Danno all’immagine dell’associazione sportiva, indicata in un sito web seguito dagli appassionati del settore, come aderente ad “cricca” dedita ad affari e vendette (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 14 novembre 2024, n. 29436).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

GIACOMO TRAVAGLINO     – Presidente –

CHIARA GRAZIOSI                – Consigliere –

CRISTIANO VALLE                – Consigliere Rel. –

STEFANIA TASSONE            – Consigliere –

MARILENA GORGONI          – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 18665/2021 R.G. proposto da:

(omissis) (omissis) elettivamente domiciliato in Roma, via (omissis) presso l’avvocato (omissis) (omissis) rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis) con domicilio digitale come in atti;

ricorrente

contro

(omissis) Associazione Sportiva Dilettantistica, in persona del legale rappresentante in carica, elettivamente domiciliato in ROMA, via (omissis) presso l’avvocato (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende, con domicilio digitale come in atti

– controricorrente –

avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO di ROMA, N. 6640 del 2020 depositata il 23/12/2020.

Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 30/09/2024, dal Consigliere relatore dott. Cristiano Valle,

udito il Procuratore generale dott. Alessandro Pepe, che ha concluso, come da conclusioni scritte, per il rigetto del ricorso;

udito il difensore del ricorrente avvocato (omissis) (omissis) che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

Per quanto ancora rileva in questa sede: l’Associazione Sportiva Dilettantistica (omissis) conveniva in giudizio  sommario ai sensi dell’art. 702 bis cod. proc. civ., dinanzi al Tribunale di Roma, (omissis) (omissis) affinché venisse accertato e dichiarato il contenuto diffamatorio di un articolo, pubblicato dal (omissis) il 15 maggio 2012 sul suo sito internet (omissis) con condanna al risarcimento del danno all’immagine.

Il Tribunale riteneva sussistente il contenuto diffamatorio dell’articolo, tuttavia rigettava la domanda per difetto di allegazione e di prova degli asseriti danni.

Proposto gravame da (omissis) la Corte d’appello di Roma, nel ricostituito contraddittorio con il (omissis) accoglieva la domanda con sentenza n. 6640 del 23/12/2020, condannando il convenuto al risarcimento del danno non patrimoniale, liquidato in euro diecimila.

In motivazione la Corte territoriale rinviava alla sentenza gravata in punto di accertamento della portata diffamatoria dell’articolo e affermava che il danno all’immagine doveva essere risarcito, anche perché desumibile in via presuntiva da una serie di circostanze oggettive e liquidava il danno in via equitativa.

Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso per cassazione (omissis) (omissis) con atto affidato a tre motivi.

Risponde con controricorso (omissis).

Il ricorso era stato originariamente avviato alla trattazione in rilevanza nomofilattica, in relazione al profilo del possibile rilievo diffamatorio dei commenti inseriti su sito web dello stesso e ai confini del legittimo esercizio del diritto di critica in relazione a questo tipo di mezzi di comunicazione sociale, ne ha disposto, con ordinanza interlocutoria – n. 349 depositata il 5/01/2024 -, la trattazione alla pubblica udienza.

Fissata l’udienza del 30/09/2024 il Procuratore Generale ha fatto pervenire conclusioni scritte, ribadite in sede di discussione, per il rigetto del ricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Il difensore del ricorrente all’udienza pubblica del 30/09/2024 ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Nessuno é comparso per la controricorrente.

RAGIONI DELLA DECISIONE

II ricorrente censura la sentenza d’appello con i seguenti motivi.

1) violazione dell’art. 112 proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ, secondo ii ricorrente la Corte d’appello ha omesso di decidere circa la mancata allegazione e prova del danno da parte della controparte, in particolare, la Corte non poteva esimersi dall’esaminare ii tema, considerato che vi era stata espressa pronuncia del Tribunale, specifica impugnazione dell’odierna resistente e puntuale eccezione da parte dell’odierno ricorrente.

2) violazione degli 42, 51, 59, 595 e 596 bis cod. pen., 12 legge n. 47 del 8/02/1948, 100 cod. proc. civ., 2043 e 2697 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., ii ricorrente censura la sentenza della Corte territoriale laddove ha ritenuto sussistente l’interesse ad agire da parte dell’Associazione Sportiva (omissis) in difetto di offensività dell’articolo e del contenuto diffamatorio, stante la continenza dello stesso.

3) violazione degli 2727, 2729, 2697, 1223, 1226 e 2043 nell’aver ritenuto desumibile in via presuntiva sia il danno all’immagine che i criteri per procedere al relativo risarcimento.

Il primo motivo é infondato.

La Corte, trattandosi di vizio dedotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., ha accesso diretto agli atti processuali e ha, quindi, preso diretta lettura dell’atto di appello dell’associazione sportiva (omissis).

A seguito della cognizione diretta la Corte ritiene che nell’atto di citazione in appello vi fosse specifico punto in ordine all’allegazione dei danni, segnatamente alle pagg. 4, 5, 6 e 7.

L’atto di citazione in appello risulta, peraltro, nella produzione documentale dello stesso (omissis) che, a quanto consta, ha omesso di contestare specificamente, nella detta fase d’impugnazione, i punti dell’atto processuale introduttivo della fase d’impugnazione dai quali desumere che non vi fosse detta allegazione, cosicché la censura, oltre che infondata, appare altres1 carente di specificità.

Il Procuratore generale, con il quale si concorda, ha, nelle conclusioni scritte, affermato che sul punto dell’allegazione la Corte d’appello ha ritenuto ritualmente allegati i danni, posto che l’allegazione e profilo preliminare a quello della prova, e avendo la Corte territoriale ritenuto raggiunta la prova, quantomeno in base al ragionamento presuntivo – come meglio verrà esposto a breve-, da tanto consegue che il profilo dei danni deve ritenersi ritualmente allegato.

In sede di udienza il rappresentante dell’Ufficio del Pubblico Ministero ha ribadito l’affermazione circa l’avvenuta rituale allegazione dei danni.

II secondo motivo é infondato: come già tratteggiato in relazione all’appena trattato primo motivo del ricorso, le affermazioni dell’articolo comparso il 15/05/2012, a firma del (omissis) e sul sito (omissis), allo stesso (omissis) facente capo, sono state ritenute diffamatorie dallo stesso Tribunale di Roma, che con l’ordinanza resa all’esito del procedimento sommario di cognizione, aveva rigettato la domanda di (omissis) con riferimento alla ritenuta mancata adeguata allegazione dei danni e il (omissis) costituendosi in appello, non risulta avere proposto un appello incidentale volto a ottenere la riforma sul punto della pronuncia di primo grado, in punto di contenuto diffamatorio dell’articolo.

La Corte d’appello, invero, nella motivazione della sentenza impugnata rinvia, sul punto del contenuto diffamatorio dell’articolo, esplicitamente alla sentenza di primo grado e aggiunge alcune proprie considerazioni e segnatamente che la portata diffamatoria dello scritto del (omissis) era desumibile a partire dal titolo dell’articolo, del seguente testuale tenore: “Caso (omissis) gli affari e le vendette (omissis) (omissis) (omissis) le grand fondo, l’assurdo caso (omissis) ed evidenzia, altresì, l’ampia diffusività della lesione in quanto l’articolo era stato pubblicato su un sito web frequentato da quella parte di opinione pubblica adusa a seguire gli eventi sportivi.

La Corte territoriale, inoltre, alla pag. 3 della motivazione, evidenzia la portata diffamatoria dell’articolo, nell’utilizzo, nel corpo di esso del termine «”cricca”, che colpisce in materia rilevante l’opinione pubblica, o quantomeno di parte dell’opinione pubblica che segue gli eventi sportivi, le riviste e i siti specializzati del settore sportivo» e aggiunge che risulta in tal modo «evidente ii danno causato alla reputazione della società sportiva accostata a loschi traffici e a vicende di cronaca giudiziaria di rilevanza nazionale».

Il terzo motivo é, al pari dei due che lo precedono, infondato.

La Corte d’appello dopo avere adeguatamente motivato sulla sussistenza del danno all’immagine, quale danno non patrimoniale, da considerarsi come danno-conseguenza e non soltanto come danno evento, anche con riferimento agli enti collettivi, siano essi avente ad oggetto un’illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi ha proceduto alla liquidazione in via equitativa (sul punto, da ultimo, Cass. n. 25876 del 27/09/2024, pagg. 18 – 21), valutando diversi fattori, segnatamente le circostanze del caso concreto, tra le quali anche la parziale veridicità, quantomeno putativa, delle notizie riportate e, inoltre la notorietà dell’associazione sportiva, in quanta organizzatrice dell’evento (omissis) (omissis) la diffusione del sito web (omissis) il suo prestigio e la conseguente capacità di orientamento dell’opinione pubblica in tema di sport.

La giurisprudenza di questa Corte é oramai consolidata nel ritenere che «in materia di responsabilità civile, anche nei confronti delle associazioni non riconosciute ed in genere degli enti collettivi, é configurabile il risarcimento del danno non patrimoniale, da identificare con qualsiasi conseguenza pregiudizievole della lesione –  compatibile con l’assenza di fisicità del titolare di diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all’immagine, alla reputazione o all’identità storica, culturale, e politica» (così la chiara motivazione di Cass. n. 20345 del 14/07/2023 Rv. 668180 – 02).

Nel procedere alla commisurazione del danno non patrimoniale la Corte territoriale ha adeguatamente richiamato, ai fini della liquidazione in concreto, i «Criteri orientativi per la liquidazione del danno da diffamazione a mezzo stampa e con altri mezzi di comunicazione di massa» come recepiti dall’Osservatorio sulla giustizia civile e costituiti da: notorietà del diffamante, strumento utilizzato, eventuale carica pubblica rivestita dal soggetto passivo, la sussistenza o meno della successiva rettifica e ha ritenuto di attestarsi su una fascia di valore basso, in considerazione della limitata diffusione del mezzo utilizzato per la diffamazione e la notorietà non diffusa dell’associazione diffamata.

Il terzo motivo, inoltre, non si attesta sulla consentita prospettazione di censura di una errata ricognizione della fattispecie normativa o dell’omesso esame di un fatto decisivo, che invero non risulta adeguatamente individuato, ma pone in discussione la valutazione di merito della Corte territoriale, così ponendo una censura che non é consentita in base ai parametri del giudizio di legittimità.

II ricorrente, invero, allega anche un’erronea ricognizione, da parte del giudice di merito, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, il che costituisce un’operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge sulla liquidazione equitativa del danno, bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura é possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (ancora, così, in motivazione, Cass. n. 25876 del 27/09/2024).

In conclusione, il ricorso é infondato, posto che le censure che esso prospetta sono infondate o inammissibili.

Il ricorso é, pertanto, rigettato.

In considerazione di molteplici evenienze, segnatamente l’alterno esito delle fasi di merito e della potenziale novità delle questioni trattate in tema di diffamazione a mezzo di sito web, posto che nella specie non si tratta della divulgazione di dati (Cass. n. 14694 del 19/07/2016 Rv. 641268 – 01) ma di un articolo, la Corte ritiene sussistenti idonee ragioni per disporre integrale compensazione delle spese di lite di questa fase di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d. P.R. n. 115 del 2002, stante il rigetto dell’impugnazione, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente e in favore del competente Ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (in forza del comma 1 bis dello stesso art. 13), se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente e in favore del competente Ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se  dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione III civile, in data 30/09/2024.

Il Consigliere estensore                                                                                                II Presidente

Cristiano Valle                                                                                                          Giacomo Travaglino

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.