Niente risarcimento per la caduta subita da un uomo in un luogo da lui ben conosciuto (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 23 dicembre 2022, n. 37724).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RUBINO Lina – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Paola – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16742/2019 proposto da:

Giorgio (OMISSIS), domiciliato per legge in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Vittorino (OMISSIS);

-ricorrente-

contro

Comune di Montescudo-Monte Colombo, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Piazza (OMISSIS) 66, presso lo studio dell’avvocato Vincenzo (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato Silvia (OMISSIS);

-controricorrente-

avverso la sentenza n. 888/2017 del TRIBUNALE di RIMINI, depositata il 06/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8 novembre 2022 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

FATTI DI CAUSA

1. Giorgio (OMISSIS) convenne in giudizio il Comune di Montescudo (poi divenuto Montecolombo) davanti al Tribunale di Rimini, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lui patiti in conseguenza della caduta avvenuta lungo la scala del locale teatro.

Espose, a sostegno della domanda, che in data 17 febbraio 2013, alla conclusione di uno spettacolo nel teatro comunale Rosaspina, egli, nel discendere le scale ripide dalla galleria – scale i cui primi gradini erano a spizzico, e quindi con un piano di calpestio molto stretto – era precipitato in basso, ruzzolando per tutti i gradini e fermandosi solo contro il muro del pianerottolo posto alla fine della scala. Nell’urto egli aveva battuto violentemente la testa, riportando danni dei quali chiedeva il risarcimento.

Si costituì in giudizio il Comune convenuto, chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale, espletata prova per testi, rigettò la domanda e condannò l’attore al pagamento delle spese di lite.

Rilevò il Tribunale che il Comune non aveva contestato l’evento in sé della caduta, ma aveva sostenuto che la stessa fosse da ricondurre a responsabilità esclusiva dell’attore, che ben conosceva lo stato dei luoghi, essendo un assiduo frequentatore del teatro.

Ciò premesso, il Tribunale osservò che la domanda doveva essere rigettata «per la totale mancanza di prova dei relativi fatti costitutivi».

La versione fornita dall’attore, infatti, non aveva trovato conferma nell’espletata istruttoria testimoniale; tranne la teste Maria (OMISSIS), unica presente alla caduta, gli altri avevano riferito di essere giunti sul posto quando il fatto si era già consumato.

In relazione alla deposizione della citata teste, la sentenza affermò che la sua presunta incapacità di testimoniare non era stata tempestivamente eccepita ai sensi dell’art. 157, secondo comma, cod. proc. civ.; d’altra parte, la dichiarazione scritta resa dalla medesima teste non poteva avere alcuna valenza, neppure indiziaria, non essendo stata acquisita nel rispetto delle previsioni dell’art. 257-bis del codice di rito, per cui essa era da ritenere inutilizzabile.

Dalle fotografie prodotte, poi, la scala in oggetto presentava gradini di dimensioni regolari e non a spizzico, per cui non poteva essere ritenuta «particolarmente ostica né insidiosa, nonostante l’assenza delle strisce antiscivolo e del corrimano».

L’attore aveva percorso la scala in salita per assistere allo spettacolo, per cui ne conosceva la forma e la struttura.

In definitiva, il sinistro era da ricondurre a responsabilità esclusiva dell’attore, che non aveva tenuto una condotta prudente adatta allo stato dei luoghi.

2. La pronuncia è stata appellata dall’attore soccombente e la Corte d’appello di Bologna, con ordinanza del 9 novembre 2018 pronunciata ai sensi dell’art. 348-bis cod. proc. civ., ha dichiarato il gravame inammissibile in quanto privo di ragionevoli probabilità di essere accolto, condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.

3. Contro la sentenza del Tribunale ricorre Giorgio (OMISSIS) con atto affidato a sette motivi.

Resiste il Comune di Montecolombo con controricorso.

La decisione del ricorso, fissata per la camera di consiglio del 15 dicembre 2021, è stata da questa Sezione rinviato a nuovo ruolo, con ordinanza interlocutoria dell’8 marzo 2022, n. 7508, onde acquisire il fascicolo d’ufficio dalla Corte d’appello di Bologna per verificare la tempestività dell’impugnazione proposta.

Fissata nuovamente la discussione per la camera di consiglio dell’8 novembre 2022, il Comune di Montecolombo ha depositato un’ulteriore memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 157 cod. proc. civ., per non avere il Tribunale considerato tempestiva l’eccezione di nullità della deposizione della teste (OMISSIS), a causa dell’incapacità a testimoniare della medesima.

La censura rileva che la teste, perfettamente in salute nel momento del sinistro, è stata poi colpita dal morbo di Alzheimer, per cui la deposizione resa in Tribunale doveva essere ritenuta inesistente.

Perfettamente attendibile, invece, era la deposizione scritta resa dalla medesima teste nel settembre 2014, quando ella godeva di salute normale.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, sul rilievo che la sentenza non avrebbe correttamente valutato che la teste (OMISSIS) era l’unica persona che aveva assistito all’accaduto; che la scala in oggetto non aveva strisce antiscivolo né corrimano; che i primi gradini avevano una pedata molto stretta e che il Comune, dopo l’accaduto, aveva dotato quella scala dei necessari presidi di sicurezza.

La sentenza, secondo il ricorrente, non avrebbe considerato che la teste suindicata aveva assistito alla scena e l’aveva descritta nella sua deposizione per iscritto; quest’ultima deposizione avrebbe dovuto ottenere pieno riconoscimento, anche perché non erano emersi ulteriori elementi in grado di contrastare quanto riferito da quella teste.

3. I primi due motivi, benché tra loro differenti, possono essere trattati congiuntamente in considerazione della stretta connessione che li unisce.

Essi sono entrambi inammissibili.

Le formulate censure, infatti, dimostrano di non cogliere la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha osservato che l’eccezione di presunta nullità della deposizione della teste (OMISSIS) doveva essere formulata subito dopo l’espletamento della prova (cosa che non era avvenuta) e che la deposizione scritta della medesima teste, resa in epoca precedente, non poteva essere utilizzata perché non assunta nel processo secondo le modalità di cui all’art. 257-bis del codice di rito.

Le censure dei motivi in esame non hanno in alcun modo confutato le due indicate argomentazioni, il che sarebbe già sufficiente per dimostrarne l’inammissibilità.

Ma non è tutto. Il ricorrente, infatti, non si è premurato di porre in luce le differenze esistenti tra le due deposizioni, differenze che dovevano essere assai rilevanti, posto che nel ricorso si fa riferimento alla gravita della malattia (morbo di Alzheimer) che avrebbe colto la teste proprio nel tempo intercorrente tra la deposizione scritta e l’escussione processuale.

Anziché evidenziare le ragioni della differenza, i motivi insistono nell’affermazione – che chiaramente non è accoglibile in questa sede –secondo cui il Tribunale avrebbe dovuto dare credito alla deposizione scritta e non a quella resa in udienza; il che equivale a sollecitare questa Corte ad un nuovo e non consentito esame del merito, con argomentazioni che sono prive di pregio giuridico.

4. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione del d.m. n. 236 del 1989, per avere il giudice di primo grado travisato il contenuto del provvedimento amministrativo.

Richiamato sommariamente il contenuto di quel decreto, il ricorrente sostiene che esso dimostrerebbe l’omissione della dovuta attività di custodia da parte del Comune di Montecolombo, il quale non aveva apposto le strisce antiscivolo sulla scala in oggetto.

4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto dimostra di non confrontarsi con la ratio decidendi della sentenza del Tribunale, il quale ha osservato che il danneggiato aveva dedotto, peraltro solo «nelle note conclusive», la presunta violazione del d.m. suindicato, senza produrlo.

L’affermazione del giudicante è del tutto corretta e conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui la natura di atti meramente amministrativi dei decreti ministeriali osta all’applicabilità del principio iura novit curia di cui all’art. 113 cod. proc. civ., da coordinare con l’art. 1 delle disp. prel. cod. civ. (che non li comprende tra le fonti del diritto), con la conseguenza che spetta alla parte interessata l’onere della relativa produzione, la quale non è suscettibile di equipollenti (così le Sezioni Unite nella sentenza 29 aprile 2009, n. 9941, confermata dalla successiva sentenza 2 luglio 2014, n. 15065, e dall’ordinanza 15 ottobre 2019, n. 25995).

Il ricorrente non si confronta con la motivazione della decisione impugnata ed insiste nell’affermare che vi fu lesione, da parte del Comune, delle disposizioni contenute in un decreto mai prodotto, il che dimostra l’evidente inammissibilità della censura.

5. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione dell’art. 132, n. 4), cod. proc. civ., per essere la sentenza affetta da irriducibile contraddittorietà, avendo essa escluso il nesso di causalità sulla base dell’omessa valutazione delle prove addotte dall’attore.

Secondo il ricorrente, la sentenza avrebbe erroneamente escluso la prova dei fatti costitutivi della domanda.

Egli avrebbe, invece, provato con certezza che il danno si era determinato per la natura potenzialmente pericolosa della scala; per cui la domanda risarcitoria avrebbe dovuto essere accolta sulla base del principio del più probabile che non.

6. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2697 cod. civ., nonché dell’art. 116 cod. proc. civ., perché la sentenza avrebbe ingiustamente rigettato la domanda, senza consentire all’attore di dimostrare i danni subiti con un’apposita c.t.u., sostenendo che mancava la prova del danno stesso.

Il motivo contiene censure di violazione di legge e di vizio di motivazione.

Dopo aver richiamato la normativa in tema di prova per presunzioni e la giurisprudenza sull’applicazione dell’art. 2051 cod. civ., il ricorrente osserva che la sentenza dovrebbe essere cassata per non aver valutato le prove fornite nella loro globalità, per non aver considerato irrilevante il fatto che egli aveva già percorso la scala in salita e, in definitiva, per aver rigettato la domanda senza neppure ammettere la c.t.u. a dimostrazione del danno alla salute subito.

In base all’art. 2051 cit., infatti, la prova liberatoria del caso fortuito spetta al custode, che non l’avrebbe, nella specie, fornita.

7. Con il sesto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione dell’art. 132, n. 4), cod. proc. civ., per essere la sentenza affetta da motivazione del tutto illogica nella parte in cui ha escluso l’esistenza del nesso di causalità, ritenendo non sussistente il collegamento tra la pericolosità della scala e la caduta. Non risulterebbe provata, secondo il ricorrente, l’eccezionalità del suo comportamento.

8. Con il settimo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ., dell’art. 116 cod. proc. civ. e degli artt. 40 e 41 cod. pen., per grave travisamento della prova con conseguente errata ricostruzione del fatto.

La sentenza avrebbe completamente travisato le risultanze probatorie, quando avrebbe dovuto riconoscere l’esistenza del nesso di causalità tra imperizia, evento lesivo ed evento dannoso.

9. La Corte rileva che i motivi dal quarto al settimo possono essere trattati congiuntamente, data la palese connessione che li unisce.

Essi sono, quando non inammissibili, comunque privi di fondamento.

9.1. Giova premettere che questa Corte, sottoponendo a revisione i principi sull’obbligo di obbligo di custodia, ha stabilito, con le ordinanze 1° febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483, che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione.

Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.

Questi principi, ai quali la giurisprudenza successiva si è più volte uniformata (v., tra le altre, le ordinanze 29 gennaio 2019, n. 2345, e 3 aprile 2019, n. 9315), sono da ribadire ulteriormente nel giudizio odierno, avendo ricevuto di recente anche l’autorevole avallo delle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza 30 giugno 2022, n. 20943).

9.2. Il Tribunale di Rimini ha fatto buon governo di tale giurisprudenza.

La sentenza impugnata, infatti, con un accertamento congruamente motivato e privo di vizi logici e di contraddizioni, non suscettibile di ulteriore modifica in questa sede, ha riconosciuto, tra l’altro, che la scala in questione non presentava le anomalie lamentate dal danneggiato, che questi aveva percorso la stessa scala in salita per assistere allo spettacolo e che, pertanto, la caduta era da ascrivere al comportamento dello stesso attore, che non aveva adottato una condotta prudente e consona allo stato dei luoghi.

A fronte di tale motivazione si infrangono le doglianze contenute nei motivi di ricorso.

Esse, infatti, da un lato sono inammissibili, perché prospettano, in realtà, un vizio di motivazione mascherato da violazione di legge, cioè una censura inammissibile in relazione al parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., attualmente vigente, risolvendosi quindi nell’evidente tentativo di sollecitare in questa sede un diverso e non consentito esame del merito (quinto motivo).

Da un altro lato, invece, i motivi di ricorso (quarto, sesto e settimo) insistono nel contestare che la sentenza avrebbe negato l’esistenza del nesso di causalità tra la caduta e l’oggetto pericoloso (la scala). Ma non è così.

La sentenza non ha negato l’esistenza del fatto storico (la caduta) e del nesso di causalità tra la scala e la caduta; ha invece sostenuto, con argomentazioni che il ricorso non supera in alcun modo, che l’evento dannoso era da ricondurre ad un comportamento non avveduto del danneggiato.

10. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 13 agosto 2022, n. 147, che ha modificato il d.m. 10 marzo 2014, n. 55, ed è applicabile nella fattispecie ratione temporis.

Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 5.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-qater, del d.P.R. del 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile, il giorno 8 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.