REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
GIACOMO TRAVAGLINO Presidente
DANILO SESTINI Consigliere
ENRICO SCODITTI Consigliere
GIUSEPPE CRICENTI Consigliere – Rel.
PAOLO PORRECA Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 32187/2020 R.G. proposto da:
(omissis) (omissis) elettivamente domiciliato in ROMA presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
(omissis) SPA;
-intimati-
sul controricorso incidentale proposto da:
(OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis);
-ricorrente incidentale-
contro
(omissis) (omissis);
-intimati-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 959/2020 depositata ii 07/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2023 dal Consigliere GIUSEPPE CRICENTI.
Ritenuto
1.- II dott. (omissis) (omissis) era dirigente – quando è stato oggetto di attività di spionaggio, di raccolta di dati relativi alla sua vita privata, da parte di un’associazione di persone, costituita in particolare da due investigatori privati, dal funzionario del Sismi, responsabile della sicurezza di (omissis) spa, prima, e di (omissis) spa, dopo.
2.- Ne è derivato un procedimento penale, nel quale il (omissis) (omissis) – si è costituito parte civile insieme ad altri soggetti ugualmente oggetto di monitoraggio illecito. Gli autori dell’attività di spionaggio sono stati condannati, salva la prescrizione per alcuni di loro e per alcuni reati.
3.- Quanta alle domande civili avanzate da (omissis) in primo grado, sono state rigettate sul presupposto che i relativi danni erano stati già risarciti in altra sede, e precisamente nelle controversie che, pur scaturite da questa vicenda, riguardavano la posizione lavorativa del –
4.- La Corte di Appello penale ha però riformato questa decisione riconoscendo alla parte civile un risarcimento per il danno non patrimoniale da liquidarsi in separata sede.
5.- Questa decisione è stata impugnata, oltre che da due imputati, altresì dal (omissis) – ai soli effetti civili, e la Corte di Cassazione con sentenza 42887 del 2018, ha annullato con rinvio, quanto alla statuizioni civili, alla Corte di Appello civile, ed ha affermato il principio di diritto secondo cui la diversità delle vicende giudiziaria ne, la prima di natura lavoristica, la seconda per il danno da reato, rendeva necessario un esame più approfondito onde stabilire se quanto liquidato nella prima, ossia la controversia di lavoro, avesse o meno inciso sul successivo danno non patrimoniale, qui rivendicato.
6.- II giudizio e stato dunque riassunto, ed, all’esito, la Corte di Appello civile di Milano, ha riconosciuto al (omissis) – una somma di 10 mila euro, stimata in via equitativa per ii danno morale da reato: decisione, questa, che viene qui impugnata da (omissis) (omissis) con sei motivi, e con un motivo di ricorso incidentale, illustrato da memoria, da (omissis) spa.
II Procuratore generale ha chiesto l’accoglimento dei primi quattro motivi del ricorso principale e la declaratoria di inammissibilità di quello incidentale.
Considerato
7.- II primo motivo del ricorso principale prospetta violazione degli articoli 113, 115, 384, 392 e 394 c.p.c., oltre che 2059 c.c.
La censura riguarda quella parte della decisione impugnata che ha negato ingresso ad una certificazione medica, quale prova documentale del danno biologico, sul presupposto della inammissibilità di una tale produzione nel giudizio di rinvio.
II (omissis) (omissis) – in sostanza, riassunto il giudizio di rinvio, aveva depositato una certificazione medica a dimostrazione del danno biologico patito a causa della vicenda di cui è stato vittima.
II giudice del rinvio ha ritenuto inammissibile tale produzione “posto che ii giudizio di rinvio si atteggia come un giudizio chiuso”. Ritiene ii ricorrente che questa affermazione sia errata, essendo invece il giudizio di rinvio a seguito di quello penale un giudizio del tutto autonomo da quest’ultimo.
II motivo è fondato.
E’ principio di diritto che “la decisione della Corte di cassazione ex art. 622 c.p.p. determina una sostanziale “translatio ludicii” dinanzi al giudice civile, sicché la Corte di appello cui sia rimesso ii procedimento deve applicare le regole processuali e sostanziali proprie del giudizio civile” (Cass. 25917/ 2019; Cass. 22515/ 2019; Cass. 7474/ 2022; Cass. 24954/2023), con la conseguenza che l’attore può modificare la domanda, entro i termini di cui all’articolo 183 c.p.c. (Cass. 74747/ 2022) e di conseguenza proporre nuove prove che, anche a seguito di tale modifica, si rendano necessarie (Cass. 24954/ 2023).
L’affermazione, dunque, secondo cui la certificazione medica non e ammissibile, non potendosi depositare alcunché, nel giudizio di rinvio è errata, e non fa applicazione del predetto principio di diritto.
7.- II secondo motivo prospetta violazione degli articoli 113, 115, 384, 392 c.p.c.
La censura è connessa alla precedente.
II giudice di rinvio ha ritenuto, come conseguenza altresì del fatto che nel giudizio di rinvio non possono prodursi nuove prove ne fare nuove allegazioni, che la CTU richiesta per accerta re ii danno biologico non fosse ammissibile in quanto meramente esplorativa.
II fatto di essere tale richiesta istruttoria meramente esplorativa, attesa la apodittica affermazione della corte di merito, e conseguenza del fatto che alcuna prova documentale e estata ammessa e che dunque la consulenza dovrebbe supplire ad un difetto di prova, e come tale non può essere ammessa.
II ricorrente contesta questa ratio osservando come peraltro ii danno biologico non può che essere provato con una consulenza che, dunque, di per se non è esplorativa.
Il motivo è fondato.
Da un lato, infatti, la richiesta di una consulenza non può ritenersi esplorativa per il fatto che non è supportata da altre prove o allegazioni, avendole il giudice rigettate sul presupposto che non fossero ammissibili in quel giudizio, e dunque la decisione e viziata nella premessa: se invece si ritiene ammissibile la certificazione medica, e lo è per quanto visto al motivo precedente, v’e un principio di prova che rende giustificata la consulenza tecnica.
Per altro verso, ii danno alla salute trova ii suo mezzo di accerta mento più idoneo proprio nella consulenza tecnica, che non può dunque ritenersi, tout court, esplorativo, se non motivando adeguatamente la ragione di tale assunto.
8.- II terzo motivo prospetta omesso esame di un fatto rilevante e nuovamente violazione degli articoli 113 e ss. cpc.
II giudice del rinvio ha negato il risarcimento del danno all’immagine, alla reputazione, ed al decoro professionale, qualificandolo come danno da perdita di chance lavorative, e dunque come danno patrimoniale, non valutabile in quanto non oggetto del rinvio, ma giudicato definitivamente dal giudice penale.
Si duole il ricorrente di una errata qualificazione della sua domanda, che non era limitata al solo danno da perdita di chance, e dunque delle occasioni di trovare un nuovo lavoro o un nuovo guadagno, ma era invece estesa anche ai pregiudizi non patrimoniali che dalla lesione della immagine e della reputazione sono derivati.
II motivo è fondato.
Infatti, come risulta dalla domanda formulata dal ricorrente, e riprodotta integralmente nel ricorso, egli aveva domandato, tra i danni conseguenza della lesione della sua immagine e della sua reputazione, non solo la perdita delle occasioni di lavoro e dunque un danno patrimoniale, ma altresì il ristoro sia delle sofferenze morali che del danno alla salute che quella lesione aveva prodotto che altresì della perdita di reputazione, e dunque un danno non patrimoniale, che è stato illegittimamente ridotto nei termine della sola perdita di chance.
9.- II quarto motivo prospetta violazione dell’articolo 15 della legge n. 196 del 2003.
II ricorrente aveva altresì chiesto il risarcimento del danno da trattamento illecito dei dati personali, conseguente all’attività di spionaggio e di controllo della sua vita privata.
II giudice di merito ha rigettato la domanda per difetto di prova, asserendo che non era stata fatta dimostrazione alcuna di quali dati fossero stati raccolti e dunque del pregiudizio subito.
Secondo il ricorrente questa tesi e inesatta in quanto, come espressamente previsto dalla legge (art. 15 I. 196 del 2003) la responsabilità per illecito trattamento dei dati personali si atteggia come responsabilità ex articolo 2050 c.c. e dunque spetta all’autore dell’illecito la prova liberatoria, dovendo il danneggiato provare il danno ed il nesso di causa, ma il danno è nella stessa lesione.
II motivo è infondato.
Posto anche che la responsabilità in questione é analoga a quella da attività pericolose, non v’è dubbio che, come in quella, il danneggiato deve dimostrare di aver subito un danno dal trattamento dei suoi dati, essendo escluso che si possa trattare di un danno in re ipsa ossia consistente nella mera lesione dell’interesse protetto: la stessa norma lo configura come una danno che non è coincidente con la lesione dell’interesse protetto ma che da quella lesione deve derivare (“chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento dei dati personali”).
Se ne ricava dunque che il danneggiato non può limitarsi a provare che il diritto ai dati personali è stato leso, ma deve provare che da quella lesione è derivato un danno: che quei dati sono stati non solo raccolti illegittimamente ma altresì utilizzati in suo pregiudizio, o che comunque da quella illecita raccolta è derivato un danno. E tale prova è mancata, come si desume dallo stesso motivo di ricorso, che fa riferimento, per dimostrare che invece c’è stata, alla violazione dell’interesse con la quale, erroneamente, si fa coincidere altresì il pregiudizio risarcibile.
10.- II quinto motivo prospetta violazione degli articoli 115, 116 e 2059 c.c.
Come si è detto, quanto al danno morale da reato, i giudici di merito hanno effettuato una valutazione equitativa, adottando come criterio il fatto che ii ricorrente lo ha avvertito quando la condotta illecita era già consumata, e non mentre era in corso.
Secondo il ricorrente questo criterio e basato su un presupposto di fatto errato, poiché che egli sia venuto a conoscenza della attività a suo danno solo dopo che era stata già repressa, è vero solo per l’attività di spionaggio, ma non per le altre attività lesive, pure accertate in giudizio.
Il motivo è inammissibile.
Intanto postula un fatto diverso da quello accertato: che vi siano state attività illecite note al danneggiato mentre esse venivano perpetrate.
In secondo luogo, lo è in quanto non si dice quali fossero tali condotte. E non basta il richiamo alla stessa motivazione della decisione impugnata, da cui non si ricava che ii danneggiato sapesse dell’attività a suo danno mentre questa era compiuta, ma si ricava che una tale attività era precedente il 2001: che poi fosse nota già al danneggiato e che costui ne ricavasse sin da allora pregiudizio, è ciò che andava dimostrato.
- II sesto motivo prospetta violazione degli articoli 2059 e 2697 c.c. oltre che 115 c.p.c
La censura attiene al rigetto del risarcimento del danno da diffamazione, che i giudici di merito hanno escluso in quanto i relativi fatti sarebbero oggetto di altro procedimento.
Ritiene ii ricorrente che l’avere chiesto i danni da diffamazione alle testate giornalistiche che quei danni hanno provocato non può impedire di chiederli anche agli autori dell’attività di spionaggio, e di interferenza nella vita privata.
II motivo è inammissibile.
La ratio della decisione impugnata e un’altra: i giudici escludono dal risarcimento il pregiudizio derivante dalla diffamazione, evidentemente a mezzo stampa, che ovviamente può essere richiesto solo a chi ha divulgato, a mezzo stampa, per l’appunto, notizie lesive della reputazione: dunque hanno limitato il danno morale da reato alle condotte imputabili ai convenuti in questo processo, escludendolo per le condotte imputabili a soggetti diversi, citati in diversa sede.
II che è corretto, ciascuno dovendo rispondere della propria condotta, e potendo il danno morale da reato discendere da fatti diversi: la raccolta dei dati, lo spionaggio, da parte di alcuni soggetti, e la divulgazione lesiva di queste attività fatta invece da altri.
13.- II ricorso incidentale invece prospetta una violazione degli articoli 1226 e 2697 c.c.
Attiene alla liquidazione equitativa del danno morale da reato in 10 mila euro.
Secondo la ricorrente incidentale il giudice avrebbe illegittimamente proceduto ad una stima equitativa, senza pero motivare le ragioni per cui vi ha fatto ricorso, che stanno nella difficolta se non impossibilità di una prova del quantum: solo se il danno e impossibile da provare nel suo ammontare ne va fatta una stima equitativa, che pero non può servire a supplire al difetto di prova del danneggiato: era quest’ultimo a dover offrire la prova, che invece non ha affatto offerto. II giudice avrebbe dunque stimato un danno senza porsi il problema se vi fosse prova della sua esistenza.
II motivo è infondato.
La prova del danno è motivata: i giudici lo presumono dalla conoscenza di essere stato oggetto di pedinamenti, appostamenti e di conseguente “dossieraggio”: altro è il danno in re ipsa, altro quello presunto.
In questo caso il danno morale è presunto, secondo criteri di normalità sociale, dal tipo e dalla intensità delle condotte illecite.
Presunta dunque la conseguenza pregiudizievole, e quindi provato il danno, la sua stima ben può essere equitativa: si tratta di danno morale che non conosce stime di mercato o criteri astrattamente validi per la sua liquidazione.
Vanno dunque accolti dunque i primi tre motivi del ricorso principale, rigettati gli altri, e va altresì rigettato il ricorso incidentale.
La decisione va cassata dunque con rinvio, e le spese rimesse al merito.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso principale, rigetta gli altri.
Rigetta altresì il ricorso incidentale.
Cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione anche per le spese.
Roma 18.12.2023
II Presidente
Giacomo Travaglino
Depositato in Cancelleria il 2 gennaio 2024.