Condannata la dirigente del consultorio familiare per mobbing nei confronti di una sottoposto (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 28 agosto 2023, n. 35802).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROCCHI Giacomo – Presidente –

Dott. MASI Paola – Relatore –

Dott. CURAMI Micaela – Consigliere –

Dott. LANNA Angelo Valerio – Consigliere –

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) nata a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 07/04/2022 del TRIBUNALE di CASSINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa PAOLA MASI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. GIANLUIGI PRATOLA, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;

udito il difensore:

É presente l’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa della parte civile (OMISSIS) (OMISSIS), che conclude riportandosi alle conclusioni che deposita unitamente alla nota spese.

E’ presente l’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS), che conclude chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 07 aprile 2022 il Tribunale di Cassino ha condannato (omissis) (omissis) (omissis) alla pena di € 344,00 di ammenda, dichiarata sospesa, e al risarcimento del danno in favore della parte civile, per il reato di cui all’art. 660 cod.pen. commesso dal giugno 2016 al febbraio 2017, molestando e ostacolando nel lavoro la sua sottoposta (omissis) (omissis).

Il giudice ha ritenuto provata una condotta di “mobbing” da parte dell’imputata nei confronti della parte civile, ostetrica che lavorava presso il consultorio familiare diretto dalla (omissis), condotta qualificata come violazione dell’art. 660 cod.pen.

2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso (omissis) (omissis) (omissis), per mezzo del suo difensore avv. (omissis) (omissis), con un unico motivo, con il quale censura la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., per essere la motivazione contraddittoria e illogica, nonché fondata su un travisamento della prova.

La sentenza ha omesso di valutare, o hai valutato in modo non corretto, le dichiarazioni delle testi (omissis) e (omissis), le quali, pur avendo sentito delle voci femminili alterate, non avevano visto le litiganti ed in particolare non avevano visto la (omissis) discutere con la (omissis).

Nessun’altra testimonianza è stata acquisita, per cui l’affermazione del giudice di ritenere provata l’accusa è del tutto illogica e contraddittoria rispetto all’istruttoria svolta. Inoltre era stata smentita l’affermazione della persona offesa, che le venisse impedito di svolgere il proprio lavoro, perché ella era addetta ad effettuare i pap-test, che risultavano essere stati correttamente effettuati alle due testi dell’accusa ed in particolare alla teste (omissis), che invece aveva asserito di non averlo potuto effettuare.

La sentenza ha poi omesso di valutare le deposizioni delle testi della difesa, che hanno negato comportamenti vessatori da parte della (omissis) ed anche sue condotte aggressive verso la (omissis), affermando di avere assistito a discussioni tra le due, ma sempre con modi civili.

3. La parte civile, per mezzo del suo difensore avv. (omissis) (omissis), ha depositato una prima memoria difensiva con la quale, in primo luogo, eccepisce l’inammissibilità del ricorso della imputata, perché diretto ad ottenere una rivalutazione del fatto e non a contestare un vizio della motivazione.

Con un secondo motivo, poi, sostiene l’inammissibilità del ricorso anche per la sua genericità e aspecificità, in quanto non specifica i punti in cui la sentenza debba essere ritenuta contraddittoria, illogica, o fondata su un travisamento della prova.

Il censurato vizio di manifesta illogicità viene in realtà confuso con quello di contraddittorietà, e quest’ultima viene descritta come una contraddizione della motivazione rispetto alle testimonianze ascoltate.

3.1. Con una seconda memoria difensiva, la parte civile ha sostenuto l’insussistenza del censurato vizio di travisamento della prova, perché le testi dell’accusa non sono state travisate. La ricorrente chiede alla Cassazione, in realtà, una nuova valutazione della prova.

Peraltro la prova consiste nelle dichiarazioni della Di Palma, mai tacciate di falsità o inattendibilità, neppure dalla ricorrente.

Le due testimonianze sono di mero riscontro e la sentenza le ha riportate e valutate in modo corretto.

4. Il Procuratore generale, nella discussione orale, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.

2. Il motivo proposto non appare inammissibile, essendo censurata una pluralità di vizi della motivazione, e non solo il travisamento della prova.

Con riferimento a quest’ultima censura, in effetti, il motivo è inammissibile per la mancanza di specificità e il mancato rispetto del principio dell’autosufficienza, non avendo la ricorrente allegato il testo completo delle deposizioni asseritamente travisate.

Deve, infatti, applicarsi il seguente principio consolidato di questa Corte: «In tema di ricorso per cassazione, la possibilità di dedurre il vizio di motivazione per travisamento della prova è limitata all’ipotesi in cui il giudice del merito abbia fondato il suo convincimento su di una prova inesistente ovvero su di un risultato probatorio incontestabilmente diverso da quello reale, con la conseguenza che, qualora la prova che si assume travisata provenga dall’escussione di una fonte dichiarativa, l’oggetto della stessa deve essere del tutto definito o attenere alla proposizione di un dato storico semplice e non opinabile (In motivazione la Corte ha evidenziato che, al di fuori degli evidenziati limiti, dovendosi considerare la deposizione sempre il frutto della percezione soggettiva del testimone, la sua valutazione ha inevitabilmente chiamato il giudice di merito a “depurare” il dichiarato dalle cause di interferenza provenienti dal dichiarante, operazione che per essere apprezzata dal giudice di legittimità presuppone la contezza non del singolo atto processuale, bensì dell’intero compendio probatorio, nonché una analisi comparativa che rimane preclusa al suddetto giudice)» (Sez. 4, n. 15556 del 12/02/2008, Rv. 239533).

2.1. Gli altri vizi censurati, la contraddittorietà e la illogicità della motivazione, sono ammissibili, ma risultano insussistenti.

La sentenza, pur nella sua sinteticità, risulta fondata sulle prove raccolte, interpretate correttamente, la cui valutazione non appare né contraddittoria né manifestamente illogica.

Il giudice ha sintetizzato il contenuto delle testimonianze dell’accusa in termini non dissimili da quanto emerge dagli stralci riportati nel ricorso, situazione che impone di escludere il loro palese travisamento, peraltro non meglio specificato dalla ricorrente, e non trascura di valutare le deposizioni rese dalle testimoni della difesa, che afferma però non essere rilevanti perché lacunose, e meno credibili delle testi dell’accusa a causa del loro «status di subordinati, rispetto all’imputata, all’interno del rapporto di lavoro», laddove le testi dell’accusa vengono ritenute sicuramente imparziali, trattandosi di pazienti del consultorio.

La sentenza risulta perciò completa, avendo preso in esame, sia pure molto sommariamente, tutte le prove raccolte, ed argomentata in modo non contraddittorio, né manifestamente illogico.

Questa Corte, in particolare nelle sentenze Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965, ha chiarito che «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che ‘attaccano’ la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento».

2.2. La sentenza impugnata fonda la sua decisione non sulle testimoni dell’accusa (omissis) e (omissis), bensì sulle dichiarazioni della persona offesa, contenute anche nella querela e nella sua integrazione, acquisite con il consenso delle parti, dichiarazioni che afferma essere riscontrate dalle predette deposizioni.

Tale conclusione non è manifestamente illogica, bensì conforme alle ordinarie regole di giudizio.

La stessa ricorrente non ha contestato l’attendibilità delle predette testimoni e della stessa parte offesa, e quindi la limitata ampiezza delle dichiarazioni delle prime, relative ad un unico giorno, non esclude la sussistenza della prova per un arco temporale più ampio, se riferito dalla persona offesa.

La censura contenuta nel ricorso, in merito alla interpretazione della dichiarazione della teste (omissis) relativamente all’effettuazione o meno dell’esame da lei richiesto, è confusa e poco comprensibile, non essendo chiarito se venga contestata la veridicità della deposizione o la correttezza della sua interpretazione da parte del giudice.

L’omessa allegazione dell’intero verbale di tale testimonianza impedisce, peraltro, di accertare se la teste abbia affermato di non avere mai potuto effettuare, in quella giornata, l’esame in questione, o se esso sia stato solo ritardato a causa della difficoltà della (omissis) (omissis) di farsi consegnare il materiale necessario.

La credibilità attribuita alla persona offesa, e non contestata dalla ricorrente, rende non manifestamente illogica anche la conclusione della inidoneità delle testi della difesa a mettere in dubbio la prova dei fatti, desunta dalle predette testimonianze.

3. Per i motivi esposti, il ricorso deve pertanto essere rigettato. La sua non inammissibilità, però, comporta l’ulteriore decorso del termine di prescrizione sino alla data odierna, facendo maturare tale causa di estinzione.

Al termine di prescrizione quinquennale, decorrente dal 01 febbraio 2017, si aggiunge un periodo di sospensione, calcolato dal giudice di primo grado in 371 giorni, che porta il termine di prescrizione alla data del 07 febbraio 2023. Il reato deve perciò essere dichiarato estinto, per la sopravvenuta prescrizione, e la sentenza deve essere annullata senza rinvio, agli effetti penali.

Essendo intervenuta condanna generica al risarcimento dei danni, questa Corte deve decidere sull’impugnazione, agli effetti civili, in applicazione dell’art. 578, comma 1, cod.proc.pen.

Le statuizioni civili non sono state oggetto di ricorso, e la declaratoria di infondatezza del ricorso, con il suo rigetto, comportano la conferma di tali statuizioni, e la condanna della ricorrente al rimborso delle ulteriori spese sostenute dalla parte civile, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione.

Rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di costituzione e difesa della parte civile (omissis) (omissis) nel presente grado, spese che liquida in euro 5.000 oltre accessori di legge.

Così deciso il 05 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.