Ansia e paura nella vittima valgono a integrare il reato di atti persecutori (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 15 febbraio 2023, n. 6323).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MICCOLI Grazia Rosa Anna – Presidente –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CAPUTO Angelo – Rel. Consigliere –

Dott. CANANZI Francesco – Consigliere –

Dott. CUOCO Michele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 14/05/2021 della CORTE APPELLO di MESSINA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO.

Rilevato che il difensore del ricorrente ha formulato richiesta di discussione orale ex art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato, da ultimo, in forza dell’art. 5-duodecies del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, nella legge 30 dicembre 2022, n. 199.

Uditi in pubblica udienza: il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dott. Pasquale Serrao D’Aquino, che ha concluso per l’inammissibilità  del  ricorso;

per la parte civile, l’Avv. (OMISSIS) (OMISSIS), in sostituzione dell’Avv. (OMISSIS) che ha depositato conclusioni scritte e nota spese;

per il ricorrente, l’Avv. (OMISSIS) che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata il 03/01/2020, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, per quanto è qui di interesse, dichiarava (OMISSIS) (OMISSIS) responsabile del reato di tentati atti persecutori (così riqualificata l’originaria imputazione del reato nella forma consumata) ai danni di (OMISSIS) (OMISSIS) e lo condannava alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni a favore della parte civile.

Investita dalle impugnazioni dell’imputato, del pubblico ministero e della parte civile, la Corte di appello di Messina, con sentenza deliberata il 14/05/2021, ha riqualificato il fatto nella forma consumata, ha rideterminato la pena in anni 1 e mesi 2 di reclusione, nonché la somma liquidata a titolo di risarcimento dei danni, confermando nel resto la sentenza di primo grado.

2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Messina ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS)(OMISSIS) attraverso il difensore Avv. (OMISSIS) articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Il primo motivo denuncia inosservanza della legge penale e vizi di motivazione in ordine alla qualificazione del fatto come consumato. Illogicamente la Corte ha ritenuto la sussistenza di due eventi del reato di atti persecutori, ossia il mutamento delle abitudini di vita e il grave stato di ansia a fronte dei dati incontroversi rappresentati dal miglioramento, da parte della persona offesa, del suo rendimento universitario e dalle foto che la ritraevano sorridente e tranquilla.

La sentenza non indica elementi probanti degli effetti della condotta perturbativi dello stato d’animo e delle abitudini di vita, avuto riguardo anche alla totale assenza di ogni sentimento di ansia, turbamento o paura.

2.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza della legge, mancata assunzione di una prova decisiva e vizi di motivazione, in quanto erroneamente la Corte di appello ha ritenuto sovrabbondante la lista testi a fronte di un fatto/reato così articolato e complesso, verificatosi tra il 27/03/2017 e il maggio 2018, in un contesto territoriale molto ampio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non merita accoglimento.

2, Muovendo, in ordine di priorità logico-giuridica dal secondo motivo, esso è inammissibile, in quanto aspecifico; nessuna indicazione viene offerta in ordine ai testi esclusi in quanto sovrabbondanti, mentre del tutto astrattizzante è il riferimento alla durata degli atti persecutori e ai luoghi in cui furono

3. Il primo motivo non è fondato.

Il racconto della persona offesa (descritto dai giudici di merito come già di per sé attendibile, lineare, coerente, dettagliato e non animato da sentimenti di astio o di rancore nei confronti dell’imputato) ha trovato conferma nelle dichiarazioni rese non solo da congiunti (il fratello e i genitori), ma anche da un’amica della vittima, la quale, oltre ad aver ricevuto le sue confidenze, ha riferito di esser stata lei stessa destinataria di messaggi contenenti ingiurie nei confronti di (OMISSIS) a ciò si aggiunga, osserva ancora il giudice di appello, la parziale ammissione dei fatti resa dallo stesso imputato in sede di verbale di conciliazione presso la polizia.

Quanto agli eventi del reato, la sentenza impugnata ha rilevato la prova del mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, costretta, oltre che a cambiare il numero di telefono, a evitare di frequentare posti in cui poteva incontrare l’ex fidanzato (compresa la chiesa) ovvero si faceva accompagnare da qualcuno.

Rileva ancora il giudice di appello la sussistenza dello stato di ansia e di paura in cui la vittima era costretta a vivere a causa delle condotte persecutorie dell’imputato, tanto da aver sofferto di attacchi di panico e da avere perfino pensato al suicidio quando (OMISSIS) l’aveva minacciata di pubblicare sue foto intime.

La sentenza impugnata si confronta poi puntualmente con i dati evocati dall’imputato, ossia il buon rendimento universitario e le foto che ritraevano la ragazza sorridente, escludendo che essi possano escludere l’evento indicato.

Le censure del ricorso non infirmano il ragionamento del giudice di appello, fondato su plurimi e solidi elementi, mentre, sul piano logico, il riferimento ai dati richiamati dal ricorso non è certo incompatibile con la condizione di profonda prostrazione descritta dalla vittima.

Del resto, il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità è nel senso che la prova dell’evento del delitto di atti persecutori, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente e anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Sez. 5, Sentenza n. 17795 del 02/03/2017, Rv. 269621; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, Rv. 261535). Circostanze, queste, tutte conferenti nel senso dell’insussistenza del vizio denunciato dal ricorso.

4. Complessivamente considerato, pertanto, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo; in caso di diffusione della presente sentenza, andranno omesse le generalità e gli altri dati identificativi.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 2.965,00, oltre accessori di legge.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs.196/03 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso il 30/01/2023.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2023.

SENTENZA – é originale -.