Se la moglie non si esprime in forma manifesta per un rapporto sessuale col marito, questo non significa acconsentirlo (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 21 marzo 2023, n. 11770).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente –

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere –

Dott. PAZIENZA Vittorio – Rel. Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), nato a (OMISSIS), il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza emessa il 13/10/2021 dalla Corte d’Appello di Bologna;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere dott. Vittorio Pazienza;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. Marco Dall’Olio, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 13/10/2021, la Corte d’Appello di Bologna ha parzialmente riformato (mitigando il trattamento sanzionatorio, e confermando nel resto) la sentenza emessa dal Tribunale di Rimini, in data 13/12/2017, con la quale (OMISSIS) (OMISSIS) era stato condannato alla pena di giustizia in relazione ai delitti di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale in danno della moglie (OMISSIS) (OMISSIS), costituitasi parte civile, nonché al risarcimento dei danni subiti da quest’ultima.

2. Ricorre per cassazione il (OMISSIS) (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo:

2.1. Vizio di motivazione per travisamento in ordine alla deposizione del teste (OMISSIS) (OMISSIS).

Si lamenta il mancato apprezzamento del contenuto delle dichiarazioni del teste, che aveva negato di aver visto il (OMISSIS) usare violenza nei confronti della moglie (così smentendo quest’ultima): ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale aveva illogicamente fatto riferimento ad una volontà dello (OMISSIS) (OMISSIS) di minimizzare l’accaduto e di liberarsi da un incombente che lo infastidiva. Si sottolinea, al riguardo, che le dichiarazioni del teste erano state tutt’altro che sbrigative e imprecise.

2.2. Vizio di motivazione con riferimento al mancato apprezzamento delle dichiarazioni dei signori (OMISSIS) (OMISSIS), ritenute decisive per sconfessare il disagio psichico e il conseguente aumento di peso della (OMISSIS) (OMISSIS), asseritamente determinato dalle condotte di maltrattamenti.

2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’omessa applicazione dell’ipotesi di minore gravità di cui al comma 3 dell’art. 609-bis c.p.

Si censura la sentenza che aveva disatteso le richieste formulate sul punto dallo stesso P.G., anche alla luce delle incertezze della parte civile nella collocazione temporale dell’episodio e nella mancanza di un dissenso manifesto, con conseguente possibilità di configurare un “consenso presunto”.

2.4. Vizio di motivazione con riferimento all’aumento per la continuazione.

Si censura la sentenza per aver contraddittoriamente sostenuto la congruità del trattamento sanzionatorio nei minimi edittali, ed aver poi lasciato immutato l’aumento di sei mesi per il reato satellite.

3. Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, evidenziando l’insussistenza dei vizi motivazionali denunciati.

4. Con memoria del 12/01/2023, il difensore del ricorrente riprende e sviluppa le censure dedotte in ricorso, insistendo per il suo accoglimento.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Nella valutazione del primo motivo di ricorso, è opportuno prendere le mosse dal consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte secondo cui “in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento” (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747 – 01. In senso conforme, cfr. ad es. Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).

In tale condivisibile prospettiva ermeneutica, la doglianza difensiva non supera lo scrutinio di ammissibilità, risolvendosi nella censura del merito delle valutazioni espresse dalla Corte territoriale (in piena sintonia con il primo giudice), e nella prospettazione di una diversa e più favorevole lettura delle risultanze medesime, il cui apprezzamento è ovviamente precluso in questa sede.

3.1. D’altra parte, la Corte d’Appello ha diffusamente motivato la decisione di confermare la condanna del (OMISSIS) per entrambi i reati a lui ascritti, soffermandosi, in primo luogo, sugli elementi ritenuti indicativi della piena attendibilità della persona offesa, sia quanto alle continue vessazioni subite durante la convivenza coniugale (produttive di conseguenze psicofisiche di immediata evidenza: cfr. pag. 5 segg.), sia anche sul fronte dei rapporti sessuali tra coniugi, imposti contro la volontà della donna e culminati nell’episodio compiutamente descritto al capo b (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata).

La Corte territoriale ha quindi valorizzato gli elementi di riscontro emersi all’esito dell’istruttoria, di natura documentale (certificati medici, mail con cui l’imputato implorava la (OMISSIS) (OMISSIS) di farlo rientrare a casa) e dichiarativo (in particolare, le deposizioni delle amiche (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS) sulle confidenze ricevute in ordine ai maltrattamenti e sulle conseguenze direttamente apprezzate – “occhio nero” – sul volto della parte civile anche dalla madre e dal fratello della (OMISSIS), oltre che dalle amiche).

A tale ultimo proposito, la Corte d’Appello ha sottolineato la logicità e coerenza del racconto della parte civile anche in ordine alle circostanze in cui ebbe a subire le percosse produttive dell’ecchimosi (litigio avvenuto al rientro nel loro albergo), esponendo compiutamente le ragioni che, al contrario, rendevano inverosimile la versione del (OMISSIS) (secondo il quale l’ecchimosi al volto era stata provocata non già da un suo colpo, ma da una puntura di insetto): richiamando, in particolare, quanto riferito dalla (OMISSIS) in ordine all’imbarazzo con cui la (OMISSIS) – incontrata dall’estetista – la salutò frettolosamente dopo aver inforcato gli occhiali da sole, tradendo così “l’atteggiamento tipico di vergogna e di pudore della vittima di violenze domestiche” (cfr. pag. 5-6).

3.2. E’ in tale contesto che devono essere valutate le censure veicolate con il primo motivo di ricorso, attraverso il quale la difesa non ha inteso contestare direttamente il percorso argomentativo concernente la piena attendibilità della (OMISSIS), ma piuttosto censurare il “travisamento” in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa a proposito delle dichiarazioni del teste (OMISSIS) (OMISSIS), portiere dell’albergo gestito dai coniugi, il quale aveva smentito il racconto delta donna, negando in particolare di dover essere corso in aiuto della donna percossa dal marito nel corso di un alterco.

Al riguardo, è necessario anzitutto evidenziare che non si è in presenza di alcun travisamento, avendo la Corte territoriale richiamato in sentenza la deposizione dello (OMISSIS) nei termini qui appena ricordati.

La Corte ha piuttosto espresso una valutazione di complessiva inattendibilità della deposizione, connotata da atteggiamento sbrigativo e risposte imprecise, ed in definitiva denotante un intento di minimizzazione dell’episodio (cfr. pag. 6).

Si tratta di una valutazione di merito compiutamente espressa nella sentenza impugnata, che appare immune da profili di illogicità manifesta deducibili in questa sede: né il ricorrente ha chiarito le ragioni per cui alla deposizione dello (OMISSIS) dovrebbe conferirsi valenza demolitoria dell’intero compendio probatorio, e in particolare di quanto specificamente emerso a proposito dei segni sul volto e della scarsa plausibilità della versione resa sul punto dal (OMISSIS).

4. Per ciò che riguarda il secondo ordine di censure, deve osservarsi che il Tribunale di Rimini, nel condannare il (OMISSIS) tracciando un percorso argomentativo sostanzialmente sovrapponibile a quello contenuto nella sentenza oggi impugnata, aveva preso in esame le dichiarazioni di (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS) (clienti dell’albergo gestito dal ricorrente e dalla parte civile), i quali avevano riferito di aver instaurato un rapporto di amicizia con la coppia (definita “felice”), ma anche di aver dovuto accogliere la richiesta del (OMISSIS) di essere ospitato per una notte nella loro casa piemontese, avendo egli litigato con la moglie “che l’aveva buttato fuori di casa”.

Nel valutare tali contributi dichiarativi, il primo giudice aveva escluso che ad essi potesse conferirsi una valenza neutra, nel senso che il giudizio di “coppia felice” espresso dall'(OMISSIS) e dalla (OMISSIS) doveva essere parametrato ad una frequentazione di quindici giorni in un anno e per pochissime ore (essendo i due in vacanza al mare), mentre doveva essere valorizzata la prova logica “per la quale pur dinanzi ad una descritta coppia affettuosa e sorridente, si è arrivati a un’uscita da casa tale da far chiedere al (OMISSIS) ospitalità a semplici conoscenti, neppure di lunga data” (cfr. pag. 11 della sentenza di primo grado).

La difesa ricorrente ha censurato il silenzio della Corte territoriale sulle predette deposizioni, ritenute idonee a smentire, quanto riferito dalla (OMISSIS) in ordine al disagio psichico e all’aumento di peso ascrivibili, secondo la parte civile, ai maltrattamenti e alle vessazioni poste in essere dal (OMISSIS).

Deve tuttavia rilevarsi che, se è vero che la Corte d’Appello non ha preso posizione sulle dichiarazioni dei due testi, altrettanto vero è che la difesa ne deduce la decisività in termini totalmente apodittici: invero non illustra, in alcun modo, le ragioni per cui – a differenza di quanto ritenuto dal primo giudice – il limitatissimo bagaglio conoscitivo dei due ospiti dell’albergo avrebbe potuto vulnerare il costrutto accusatorio, composto dalle dichiarazioni della persona offesa, delle amiche e dei familiari più stretti, in ordine alle vessazioni di ogni tipo per anni poste in essere dal (OMISSIS).

In tale complessivo contesto, deve farsi applicazione del principio, affermato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui “in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione” (Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv. 254988).

4. Anche la censura relativa alla mancata applicazione dell’ipotesi attenuata è inammissibile, perché volta ad una rivalutazione degli apprezzamenti di merito non consentita in questa sede.

La Corte territoriale, in piena sintonia con il primo giudice, ha disatteso il corrispondente motivo di appello non solo escludendo che dal vincolo coniugale possa automaticamente inferirsi la minore gravità della violenza, ma anche sottolineando la necessità di tenere adeguato conto dell’approfittamento della situazione domestica, delle specifiche modalità del fatto (fellatio imposta alla (OMISSIS) tenendole la testa bloccata per impedirle di muoversi), nonché del complessivo contesto di vessazioni quotidiane subite dalla donna, che aveva tra l’altro precisato, nelle proprie dichiarazioni, di essersi sempre sottratta a tale pratica a lei non gradita (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata).

Anche su tale aspetto, le valutazioni della Corte territoriale appaiono pienamente in linea con quelle esposte nella sentenza di primo grado (pag. 14).

Si tratta di un compendio argomentativo da apprezzare congiuntamente (secondo i noti principi in tema di “doppia conforme”) che appare del tutto immune da criticità deducibili con il ricorso per cassazione, anche quanto alla ritenuta irrilevanza del fatto che la collocazione temporale dell’episodio, nella deposizione della (OMISSIS), fosse lievemente diversa rispetto a quanto ricostruito in querela, sia per il carattere minimale (pochi giorni) della discrepanza, sia per la coerenza e precisione che avevano connotato la descrizione delle modalità del fatto (cfr. pagg. 8-9).

Appare per contro manifestamente infondato l’argomento difensivo imperniato sull’asserita configurabilità di un “consenso presunto”, alla luce di quanto emerso all’esito dell’istruttoria con riferimento alle vessazioni subite dalla (OMISSIS) (OMISSIS) e alle ricadute sul fronte dei rapporti sessuali tra i coniugi: questa Suprema Corte ha invero chiarito che “in tema di violenza sessuale, il mancato dissenso ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha valore scriminante quando sia provato che la parte offesa abbia subito tali rapporti per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei suoi confronti, con conseguente compressione della sua capacità di reazione per timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli, dovendo, in tal caso, essere ritenuta sussistente la piena consapevolezza dell’autore delle violenze del rifiuto, seppur implicito, ai congiungimenti carnali” (Sez. 3, n. 17676 del 14/12/2018, dep., 2019, R., Rv. 275947 – 01).

5. Per ciò che infine riguarda la residua censura, deve affermarsene l’inammissibilità per la mancata deduzione con i motivi di appello. In quella sede, infatti, il ricorrente si era limitato a dolersi del trattamento sanzionatorio in termini totalmente generici, senza alcun riferimento al reato satellite ed all’aumento per la continuazione (cfr. il punto D dell’atto di appello).

6. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.