Stalking voler impedire alla moglie separata di rifarsi una vita (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 11 agosto 2021, n. 31533).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CATENA Rossella – Presidente –

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere –

Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere –

Dott. MOROSINI Elisabetta Maria – Rel. Consigliere –

Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(OMISSIS) (OMISSIS), nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 17/02/2020 della CORTE di APPELLO di MESSINA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

sentita la relazione svolta dal Consigliere, Dott.ssa Elisabetta Maria Morosini;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Giuseppe Locatelli, che ha chiesto dichiarare inammissibilità il ricorso;

lette le conclusioni del difensore della parte civile, avv. (OMISSIS) (OMISSIS), che ha chiesto di dichiarare inammissibile o rigettare il ricorso e di condannare l’imputato al pagamento delle spese di rappresentanza, come da nota che ha allegato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Messina ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di persecutori, commesso ai danni della moglie separata per il reato di atti persecutori, commesso ai danni della moglie separata.

2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato, tramite il proprio difensore, sostenendo che il ricorso “presta il fianco a ai vizi di cui all’art. 606, comma 1, lett. d ed e), cod. proc.  pen., attraverso una commistione talmente intima di essi presupposti normativi a livello eziologico, da costituire quasi un unicum sotto il profilo logico giuridico”.

Il ricorrente, vittima dell’atteggiamento dispettoso e denigratorio della propria moglie, non ha assunto alcun comportamento persecutorio in quanto la sua intenzione era solo quella di vigilare sulle sorti della propria figlia, collocata  presso la madre.

Il Tribunale avrebbe impedito all’imputato di fornire prova dei propri assunti, non ammettendo la produzione documentale richiesta, che afferiva a fotografie ritraenti la persona offesa in locali pubblici, con didascalie offensive dell’onore e decoro dell’imputato.

Difetterebbe l’evento del reato, non essendoci traccia di uno stato di ansia o di paura, né una modifica delle abitudini di vita.

3. Nessuna delle parti ha avanzato richiesta di discussione orale, dunque il processo segue il cd. “rito scritto” ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020.

4. Il Procuratore generale e il difensore di parte civile hanno trasmesso, tramite posta elettronica certificata, le conclusioni in epigrafe trascritte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il motivo proposto è generico, essendo integrato da pedisseque  repliche dei motivi di appello, avulse da una lettura critica della sentenza impugnata.

2.1. Il giudice di merito ha rilevato come il ruolo di vittima (che l’imputato si autoassegna) contrasti con le emergenze probatorie dalle quali è emersa una condotta gravemente persecutoria nei confronti della propria moglie, già vittima di maltrattamenti in famiglia.

Il medesimo giudice ha posto in luce che:

– gli appostamenti, le frasi minatorie con le quali l’imputato ha reagito alla perdita di controllo sulla vita della moglie separata, le azioni dirette contro le persone a lei vicine per isolarla, non presentano alcuna correlazione con l’esercizio del diritto di visita della figlia, ma dimostrano, piuttosto, la volontà di impedire alla persona offesa di ricostruirsi una vita;

– la lamentata lesione della propria dignità di uomo, derivante dalla riacquistata libertà della moglie, rappresentano sintomo manifesto dell’atteggiamento possessivo dell’imputato.

2.2. La questione sull’evento del reato è nuova.

Il Tribunale aveva ravvisato, nella persona offesa, uno stato di ansia e di paura per la propria incolumità che era conseguenza  delle  minacce e delle aggressioni fisiche poste in essere dall’imputato .

Tanto basta ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, al di là della questione sul mutamento delle abitudini di vita, dato che gli eventi previsti dall’art. 612-bis cod. pen. sono alternativi.

2.3. Il che dimostra anche l’irrilevanza della produzione documentale, genericamente richiamata in ricorso, della quale si lamenta la mancata acquisizione.

3. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che si stima equa, di Euro 3.000,00.

Circa le spese di cui la parte civile domanda la liquidazione, va rilevato che, nel presente processo, sia l’imputato sia la parte civile sono stati ammessi al patrocinio a spese dello Stato; in tale situazione l’imputato, pur soccombente, non può essere condannato al pagamento delle spese processuali sostenute in questo giudizio, restando queste a carico dell’Erario (cfr. Sez. 5, n. 33103 del 22/09/2020, C., Rv . 279839, che in motivazione  ha precisato  che il difensore della  parte civile potrà ottenere la liquidazione del compenso a lui spettante rivolgendo istanza al giudice competente ai sensi dell’art. 83, comma 2, d.p.r . n. 115 del 2002).

4. L’inerenza della vicenda a rapporti familiari impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Nulla per le spese di parte civile.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso il 24/06/2021.

Depositato in Cancelleria l’11 agosto 2021.

SENTENZA – copia conforme -.