REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TARDIO Angela – Presidente
Dott. FIORDALISI Domenico – Consigliere
Dott. BIANCHI Michele – Consigliere
Dott. RUSSO Carmine – Consigliere
Dott. TOSCANI Eva – Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) MARIA PAOLA nata a RIETI il 14/06/19xx;
avverso la sentenza del 19/11/2021 del TRIBUNALE di RIETI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa EVA TOSCANI;
udito l’Avvocato generale, PIETRO GAETA, che ha concluso chiedendo la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.
La difesa della ricorrente ha depositato, il 12 giugno 2022, conclusioni scritte con le quali ha ribadito l’opportunità della qualificazione della condotta come illecito amministrativo.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del Tribunale di Rieti in data 19 novembre 2021, Maria Paola (OMISSIS) era condannata alla pena condizionalmente sospesa di 400,00 euro di ammenda, siccome riconosciuta colpevole del reato di cui all’art. 660 cod. pen., per avere, per petulanza e altri biasimevoli motivi, recato disturbo a (OMISSIS) Simone, suo vicino di casa, suonando ripetutamente e ingiustificatamente, tanto di giorno che di notte, il clacson della propria autovettura in prossimità della abitazione di quest’ultimo; fatti occorsi in Monte San Giovanni da aprile a novembre 2017. Con lo stesso provvedimento, l’imputata era condannata al risarcimento in favore della persona offesa, costituitasi parte civile.
Secondo il Tribunale, le contrarie affermazioni di Maria Paola (OMISSIS) e dei suoi familiari, originariamente coimputati, secondo cui la necessità di segnalare con il clacson la presenza della sua autovettura per evitare sinistri stradali, erano state concordemente smentite dai testi, i quali avevano escluso che vi fosse una particolare necessità di utilizzare gli avvisatori acustici per segnalare la presenza dell’auto, sia pure in prossimità di un tratto curvilineo, e, soprattutto, hanno concordemente affermato che lo straordinario utilizzo della segnalazione acustica era, per le sue modalità prolungate, incompatibile con la segnalazione di un utente della strada.
Per tale via si riteneva provato che, con le indicate condotte, prolungate per diversi mesi, l’imputata avesse arrecato offesa alla privata quiete del (OMISSIS) e della sua famiglia.
2. Avverso detta sentenza l’imputata ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, deduce violazione dell’art. 660 cod. pen., in punto di qualificazione giuridica.
Ai sensi dell’art. 156 D. Igs. n. 285 del 1992 (Cod. strada), la violazione delle disposizioni concernenti l’uso dei dispositivi di segnalazione acustica è soggetta alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 42,00 a € 173,00. Per il principio di specialità il fatto dovrebbe essere ritenuto illecito amministrativo.
In ogni caso, la condotta contestata, per le caratteristiche della strada (curvilinea in prossimità dell’abitazione della persona offesa), costituirebbe – proprio sulla scorta di quanto stabilito dal citato articolo – esercizio del diritto dell’automobilista e, come tale, dovrebbe ritenersi scriminata.
2.2. Con il secondo motivo lamenta vizio di motivazione e travisamento della prova con riferimento all’attribuzione del fatto alla ricorrente.
La prova è stata fondata sulla sola scorta della parola della persona offesa Simone (OMISSIS) e dei suoi genitori, Giannetto (OMISSIS) e Adriana (OMISSIS), testi evidentemente non indifferenti.
Peraltro, gli ultimi due non hanno reso dichiarazioni sovrapponibili, posto che (OMISSIS) non fa menzione della ricorrente, mentre Giannetto (OMISSIS) fa riferimento tanto alla ricorrente che ad altre persone appartenenti al nucleo familiare dell’imputata che sono state assolte.
Si è, invece, trascurata la deposizione della teste Maria Letizia (OMISSIS) che nel riferire di avere notato passare spesso «una macchina celeste piccola e un’altra macchina, più elegante, probabilmente di marca Audi», dalle quali provenivano le segnalazioni acustiche disturbanti, non ha mai fatto il nome della ricorrente come soggetto alla guida di tali autoveicoli.
E’ dunque illogica e contraddittoria la sentenza laddove pone a fondamento della responsabilità della ricorrente le dichiarazioni dei testi che, invece, non sono state ritenute significative nei riguardi di altri coimputati, difatti assolti.
2.3. Con il terzo motivo la difesa nuovamente deduce la violazione dell’art. 660 cod. pen., in punto di qualificazione giuridica.
La condotta dell’uso del clacson potrebbe, al più, configurare quella di cui all’art. 659 cod. pen., sanzionata meno gravemente;
2.4. Con il quarto motivo eccepisce violazione dell’articolo 162 cod. pen.
Il Tribunale ha riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena, non richiesto, avendo l’imputata interesse a non intaccare la possibilità di godere appieno della sospensione stessa, in futuro.
2.5. Con il quinto motivo si invoca l’applicazione della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. proc. pen., senz’altro argomentare.
3. L’Avvocato generale, con requisitoria scritta pervenuta 18 giugno 2022, ha prospettato l’inammissibilità del ricorso.
4. La difesa della ricorrente ha depositato, il 12 giugno 2022, conclusioni scritte con le quali, nel replicare alle argomentazioni dell’Avvocato generale, ha ribadito l’opportunità della qualificazione della condotta come illecito amministrativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità, per l’evidente incursione nella valutazione di merito che l’atto d’impugnazione richiede alla Corte di legittimità e per il carattere reiterativo delle prospettazioni con esso avanzate.
Non è superfluo, al riguardo, premettere che devono ritenersi non consentite le doglianze volte a riformulare questioni già esposte, vagliate e disattese sulla scorta di congrua motivazione nel giudizio di merito, orientate a sollecitare una valutazione alternativa delle fonti di prova e una rivisitazione meramente fattuale, improponibile e preclusa in sede di legittimità.
In molte parti – come si dirà appresso – il ricorso è volto a ottenere un non consentito sindacato sulla congruità di scelte valutative del compendio storico-fattuale, adeguatamente motivate e giustificate da entrambi i giudici di merito.
2. Il primo e il terzo motivo, inerenti la qualificazione giuridica del fatto, possono essere trattati congiuntamente, per la connessione logica dei temi trattati.
Quanto al richiamo all’art. 156 Cod. Strada, va qui evidenziato che proprio in forza del principio di specialità ovvero di tipicità della fattispecie, la condotta realizzata dalla ricorrente, precipuamente finalizzata ad arrecare disturbo o fastidio e a turbare la tranquillità altrui, va sussunta non già nella generica trasgressione di una regola di condotta di guida prevista dal codice della strada (che considera i rischi derivanti dalla circolazione stradale), ma integra l’art. 660 cod. pen. che mira a preservare la quiete e la tranquillità del soggetto passivo.
Né appare pertinente il richiamo, contenuto nel ricorso, all’art. 659 cod. pen., posto che «in tema di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone (art. 659 cod. pen.), perché sussista il reato non occorre che i rumori o le segnalazioni acustiche siano poste in essere per petulanza, capriccio o altri biasimevoli motivi, in quanto tali requisiti sono estranei allo schema legale in esame e attengono al diverso reato delle molestie o disturbo alle persone, previsto dall’art. 660 cod. pen.» (Sez. 1, n. 4400 del 20/11/2000, dep. 2001, Napolitano, Rv. 217968).
3. Parimenti manifestamente infondato il secondo motivo, imperniato sull’asserita contraddittorietà della sentenza in punto di ascrivibilità della condotta alla ricorrente.
La doglianza omette di confrontarsi con le argomentazioni – non manifestamente illogiche e scevre da fratture motivazionali – svolte dal Tribunale alle p. 10 e 11 della sentenza, laddove si chiarisce come – diversamente dai coimputati assolti – la piattaforma probatoria a carico della ricorrente era più ampia, costituita invero dalle dichiarazioni della persona offesa e del padre di questi, viepiù riscontrate da quelle della teste (OMISSIS).
A fronte di tanto, la difesa si limita a censure aspecifiche con le quali, per il tramite della deduzione di un vizio di contraddittorietà ovvero d’insufficienza della motivazione, mira in realtà a una non consentita rivalutazione del materiale probatorio.
4. Il motivo concernente il beneficio della sospensione condizionale della pena è inammissibile siccome prospetta enunciati ermeneutici in contrasto con il dato normativo e la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui « La sospensione condizionale non può risolversi in un pregiudizio per l’imputato in termini di compromissione del carattere personalistico e rieducativo della pena; l’interesse all’impugnazione, condizionante l’ammissibilità del ricorso, si configura pertanto tutte le volte in cui il provvedimento di concessione del beneficio sia idoneo a produrre in concreto la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e la sua eliminazione consenta il conseguimento di una situazione giuridica più vantaggiosa.
Il pregiudizio addotto dall’interessato, tuttavia, in tanto è rilevante in quanto non attenga a valutazioni meramente soggettive di opportunità e di ordine pratico, ma concerna interessi giuridicamente apprezzabili in quanto correlati alla funzione stessa della sospensione condizionale, consistente nella “individualizzazione” della pena e nella sua finalizzazione alla reintegrazione sociale del condannato. (In applicazione del principio la Corte ha escluso che possa assumere rilevanza giuridica la mera opportunità, prospettata dal ricorrente, di riservare il beneficio per eventuali condanne a pene più gravi, perché valutazione di opportunità del tutto soggettiva e per giunta eventuale, e comunque in contraddizione con la prognosi di non reiterazione criminale, e quindi di ravvedimento, imposta dall’art. 164, comma primo, cod. pen. per la concessione del beneficio medesimo)» (Sez. U. n. 6563 del 16/03/1994, Rusconi, RV. 197535).
Detto principio è stato recentemente ribadito da Sez. 3, n. 17384 del 20/01/2021, Bianco, Rv. 281539, per cui
«È ammissibile l’impugnazione proposta dall’imputato avverso una sentenza di condanna a pena pecuniaria che sia stata condizionalmente sospesa senza sua richiesta, qualora l’impugnazione concerna interessi giuridicamente apprezzabili poiché correlati alla funzione stessa della sospensione condizionale, consistente nella “individualizzazione” della pena e nella sua finalizzazione alla reintegrazione sociale del condannato, e e non si risolva nella prospettazione di motivi di mera opportunità, come quello di riservare il beneficio per eventuali condanne a pene più gravi».
5. Per ciò che concerne, infine, la richiesta difensiva di applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen., va ricordato come la relativa questione non possa essere dedotta per la prima volta in cassazione, se – come nel caso che ci occupa – il predetto articolo era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata, ostandovi il disposto di cui all’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., né sul giudice di merito grava, in difetto di una specifica richiesta, alcun obbligo di pronunciare comunque sulla relativa causa di esclusione della punibilità (Sez. 5, n. 4835 del 27/10/2021, dep. 2022, Polillo, Rv. 282773).
A ciò s’aggiunga che, in ogni caso, l’esimente non potrebbe applicarsi posto che «la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non può trovare applicazione in relazione al reato di molestia ex art. 660 cod. pen. nel caso di reiterazione della condotta tipica, senza necessità di esplicita motivazione sul punto» (Sez. 1, n. 1523 del 05/11/2018, dep. 2019, Morreale, Rv. 274794).
6. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art.616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost., sentenza n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30 giugno 2022.
Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2022.