Appone targhe contraffatte sull’autocarro rubato e scappa dai Carabinieri uscendo fuori strada. Condannato per riciclaggio e resistenza a P.U. (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 21 marzo 2024, n. 11839).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. GEPPINO RAGO – Presidente –

Dott. ANNA MARIA DE SANTIS – Consigliere –

Dott. MARIA DANIELA BORSELLINO – Consigliere –

Dott. PIERO MESSINI D’AGOSTINI – Relatore –

Dott. DONATO D’AURIA – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) nato a (omissis) il 15/02/1973;

avverso la sentenza del 28/02/2023 della CORTE DI APPELLO DI BARI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Piero Messini D’Agostini;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Mariaemanuela Guerra, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore avv. (omissis) (omissis) (omissis) (omissis), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28 febbraio 2023 la Corte di appello di Bari confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Trani aveva condannato (omissis) (omissis) alla pena di quattro anni, due mesi di reclusione e 5.200 euro di multa per i reati di riciclaggio e resistenza a pubblico ufficiale.

Secondo la tesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato si era messo alla guida di un autocarro provento di furto, dopo avervi apposto targhe contraffatte, e successivamente, a fronte dell’intimazione dei Carabinieri di fermarsi, si era dato alla fuga ponendo in essere manovre spericolate sino ad urtare violentemente contro il muro di recinzione di una villa.

2. Ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza in ragione dei seguenti motivi.

2.1. Violazione della legge processuale per inosservanza dell’art. 516 cod. proc. pen.: le dichiarazioni rese dal ricorrente avevano consentito di accertare che il reato di riciclaggio era stato commesso a Cerignola e non ad Andria e il Pubblico ministero avrebbe dovuto procedere alla modifica dell’imputazione, stante la diversità del fatto.

2.2. Violazione della legge penale per erronea applicazione dell’art. 648-bis cod. pen. e contraddittorietà della motivazione là dove la Corte di appello, in violazione del principio costituzionale di offensività, non ha applicato l’istituto del reato impossibile, considerato che l’apposizione delle targhe in modo palese e grossolano non era idonea, per inefficienza strutturale ed ex ante, a realizzare l’evento dannoso che la citata norma mira a scongiurare.

2.3. Violazione della legge penale e vizio della motivazione per illegittimità della pena, in assenza della diminuzione prevista dall’art. 648-bis, ultimo comma, del codice penale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi manifestamente infondati.

2. Non sussiste, innanzitutto, la violazione di legge denunciata con il primo motivo di ricorso.

Alcune pronunce di questa Corte hanno affermato che il luogo di consumazione del reato costituisce una circostanza che non determina alcuna modificazione in ordine al fatto contestato in quanto rappresenta una mera variazione dell’originaria contestazione (Sez. 3, n. 1960 del 28/06/2017, dep. 2018, Licco, Rv. 272093; Sez. 4, n. 17039 del 18/02/2009, Ferla, Rv. 243445; Sez. 3, n. 19725 del 03/04/2008, R., Rv. 240038).

In ogni caso, la omessa modifica dell’imputazione, in presenza di un fatto diverso, potrebbe rilevare solo sotto il profilo della violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza (art. 521, comma 1, cod. proc. pen.), che però è configurabile soltanto in presenza di una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad una incertezza sull’oggetto della contestazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa.

Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205617; Sez. 2, n. 10989 del 28/02/2023, Pagano, Rv. 284427; Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, Ogbeifun, Rv. 281477; Sez. 2, n. 6560 del 08/10/2020, dep. 2021, Capozio, Rv. 280654).

Nel caso di specie non è ravvisabile alcuna lesione del diritto di difesa, considerato che è stato proprio l’imputato a dichiarare dove egli operò la contraffazione delle targhe.

Sotto altro profilo, si osserva incidentalmente che la modifica dell’imputazione non avrebbe comportato alcuna declaratoria di incompetenza, considerato che «la competenza, in generale, anche quindi quella per connessione, va determinata, in base al principio della perpetuatio iurisdictionis, con criterio ex ante, sulla scorta della situazione risultante dalle figure soggettive e dagli addebiti indicati nella formulazione dell’imputazione» e che la competenza «va attribuita sulla base di ciò che si “prospetta” e non di ciò che si “ritiene”, e quindi facendo riferimento alle linee fattuali contenute nella originaria notizia di reato, prescindendo da ogni valutazione di merito in ordine alla sua fondatezza o alla effettiva ravvisabilità delle originarie ipotesi di connessione» (così Sez. U, n. 53390 del 26/10/2017, G., Rv. 271223, in motivazione).

L’eccezione di incompetenza proposta in appello, pertanto, era infondata oltre che tardiva, come osservato dal Tribunale.

3. È privo di fondamento anche il secondo motivo.

Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, per accertare la sussistenza dell’elemento oggettivo costituito dal concreto ostacolo alla identificazione della provenienza delittuosa del bene, il criterio da seguire è quello della idoneità ex ante della condotta: «ciò significa che l’interprete, postosi al momento di effettuazione della condotta, deve verificare sulla base di precisi elementi di fatto se in quel momento l’attività posta in essere aveva tale astratta idoneità dissimulatoria e ciò indipendentemente dagli accertamenti successivi e dal disvelamento della condotta illecita che non costituisce mai automatica emersione di una condizione di non idoneità della azione per difetto di concreta capacità decettiva» (così Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, Fabbri, Rv. 279407-01; in senso conforme cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 36121 del 24/05/2019, Draebing, Rv. 276974; Sez. 2, n. 16908 del 05/03/2019, Ventola, Rv. 276419; da ultimo v. Sez. 2, n. 2347 del 21/12/2023, dep. 2024, Tulliani, non mass.).

Si evince, infatti, dal dato testuale della norma (là dove si parla di «ostacolare») e dall’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, che integra il reato di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo a impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, in quanto l’obiettivo illecito ben può essere realizzato anche attraverso condotte che non escludono affatto l’accertamento o l’astratta individuabilità dell’origine delittuosa del bene, dal momento che queste ultime evenienze non costituiscono l’evento del reato (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 23774 del 13/07/2020, Aatifi, Rv. 279586; Sez. 5, n. 21925 del 17/04/2018, Ratto, Rv. 273183; Sez. 2, n. 26208 del 09/03/2015, Steinhauslin, Rv. 264369; Sez. 2, n. 1422 del 14/12/2012, dep. 2013, Atzori, Rv. 254050; Sez. 2, n. 3397 del 16/11/2012, dep. 2013, Anemone, Rv. 254314).

La Corte di appello, attenendosi ai princìpi ora ricordati, con incensurabile valutazione in fatto, ha evidenziato che nel caso di specie “i verbalizzanti risalirono alla provenienza furtiva del mezzo dal numero di telaio impresso all’interno della cabina del mezzo”, con ciò escludendo ulteriormente l’inidoneità assoluta della contraffazione delle targhe a costituire ostacolo alla individuazione della provenienza delittuosa del bene.

Il ricorrente ha sostenuto che tale circostanza non era contestata in imputazione; si tratta, tuttavia, non di una condotta commessa dall’imputato, ma di un dato inerente alle modalità con le quali fu accertata la provenienza furtiva del mezzo che non doveva necessariamente essere indicato nel capo d’accusa.

4. Infine, quanto all’ultimo motivo, si osserva che con l’atto di appello non era stato chiesto il riconoscimento dell’attenuante ex art. 648-bis, quarto comma, cod. pen.: l’assenza di motivazione sul mancato riconoscimento di una circostanza attenuante (così come della sospensione condizionale della pena) non può costituire motivo di ricorso per cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione se l’espletamento del potere-dovere attribuito al giudice, di ufficio, dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., non sia stato sollecitato da una delle parti, almeno in sede di conclusioni nel giudizio di appello, ovvero, nei casi in cui intervenga condanna la prima volta in appello, neppure con le conclusioni subordinate proposte dall’imputato nel giudizio di primo grado (Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376).

Peraltro, detta attenuante trova applicazione nel solo caso in cui la pena edittale prevista per il reato presupposto sia inferiore nel massimo a cinque anni, computato l’aumento per le aggravanti ritenute sussistenti, anche all’esito di un giudizio effettuato incidenter tantum e indipendentemente dall’eventuale bilanciamento fra circostanze.

In proposito va ribadito, dunque, il principio di diritto da ultimo affermato da questa Corte: «L’attenuante di cui all’art. 648-bis, comma quarto, cod. pen., in considerazione della littera e della ratio legis, è applicabile nel solo caso in cui la pena prevista in astratto per il reato presupposto – comprensiva delle circostanze aggravanti che siano state riconosciute sussistenti, indipendentemente da un eventuale bilanciamento, all’esito di un giudizio conclusosi con sentenza passata in giudicato ovvero all’esito di un giudizio incidentale compiuto dal giudice del riciclaggio – sia inferiore nel massimo a cinque anni di reclusione» (Sez. 2, n. 46211 del 03/10/2023, Hamdi, Rv. 285438).

Nel caso di specie il ricorrente, senza avere sollecitato nel giudizio di merito un accertamento di fatto, ha apoditticamente affermato che nel furto dell’autocarro sul quale (omissis) appose le targhe non sarebbe stata ravvisabile alcuna circostanza aggravante.

5. All’inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della cassa delle ammende.

Così deciso, il 06/03/2024.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.