REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
composta da:
Anna Criscuolo -Presidente-
Orlando Villoni -Relatore-
Emilia Anna Giordano -Consigliere-
Ersilia Calvanese -Consigliere-
Ercole Aprile -Consigliere-
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto dal
Procuratore Generale presso la Corte di appello di Bologna;
avverso la sentenza n. 1507/23 della Corte di appello di Bologna del 28/02/2023;
nel procedimento nei confronti di:
(omissis) (omissis)
letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata;
udita la relazione del consigliere Dott. Orlando Villoni;
sentito il pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Raffaele Gargiulo, che ha concluso per l’annullamento della sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Bologna;
sentito per l’imputato resistente l’avv. (omissis) (omissis) (d’ufficio), che ha chiesto il rigetto o la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Bologna, in riforma della pronuncia di condanna emessa in primo grado, ha assolto (omissis) (omissis) dal reato di cui all’art. 341-bis cod. pen. commesso in danno di un agente di Polizia Penitenziaria con la formula perché il fatto non sussiste, avendo ritenuto che la condotta offensiva non si fosse realizzata alla presenza di più persone, non potendosi computare nel novero dei presenti due infermiere operanti nello ambulatorio del carcere, in quanto soggetti non estranei alla pubblica amministrazione.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale distrettuale che deduce violazione di legge in relazione all’art. 341-bis cod. pen., osservando che le infermiere presenti al fatto non solo erano persone estranee all’amministrazione penitenziaria, poiché appartenenti ad articolazioni territoriali del Servizio Sanitario Nazionale, ma stavano svolgendo all’interno dell’ufficio penitenziario funzioni pubbliche del tutto diverse da quelle esercitate dalla persona offesa del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
2. La Corte di appello ha assolto l’imputato, riformando la condanna pronunciata in primo grado, ritenendo che la condotta in addebito non sia stata realizzata in presenza di più persone, poiché ha escluso dal novero dei presenti rilevanti ai fini penali due infermiere che prestavano servizio nell’infermeria del penitenziario luogo di svolgimento del fatto.
A supporto di detta statuizione, i giudici di appello hanno richiamato il principio affermato da Sez. 6, n. 6604 del 18/01/2022„ Pagliari, Rv. 282999, secondo cui il requisito della pluralità di persone alla cui presenza deve svolgersi la condotta oltraggiosa è integrato unicamente da persone estranee alla pubblica amministrazione (ossia da civili) ovvero da persone che, pur rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, siano presenti in quel determinato contesto spaziotemporale non per lo stesso motivo d’ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia posta in essere dall’agente.
È indispensabile, infatti, secondo il ragionamento che sorregge l’affermazione di detto principio, che la frase oltraggiosa raggiunga persone estranee non soltanto ai pubblici ufficiali direttamente investiti dalle offese, ma anche alle pubbliche funzioni in corso di svolgimento, atteso che solo in tali condizioni può crearsi il pericolo alla considerazione sociale ed all’autorevolezza della pubblica amministrazione (conf. Sez. 6, n. 30136 del 09/06/2021, Leocata, Rv. 281838).
Già solo sulla scorta di esso – che il Collegio comunque non condivide per quanto oltre si dirà – deve, dunque, ritenersi fondata l’obiezione formulata dal Procuratore Generale ricorrente.
Le infermiere presenti in loco erano certamente estranee all’Amministrazione Penitenziaria, in quanto appartenenti al Servizio Sanitario Nazionale cui la sanità penitenziaria è stata da tempo trasferita per effetto dell’art. 2, comma 283, lett. a), della legge n. 244 del 24 dicembre 2007 e comunque stavano espletando un servizio inerente a funzioni pubbliche del tutto diverse da quelle proprie dell’agente di polizia penitenziaria persona offesa del reato.
Come correttamente rilevato in ricorso, infatti, le infermiere partecipano della funzione di erogare le prestazioni sanitarie ai detenuti che l’art. 2, commi 2 e 3, d. Igs. 22 giugno 199 n. 230 attribuisce alla ASL – Azienda Sanitaria Locale competente per territorio, mentre l’agente di polizia penitenziaria è deputato ad assolvere ad un compito istituzionale del Corpo di Polizia di appartenenza che l’art. 5, comma 2, legge 15 dicembre 1990, n. 395 individua, fra gli altri, nel garantire l’ordine all’interno degli istituti penitenziari.
Detto dell’erroneità della statuizione su cui si fonda la pronuncia assolutoria, il Collegio ribadisce, inoltre, di non condividere il principio di cui alle sopra indicate pronunce.
Altre decisioni di questa stessa Corte di legittimità hanno, del resto, mostrato di prenderne le distanze.
É stato ad esempio affermato (Sez. 6, n. 13155 del 16/03/2022) che al di fuori dell’ipotesi in cui i pubblici ufficiali presenti stiano compiendo il medesimo atto di ufficio, si deve ritenere che la sola circostanza della presenza di plurimi pubblici ufficiali non possa, di per sé, precludere sempre e comunque l’applicabilità della fattispecie in esame, ove si accerti che i soggetti presenti, pur riconducibili alla medesima articolazione della pubblica amministrazione, stiano svolgendo, in concreto, funzioni ed atti di natura diversa.
Il bene giuridico del prestigio e dell’onore della Pubblica Amministrazione va, infatti, salvaguardato anche in quelle occasioni in cui l’offesa oltraggiosa sia suscettibile di essere udita e percepita da altri pubblici ufficiali, che svolgono compiti o funzioni diverse da quelle della persona offesa, in quanto la condotta del soggetto agente risulta idonea a compromettere la prestazione del pubblico ufficiale, disturbata da una situazione condizionante e sfavorevole (Sez. 6, n. 16527 del 30/01/2017, Rv. 270581; Sez. 6, n. 19010 del 28/03/2017, Rv. 269828), dovendosi ritenere che rispetto all’atto compiuto dalla persona offesa, cui va correlata la tutela apprestata dalla fattispecie penale, altri pubblici ufficiali non direttamente coinvolti nel suo compimento assumano il ruolo di soggetti terzi, ciò che, peraltro, consente di ritenere configurabile il reato in esame anche con riguardo a condotte tenute in ambiti nei quali l’esigenza di tutela è particolarmente avvertita, anche se caratterizzati dalla ridotta e solo occasionale presenza di privati (conf. da ultimo Sez. 6, n. 12723 del 02/02/2023, Auina, non mass.).
A tali considerazioni va aggiunta una di carattere dirimente, poiché basata sull’esame del dato normativo testuale.
Al di là dell’articolato ragionamento che sorregge l’affermazione del principio qui non condiviso, resta il fatto che la sua applicazione determina l’introduzione nella fattispecie astratta di un elemento di distinzione, rappresentato dalla diversa qualifica soggettiva dei soggetti presenti al fatto oltraggioso (in presenza di più persone), che la legge semplicemente non contempla.
3. All’annullamento della sentenza consegue il rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte territoriale.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.
Così deciso, 30 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2024.