REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. Monica Boni – Presidente –
Dott. Domenico Fiordalisi – Consigliere –
Dott. Teresa Liuni – Consigliere –
Dott. Angelo Valerio Lanna – Relatore –
Dott. Alessandro Centonze – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(omissis) (omissis) nato a (omissis) (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso l’ordinanza del 21/03/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO VALERIO LANNA;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa KATE TASSONE, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Milano ha revocato – a far data dal 23/02/2023, ossia dalla data di compimento delle condotte illecite, violative del regime di affidamento – nei confronti di (omissis) (omissis) (soggetto in espiazione della complessiva pena di anni diciassette, mesi cinque e giorni sette di reclusione, con fine pena fissato al 15/10/2025) la misura dell’affidamento in prova ex art. 94 d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309, che era stata allo stesso concessa, ad opera del medesimo Tribunale, in data 23/03/2022.
Il provvedimento ha fatto seguito a quello di sospensione dell’affidamento in prova terapeutico, che era stato emesso dal locale Magistrato di sorveglianza.
Quest’ultimo, in data 24/02/2022, aveva infatti sospeso – in via cautelativa – la misura alternativa in quanto, dalla nota trasmessa dal Commissariato della Polizia di Stato di Milano Mecenate, risultava che – a seguito di una perquisizione personale effettuata il 23/02/2023 – l’interessato era stato trovato in possesso di 4 grammi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, mentre, nel corso della successiva perquisizione domiciliare, erano stati rinvenuti, all’interno della sua camera, un bilancino di precisione e 93,5 gr. di mannite, materiale comunemente utilizzato quale sostanza da taglio.
Riteneva dunque il Tribunale che, alla luce della “grave infrazione” posta in essere dal condannato, “nuovamente dedicatosi ad attività di detenzione di stupefacenti verosimilmente destinata allo spaccio (stante il rinvenimento di bilancino di precisione e di sostanza da taglio, oltre alla cocaina suddivisa in due involucri)”, la misura alternativa si fosse rivelata palesemente inidonea al raggiungimento dello scopo.
2. Ricorre per cassazione (omissis) (omissis), a mezzo dell’avv. (omissis) (omissis), deducendo un motivo unico, che viene di seguito riassunto entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, a norma dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. e mediante il quale viene denunciata violazione di legge, nonché vizio di motivazione, in relazione al disposto degli artt. 47 e 51-ter legge 26 luglio 1975, n. 354., nonché 94 d.P.R. n. 309 del 1990.
2.1. Osserva il difensore come risulti assente il necessario giudizio, richiesto dalla giurisprudenza in materia di revoca dell’affidamento terapeutico; tale provvedimento postula, infatti, non solo la constatazione della violazione delle prescrizioni imposte mediante la misura, ma anche un quid pluris, che possa fondatamente giustificare la prognosi di inidoneità del proseguimento della misura, rispetto alla sua finalità, tanto più in considerazione della finalità stessa dell’affidamento in prova terapeutico.
La difesa osserva, altresì, che il Tribunale non ha approfondito né la reale natura dell’infrazione, né il profilo inerente al comportamento tenuto dal condannato, durante l’anno nel quale la misura si trovava in esecuzione, e, in generale, nel corso dell’espiazione della pena.
Invero, il Tribunale si è attenuto ad una illecita presunzione di spaccio, senza riservare spazio alcuno alle dichiarazioni rese da (omissis) nella sua memoria d’udienza; attraverso tale scritto, infatti, il condannato aveva riferito come la sostanza stupefacente sequestrata fosse destinata ad un uso esclusivamente personale e come la mannite, rinvenuta nella borsa del cane, fosse utilizzata per i problemi di quest’ultimo.
Evidenzia il difensore, altresì, la mancata considerazione del fatto che l’assunzione di sostanze stupefacenti, in corso di trattamento, è valutata come ipotesi fisiologica.
Per altro verso, osserva il ricorrente, il Tribunale non ha neppure acquisito le relazioni del SERT e dell’UEPE.
3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Come da questa Corte ripetutamente affermato, la revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale non è dalla legge rapportata alla pura e semplice violazione della legge penale, ovvero delle prescrizioni dettate dalla disciplina della misura stessa, bensì all’ipotesi che il giudice – nell’ambito del suo apprezzamento di merito – ritenga che le predette violazioni costituiscano, in concreto, un fatto incompatibile con la prosecuzione dell’esperimento; il relativo giudizio è rimesso alla discrezionalità del Tribunale di sorveglianza, sul quale grava, però, l’obbligo di giustificare l’uso del potere conferitogli, con motivazione logica ed esauriente (Sez. 1, n. 13376 del 18/02/2019, Castelluzzo, Rv. 275239; Sez. 1, n. 27713 del 06/06/2013, Guerrieri, Rv. 256367; Sez. 1, n. 2566 del 07/05/1998, Lupoli, Rv. 210789; Sez. 1, n. 27711 del 06/06/2013 De Martino, Rv. 256479).
2. Tale giustificazione dell’esercizio del potere, nel caso di specie, è pienamente presente.
Il Tribunale di sorveglianza di Milano, infatti, ha giustamente connotato in termini di gravità un episodio di detenzione di stupefacente del tipo cocaina, sostanza che si presentava, peraltro, suddivisa in due involucri e unitamente alla quale il condannato deteneva ciò che ordinariamente rappresenta l’armamentario tipico dello spacciatore (nel caso di specie, trattavasi di un bilancino e di un notevole quantitativo di mannite, sostanza notoriamente adoperata per il taglio della sostanza stupefacente).
Sulla base di tali elementi, il Tribunale – con giudizio non illogico, ma anzi coerente e lineare – ha ritenuto che la sostanza in sequestro fosse destinata al consumo di terzi.
2.1. Il giudice a quo ha poi adeguatamente chiarito – con motivazione che, anche sul punto, si appalesa priva di profili di contraddittorietà – il motivo in base al quale tale condotta, ad onta del percorso terapeutico e trattamentale effettuato dall’interessato per circa un anno, durante lo svolgimento della misura alternativa, rappresenti un fatto tanto grave, da risultare incompatibile con la prosecuzione della misura.
Sia il Magistrato di sorveglianza, che il Tribunale di sorveglianza, in definitiva, hanno motivato ampiamente e con congruenza di argomentazioni, circa la rilevante valenza di tale grave infrazione, in punto di fallimento della prognosi positiva.
2.2. Giova infine precisare che la sostanza stupefacente, in relazione alla quale il Tribunale di sorveglianza ha fondatamente ritenuto verosimile la destinazione allo spaccio, è stata in parte rinvenuta presso il domicilio del condannato; ciò rende incontestabile, dovendosi ovviamente prescindere dal mero dato processuale, rappresentato dall’elezione di domicilio presso il difensore, la sopravvenuta ineffettività dell’indicato domicilio, ai fini del corretto espletamento della misura alternativa in esecuzione.
3. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato; segue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2024.