Bonus facciate: la Cassazione sul sequestro preventivo per la banca (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 13 novembre 2024, n. 41798).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. Gaetano De Amicis – Presidente –

Dott. Angelo Capozzi – Consigliere –

Dott. Emilia Anna Giordano – Consigliere –

Dott. Martino Rosati – Relatore –

Dott. Pietro Silvestri – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto dalla

“Banca di (omissis) (omissis) di (omissis) (omissis)”, in persona del presidente e legale rappresentante pro tempore (omissis) (omissis);

avverso l’ordinanza dell’11/04/2024 del Tribunale di Salerno;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Martino Rosati;

udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Elisabetta Ceniccola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore della ricorrente, avv. (omissis) (omissis), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Salerno ha respinto l’istanza di riesame avanzata dalla “Banca di (omissis) (omissis) di (omissis) (omissis)”, in persona del presidente e legale rappresentante pro tempore (omissis) (omissis), ed ha confermato il decreto di sequestro preventivo disposto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vallo della Lucania sui crediti per interventi edilizi agevolati, a norma del d.l. n. 34 del 2020, convertito dalla legge n. 77 del 2020 (cd. “bonus facciate”), ceduti a tale istituto di credito dalla “(omissis) (omissis)” s.r.l.s., per un ammontare complessivo di oltre settecentomila euro.

Secondo l’ipotesi accusatoria, tale società, mediante la creazione di documentazione posticcia, relativa ad interventi edilizi da essa in realtà mai effettuati, ha creato l’apparenza dell’acquisizione dei relativi crediti d’imposta dai falsi committenti, crediti che ha poi ceduto a sua volta alla banca.

Si procede, pertanto, nei confronti dei rappresentanti di diritto e di fatto della società, nonché dei tecnici compiacenti e dei falsi committenti dei lavori, per vari reati di emissione di fatture o di documenti equivalenti per operazioni inesistenti, a norma dell’art. 8, d,Igs. n. 74 del 2000, in relazione a ciascuna di tali fittizie operazioni (capi 7, 12, 15, 17, 22 e 28 dell’incolpazione provvisoria). Non risultano indagati la banca né i suoi rappresentanti, gli amministratori od altre persone fisiche ad essa riferibili.

2. Il ricorso è sorretto da due motivi.

2.1. Il primo consiste nella nullità dell’originario decreto di sequestro, per l’assenza della motivazione sul periculum in mora con riferimento alla specifica posizione della banca, soggetto non soltanto estraneo al reato, ma altresì da esso danneggiato, che ha agito in buona fede e che risulta ampiamente solvibile rispetto all’importo di quei crediti, mancando qualsiasi giustificazione della conseguente necessità di un’ablazione anticipata rispetto alla statuizione definitiva di confisca eventualmente adottata all’esito del processo.

Con ampi richiami di giurisprudenza di legittimità, il ricorso sostiene che, trattandosi di assenza di motivazione sul punto, e non di semplice insufficienza, tale vizio non potesse essere colmato dal giudice del riesame, il quale si sarebbe dovuto limitare a prenderne atto e ad annullare il decreto applicativo della misura.

In ogni caso, la difesa ricorrente censura l’affermazione del Tribunale per cui la motivazione sul punto, benché sintetica, sarebbe stata presente in quel provvedimento e rileva che il profilo del periculum è stato trattato dal primo giudice con esclusivo riferimento alla disponibilità di quei crediti da parte degli autori del reato e non, invece, dei terzi a questo estranei, come appunto la banca.

2.2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 321, cod. proc. pen., per difetto del requisito della pertinenza delle cose sequestrate rispetto alla fattispecie di reato per cui si procede.

Nei reati tributari — si deduce — il profitto confiscabile consiste nel risparmio di spesa realizzato per effetto dell’omesso versamento di quanto dovuto a titolo d’imposta; inoltre, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca presuppone uno specifico, strutturale e non occasionale nesso strumentale tra la cosa ed il reato.

Nel caso in rassegna, invece, tale collegamento strumentale tra i crediti sequestrati ed il reato di cui al citato art. 8 non sarebbe ravvisabile, poiché l’utilizzo delle fatture posticce da parte degli indagati, al fine di crearsi l’apparenza di crediti inesistenti, esulerebbe da tale fattispecie criminosa, costituendo una condotta successiva alla relativa consumazione ed integrante, semmai, un reato ulteriore (la difesa ipotizza una truffa aggravata, ex art. 640-bis, cod. pen.), per il quale, tuttavia, non si procede.

Poiché, dunque, la banca non è persona offesa dal delitto tributario, essendo tale soltanto lo Stato, ne deriverebbe per essa un duplice ed ingiustificabile effetto deteriore, giacché non potrebbe difendersi nel procedimento principale, in quanto relativo ad una fattispecie di reato che non la riguarda, né potrebbe esercitare i propri diritti risarcitori a norma dell’art. 104-bis, comma 1-sexies, disp. att. cod. proc. pen., che riserva tale tutela alla sola persona offesa dal reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.

Come correttamente rilevato dal Tribunale, le Sezioni unite di questa Corte hanno stabilito che anche il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca — e non solo quello disposto per le finalità di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen. — debba contenere la concisa motivazione anche del “periculum in mora“, spiegando le ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, perché, nelle more del giudizio, il bene potrebbe essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848).

Detto pericolo, in linea generale, prescinde dalla disponibilità della res da parte dell’autore del reato, nulla impedendo, in linea di principio, che il sequestro possa essere disposto ed eseguito anche quando il relativo oggetto sia nella disponibilità di terzi o finanche, quanto meno formalmente, sia di loro proprietà.

Ne discende, allora, che, diversamente da quel che pretende la società ricorrente, nella sua motivazione il giudice deve soffermarsi sulle qualità del terzo detentore soltanto se e nei limiti in cui queste possano incidere sull’esistenza del periculum.

Tanto premesso, e considerando che, in assenza di un vincolo, la banca avrebbe potuto e potrebbe negoziare i crediti di che trattasi legittimamente ed a prescindere dalla malafede dei suoi organi, la motivazione in tal senso del primo giudice correttamente è stata ritenuta sufficiente dal Tribunale del riesame, che, com’era in suo potere, l’ha solamente integrata.

2. La decisione impugnata non persuade, invece, per quel che attiene ai presupposti della misura cautelare.

Il ragionamento del Tribunale, nel suo nucleo essenziale, può essere così sintetizzato: i crediti d’imposta generati dalla false fatture costituiscono il profitto del reato; la banca cessionaria non può considerarsi soggetto estraneo al reato, poiché ha ritratto un vantaggio economico dalla negoziazione di quei crediti (avendone scontato gli importi) e non ha agito incolpevolmente, avendo violato le linee-guida dell’Unità d’informazione finanziaria della Banca d’Italia (“U.i.f.”) che le imponevano una penetrante attività di controllo, invece non effettuata; ergo, i crediti possono essere attinti dal sequestro anche se attualmente nella titolarità di soggetto diverso dagli autori del reato.

3. Un primo rilievo a tale argomentare riguarda la natura del sequestro in disamina.

Non si comprende bene, invero, se quest’ultimo sia stato disposto al fine d’impedire l’aggravamento o la protrazione delle conseguenze del reato o la commissione di altri illeciti (c.d. “sequestro impeditivo”, a norma dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen.), oppure in funzione anticipatoria dell’eventuale confisca (ai sensi del successivo comma 2 dello stesso art. 321) e, in questo secondo caso, di quale tipo di confisca, vale a dire diretta (art. 240, cod. pen.) o per equivalente (art. 12 -bis, d.lgs. n. 74 del 2000); oppure, ancora, se esso sia strumentale ad ambedue gli scopi.

Nell’ordinanza impugnata, infatti, si fa riferimento ad entrambi questi ultimi: da un canto, rammentando come, nell’originario decreto del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma (poi reiterato da quello del Tribunale di Vallo della Lucania), si fosse dato rilievo al pericolo di aggravamento o di protrazione del reato, nonché ribadendo tale esigenza cautelare; dall’altro, però, affermando espressamente che i crediti d’imposta generati dalla false fatture costituiscono il profitto del reato e, come tali, possono formare oggetto di sequestro a norma del citato art. 12 -bis (vds., in part., pagg. 2, 25 e 32).

La questione non è soltanto terminologica, o comunque formale, perché, a seconda che si tratti dell’una o dell’altra specie di sequestro, cambia il possibile oggetto.

Il sequestro “impeditivo”, infatti, può attingere le «cose pertinenti al reato», categoria più ampia del «corpo di reato» (art. 253, cod. proc. pen.), ma anche del catalogo previsto dall’art. 240, cod. pen., poiché comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato fu commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa, salvo che si tratti di collegamento puramente occasionale (per tutte, Sez. 2, n. 28306 del 16/04/2019, Lo Modou Bineta, Rv. 276660).

Nel caso, invece, di sequestro a fini di confisca, è la natura di quest’ultima che delimita il novero delle cose suscettibili di apprensione anche in fase cautelare. Ne discende che, laddove si tratti di confisca diretta, esse saranno quelle indicate dall’art. 2407 cod. pen., le quali presuppongono tutte un collegamento più o meno stretto con il reato e, qualora si tratti — come nel caso che qui interessa — di prodotto o profitto di esso, incontrano il limite dell’appartenenza a persona estranea allo stesso.

Detto collegamento con il reato, invece, non è necessario in caso di confisca per equivalente, la quale, però, può colpire soltanto cose che siano nella disponibilità del reo, quand’anche questi formalmente non ne sia proprietario né abbia sulle stesse un diritto più limitato, reale o personale di godimento.

Un chiarimento da parte del Tribunale su quale specie di sequestro abbia voluto disporre appare, allora, indispensabile, perché è solo il sequestro preventivo non finalizzato alla confisca che, implicando un collegamento tra il reato e la cosa, e non tra il reato e il suo autore, consente di attingere anche le cose di proprietà di un terzo, estraneo all’illecito ed in buona fede, qualora la loro libera disponibilità sia idonea a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (così, tra le più recenti, Sez. 3, n. 24065 del 11/04/2024, Scossa, Rv. 286552).

4. Altro profilo che merita di essere rivisto dal Tribunale è quello relativo all’individuazione dei crediti d’imposta oggetto delle false fatturazioni come profitto del reato.

4.1. Vale la pena rammentare che il profitto del reato consiste nel vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dall’illecito. Il criterio selettivo di ciò che può essere confiscato a titolo di profitto, dunque, è rappresentato dalla pertinenzialità della cosa rispetto al reato: occorre, cioè, una correlazione diretta del vantaggio con il reato ed una stretta affinità con l’oggetto di questo, escludendosi qualsiasi estensione indiscriminata o dilatazione indefinita a qualsiasi vantaggio patrimoniale che possa comunque scaturire dall’illecito (per tutte, Sez. U, n. 26654 del 27/03/2008, Fisia Italimpianti, Rv. 239924; Sez. U, n. 10280 del 25/10/2007, Miragliotta, Rv. 238700; nonché, quantunque non massimate su tali specifici punti: Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert; Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009, Caruso; Sez. U, n. 29952 del 24/05/2004, Romagnoli; Sez. U, n. 29951 del 24/05/2004, Focarelli; Sez. U, n. 920 del 17/12/2003, Montella).

Considerando, dunque, che la condotta punita dall’art. 8, d.lgs. n. 74 del 2000, è quella di chi emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, il profitto del reato, per l’emittente la falsa fattura, può consistere nella remunerazione corrispostagli dal beneficiario della fattura medesima oppure — od anche — nel risparmio sull’imposta dovuta, laddove comunque ottenuto.

Il credito tributario, invece, finché rimane tale e non viene portato in compensazione con l’imposta dovuta, riducendone od azzerandone l’importo, o non venga altrimenti monetizzato, non si traduce per il titolare in un vantaggio economico, e quindi in un profitto agli effetti penali.

4.2. Ciò premesso, nella vicenda in esame, va esclusa la prima eventualità, poiché, proprio per l’obiettivo cui era strumentale la fatturazione mendace, la “(omissis) (omissis)” non ha ottenuto alcun compenso dai falsi committenti.

Ma va esclusa anche la seconda, perché — stando alla ricostruzione dei fatti compiuta dai giudici di merito — non risulta che quella società abbia portato in compensazione quei crediti fiscali in sede di dichiarazione dei redditi, avendoli invece ceduti alla banca.

Il profitto realizzato dalla “(omissis) (omissis)”, per effetto delle false fatture da essa emesse, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, va dunque individuato non nei crediti ceduti, bensì nella remunerazione corrispostale dalla “Banca di (omissis) (omissis) di (omissis) (omissis)” in corrispettivo della relativa cessione.

Se, dunque, si dà per ammesso — come fa lo stesso Tribunale — che, in tale operazione illegale, nessun rappresentante della banca abbia colluso con quelli della società, potendosi addebitare all’istituto di credito al più un comportamento negligente, tuttavia non penalmente rilevante agli effetti dell’art. 8, d.lgs. n. 74 del 2000, il credito tributario legittimamente acquisito dalla banca ricorrente non costituisce profitto del reato.

Esso, pertanto, non sarebbe suscettibile di confisca diretta, perché, peraltro, appartenente a persona estranea al reato, né di confisca per equivalente, perché ormai non più nella disponibilità del reo.

Conseguentemente, di tali crediti, il sequestro finalizzato alla confisca, a norma dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., non sarebbe possibile. Senza contare che, per altro verso, esso sarebbe pure inutile.

Il vincolo cautelare sui crediti acquisiti dal cessionario, difatti, comunque non consentirebbe di sottrarre al reo il profitto del reato, avendolo quegli già conseguito nel momento in cui ha ottenuto dal terzo acquirente il corrispettivo della cessione.

5. Va osservato, infine, che, in applicazione dei princìpi dianzi rammentati ai § 3, potrebbe residuare uno spazio, al più, per un sequestro “impeditivo” di quei crediti, potendo questi essere qualificati come prodotto del reato per cui si procede (in quanto effetto della falsa fatturazione) o, comunque, cose ad esso pertinenti, ed essendo possibile che la loro libera disponibilità aggravi le conseguenze del reato, sub specie di riduzione delle entrate fiscali, trattandosi di diritti comunque destinati ad essere fatti valere nei confronti dell’Erario dall’ultimo dei cessionari eventualmente successivi.

In questo senso, del resto, questa Corte ha già avuto modo di esprimersi, sebbene con specifico riferimento al delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, affermando che sono suscettibili di apprensione mediante sequestro preventivo impeditivo i crediti dei terzi cessionari di cui all’art. 121, comma 1, lett. b), d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, posto che gli stessi, derivando dal diritto alla detrazione di imposta spettante al committente delle opere, costituiscono cose pertinenti al reato, senza che rilevi la condizione soggettiva di detti terzi, in conformità alle norme processuali, che non risultano derogate dalla disciplina in oggetto (Sez. 3, n. 40865 del 21/09/2022, Decio, Rv. 283701).

Anche su questo aspetto, però, è necessario che si pronunci il giudice del merito, all’esito di una compiuta ricostruzione in fatto.

6. In conclusione, l’ordinanza impugnata dev’essere annullata e gli atti debbono essere rinviati al Tribunale competente, per la necessaria motivazione supplementare.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Salerno, competente ai sensi dell’art. 324, co. 5 c.p.p.

Così deciso in Roma, l’11 settembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.