Sì al risarcimento da parte di Mediaset per il soggetto inserito nella trasmissione sui falsi invalidi, con un blitz fatto nel suo negozio alla presenza della famiglia (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 15 febbraio 2024, n. 4175).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Giacomo TRAVAGLINO – Presidente –

Cristiano VALLE – Consigliere –

Irene AMBROSI – Rel. Consigliere –

Giuseppe CRICENTI – Consigliere –

Paolo PORRECA – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4558/2023 R.G. proposto da:

(omissis) (omissis), rappresentato e difeso dall’Avv. (omissis) (omissis) in forza di procura speciale in calce al ricorso domiciliato ex lege in ROMA presso la Cancelleria della Corte di cassazione, piazza Cavour (p.e.c. __________________________

ricorrente-

contro

(omissis) s.p.a., rappresentata e difesa dagli Avv.ti (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) (PEC _________________________, studio del primo, in Roma, Via (omissis) rilasciata in calce al controricorso;

-resistente-

nonché contro

(omissis) s.p.a.)

-intimata-

avverso la sentenza n. 2536/2022, della Corte d’appello di Milano pubblicata il 19/07/2022.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 dicembre 2023 dal Consigliere dott.ssa Irene Ambrosi.

Fatti di causa

1. La Corte d’Appello di Milano con sentenza n. 2536/2022 ha riformato la sentenza del Tribunale di Varese ed in parziale accoglimento del gravame proposto da (omissis) (omissis) ha condannato la stessa società appellante (omissis) al pagamento in favore (omissis) (omissis) al minore importo di euro 20.000,00 a titolo risarcitorio del danno non patrimoniale subito; ha compensato tra le parti (omissis) (omissis)  e (omissis) un quarto delle spese di lite relative ad entrambi i gradi di giudizio e ha condannato la società (omissis) a rimborsare alla controparte la restante parte.

2. Per quanto ancora rileva, (omissis) odierna ricorrente, aveva convenuto in giudizio (omissis) (omissis) s.p.a. (omissis) facente parte di (omissis) s.p.a. (omissis) dinnanzi al Tribunale di Varese, chiedendo l’accertamento della responsabilità dei convenuti per i danni alla reputazione e alla privacy dallo stesso subiti per il servizio diffamatorio del programma televisivo dedicato alle truffe dei cittadini italiani nei confronti dell’INPS, intitolata “Scandalo: invalidi in Italia, lavoratori in Svizzera”, nonché la condanna dei medesimi in solido al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non, patiti; in particolare, deduceva di aver subito in data (omissis) mentre si trovava nel proprio esercizio commerciale, l’irruzione di una troupe della trasmissione costituita dal giornalista (omissis) un operatore e altri membri dello staff muniti di telecamere, che senza dare preavviso avevano interrotto l’attività lavorativa del (omissis) (omissis) accusando lo stesso innanzi alla moglie, alle figlie, ai collaboratori e ad alcuni clienti in merito al suo stato di cecità/invalidità. Nel corso del servizio mandate in onda era stato presentato come falso cieco che andava a lavorare in Svizzera, nonché come ladro ai danni dello Stato avendo asseritamente rubato al fisco euro 41.000,00, nonché quale caso più eclatante tra i falsi invalidi.

Il Tribunale di Verona(1) con sentenza n. 400/2016 ha accolto la domanda proposta da (omissis) (omissis) nei confronti di (omissis) condannandola al pagamento nei confronti dell’attore dell’importo di Euro 40.000,00 per la lesione della reputazione e di Euro 10.000,00 per la violazione della riservatezza/diritto d’immagine, per la complessiva somma di euro 50.000,00, con condanna alle spese del grado, compensate per un quarto.

3. Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso per cassazione (omissis) (omissis) fondato sorretto da sei motivi; ha resistito (omissis) s.p.a.; sebbene intimata, (omissis) S.p.A.) non ha ritenuto di svolgere difese nel presente giudizio di legittimità.

La trattazione del ricorso e stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c.

Entrambe le parti hanno depositato rispettive memorie.

Ragioni della decisione

1. Con il ricorso per cassazione il ricorrente censura la sentenza impugnata come segue:

1.1. con ii primo motivo, “ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per avere omesso l’esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo che se esaminato – avrebbe determinato un esito diverso della controversia”; in particolare, lamenta che a differenza di quanto affermato dalla Corte d’appello nella sentenza impugnata, il Tribunale di Varese aveva già debitamente considerato, ai fin i della liquidazione del danno non patrimoniale da diffamazione alcune circostanze c.d. “attenuanti” (ovvero che il diffamato era persona molto conosciuta a livello locale, che vi fu il parziale nascondimento del volto e la scelta di non dare conto del nome e della smentita intervenuta subito dopa da parte del conduttore, e che quindi se il Giudice d’appello avesse verificato la già intervenuta debita considerazione di dette circostanze non avrebbe certamente riapplicato le medesime finendo per ridurre erroneamente il risarcimento;

1.2. con ii secondo motivo, “ex 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1226-2043-2056-2059 c.c. in relazione ai criteri delle “tabelle milanesi” sulla liquidazione del danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa e con altri mezzi di comunicazione di massa, che ha condotto ad una quantificazione del danno particolarmente sproporzionata per difetto”; impugna la parte della motivazione della sentenza impugnata ove la Corte territoriale fa riferimento implicito -ai fini della liquidazione del danno da diffamazione­ alle tabelle di Milano, circostanza desumibile dall’assunto della medesima Corte secondo il quale «l’importo di €. 40.000,00 -liquidate dal Tribunale in primo grado per il risarcimento del danno da diffamazione-» si collocherebbe «sul valore massimo dei risarcimenti previsti per le diffamazioni di gravità più elevata».

A parere del ricorrente, la Corte d’ appello nel rideterminare il quantum debeatur del danno reputazionale ha fatto mal governo delle citate tabelle; riporta i parametri previsti dalie tabelle di Milano (elevata notorietà del diffamante; intensità elemento soggettivo del diffamante, elevate pregiudizio causate al diffamato sotto il profilo personale e professionale, nonché risonanza mediatica, sussistenza di un episodio diffamatorio di ampia diffusione, nonché la notevole gravità del discredito e l’utilizzo di espressioni dequalificanti/denigratorie/ingiuriose) e sostiene che il giudice d’appello ha ridotto l‘entità del quantum applicando alla specie il parametro relativo alla diffamazione di modesta entità (parametro tipizzato al n.2 delle tabelle di Milano con risarcimento del danno incluso tra €. 11.000 ed €. 20.000) e non quello corretto, previsto al parametro n. 4 per le diffamazioni di elevata gravità (con risarcimento del danno incluso tra €. 31.000 ed €. 50.000);

1.3. con il terzo motivo, “ex art. 360 comma 1 n. 3 per vizio di violazione dell’art.132 c.p.c., co. 2, 4 c.p.c. per assenza delle concise ragioni di fatto e diritto della decisione in relazione all’appficazione di diverse percentuali di abbattimento della liquidazione del danno reputazionale e del danno da riservatezza per divulgazione non autorizzata di immagini, nonché circa l’esito della valutazione in concreto dell’incidenza delle attenuanti -tra le quali quella della rettifica- sulla liquidazione del danno”; il ricorrente lamenta che la Corte d’appello ha ridotto la liquidazione del danno per la lesione della reputazione da €. 40.000,00 ad €. 15.000,00 e la liquidazione del danno alla riservatezza da €. 10.000,00 ad €. 5.000,00, (riducendo in particolare ii risarcimento del danno reputazionale nella misura del 62,5% e quello per lesione della riservatezza nella misura del 50%, senza indicare il percorso  logico-giuridico atto a giustificare detta differenza di trattamento, con particolare riferimento, alla materia di pubblicazione a mezzo stampa, ove la pubblicazione di una rettifica non determina, quale conseguenza automatica, la riduzione del danno, occorrendo procedersi con una valutazione, in concreto, della relativa incidenza sullo specifico pregiudizio, verificatosi quale diretta conseguenza delle dichiarazioni offensive;

1.4. con il quarto motivo, “ex 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 7, 10 c.c. 96, 97 della legge 633/1941 D.lgs. n 196/2003 e ss. mod. e al Regolamento UE n 679/2016 sul diritto d’autore, in relazione alle attenuanti rilevate dal Giudice d’appello, ai fini della riduzione della liquidazione del danno non patrimoniale da illecita divulgazione delle immagini”; il ricorrente lamenta che la Corte d’appello nell’affermare che «II giudice di primo grado non sembra aver tenuto conto nella propria valutazione equitativa dello status di personaggio non pubblico dell’appellato, nonché di una serie di attenuanti alle quali si era peraltro fatto riferimento all’interno della sentenza, come ad esempio la scelta di oscurare il volto dell’appellato, di non indicarne il nome e di dare subito seguito alla richiesta di rettifica», avrebbe erroneamente applicato alla liquidazione del danno da divulgazione non autorizzata di immagini, le medesime attenuanti applicate per il danno reputazionale (ovvero l’essere il danneggiato un personaggio non pubblico, non averne indicato il nome, l’immediata rettifica, l’oscuramento del volto);

1.5. con il quinto motivo, “Violazione dell’art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 115 c.p.c. nullità della decisione per errore di percezione del giudice sul contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le partì”, il ricorrente denuncia che la Corte d’appello ha implicitamente rigettato, come assorbito, il motivo di ricorso in appello in via incidentale, con cui aveva lamentato che dalla visione delle riprese televisive, le riprese erano stati frontali, con conseguente sua paIese riconoscibilità, viceversa, affermando la circostanza “dell’utilizzo di immagini mai frontali del (omissis) (omissis) per come affermata dal Tribunale, cadendo in errore, poiché nella trasmissione televisiva oggetto della presente causa erano, invece, state utilizzate sue immagini frontali.

1.6. con il sesto e ultimo motivo, “Violazione dell’art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c. per avere la Corte di Appello omesso di pronunciarsi in merito all’eccezione dell’appellante incidentale sull’efficacia della rettifica”; il ricorrente insiste nel ritenere l’omessa pronuncia suI valore dell’efficacia “attenuante” riconosciuta – nel caso di specie – ad una rettifica, immediatamente successiva alla richiesta del (omissis) (omissis) (intervenuta oltre la mezza notte nella puntata del (omissis) e durata  solo pochi secondi).

2. In via preliminare, il Collegio osserva di soprassedere in merito all’eccezione di nullità della notificazione del ricorso all’altra società convenuta dal (omissis) in prime cure e contumace in grado di appello, tenuto conto che, a prescindere dalla natura necessaria o facoltativa a del litisconsorzio con detta parte, non va in alcun caso ordinata l’integrazione del contraddittorio; infatti, secondo consolidato orientamento di questa Corte, il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice di evitare e di impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare dal rispetto effettivo del contraddittorio, di effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo, in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale é destinato a produrre i suoi effetti.

Ne consegue che in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato o inammissibile, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delie parti (Cass., Sez. Un., 22/03/2010, n. 6826; Cass., 21/05/2018, n. 12515; Cass., 17/06/2013, n. 15106).

3. Venendo all’esame del ricorso, il primo motivo, cosi come prospettato e sopra sinteticamente riassunto, é inammissibile.

Non sussiste la censura di omesso esame per non aver ii Giudice d’appello verificato la già intervenuta debita considerazione da parte del Tribunale in prime cure della posizione sociale del (omissis) e l’espressa applicazione delie c.d. “attenuanti”, esame che se compiuto, non avrebbe indotto il Giudice d’appello a ridurre erroneamente il quantum del risarcimento.

Contrariamente a quanto lamentato dal ricorrente, la Corte d’appello ha esaminato ciascuna delle circostanze il cui esame sarebbe stato asseritamente omesso e va rimarcato, per inciso, la pur decisiva considerazione per la quale nessun “fatto storico” viene reso oggetto di censura – criticandosi piuttosto l’apprezzamento della vicenda da parte del giudice ai fini della liquidazione equitativa del danno; attraverso le circostanze dedotte, in realtà, il ricorrente tende a pretendere da questa Corte una inammissibile rivalutazione del complesso delle risultanze istruttorie, già valutate dalla Corte di merito, il cui omesso esame non integra di per se il vizio di omesso esame di un fatto decisive, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice di merito, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (tra le molte conformi, cfr. Cass. Sez. 2, 29/10/2018 n. 27415).

4. Parimenti inammissibili sono il secondo e quarto motivo di ricorso che possono essere congiuntamente esaminati per l’evidente vincolo di connessione; in effetti, con essi il ricorrente sostiene che la Corte d’appello nel rideterminare ii quantum debeatur del danno reputazionale e di quello da violazione da divulgazione non autorizzata di immagine, avrebbe fatto mal governo delle tabelle di Milano e dei criteri di liquidazione equitativa.

Ebbene, per un verso, con la doglianza relativa alla violazione delle Tabelle milanesi, il ricorrente tende a sottoporre a questa Corte l’accertamento in fatto compiuto dal giudice del merito, il quale con motivazione coerente e piana ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto sproporzionata la liquidazione dei danni, id est in considerazione dello status di personaggio non pubblico dell’appellato e delle citate “attenuanti” complessivamente valutate; per l’altro verso, pure la censura proposta in merito al potere equitativo esercitato dalla Corte d’appello, assume l’evidenza di una pretesa rivalutazione del merito degli elementi già considerati, pretendendo un pieno riesame del fatto e della liquidazione equitativa adottata.

5. Inammissibile anche il terzo motivo.

Nel denunciare l’inesistenza delle argomentazioni del giudice di merito, il ricorrente mostra di non considerare che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., introdotta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134 – applicabile alle sentenze pubblicate dopo il giorno 11 settembre 2012, e dunque anche alla sentenza impugnata con l’odierno ricorso, depositata il 19 luglio 2022 – il controllo sulla motivazione può investire esclusivamente l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, la  quale sussiste  nelle sole ipotesi di «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», di «motivazione apparente», di «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e di «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», sicché il sindacato sulla motivazione é possibile solo con riferimento al parametro dell’esistenza e della coerenza, non anche con riferimento al parametro della sufficienza (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054 e succ. conformi).

6. Inammissibili, infine, il quinto e sesto motivo di ricorso che, attenendo, entrambi, sotto diversi profili, all’appello incidentale disatteso dalla Corte territoriale con la sentenza impugnata, possono essere congiuntamente esaminati.

Con essi il ricorrente deduce, da un lato, che la Corte di secondo grado avrebbe ridotto ii quantum erroneamente perché, col confermare per relationem l’uso di “immagini mai frontali del (omissis) già ritenuto dal Tribunale, sarebbe “caduta in errore poiché nella trasmissione televisiva oggetto della presente causa sono state utilizzate immagini frontali del sig. (omissis) (omissis) il che emergerebbe dalle  registrazioni in atti, cosicché -si sostiene- sarebbe “evidente l’esito dell’erronea ricognizione sul contenuto oggettivo della prova eseguita dai Giudici del merito”; dall’altro lato, insiste in ordine all’omessa pronuncia sul valore dell’efficacia “attenuante” riconosciuta – nel caso di specie – alla rettifica.

Nella sostanza, anche con tali censure si pretende da questa Corte il riesame dell’intera fattispecie e, tra l’altro, viene richiamata la decisione di questa Corte in materia di travisamento delle prove (Cass. 21 dicembre 2022, n. 37382); va ricordato, in proposito, che la questione del travisamento di un atto processuale, con riguardo alla sua deducibilità come motivo di ricorso per cassazione, art. 360 n. 5 c.p.c. é stata recentemente rimessa alle Sezioni unite di questa Corte con ordinanza n. 11111 del 2023.

Però, le censure in esame, lungi dal celare un travisamento o un’omessa pronuncia, attengono, nella sostanza, a profili di fatto e tendono a suscitare dalla Corte di cassazione un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello formulato dalla Corte di appello, omettendo di considerare che tanto l’accertamento dei fatti, quanto l’apprezzamento – ad esso funzionale – delle risultanze istruttorie é attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 04/07/2017, n. 16467; Cass.23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).

7. In definitiva il ricorso é dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).

Per questi motivi

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere il pagamento delle spese processuali in favore della parte resistente, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie al 15% ed accessori di legge;

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per ii versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.

Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile il 13 dicembre 2023

IL PRESIDENTE

Giacomo Travaglino

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

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(1) Erroneamente trascritto Verona anziché Varese.