REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
Luca Ramacci – Presidente –
Antonella Di Stasi – Consigliere –
Alberto Galanti – Relatore –
Ubalda Macri – Consigliere –
Fabio Zunica – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
(omissis) (omissis) (omissis), nato a San Michele al Tagliamento il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia del 27/04/2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Alberto Galanti;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Dr. Gianluigi Pratola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 27/04/2023, la Corte di appello di Venezia, in riforma della sentenza del Tribunale di Venezia del 11/04/2016, dichiarava non doversi procedere in ordine ai reati ascritti al (omissis) (omissis) (omissis) in ordine ai reati di cui agli articoli 650 cod. pen., 255 e 256 d.Igs. 152/2006 per intervenuta prescrizione, con conferma nel resto.
In particolare, resistevano il risarcimento del danno in favore del Comune di Venezia, stabilito in euro 3.000, e in favore di WWF Onlus e Legambiente Volontariato, fissato in euro 1.000 ciascuna.
2. Avverso il provvedimento l’imputato propone, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo lamenta violazione di legge in riferimento agli articoli 255 e 256 d. Igs. 152/2006, per quanto concerne la conferma delle statuizioni civili.
Evidenzia come già con l’atto di appello si era evidenziato che l’area era stata negli anni adibita a deposito della sua ditta edile, come confermato anche all’agente di polizia locale.
2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione dell’articolo 530 cod. proc. pen. per quanto concerne la conferma delle statuizioni civili.
Riferisce come ben due poliziotti hanno riferito che l’area è stata ripulita nel 2013 e che gli automezzi rinvenuti sul posto erano tutti perfettamente funzionanti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per quanto concerne entrambi i profili di censura, che possono essere trattati congiuntamente.
2. Entrambi i motivi consistono nella pedissequa reiterazione di analoghi profili di censura proposti con l’atto di appello (riportati a pagg. 3 della sentenza), disattesi con ampia e non illogica motivazione da parte della Corte territoriale, che li ha ritenuti entrambi “palesemente infondati”, con cui il ricorrente non si confronta affatto, con conseguente difetto di specificità del ricorso.
Secondo la sedimentata giurisprudenza della corte, è infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, Furlan, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217).
In particolare, quanto al primo motivo, la Corte distrettuale ha ritenuto provato oltre ogni ragionevole dubbio il reato di deposito incontrollato (e non di discarica, come affermato dal ricorrente) alla luce del rinvenimento nell’area di eterogenei oggetti costituenti in tutta evidenza rifiuti, quali «pneumatici usati, parti di veicolo, paraurti, sedili, tappezzerie, fusti metallici parzialmente vuoti, bombole del gas vuote, batterie esauste, miscugli di materiali, provenienti si da attività edili, ma come scarti di lavorazione, trattandosi di scorie di cemento, di mattonelle e ceramiche».
Tali oggetti erano ammassati sull’area in assenza di autorizzazione e (v. riepilogo sentenza di primo grado) di pavimentazioni e coperture, in assenza quindi sia dei requisiti formali che sostanziali per concretizzare un c.d. «deposito temporaneo» di rifiuti.
Il ricorrente, che nel coltivare il motivo di ricorso parla addirittura di insussistenza di una «discarica» abusiva, ossia di altro reato, sanzionato al comma 3 dell’articolo 256 d. Igs. 152/2006, non si confronta affatto con la motivazione della sentenza e, in ultima analisi, della stessa imputazione contestatagli, risultando così inammissibile.
Quanto al secondo motivo, la sentenza precisa che la «ripulitura» dell’area non sarebbe avvenuta spontaneamente, ma a cura del Comune di San Michele al Tagliamento, circostanza certo non idonea ad esimere l’imputato dalla propria responsabilità.
Anche in questo caso, il ricorrente non si confronta in modo realmente critico con la sentenza impugnata, risultando così inammissibile (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e aa., Rv. 243838).
3. Il Collegio peraltro rappresenta, sempre con riferimento al secondo motivo, che il ricorrente non evidenzia neppure quando sarebbe stata effettuata la remissione in pristino dell’area.
In ordine all’individuazione del momento consumativo del reato di cui all’art. 255, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, infatti, questa Corte ritiene che la fattispecie abbia natura permanente e la scadenza del termine per l’adempimento non indica il momento di esaurimento della condotta, bensì l’inizio della fase di consumazione che si protrae sino al momento dell’ottemperanza all’ordine ricevuto (Sez. 3, n. 9461 del 19/01/2024, Bert. N.m.; Sez. 3, n. 15238 del 13/01/2023, Cesaruli, n.m.; Sez. 3, n. 39430 del 12/06/2018, Rv. 273841; Sez. 3, n. 33585 del 8/4/2015, Rv. 264439; Sez. 3, n. 23489 del 18/5/2006, Rv. 234484).
Tale principio giurisprudenziale – che deve essere qui confermato – muove dal presupposto che la natura di reato omissivo permanente della contravvenzione in esame è individuata tenendo conto del fatto che il termine per l’adempimento di quanto indicato nell’ordinanza è fissato al solo fine di stabilire il regolare e tempestivo adempimento della prescrizione, che può essere adempiuta in modo utile, sia pure tardivo; sicché non viene meno l’obbligo di agire anche dopo la scadenza del termine. Il ricorrente, omettendo persino di indicare la data di rimozione dei rifiuti, non ottempera all’obbligo di necessaria specificità dei motivi di ricorso, risultando di tal guisa inammissibile.
4. Alla declaratoria di inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 3 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
5. La presente motivazione viene redatta in forma semplificata ai sensi del decreto n. 68 del 28/4/2016 del Primo Presidente della Corte di cassazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/03/2024.
Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2024.