Alle vittime chiedono dei soldi per non presentarsi all’asta dei loro beni pignorati. E’ Violenza privata o estorsione aggravata? (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 3 febbraio 2023, n. 4849)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGO Geppino – Presidente –

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Rel. Consigliere –

Dott. MANTOVANO Alfredo – Consigliere –

Dott. MINUTILLO TURTUR Marzia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

(OMISSIS) GIANFRANCO, nato a Roma il 19/05/19xx;

(OMISSIS) ADRIANO, nato a Roma il 05/06/19xx;

(OMISSIS) RICCARDO, nato a Roma il 26/05/19xx;

(OMISSIS) LUCIANO, nato a Roma il 26/07/19xx;

avverso la sentenza del 13/11/2020 della Corte d’appello di Perugia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NICASTRO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa FRANCA ZACCO, che ha concluso chiedendo:

– l’annullamento, con rinvio, della sentenza impugnata in relazione alla posizione di (OMISSIS) Luciano;

– che i ricorsi di (OMISSIS) Gianfranco, (OMISSIS) Adriano e (OMISSIS) Riccardo siano dichiarati inammissibili;

udito l’avv. ANDREA (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS) Gianfranco, che si è richiamato ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento;

udito l’avv. GIUSEPPE (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. ANTONIO (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS) Gianfranco, che si è riportato ai motivi di ricorso;

udito lo stesso avv. GIUSEPPE (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS) Adriano, che, dopo dibattimento, ha insistito per l’accoglimento del ricorso;

udito l’avv. VALERIA (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS) Luciano, la quale si è associata alla richiesta del Pubblico Ministero e, dopo dibattimento, ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’avv. ANNA (OMISSIS) (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS) Riccardo, che si è riportata ai motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13/11/2020, la Corte d’appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza del 23/04/2018 del Tribunale di Spoleto, confermava le condanne di:

a) Gianfranco (OMISSIS) per i reati di tentata estorsione in concorso ai danni di Sebastiano (OMISSIS) (capo E dell’imputazione), tentata estorsione ai danni di Norberto (OMISSIS) (capo 3 dell’imputazione), tentata estorsione in concorso ai danni di Catia (OMISSIS) (capo N dell’imputazione), estorsione continuata in concorso ai danni di Alessio (OMISSIS) (OMISSIS) (capo AA dell’imputazione) ed estorsione in concorso ai danni di Giovanni (OMISSIS) (capo DD dell’imputazione);

b) Adriano (OMISSIS) per il reato di estorsione continuata in concorso ai danni di Alessio (OMISSIS) (OMISSIS) (capo AA dell’imputazione);

c) Riccardo (OMISSIS) per i reati di estorsione in concorso ai danni di Massimo (OMISSIS) e Maria Grazia (OMISSIS) (capo G dell’imputazione), tentata estorsione in concorso ai danni di Catia (OMISSIS) (capo N dell’imputazione), estorsione continuata in concorso ai danni di Alessio (OMISSIS) (OMISSIS) (capo AA dell’imputazione) ed estorsione in concorso ai danni di Giovanni (OMISSIS) (capo DD dell’imputazione);

d) Luciano (OMISSIS) per i reati di estorsione continuata in concorso ai danni di Alessio (OMISSIS) (OMISSIS) (capo AA dell’imputazione) ed estorsione in concorso ai danni di Antonella (OMISSIS) (capo CC dell’imputazione).

Tali reati di estorsione consumata o tentata venivano attribuiti agli imputati, ad eccezione di quello di cui al capo.) dell’imputazione, come aggravati dall’essere stata la minaccia commessa da più persone riunite, ai sensi del combinato disposto del secondo comma dell’art. 629 e del terzo comma, n. 1), dell’art. 628 cod. pen.

Le condotte di estorsione e di tentata estorsione attribuite agli imputati erano consistite nel richiedere alle persone offese – debitori esecutati nell’ambito di procedure esecutive nei loro confronti – e, nel caso di consumazione del reato, nell’ottenere dalle stesse, delle somme di denaro quale corrispettivo della loro astensione dalla partecipazione alle relative aste giudiziarie dei beni pignorati.

La Corte d’appello di Perugia dichiarava poi non doversi procedere nei confronti di Gianfranco (OMISSIS) e di Riccardo (OMISSIS) per i reati turbata libertà degli incanti – contestati a tali imputati come commessi con le stesse menzionate condotte estorsive loro attribuite – di cui ai capi, rispettivamente, F), K), O), BB) ed EE) per il (OMISSIS), e H), O), BB) ed EE) per il (OMISSIS).

La Corte d’appello di Perugia rideterminava infine la pena irrogata a Gianfranco (OMISSIS) e a Riccardo (OMISSIS).

2. Avverso l’indicata sentenza della Corte d’appello di Perugia, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione Gianfranco (OMISSIS), Adriano (OMISSIS), Riccardo (OMISSIS) e Luciano (OMISSIS), per il tramite dei propri rispettivi difensori.

3. Gianfranco (OMISSIS) ha proposto due ricorsi, uno a firma dell’avv. Andrea (OMISSIS), affidato a due motivi, e uno a firma dell’avv. Antonio (OMISSIS), affidato anch’esso a due motivi.

3.1. Il ricorso a firma dell’avv. Andrea (OMISSIS).

3.1.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce che le condotte a lui attribuite devono ritenersi integrare non il reato di estorsione (tentata o consumata) ma quello di turbata libertà degli incanti di cui all’art. 353 cod. pen., in quanto quest’ultima disposizione sarebbe speciale, ai sensi dell’art. 15 cod. pen., rispetto a quella di cui all’art. 629 cod. pen.

3.1.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 546, comma 3, cod. proc. pen., perché «sottoscritta dal Presidente del collegio ma non dal Giudice estensore, in quanto sottoscritta dal giudice relatore».

3.2. Il ricorso a firma dell’avv. Antonio (OMISSIS).

3.2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., il «[d]ifetto di motivazione [della sentenza impugnata] nella forma della motivazione apparente e manifestamente illogica in relazione agli episodi di estorsione tentata o consumata di cui ai capi E), 3), N), AA) e DD)» e la «conseguente erronea applicazione della legge penale […] in relazione agli artt. 56 e 629 cp, 629 cc. 1 e 2 cp e 628 c. 3 n. 1 cp)».

Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Perugia, nell’omettere di esaminare, o nell’esaminare in modo solo apparente, le specifiche censure sollevate con il proprio atto di appello in ordine all’accertamento degli elementi costitutivi del reato di estorsione (consumata o tentata) e della ritenuta aggravante delle più persone riunite, avrebbe omesso di motivare, o avrebbe motivato in modo manifestamente illogico, in ordine:

a) alla condotta che sarebbe stata specificamente posta in essere dall’imputato e, in particolare, al carattere concretamente minaccioso della stessa;

b) al danno che tale condotta avrebbe arrecato alle persone offese, pregiudizio, in realtà, insussistente, atteso che esse «attraverso la rinuncia alla partecipazione all’asta – evitavano di subire la vendita o l’asportazione dei beni», con la conseguenza che, in via subordinata, i fatti a lui attribuiti avrebbero dovuto essere ritenuti integrare il delitto di violenza privata (consumata o tentata);

c) alla simultanea presenza, nel luogo e nel momento dell’asserita minaccia, di più persone, ai fini dell’integrazione dell’aggravante di cui al combinato disposto degli artt. 629, secondo comma, e 628, terzo comma, n. 1), cod. pen.

3.2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 99, quarto comma, cod. pen., e la motivazione apparente della sentenza impugnata con riguardo all’applicazione della recidiva reiterata specifica e infraquinquennale.

Il ricorrente lamenta come non possa «ritenersi sufficiente ad assolvere all’obbligo di motivazione il generico riferimento al tono di voce di (OMISSIS), unico elemento posto a fondamento dell’applicazione della recidiva contestata, in quanto non vi è traccia di una concreta verifica sul valore sintomatico di una maggiore capacità a delinquere dell’imputato derivante dalla nuova condotta criminosa da lui posta in essere e, specificamente desumibile dalla relazione, che va concretamente accertata e valutata, tra il fatto cui si riferisce la contestazione della recidiva e i fatti oggetto delle precedenti condanne».

Il ricorrente aggiunge in proposito che «è innegabile che le persone offese ottennero un vantaggio o dalla mancata partecipazione alle aste o dal riacquisto dei beni aggiudicati e dove comunque difetta ogni relazione con i fatti oggetto delle precedenti condanne» e che la Corte d’appello di Perugia «ha inoltre omesso di considerare che (OMISSIS), dopo i fatti di cui al presente processo, non ha più riportato alcuna condanna ed ha omesso di considerare anche la missiva fatta pervenire dall’imputato con la quale un terzo dà atto del percorso di reinserimento e riabilitazione seguito dal medesimo, ad ulteriore dimostrazione della mancanza di ogni elemento per la formulazione di un giudizio di maggiore pericolosità».

4. Il ricorso di Adriano (OMISSIS), a firma dell’avv. Giuseppe (OMISSIS), è affidato a tre motivi.

4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , c) ed e) , cod. proc. pen., con riferimento, da un lato, agli artt. 125, 178, comma 1, lett. c) , e 546, comma 1, lett. e), dello stesso codice, e, dall’altro lato, agli artt. 629, primo e secondo comma, e 628, terzo comma, n. 1), cod. pen., vizi «inverati, anche attraverso l’omessa risposta a specifiche censure difensive, sui temi della identificazione dell’imputato e della condotta da costui posta in essere con riferimento tanto al capo AA) della imputazione, per cui è condanna, quanto al capo BB), per cui è intervenuta declaratoria di prescrizione [in primo grado], nonché con riferimento alla ricorrenza della contestata aggravante».

Il ricorrente lamenta anzitutto che la sentenza impugnata avrebbe omesso di esaminare e di valutare le censure difensive avanzate con il proprio atto di appello con riguardo:

a) al fatto che il suo riconoscimento da parte della persona offesa Alessio (OMISSIS) (OMISSIS) era stato espresso solo in termini di probabilità («molto somigliante»);

b) al fatto che l’argomento valorizzato dal Tribunale di Spoleto al fine di ritenere l’attendibilità dello stesso riconoscimento – segnatamente, la circostanza che la persona offesa aveva riferito la presenza ai fatti di «due (OMISSIS)», cioè di un’altra persona con tale cognome oltre al padre dell’imputato, che vi era stato pacificamente presente – era «debolmente certo»;

c) alla necessità di un vaglio approfondito delle dichiarazioni della persona offesa;

d) all’assenza di elementi di riscontro a tali dichiarazioni;

e) all’assenza di qualsiasi riferimento all’imputato nelle conversazioni intercettate.

Il ricorrente lamenta altresì che, anche in ragione della mancata considerazione delle ricordate censure difensive, la Corte d’appello di Perugia avrebbe omesso di motivare con riguardo:

a) alla specifica condotta che egli avrebbe tenuto nel concorrere, materialmente o moralmente, al fatto estorsivo a lui attribuito;

b) quanto all’aggravante delle più persone riunite:

b.1) «al contenuto specifico della minaccia contestuale» e alle «circostanze nelle quali a tale minaccia il ricorrente sarebbe stato, quanto meno, consapevolmente presente»;

c) alla riferibilità a sé di tale aggravante sotto il profilo della «soggettiv[a] rimproverabilità».

4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento all’artt. 629 cod. pen., che la sentenza impugnata, «con riferimento alla specifica posizione del ricorrente, [ha] erroneamente ritenuto sussistenti tutti gli elementi della fattispecie contestata».

Il ricorrente rappresenta anzitutto che, a differenza dell’aggiudicatario che ceda la propria posizione soggettiva a titolo oneroso, il titolare del diritto di partecipare (potenzialmente) all’asta che scelga di non farlo «non incide in nessuna maniera illegittima sulla procedura esecutiva» e che tale conclusione non muta «per il sol fatto che l’agente, stavolta nei perfetti limiti dell’autonomia negoziale riconosciuta dall’ordinamento, decida di trarre dall’esercizio del suo diritto un corrispettivo […] e sempre salvo che tale scelta non assuma, sul versante passivo, i colori di una illecita imposizione».

In secondo luogo, il ricorrente rappresenta che, diversamente dalle fattispecie oggetto delle sentenze della Seconda sezione penale della Corte di cassazione n. 4936 del 27/10/2016, dep. 2017, Stabile, Rv. 268987-01 e n. 774 del 28/11/2007, dep. 2008, Beato, Rv. 238904-01 – le quali hanno ritenuto che integra la condotta del delitto di estorsione la pretesa di una somma di denaro rivolta da uno dei partecipanti a un’asta giudiziaria a un altro concorrente come compenso per l’astensione dalla partecipazione – nel caso in esame la pretesa della somma di denaro è rivolta non a un altro partecipante all’asta giudiziaria ma al debitore esecutato.

Tale diversità delle due fattispecie sarebbe, secondo il ricorrente, di rilievo decisivo, atteso che, posto che la Corte di cassazione, nelle due sentenze citate, ha ravvisato l’illiceità penale della condotta nel «far sorgere nella vittima il timore di un concreto pregiudizio, nella specie consistente nel rendere difficoltosa la regolare partecipazione dello stesso all’asta giudiziale» (così, in particolare, Sez. 2, n. 774 del 2007, cit.), nella fattispecie in esame «non sussiste invece alcuna difficoltà o disagio che possa dirsi derivante da tale partecipazione in capo al debitore esecutato, il quale, invece, non solo non ha modo legale di ottenere che l’asta venga disertata L.] ma, addirittura, non può ex lege partecipare all’incanto».

Pertanto – prosegue il ricorrente – appurato che la condotta di non partecipare all’asta «non interfer[isce] in alcun modo né con la celebrazione dell’asta medesima in concreto, né con le aspettative legittime L.] del debitore esecutato», la condotta posta in essere dal (OMISSIS), «in assenza di altre coloriture implicitamente o esplicitamente minatorie», non si può ritenere integrare gli estremi del delitto di estorsione; condotte minacciose che i giudici di merito hanno del tutto omesso di indicare.

4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), c), ed e), cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), dello stesso codice e agli artt. 114 e 133 cod. pen., l’omessa pronuncia della Corte d’appello di Perugia in ordine al proprio motivo di appello relativo al trattamento sanzionatorio, con il quale, in particolare, era stato lamentato che «Ella pena si appalesa incongrua e in disparità con altre posizioni per le quali il coinvolgimento nei fatti di causa è offerto come azione ripetuta».

Il ricorrente rappresenta altresì che, «una volta fissata nel minimo la pena base da infliggere a (OMISSIS) come ad altri soggetti il cui apporto concorsuale risulta di maggior spessore, la via giuridicamente corretta per dosare la sanzione sarebbe stata quella di applicare la diminuente di cui all’art. 114 c.p.», atteso che «il ruolo del (OMISSIS) sembra limitato ad un unico accesso e privo dei connotati di particolare incisività.

5. Il ricorso di Riccardo (OMISSIS), a firma dell’avv. Pietro (OMISSIS), è affidato a due motivi.

5.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione della sentenza impugnata «con riferimento alla denegata assoluzione dell’imputato relativamente alle ipotesi lui contestate di estorsione e tentata estorsione aggravate perché il fatto non sussiste, non costituisce reato o quantomeno ai sensi dell’art. 530 co. 2 c.p.p.».

Il ricorrente rappresenta al riguardo che:

a) «[p]are evidente che l’unica fattispecie in astratto configurabile nei confronti dell’odierno ricorrente sia quella di cui all’art. 353 c.p.»;

b) la Corte d’appello di Perugia «ometteva di adeguatamente motivare sul punto che nessun danno poteva derivare al debitore dalla mancata partecipazione all’asta (da cui anzi poteva trarre benefici determinando il ribasso del valore del compendio stagito), con la conseguenza che «ciò che originariamente difetta, rispetto alla struttura del delitto di estorsione, è l’elemento costitutivo della ingiustizia del male prospettato»;

c) la stessa Corte d’appello di Perugia ha illogicamente e inadeguatamente motivato che la minaccia costitutiva del delitto di estorsione era consistita «nell’esercizio di una facoltà o di un diritto spettante al soggetto agente», laddove «partecipare ad un’asta non è e non può rappresentare una minaccia né una coartazione della volontà del debitore esecutato»;

d) «tutto quanto oggetto di esame del presente procedimento» «si verifica» a danno del creditore procedente;

d) «la volontà del debitore – parte offesa – non sia affatto coartata potendo lo stesso tranquillamente non versare alcunché e procedere alla vendita all’asta dei beni, che, comunque, potrebbe avere per lui un effetto positivo dal momento che viene estinto un suo debito verso i terzi promotori della procedura esecutiva»;

e) «quanto sostenuto nel provvedimento impugnato circa la non realistica ipotizzabilità di una diversa situazione da quella ritenuta nella stessa sentenza in ordine all’atteggiamento psicologico dell’imputato nonché alle modalità con le quali il ricorrente agiva oltre a non essere assolutamente motivata, appare essere invece un’opinione strettamente personale dal momento che proprio tali modalità potrebbero essere assunte a dimostrazione del fatto che effettivamente l’imputato [non] abbia commesso il reato a lui contestato»;

f) la Corte d’appello di Perugia «perveniva a delle conclusioni completamente difformi dalla versione dei fatti emergente dagli atti di indagine svolti nonché dagli elementi offerti nel corso dell’istruttoria dibattimentale»;

g) la stessa Corte d’appello di Perugia «si limitava a confermare la sentenza di primo grado svincolando il proprio giudizio da qualsivoglia circostanza di tempo, di luogo, di modalità dell’azione»;

h) «non [è] stato operato alcun approfondimento circa la reale sussistenza dell’elemento soggettivo doloso nonché dell’elemento materiale del reato e delle circostanze e modalità mediante le quali il (OMISSIS) si determinava ad agire nel senso che viene lui contestato».

5.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione della sentenza impugnata «con riferimento alla eccessiva quantificazione della pena detentiva e pecuniaria».

Il ricorrente lamenta il carattere apparente della motivazione della sentenza impugnata al riguardo, rappresentando che la Corte d’appello di Perugia, nel quantificare la pena irrogata, non avrebbe tenuto conto della necessità di commisurarla «rispetto alla colpevolezza del fatto singolo» e alla finalità rieducativa della pena, così pervenendo a irrogare «una pena da ritenersi eccessiva» e «senza voler concedere, peraltro, al (OMISSIS) Riccardo, le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate e sulla recidiva.

6. Il ricorso di Luciano (OMISSIS), a firma dell’avv. Valeria (OMISSIS), è affidato a sette motivi.

6.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la «nullità del procedimento di primo grado e della sentenza emessa nei confronti di (OMISSIS) Luciano per violazione del diritto di difesa artt. 94 c.p.p., 97 c.p.p., 178 c.p.p., 185 c.p.p.», sotto il «duplice profilo, sia dell’omessa nomina di un difensore d’ufficio ex art. 97 I comma c.p.p. che sotto quello della […] violazione del principio di immutabilità della difesa tecnica nella fase del primo grado di giudizio».

Il ricorrente rappresenta al riguardo che, dopo la revoca, nel corso dell’udienza preliminare, della nomina del difensore di fiducia avv. Augusto (OMISSIS) (con la designazione, per tale udienza, dell’avv. Rossano (OMISSIS)), non gli era mai stato nominato un difensore di ufficio, ai sensi dell’art. 97, comma 1, cod. proc. pen., sicché, per tutta la durata del giudizio di primo grado, egli era stato assistito da difensori designati, ai sensi dell’art. 97, comma 4, cod. proc. pen., per le singole udienze, e sempre diversi (senza che nei verbali delle udienze fosse indicato il difensore da loro sostituito o, con l’indicazione, negli stessi verbali, quale difensore sostituito, del revocato avv. (OMISSIS) o dell’avv. Pietro (OMISSIS), nominato difensore di fiducia, in realtà, solo in sede di appello), con la conseguente nullità assoluta del procedimento di primo grado e della sentenza del Tribunale di Spoleto emessa in esito allo stesso per violazione del diritto di difesa sotto i due profili sopra menzionati.

6.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., l’omessa motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla «nullità del procedimento di primo grado e della sentenza emessa nei confronti dell’imputato per violazione del diritto di difesa artt. 94 c.p.p., 97 c.p.p., 178 c.p.p., 185 c.p.p.».

Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Perugia abbia motivato in ordine a tale nullità – dedotta con il primo motivo di ricorso – limitandosi ad affermare che il proprio difensore di fiducia era l’avv. Pietro (OMISSIS), il quale, in realtà, era stato nominato solo in sede di appello, così «erra[ndo] nell’iter motivazionale laddove deduce dal mandato conferito solo per l’atto di appello il conferimento del mandato anche nel primo grado di giudizio» e, comunque, nel ritenere non integrata la predetta nullità.

Il ricorrente ribadisce che «[a]lcuna nomina risulta dagli atti ed alcuna nomina viene indicata nei tre verbali di udienza in cui risulta erroneamente il nominativo dell’avv. Pietro (OMISSIS), pur in assenza di una nomina agli atti, verbali in cui non viene neppure fatto cenno all’intervenuta nomina di un difensore di fiducia: trattasi comunque delle ultime tre udienze ma il processo è durato sette anni».

6.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata con riguardo sempre alla «nullità del procedimento di primo grado e della sentenza emessa nei confronti dell’imputato per violazione del diritto di difesa artt. 94 c.p.p., 178 c.p.p., 185 c.p.p.».

Il ricorrente rappresenta che, anche qualora si volesse ritenere esistente una motivazione della sentenza impugnata in ordine a tale nullità – che era stata dedotta e documentata dalla difesa in una memoria depositata nella fase di appello – tale motivazione sarebbe comunque contraddittoria e manifestamente illogica, in quanto risulta inconciliabile «rispetto agli atti del processo ed ai verbali di udienza precipuamente indicati ed allegati alla memoria», dai quali emergeva che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello di Perugia, «non risulta nei sette anni [di durata del processo di primo grado] che sia stato nominato l’avv. (OMISSIS), nominato peraltro solo per il grado di appello».

6.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., l’omessa motivazione della sentenza impugnata «in ordine all’assenza di elementi oggettivi e soggettivi a carico del (OMISSIS) dei capi d’imputazione ascritti».

Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Perugia avrebbe omesso di motivare, o avrebbe motivato in modo solo apparente, in ordine alle specifiche doglianze che erano state avanzate nel proprio atto di appello in ordine alla responsabilità per i reati che gli erano stati attribuiti – in particolare, nell’atto di appello, era stato dedotto che «i passaggi [della sentenza del Tribunale di Spoleto] relativi al (OMISSIS) [erano] pressoché inesistenti, concernevano davvero poche righe, tre o quattro, totalmente insufficienti per poter sostenere l’accusa in giudizio con una sentenza di condanna, in ordine alla violenza e minaccia, […] così come non risulta in alcun modo comprovato il dolo specifico del (OMISSIS)» – con una motivazione per relationem alla sentenza di primo grado che «si è tradott[a] in una concreta omissione in quanto con l’atto di appello era stata censurata proprio l’assenza di motivazione » della sentenza di primo grado.

Il ricorrente ribadisce che «la Corte d’Appello pur a fronte di precipue censure non ha motivato ma ha sintetizzato in dieci righe senza dar conto delle censure in ordine all’assenza di elementi comprovanti a carico del (OMISSIS) l’estorsione, la minaccia idonea a incutere timore, l’intimidazione o coazione psicologica ai fini estorsivi, la coartazione del soggetto passivo, l’ingiusto profitto, l’altrui danno».

6.5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata «in ordine all’assenza di elementi oggettivi e soggettivi a carico del (OMISSIS)».

Il ricorrente lamenta tali vizi motivazionali rappresentando che nella sentenza impugnata «[n]on è dato rinvenire […] alcuna argomentazione […] su elementi probatori a carico del (OMISSIS) che giustifichi una sentenza di conferma della condanna», con la conseguente violazione, in particolare, dei principi del giusto processo e della colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio.

6.6. Con il sesto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., l’omessa motivazione della sentenza impugnata con riguardo a «[r]ideterminazione della pena – Indulto – Individuazione delle condotte asseritamente commesse tra il 2005 e il 2008».

Il ricorrente rappresenta che, posto che le condotte a lui attribuite sono comprese tra il 2005 e il 2008, «le condotte commesse nel 2005 «sono indultate e alcun fatto asseritamente commesso fino al 2008 è imputabile al (OMISSIS)».

Il ricorrente rappresenta altresì che «era ed è imprescindibile che ai sensi di legge, venga […] precisato quali condotte sono state commesse dal (OMISSIS) nell’anno 2005 e quali negli anni tra il 2005 ed il 2008», con la conseguente necessità «che il Giudice dell’appello debba individuare i fatti di reato le cui pene risultano già oggi indultate».

6.6. Con il settimo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la «[n]ullità del procedimento di primo grado e della sentenza emessa nei confronti dell’imputato (OMISSIS) Luciano per violazione del diritto di difesa artt. 94 c.p.p., 97 c.p.p., 178 c.p.p., 185 c.p.p.» e «[v]iolazione CEDU art. 6 paragrafi 1, 2, 3».

Il ricorrente chiede di rilevare, per le ragioni indicate nel primo, secondo e terzo motivo di ricorso, la violazione dei diritti riconosciuti dall’art. 6, paragrafi 1, 2 e 3 CEDU, in particolare, «del diritto di difesa, dell’equo processo, della giusta durata del processo, delle garanzie processuali, della presunzione di innocenza».

7. Luciano (OMISSIS) ha presentato due motivi nuovi.

7.1. Con il primo motivo nuovo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la «assenza di elementi oggettivi e soggettivi a carico del (OMISSIS) dei capi d’imputazione ascritti – configurabilità dell’ipotesi di reato di cui all’art. 629 comma 1 c.p.».

Il ricorrente ribadisce la carenza motivazionale della sentenza impugnata atteso che «i passaggi [della stessa] relativi alla conferma di condanna nei confronti di (OMISSIS) sono pressoché inesistenti, concernono davvero poche righe (a pag. 65 della sentenza, tre o quattro), totalmente insufficienti al fine di poter sostenere l’accusa in giudizio […]; non vi sono prove in ordine alla violenza e minaccia, […] così come non risulta in alcun modo comprovato il dolo specifico del (OMISSIS), […] ma soprattutto non vi è evidenza dell’ipotesi aggravata di cui all’art. 629 c.p. comma 2 in relazione all’art. 628 comma 3 n. 1. c.p.», atteso che la sentenza impugnata «nulla dice altresì in ordine alla configurabilità o meno, all’esito dell’istruttoria, della configurabilità dell’ipotesi meno grave di cui all’art. 629 1 comma c.p. con esclusione del comma 2 in relazione all’art. 628 comma 3 n. 1 c.p.».

7.2. Con il secondo motivo nuovo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la «assenza della pronuncia di estinzione per intervenuta prescrizione».

Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Perugia «ha omesso qualsiasi motivazione sul punto», rappresentando che «[n]ell’ipotesi residuale in cui [la] Corte di Cassazione dovesse ritenere (OMISSIS) colpevole in relazione le condotte a lui ascritte le stesse non possono che essere ricondotte nell’ipotesi di reato di cui al 1 comma dell’art. 629 c.p. con esclusione dell’art. 629 c.p. comma 1 e 2 in relazione all’art. 628 comma 3 n. 1 c.p.», sicché «ne conseguirebbe, anche a seguito di eventuale pronuncia di eventuale cassazione con rinvio della sentenza, l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione».

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Prima di esaminare i singoli ricorsi, è necessario richiamare alcuni principi, affermati dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di cosiddetta “doppia conforme”, di limiti del sindacato della Corte di cassazione sui vizi della motivazione della sentenza impugnata e di valutazione delle dichiarazioni della persona offesa dal reato e del contenuto delle intercettazioni telefoniche.

Costituisce un orientamento consolidato della Corte di cassazione quello secondo cui, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cosiddetta “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (tra le tante: Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615- 01).

È parimenti consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, il principio secondo cui, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione sia nell’ipotesi in cui il li giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155-01; Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L., Rv. 272018-01; Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine, Rv. 256837-01).

Costituisce, ancora, un principio pacificamente accolto dalla Corte di cassazione – e anch’esso, come i precedenti, condiviso dal Collegio – quello secondo cui, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali a imporre una diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747- 01; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01).

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno anche statuito che «la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni» (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214-01; di recente: Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609-01).

Si deve poi rammentare che, «[i]n materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite» (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337-01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D’Andrea, Rv. 268389-01; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784-01).

2. Richiamati tali generali principi, affermati dalla giurisprudenza di legittimità, è necessario affrontare, in via preliminare, due questioni, atteso che esse sottostanno, sia pure con diversi accenti, a tutti e quattro i ricorsi, e sono quindi sostanzialmente comuni agli stessi.

2.1. La prima di tali questioni è quella della configurabilità o no degli elementi costitutivi del delitto di estorsione nella condotta di chi – come nelle fattispecie che sono contestate ai ricorrenti – chieda a un debitore esecutato nell’ambito di una procedura esecutiva delle somme di denaro quale corrispettivo della propria astensione dalla partecipazione alla relativa asta giudiziaria.

La questione è stata già scrutinata dalla Corte di cassazione che, sulla base di argomenti che il Collegio condivide e intende, perciò, ribadire, l’ha decisa nel senso che la predetta condotta integra il delitto di estorsione (Sez. 2, n. 4936 del 27/10/2016, Stabile, Rv. 268987-01; Sez. 2, n. 119 del 04/11/2009, dep. 2010, Ferranti, Rv. 246306-01).

Di tale delitto sussiste, anzitutto, l’elemento della minaccia, atteso che, ancorché essa consista qui nella prospettazione dell’esercizio di un diritto, e cioè quello di partecipare all’asta giudiziaria, e, quindi, dello svolgimento di un’attività legittima, tuttavia tale prospettazione diviene contra ius in quanto, pur non essendo antigiuridico il male prospettato, del mezzo giuridico legittimo l’agente fa uso per conseguire uno scopo non consentito, cioè quello di coartare la volontà del debitore esecutato – il quale teme di perdere definitivamente il proprio bene pignorato qualora questo, a seguito della prospettata partecipazione all’asta, fosse aggiudicato – per costringerlo a una prestazione non dovuta.

Anche l'”abuso del diritto”, infatti, in quanto possibile strumento di sopraffazione dell’altrui libertà di autodeterminazione, può integrare l’elemento della minaccia del delitto di estorsione, la quale, non a caso, diversamente da quanto è previsto dall’art. 612 cod. pen., nell’art. 629 cod. pen. non richiede che sia prospettato un danno ingiusto. Ingiusto è poi – come è invece richiesto, con riguardo a tale requisito, dall’art.629 cod. pen. – il profitto conseguito dall’agente, in quanto esso è, a un tempo, indebito e frutto dell’indicata coartazione.

Così come deve ritenersi sussistente, infine, l’elemento del danno per il debitore esecutato, con riguardo al quale occorre guardare, evidentemente, non alla rinuncia alla partecipazione all’asta giudiziaria, ma alla coartata dazione della somma di denaro a lui richiesta dall’agente.

2.2. La seconda questione che è necessario affrontare in via preliminare è quella dell’ammissibilità o no del concorso formale tra il delitto di estorsione e il delitto di turbata libertà degli incanti.

Anche tale questione è stata già scrutinata dalla Corte di cassazione, la quale ha ritenuto, affermando un principio che, anche in questo caso, è condiviso dal Collegio, l’ammissibilità del predetto concorso formale, sulla considerazione della diversa obiettività giuridica delle due norme dell’art. 629 cod. pen. e dell’art. 353 cod. pen., atteso che la prima tutela il patrimonio, attraverso la repressione di atti di coartazione della libertà di determinazione del soggetto nel compimento degli atti di disposizione patrimoniale, e la seconda tutela la libera formazione delle offerte nei pubblici incanti e nelle licitazioni private per conto delle pubbliche amministrazioni (Sez. 2, n. 11979 del 17/02/2017, Remedia, Rv. 269560-01; Sez. 5, n. 22200 del 10/04/2013, Del Giudice, Rv. 256502-01; Sez. 2, n. 13505 del 13/03/2008, Gennaro, Rv. 239794-01).

3. Risolte le due indicate questioni, è possibile passare all’esame dei singoli ricorsi.

4. I ricorsi di Gianfranco (OMISSIS) a firma, rispettivamente, dell’avv. Andrea (OMISSIS) e dell’avv. Antonio (OMISSIS).

4.1. In ordine logico, deve essere anzitutto esaminato il secondo motivo del ricorso a firma dell’avv. Andrea (OMISSIS).

Esso è manifestamente infondato.

Dalle indicazioni presenti in calce all’impugnata sentenza collegiale, risulta che la stessa è stata sottoscritta dal presidente e dal consigliere relatore. Poiché non risulta che, per la redazione della motivazione della sentenza, sia stato designato un estensore diverso dal relatore, non emerge nessun elemento per ritenere che quest’ultimo, che ha sottoscritto la sentenza impugnata, non sia anche colui che ne ha redatto la motivazione.

4.2. Il primo motivo del ricorso a firma dell’avv. Andrea (OMISSIS) è manifestamente infondato.

Infatti, come si è esposto al punto 2.2., si deve ribadire l’ammissibilità del concorso formale tra il delitto di estorsione, di cui all’art. 629 cod. pen., e il delitto di turbata libertà degli incanti, di cui all’art. 353 cod. pen., con la conseguenza che tra i due reati non sussiste un rapporto di specialità e che essi possono, perciò, concorrere.

4.3. Il primo motivo del ricorso a firma dell’avv. Antonio (OMISSIS) è manifestamente infondato.

La Corte d’appello di Perugia ha confermato l’affermazione di responsabilità del ricorrente per i reati a lui addebitati in base ai seguenti elementi di prova.

Quanto alla tentata estorsione in concorso ai danni di Sebastiano (OMISSIS) (capo E dell’imputazione), commessa il 2 novembre 2007: la persona offesa aveva riferito che, il giorno che era stato stabilito per l’asta giudiziaria del proprio bene pignorato, le si erano presentate diverse persone che le avevano chiesto del denaro quale corrispettivo della loro astensione dalla partecipazione all’asta («se ci dai i soldi ce ne andiamo») e che una di esse, al suo manifestato proposito di non pagare, le aveva detto «che avrebbe partecipato all’asta al solo scopo di far lievitare il prezzo della merce» (cosa che poi aveva effettivamente fatto); il concorso del ricorrente a tali condotte trovava conferma nel contenuto dell’intercettata conversazione telefonica (intercettazione n. 181 del 2 novembre 2007, immediatamente successiva ai fatti) tra il dipendente dell’Istituto vendite giudiziarie di Perugia (sede di Terni) Mauro Pagliari e un’altra impiegata dello stesso Istituto (la sig.ra (OMISSIS)), nella quale il (OMISSIS) aveva indicato Gianfranco (OMISSIS) tra i partecipanti ai fatti del 2 novembre 2007.

Quanto alla tentata estorsione ai danni di Norberto (OMISSIS) (capo i dell’imputazione), commessa il 5 dicembre 2007: la persona offesa aveva riferito che, qualche giorno prima di quello che era stato stabilito per l’asta giudiziaria del proprio bene pignorato (un box), le si era presentata una persona che le aveva chiesto del denaro (€ 2.500,00/2.600,00) quale corrispettivo per la propria astensione dalla partecipazione all’asta e le aveva fornito, come proprio recapito, un’utenza telefonica; tale utenza era risultata nella disponibilità di Gianfranco (OMISSIS); l’individuazione di questi come la persona che aveva avanzato alla persona offesa la predetta richiesta di denaro trovava conferma nel contenuto dell’intercettata conversazione telefonica (intercettazione n. 2081 del 5 dicembre 2007) tra il già menzionato Mauro (OMISSIS) e lo stesso Gianfranco (OMISSIS) (che, dal tenore del dialogo, risultava trovarsi in Umbria), nel corso della quale il primo aveva fornito al secondo le indicazioni necessarie per raggiungere il luogo in cui si trovava il bene esecutato e in cui, poi, sarebbe stata posta in essere la condotta criminosa.

Quanto alla tentata estorsione in concorso ai danni di Catia (OMISSIS) (capo N dell’imputazione): la persona offesa aveva riferito che, prima dell’asta giudiziaria del proprio bene pignorato, le si erano presentate, arrivando tutte insieme, dopo una telefonata del Pagliari che aveva indicato al proprio interlocutore il luogo in cui si trovava il predetto bene, diverse persone, una delle quali le aveva chiesto del denaro (€ 200,00) quale corrispettivo della propria astensione dalla partecipazione all’asta; la stessa persona offesa aveva individuato, con riconoscimento fotografico, Gianfranco (OMISSIS) come una delle persone che, arrivando tutte insieme, le si erano presentate; tali modalità dell’arrivo dell’imputato, insieme agli altri soggetti, i quali si conoscevano tra loro, a seguito della telefonata del (OMISSIS), con il quale pure gli stessi si conoscevano, e la richiesta di denaro dovevano ritenersi, secondo la Corte d’appello di Perugia, delineare una situazione di fatto in cui gli imputati avevano tentato di coartare la volontà della persona offesa, per ottenere il profitto ingiusto della corresponsione della somma di denaro richiesta alla stessa.

Quanto all’estorsione continuata in concorso ai danni di Alessio (OMISSIS) (OMISSIS) (capo AA dell’imputazione): la persona offesa aveva riferito che, in occasione di diverse procedure esecutive nei suoi confronti, le si erano presentate diverse persone, che arrivavano sempre in gruppo e che si conoscevano tra loro, le quali le avevano chiesto del denaro quale corrispettivo della propria astensione dalla partecipazione all’asta del bene a lei pignorato e avevano anche «caccia[to] via» alcuni altri soggetti che si erano mostrati interessati all’acquisto del bene; la stessa persona offesa aveva individuato, con riconoscimento fotografico, Gianfranco (OMISSIS) come una delle predette persone, indicandolo come «l’urlatore».

Quanto all’estorsione in concorso ai danni di Giovanni (OMISSIS) (capo DD dell’imputazione), commessa il 28 febbraio 2008: la persona offesa aveva riferito che, il giorno che era stato stabilito per l’asta giudiziaria del proprio bene pignorato (il mobilio del bar da lei gestito), le si erano presentate diverse persone (quattro o cinque) che le avevano chiesto del denaro (€ 4.000,00/5.000,00) quale corrispettivo della loro astensione dalla partecipazione all’asta ed egli aveva dato loro € 900,00 in contanti e un assegno; Adriana (OMISSIS), cognata del (OMISSIS), aveva anch’essa riferito tale fatto (avendo, tra l’altro, dichiarato che le predette persone avevano detto al cognato: «se voi ci date dei soldi non partecipiamo alla esecuzione»), confermando la dazione del denaro in contanti e dell’assegno; la stessa (OMISSIS) aveva individuato, con riconoscimento fotografico, come una delle predette persone, Gianfranco (OMISSIS), il quale, nell’occasione, era stato tratto in arresto.

Si tratta di una motivazione priva di contraddizioni e di illogicità, tanto meno manifeste, la quale, alla luce di quanto si è esposto al punto 2.1, evidenzia il compimento, da parte del ricorrente, dei contestati reati di tentata estorsione e di estorsione – con particolare riguardo, contrariamente a quanto sostenuto nel motiva di ricorso, agli elementi costitutivi di tali reati della minaccia e del danno per le persone offese – e a fronte della quale il motivo di ricorso appare anche sollecitare una diversa valutazione del significato probatorio da attribuire ai menzionati elementi di prova, il che non è ammissibile in questa sede di legittimità.

Quanto alla doglianza relativa all’aggravante della commissione della minaccia da più persone riunite (che era stata contestata in relazione ai reati di cui ai capi E, N, AA e DD dell’imputazione), si deve osservare come, dalla ricostruzione in fatto operata dai giudici di merito, risulti, con riferimento a tutte le fattispecie di reato di cui ai predetti capi d’imputazione attribuite al ricorrente, la simultanea presenza, nel luogo e al momento dei fatti, di almeno due compartecipi (le persone offese hanno infatti riferito di come, nel luogo e al momento dei fatti, fossero sempre simultaneamente presenti diverse persone compartecipi nei reati), con la conseguenza che, anche con riguardo a tale doglianza, il motivo di ricorso si appalesa manifestamente infondato.

4.4. Il secondo motivo del ricorso a firma dell’avv. Antonio (OMISSIS) è manifestamente infondato.

Quanto all’applicazione della recidiva, la Corte di cassazione ha affermato il principio che è richiesta al giudice una specifica motivazione sia che egli affermi sia che escluda la sussistenza della stessa (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Franco, Rv. 274782-01).

In motivazione, la Corte ha chiarito che tale dovere risulta adempiuto nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato.

In senso sostanzialmente analogo, è stato affermato che l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all’esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo (Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014, dep. 2015, Gordyusheva, Rv. 263464- 01).

Più diffusamente, la stessa Corte di cassazione ha precisato che, ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto a esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, Del Chicca, Rv. 270419-01).

Nel caso di specie, la Corte d’appello di Perugia ha applicato la recidiva ritenendo che i reati di tentata estorsione ed estorsione sub iudice, posti in relazione con le plurime precedenti condanne riportate dal (OMISSIS), fossero dimostrativi, anche alla luce dello specifico ruolo rivestito negli stessi dall’imputato, e avuto riguardo ai parametri indicati nell’art. 133 cod. pen., di una sua più accentuata pericolosità sociale.

Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un discrezionale giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimità.

5. Il ricorso di Adriano (OMISSIS), a firma dell’avv. Giuseppe (OMISSIS).

5.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.

le conformi sentenze dei giudici di merito hanno ritenuto la responsabilità del ricorrente per il reato di estorsione in concorso ai danni di Alessio (OMISSIS) (OMISSIS), oltre che sulla base delle già ricordate dichiarazioni della persona offesa – che aveva riferito che, in occasione di diverse procedure esecutive nei suoi confronti, gli si erano presentate diverse persone, che arrivavano sempre in gruppo e che si conoscevano tra loro, le quali gli avevano chiesto del denaro quale corrispettivo della propria astensione dalla partecipazione all’asta del bene a lui pignorato e avevano anche «caccia[to] via» alcuni altri soggetti che si erano mostrati interessati all’acquisto del bene – sull’individuazione del (OMISSIS) come una delle predette persone.

Individuazione che, come aveva evidenziato il Tribunale di Spoleto, si fondava sul riconoscimento fotografico di Adriano (OMISSIS) da parte della persona offesa e sul fatto che, ancorché questa, in tale atto, avesse affermato che l’autore dei fatti era «molto somigliante» alla fotografia di Adriano (OMISSIS), l’attendibilità del riconoscimento trovava tuttavia conferma nel fatto che la stessa persona offesa aveva sempre indicato tra i compartecipi del reato presenti ai fatti due (OMISSIS), cioè, si doveva ritenere, sia il padre dell’imputato sia egli stesso.

Si tratta di una motivazione della compartecipazione del ricorrente ai fatti che, a fonte di tali inequivoche dichiarazioni della persona offesa, appare priva di contraddizioni o illogicità, tanto meno manifeste, sicché la Corte d’appello di Potenza, in modo parimenti non contraddittorio né illogico, ne ha ribadito la concludenza, mentre il motivo di ricorso appare, in realtà, sollecitare una diversa valutazione del significato probatorio da attribuire ai menzionati elementi di prova, il che non è ammissibile in questa sede di legittimità.

Quanto alla doglianza relativa all’aggravante della commissione della minaccia da più persone riunite, si deve rilevare che, nel proprio atto di appello, come risulta dalla lettura dello stesso, il (OMISSIS) nulla aveva dedotto con riguardo alla predetta aggravante, con le conseguenze che legittimamente la Corte d’appello di Perugia non ha espressamente motivato in ordine alla sussistenza della stessa – già ritenuta dal Tribunale di Spoleto – e che il motivo, sul punto, si appalesa del tutto nuovo, in quanto prospettato per la prima volta davanti a questa Corte e, perciò, non ammissibile.

Lo stesso motivo è, comunque, manifestamente infondato, atteso che, dalla ricostruzione in fatto operata dai giudici di merito, risulta, con riferimento alla fattispecie di reato attribuita al ricorrente, la simultanea presenza, nel luogo e al momento dei fatti, di almeno due compartecipi («a tutti quanti»; «si radunavano insieme, si mettevano d’accordo»), con la conseguenza che, anche con riguardo a tale doglianza, il motivo di ricorso si appalesa, in ogni caso, manifestamente infondato.

5.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.

Infatti, come si è esposto al punto 2.1., si deve ribadire la configurabilità di tutti gli elementi costitutivi del delitto di estorsione nella condotta di chi – come nelle fattispecie che è stata attribuita al ricorrente – chieda a un debitore esecutato nell’ambito di una procedura esecutiva delle somme di denaro quale corrispettivo della propria astensione dalla partecipazione alla relativa asta giudiziaria.

5.3. Il terzo motivo è inammissibile, attesa l’inammissibilità, per difetto di specificità, del motivo di appello del ricorrente relativo al capo della sentenza di primo grado concernente il trattamento sanzionatorio.

Si deve infatti ribadire il principio – che il Collegio condivide – secondo cui l’inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata è rilevabile anche nel giudizio di cassazione, a norma dell’art. 591, comma 4, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 38683 del 26/04/2017, Criscuolo, Rv. 270799-01; Sez. 2, n. 36111 del 09/06/2017, P., Rv. 271193-01).

Il predetto motivo di appello era così articolato: «[c]on la necessaria premessa che (OMISSIS) Adriano non era raggiunto dalla contestazione della recidiva e che egli appare soggetto incensurato, valutata la circostanza che allo stesso il Tribunale riconosce la valenza ultra attiva delle circostanze generiche, […] la determinazione della pena si appalesa incongrua e in disparità con altre posizioni per le quali il coinvolgimento nei fatti di causa è offerto come azione ripetuta».

In proposito, si deve rilevare che il riportato motivo di appello risulta privo della necessaria specificità, atteso che esso: da un lato, si limita a indicare genericamente l’«incongru[ità]» della pena irrogata dal Tribunale di Spoleto (la quale, per di più, era stata dallo stesso contenuta, quanto alla pena detentiva, nel minimo edittale, applicabile ratione temporis, di cinque anni di reclusione); dall’altro lato, ha omesso di indicare quali fossero le «altre posizioni per le quali il coinvolgimento nei fatti di causa è offerto come azione ripetuta» rispetto alle quali la pena irrogatagli avrebbe dovuto ritenersi «in disparità».

Quanto all’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., tale questione non era stata prospettata nell’atto di appello del (OMISSIS), sicché essa non può essere proposta, per la prima volta, in questa sede di legittimità.

6. Il ricorso di Riccardo (OMISSIS) a firma dell’avv. Pietro (OMISSIS).

6.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.

La Corte d’appello di Perugia ha confermato l’affermazione di responsabilità del ricorrente per i reati a lui addebitati in base ai seguenti elementi di prova.

Quanto all’estorsione in concorso ai danni di Massimo (OMISSIS) e di Maria Grazia (OMISSIS) (capo G dell’imputazione), commessa nel maggio del 2007: la persona offesa Massimo (OMISSIS) aveva riferito che, in occasione di una procedura esecutiva nei suoi confronti, gli si erano presentate diverse persone, che «gli avevano chiesto soldi per non partecipare all’asta sì che egli gli aveva dato la somma di 200 euro» (indicando il Riccardo come la persona alla quale aveva consegnato tale importo; pag. 28 della sentenza di primo grado) e che, dopo avere consegnato la predetta somma, aveva udito lo stesso Riccardo che, telefonando, aveva detto al (OMISSIS) di fare andare deserta l’asta relativa ai beni del (OMISSIS). Lo stesso (OMISSIS), inoltre, aveva individuato il (OMISSIS) mediante un riconoscimento fotografico (pag. 34 della sentenza di primo grado).

Quanto alla tentata estorsione in concorso ai danni di Catia (OMISSIS) (capo N dell’imputazione): la persona offesa aveva riferito che, prima dell’asta giudiziaria del proprio bene pignorato, le si erano presentate, arrivando tutte insieme, dopo una telefonata del (OMISSIS) che aveva indicato al proprio interlocutore il luogo in cui si trovava il predetto bene, diverse persone, una delle quali le aveva chiesto del denaro (€ 200,00) quale corrispettivo della propria astensione dalla partecipazione all’asta; la stessa persona offesa aveva individuato, con riconoscimento fotografico, Riccardo (OMISSIS) come una delle persone che, arrivando tutte insieme, le si erano presentate; tali modalità dell’arrivo dell’imputato, insieme agli altri soggetti, i quali si conoscevano tra loro, a seguito della telefonata del (OMISSIS), con il quale pure gli stessi si conoscevano, e la richiesta di denaro dovevano ritenersi, secondo la Corte d’appello di Perugia, delineare una situazione di fatto in cui gli imputati avevano tentato di coartare la volontà della persona offesa, per ottenere il profitto ingiusto della corresponsione della somma di denaro richiesta alla stessa.

Quanto all’estorsione continuata in concorso ai danni di Alessio (OMISSIS) (OMISSIS) (capo AA dell’imputazione): la persona offesa aveva riferito che, in occasione di diverse procedure esecutive nei suoi confronti, le si erano presentate diverse persone, che arrivavano sempre in gruppo e che si conoscevano tra loro, le quali le avevano chiesto del denaro quale corrispettivo della propria astensione dalla partecipazione all’asta del bene a lei pignorato e avevano anche «caccia[to] via» alcuni altri soggetti che si erano mostrati interessati all’acquisto del bene; la stessa persona offesa aveva individuato, con riconoscimento fotografico, Riccardo (OMISSIS) come una delle predette persone.

Quanto all’estorsione in concorso ai danni di Giovanni (OMISSIS) (capo DD dell’imputazione), commessa il 28 febbraio 2008: la persona offesa aveva riferito che, il giorno che era stato stabilito per l’asta giudiziaria del proprio bene pignorato (il mobilio del bar da lei gestito), le si erano presentate diverse persone (quattro o cinque) che le avevano chiesto del denaro (€ 4.000,00/5.000,00) quale corrispettivo della loro astensione dalla partecipazione all’asta ed egli aveva dato loro € 900,00 in contanti e un assegno; la stessa persona offesa aveva individuato, con riconoscimento fotografico, come una delle predette persone, Riccardo (OMISSIS).

Si tratta di una motivazione priva di contraddizioni e di illogicità, tanto meno manifeste, la quale, alla luce di quanto si è esposto al punto 2.1, evidenzia il compimento, da parte del ricorrente, dei contestati reati di tentata estorsione e di estorsione – con particolare riguardo, contrariamente a quanto sostenuto nel motivo di ricorso, a tutti gli elementi costitutivi di tali reati della minaccia, della conseguente coartazione della volontà delle persone offese, dell’ingiustizia del profitto e del danno per le stesse persone offese – e a fronte della quale il motivo di ricorso appare anche sollecitare una diversa valutazione del significato probatorio da attribuire ai menzionati elementi di prova, il che non è ammissibile in questa sede di legittimità.

6.2. Il secondo motivo è inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (tra le tante, Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283-01).

Anche successivamente, è stato ribadito che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243-01).

Quanto alla mancata concessione della prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti contestate, si deve rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931-01; successivamente, Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450-01).

Si deve altresì ricordare che, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema dì bilanciamento di circostanze eterogenee, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel formulare il giudizio di comparazione, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell’art. 133 cod. pen. e gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto (Sez. 2, n. 3610 del 15/01/2014, Manzari, Rv. 260415-01; in senso analogo, Sez. 1, n. 17494 del 18/12/2019, dep. 2020, Defilippi, Rv. 279181-02, relativa a un’ipotesi in cui il giudice di appello aveva confermato il giudizio di equivalenza fra le circostanze operato dal giudice di primo grado).

Nel caso in esame, si deve osservare che la pena base irrogata di cinque anni di reclusione ed € 1.500,00 di multa è assai prossima al minimo edittale (che, ratione temporis, era di cinque anni di reclusione ed € 516,00 di multa), con la conseguenza che l’obbligo di motivazione, anche quanto al contestato giudizio di equivalenza tra le circostanze eterogenee, ben può ritenersi assolto dalla Corte d’appello di Perugia mediante il riferimento all’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., in particolare, al disvalore dei fatti e alla personalità dell’imputato.

A fonte di tale adeguata motivazione, le censure del ricorrente si appalesano del tutto generiche, atteso che il (OMISSIS) si è limitato a rappresentare – in modo, appunto, del tutto generico – l’eccessività della pena irrogata in relazione al suo grado di colpevolezza e alla finalità rieducativa della pena e a invocare la prevalenza delle concesse circostanze attenuanti generiche.

7. Il ricorso di Luciano (OMISSIS), a firma dell’avv. Valeria (OMISSIS), è inammissibile perché l’atto di appello del (OMISSIS) risulta essere stato proposto oltre il termine di legge ed era, quindi, inammissibile per tardività. In proposito, si deve rilevare che:

a) il Tribunale di Spoleto indicò, nel dispositivo della propria sentenza, pronunciata il 23 aprile 2018, il termine per il deposito del novantesimo giorno da quello della pronuncia;

b) tale termine scadeva domenica 22 luglio 2018, con la conseguente proroga di diritto al 23 luglio 2018;

c) la sentenza del Tribunale di Spoleto fu tempestivamente depositata in tale giorno 23 luglio 2018, sicché il termine di quarantacinque giorni per proporre l’appello (art. 585, comma 1, lett. c, cod. proc. pen.) decorreva dal 24 luglio 2018, primo giorno successivo (Sez. 6, n. 23608 del 27/04/2022, Di Blasi, Rv. 283273- 01);

d) tale termine per proporre l’appello scadeva quindi domenica 7 ottobre 2018, con la conseguente proroga di diritto all’8 ottobre 2018;

e) l’appello del (OMISSIS) risulta proposto (dall’avv. Pietro (OMISSIS)) il 13 novembre 2018, pertanto, ben oltre il termine di legge, con la conseguente inammissibilità dello stesso.

Tale inammissibilità dell’appello del (OMISSIS) per tardività, non rilevata dalla Corte d’appello di Perugia, deve essere dichiarata d’ufficio dalla Corte di cassazione, atteso che le cause di inammissibilità non sono soggette a sanatoria e che, in questo caso, si è formato il giudicato formale per l’inutile decorso del termine previsto dalla legge per l’impugnazione (Sez. 3, n. 20356 del 02/12/2020, Mirabella, Rv. 281630-01; Sez. 5, n. 27135 del 23/03/2018, M., Rv. 273231-01).

In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di euro tremila.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 16/12/2022.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.