione della misura cautelare più lieve del trasferimento provvisorio ad altro ufficio di un distretto limitrofo, in luogo di quella maggiormente afflittiva della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, costituisce anch’essa un apprezzamento di fatto, riservato alla Sezione disciplinare del CSM e sindacabile in sede di legittimità esclusivamente per inadeguatezza, incongruenza o illogicità della motivazione, si osserva che nella specie, nonostante la mancanza di qualsiasi cenno all’alternativa del trasferimento provvisorio, la scelta della sospensione, quale misura cautelare più appropriata alla fattispecie considerata, risulta adeguatamente giustificata attraverso la sottolineatura della serietà degli elementi di fatto emersi in ordine alla sussistenza dell’illecito contestato e della severità della pena ripetutamente irrogata dal Tribunale di Messina con le due sentenze di condanna (la prima delle quali annullata) emesse nei confronti della Dott.ssa (omissis) (omissis) ritenute evidentemente idonee ad evidenziare la gravità del reato commesso e la sua attitudine a compromettere l’immagine del magistrato in un ambito territoriale non circoscritto al distretto di Corte d’appello in cui era situato l’ufficio di appartenenza dell’incolpata.
Sebbene pertanto, a fronte dell’istanza di revoca della sospensione cautelare facoltativa disposta ai sensi dell’art. 22, comma primo, del d.lgs. n. 109 del 2006, la Sezione disciplinare possa legittimamente sostituire la predetta misura con quella meno gravosa del trasferimento provvisorio ad altro ufficio, anche in assenza di un’espressa richiesta dei titolari dell’azione disciplinare (cfr. cass., Sez. Un., 28/05/2020, n. 10086), non merita censura l’ordinanza impugnata, nella parte in cui ha omesso di prendere espressamente in considerazione l’eventualità di tale sostituzione, la cui prospettazione da parte della difesa dell’incolpata ha comunque trovato una puntuale risposta nelle argomentazioni svolte a sostegno del rigetto dell’istanza di revoca.
Nessun rilievo può inoltre assumere, ai fini dell’inapplicabilità della sospensione, la circostanza che l’ordinanza con cui la stessa e stata disposta e quella con cui ne é stata negata la revoca siano state emesse a pochi giorni di distanza dalla revoca di un analogo provvedimento di sospensione precedentemente adottato nei confronti dell’incolpata: quest’ultimo é stato infatti emesso nell’ambito di un distinto procedimento disciplinare promosso per fatti che, pur essendo collegati alla vicenda che ha costituito oggetto del procedimento penale svoltosi dinanzi al Tribunale di Messina, risultano diversi da quelli che hanno condotto all’apertura del procedimento disciplinare nell’ambito del quale é stata pronunciata l’ordinanza impugnata; quest’ultimo ha in fatti ad oggetto il reato di tentata concussione contestato in relazione alla minaccia rivolta dalla Dott.ssa (omissis) (omissis) alla Riscossione Sicilia e ai provvedimenti successivamente adottati nei procedimenti esecutivi in cui quest’ultima aveva spiegato intervento, mentre il primo ha ad oggetto fatti privi di rilevanza penale ma ritenuti idonei ad integrare una grave violazione di legge determinata da ignoranza inescusabile (la revoca di tutti i provvedimenti di vendita adottati nell’ambito di un procedimento esecutivo, per inosservanza dei criteri tabellari di assegnazione dei fascicoli) e la violazione dei doveri di imparzialità, correttezza, riserbo, equilibrato e rispetto della dignità della persona nell’esercizio delle funzioni (l’espressione di giudizi gravemente denigratori nei confronti dei colleghi di sezione e dell’avvocato della Riscossione Sicilia): la valutazione compiuta in quella sede relativamente al venir meno delle condizioni che avevano giustificato la sospensione risulta pertanto ininfluente ai fini dell’applicazione ed al mantenimento di un’analoga misura nell’ambito del procedimento in esame, cosi come l’adozione del precedente provvedimento di sospensione non poteva considerarsi idonea a determinare la consumazione del potere cautelare nell’ambito del procedimento successivo.
9. II ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla posizione istituzionale del Pubblico Ministero, quale organo titolare dell’azione disciplinare, cui sono attribuiti poteri d’iniziativa e d’impulso esercitati per dovere d’ufficio e nell’interesse pubblico (cfr. cass., Sez. , 22/12/1999, n. 923; v. anche cass., Sez. I, 2/10/2015, n. 19711; 7/10/2011, n. 20652).
P.Q.M.
rigetta ii ricorso.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.
Così deciso in Roma il 16/01/2024
II Consigliere estensore
Dott. Guido MERCOLINO
Il Primo Presidente f.f.
Dott.ssa Rosa Maria DI VIRGILIO
Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2024.