Confermata la condanna per due Caporali Maggiori dell’Esercito per ingiurie e minacce nei confronti di un inferiore (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 20 marzo 2023, n. 11499).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOGINI Stefano – Presidente –

Dott. LIUNI Teresa – Consigliere –

Dott. APRILE Stefano – Rel. Consigliere –

Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere –

Dott. RUSSO Carmine – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

(OMISSIS) (OMISSIS), nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 02/03/2022 della CORTE MILITARE d’APPELLO;

fissata la trattazione con il rito scritto;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. APRILE STEFANO;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore militare Dott. UFILUGELLI FRANCESCO, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

lette le conclusioni dell’avv. (OMISSIS) CLAUDIO MARIA, per (OMISSIS) e (OMISSIS), che insiste per l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, la Corte militare d’appello ha confermato la sentenza pronunciata in data 26 maggio 2021 dal Tribunale militare di Verona con la quale è stata affermata la responsabilità di (OMISSIS) (OMISSIS), Caporale Maggiore Capo dell’Esercito Italiano, e del pari grado (OMISSIS) (OMISSIS), per i reati loro rispettivamente ascritti di ingiuria continuata a un inferiore (art. 81 cpv. c.p., art. 196 c.p.m.p., comma 2) e di minaccia a un inferiore (art. 196 c.p.m.p., comma 1), commessi entrambi in danno del volontario in ferma prolungata VPF1 (OMISSIS) (OMISSIS), condannandoli rispettivamente alla pena di mesi quattro e giorni venti di reclusione militare, coi doppi benefici, e di mesi sei di reclusione militare.

1.1. Con concorde valutazione di entrambi i giudici di merito è stata affermata la responsabilità degli imputati per i sopra richiamati delitti, commessi nel medesimo contesto militare della base alpina di (OMISSIS), in danno di VFP1 (OMISSIS) (OMISSIS), sottoposta ad espressioni offensive e degradanti, tra l’altro il giorno 8 settembre 2017 (“si vede che ti sei lasciata, si sente l’odore di cagna fino a qua”, profferita da (OMISSIS) avvicinando il viso alle parti intime della persona offesa), e minacciata per avere segnalato, tramite il proprio fidanzato, il comportamento vessatorio al quale era stata sottoposta da un altro militare nella serata dell’11 settembre 2017 (“se dichiari quello che è successo provvederò… a fare punire te e il tuo fidanzato”).

2. Ricorrono, con unico atto a firma del comune difensore avv. (OMISSIS) Claudio Maria, (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS).

2.1. (OMISSIS) (OMISSIS) denuncia:

– il vizio della motivazione con riguardo alla credibilità soggettiva della persona offesa (OMISSIS) poiché parte delle dichiarazioni risultano in palese contrasto con alcune testimonianze: il teste (OMISSIS) ha riferito che la persona offesa si era determinata a denunciare i fatti soltanto una volta appreso che sarebbe stata nuovamente inviata in servizio per presso la base di (OMISSIS), mentre in occasione della denuncia dell’aprile 2018, per fatti riferibili a un diverso imputato e commessi in altre circostanze, la stessa non aveva fatto parola delle condotte per cui si procede; il teste (OMISSIS), secondo il quale vi era grande confidenza con la persona offesa che gli raccontava tutto, ha però riferito che la stessa gli raccontò dei fatti per cui si procede soltanto dopo avere fatto la denuncia ai Carabinieri; i testi (OMISSIS) e (OMISSIS) escludono di aver udito (OMISSIS) ingiuriare la persona offesa; il teste (OMISSIS) non ha mai riferito al dibattimento di aver udito frasi offensive pronunciate da (OMISSIS). Il vizio della motivazione riguarda anche la datazione del fatto, essendosi dimostrato che (OMISSIS) non si trovava nella base quando sarebbe accaduto l’episodio di ingiuria;

– la violazione di legge, in riferimento all’art. 196 c.p.m.p., comma 1, e art. 199 c.p.m.p., perché il fatto si pone al di fuori del servizio militare e della disciplina, durante le ore di svago e riposo, sicché doveva essere ravvisata l’ipotesi di ingiuria di cui all’art. 226 c.p.m.p., reato improcedibile per mancanza della richiesta del Comandante di Corpo.

2.2. (OMISSIS) (OMISSIS) denuncia:

– il vizio della motivazione con riguardo alla affermata presenza dell’imputato sul luogo del fatto, nonostante le contraddizioni esistenti tra le dichiarazioni della persona offesa e quelle dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS) su tale specifico punto. Manca, del resto, qualunque elemento per ritenere che (OMISSIS) si sia sentito infastidito dalle telefonate di (OMISSIS), che sollecitava un suo intervento a tutela di (OMISSIS), tanto da voler impedire alla persona offesa di riferire quanto accaduto poco prima allo spaccio con altro militare.

– Il vizio della motivazione riguarda anche la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., essendo erronea la decisione impugnata che ha ritenuto ostativa una precedente condanna per art. 336 c.p., non sussistendo, d’altra parte, nel comportamento dell’imputato la violazione del D.P.R. 15 marzo 2010, n. 90, art. 732, comma 2, lett. b) (T.U.O.M.), poiché difettava l’obbligo di intervento da parte dell’imputato. Priva di motivazione è la scelta di non concedere una seconda sospensione condizionale della pena, come invocato dalla difesa;

– la violazione di legge, in riferimento all’art. 196 c.p.m.p., comma 1, poiché le frasi asseritamente pronunciate non contenevano affatto la minaccia di un male futuro e ingiusto, non essendo nella disponibilità dell’imputato il potere di promuovere qualunque iniziativa disciplinare;

– la violazione di legge, in riferimento agli artt. 101,131-bis e 164 c.p., per il diniego dell’applicazione della indicata causa di non punibilità e per la mancata concessione della seconda sospensione condizionale;

– la violazione di legge processuale con riguardo la mancata acquisizione di una prova decisiva concernente i registri della base militare che avrebbero potuto fornire riscontro alla tesi difensiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso di (OMISSIS) è inammissibile; quello di (OMISSIS) è nel complesso infondato.

2. E’ opportuno premettere, tenuto conto che il difetto è comune a più motivi di ricorso che denunciano il vizio della motivazione, che in tema di sindacato del vizio della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) si deve rammentare che, nell’apprezzamento delle fonti di prova, il compito del giudice di legittimità non è di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma solo di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n, 930 del 13/12/1995 dep. 1996, Clarke, Rv. 203428; Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 dep. 2000, Moro G, Rv. 215745; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 dep. 2004, Elia, Rv. 229369).

Dall’affermazione di questo principio, si traggono dei corollari.

Ad eccezione del caso in cui il ricorso prospetti compiutamente l’esistenza di un “ragionevole dubbio”, esula dai poteri della Corte di cassazione, nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell’iter argomentativo di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione.

La specificità della disposizione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), esclude che la norma possa essere dilatata per effetto di regole processuali concernenti la motivazione stessa utilizzando la diversa ipotesi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c); l’espediente non è consentito sia per i ristretti limiti nei quali la disposizione ora citata prevede la deducibilità per cassazione delle violazioni di norme processuali (considerate solo se stabilite “a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza” sia perché la puntuale indicazione contenuta nella lett. e), riferita al “testo del provvedimento impugnato”, collega in via esclusiva e specifica al limite predetto qualsiasi vizio motivazionale.

Tantomeno può costituire motivo di ricorso, sotto il profilo dell’omessa motivazione, il mancato riferimento a dati probatori acquisiti. Se è vero che tale vizio è ravvisabile non solo quando manca completamente la parte motiva della sentenza, ma anche qualora non sia stato considerato un argomento fondamentale per la decisione espressamente sottoposto all’analisi del giudice, il concetto di mancanza di motivazione non può essere tanto esteso da includere ogni omissione concernente l’analisi di determinati elementi probatori.

Invero, un elemento probatorio estrapolato dal contesto in cui esso si inserisce, non posto a raffronto con il complesso probatorio, può acquisire un significato molto superiore a quello che gli è attribuibile in una valutazione completa del quadro delle prove acquisite.

Ritenere il vizio di motivazione per l’omessa menzione di un tale elemento nella sentenza comporterebbe il rischio di annullamento di decisioni logiche, e ben correlate alla sostanza degli elementi istruttori disponibili.

Per ovviare ad un tale rischio, la Corte di legittimità dovrebbe valutare la portata dell’elemento additato dalla difesa nel contesto probatorio acquisito, con una sovrapposizione argomentativa che sconfinerebbe nei compiti riservati al giudice di merito (Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv. 254988; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico, Rv. 239789).

Passando al più specifico tema del “vizio di manifesta illogicità” della motivazione, va osservato che il relativo controllo viene esercitato esclusivamente sul fronte della coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la possibilità, per il giudice di legittimità, di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo; sicché nella verifica della fondatezza, o meno, del motivo di ricorso ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il compito della Corte di cassazione non consiste nell’accertare la plausibilità e l’intrinseca adeguatezza dei risultati dell’interpretazione delle prove, coessenziale al giudizio di merito, ma quello, ben diverso, di stabilire se i giudici di merito:

a) abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione;

b) abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti;

c) nell’interpretazione delle prove abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

Ne consegue che, ai fini della denuncia del vizio in esame, sempre che non sia dedotto un dubbio ragionevole, è indispensabile dimostrare che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, per cui non può essere ritenuto legittimo l’opporre alla valutazione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato una diversa ricostruzione degli stessi, dato che in quest’ultima ipotesi verrebbe inevitabilmente invasa l’area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito (Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, Ienco, Rv. 236540; Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168).

Passando al tema del travisamento di prova va osservato che, a seguito delle modifiche dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8, mentre non è consentito dedurre il “travisamento del fatto” (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099), stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, è invece consentita la deduzione del vizio di “travisamento della prova”, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 2382157; Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623).

Sul tema va ancora precisato che la novella codicistica, introdotta con la L. n. 46 del 2006, nel riconoscere la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad “atti processuali”, non ha comunque mutato la natura del giudizio di Cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicché gli atti eventualmente indicati devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso (Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina, Rv. 235716).

In consonanza con quanto fin qui richiamato, va ancora osservato che, qualora la prova che si assume essere stata travisata provenga da una fonte dichiarativa (deposizione testimoniale, dichiarazione di un collaboratore di giustizia); l’oggetto della stessa deve essere del tutto definito o attenere alla proposizione di un dato storico semplice e non opinabile (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012 dep. 2013, Maggio, Rv. 255087; Sez. 4, n. 15556 del 12/02/2008, Trivisonno, Rv. 239533, ove in motivazione si è affermato che al di fuori degli evidenziati limiti, dovendosi considerare la deposizione sempre il frutto della percezione soggettiva del testimone, la sua valutazione ha inevitabilmente chiamato il giudice di merito a “depurare” il dichiarato dalle cause di interferenza provenienti dal dichiarante, operazione che per essere apprezzata dal giudice di legittimità presuppone la contezza non del singolo atto processuale, bensì dell’intero compendio probatorio, nonché un’analisi comparativa che rimane preclusa al suddetto giudice).

Inoltre, l’onere di specifica indicazione nei motivi di gravame degli “altri atti processuali” dai quali si desume il vizio di motivazione si traduce nella necessità di individuare ed indicare gli atti processuali che il ricorrente intende far valere (e di specificare le ragioni per le quali tali atti, se correttamente valutati, avrebbero dato luogo ad una diversa pronuncia decisoria), onere da assolvere nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione.

Pertanto, qualora la prova omessa o travisata abbia natura dichiarativa, il ricorrente ha l’onere di riportarne integralmente il contenuto, non limitandosi ad estrapolarne alcuni brani, giacché così facendo viene impedito al giudice di legittimità di apprezzare compiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni e, quindi, di valutare l’effettiva portata del vizio dedotto (Sez. 2, n. 25315 del 20/03/2012, Ndreko, Rv. 253073; Sez. F, n. 32362 del 19/08/2010, Scuto, Rv. 248141; Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, Rv. 241023).

2.1. Ciò premesso, i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) criticano assertivamente il percorso logico valutativo che ha portato a ritenere attendibile la persona offesa, indicando delle modeste e secondarie discrasie con alcuni brani di altre dichiarazioni testimoniali; si tratta, dunque, di una censura inammissibile.

2.2. La complessiva credibilità oggettiva e soggettiva della dichiarante è stata basata anche sulle convergenti dichiarazioni dei testi (OMISSIS) (che riferisce delle confidenze della persona offesa e del colloquio con (OMISSIS)), (OMISSIS) e (OMISSIS) (che riferiscono ciò che è accaduto in loro presenza in termini consonanti a quelli della persona offesa), (OMISSIS) (che riferisce, dopo le contestazioni nel corso dell’esame, le dichiarazioni della persona offesa conformemente a quanto dalla stessa dichiarato al dibattimento) e (OMISSIS) (che conferma lo stato di agitazione della persona offesa dopo l’incontro con (OMISSIS), derivante dalle minacce ricevute).

Circa le ragioni che hanno spinto la persona offesa a denunciare i fatti a distanza di diversi mesi, i ricorsi non si confrontano con la specifica motivazione secondo la quale (OMISSIS) era impaurita e preoccupata, come confermano vari testi escussi al dibattimento, a causa del trattamento vessatorio ricevuto nella base degli Alpini di (OMISSIS); tale stato di ansia e preoccupazione si è definitivamente evoluto, secondo i giudici di merito, in ferma volontà di denunciare i fatti, allorquando la volontaria ha appreso che sarebbe stata nuovamente destinata a prestare servizio presso quel complesso militare, così ritrovandosi nuovamente sottoposta alle angherie dei superiori.

2.3. Anche per quello che riguarda la datazione del più grave episodio di ingiuria (espressioni sessiste e gesti di allusione sessuale) commesso da (OMISSIS), il ricorso è generico perché non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato che ha collocato, con perfetta aderenza ai dati storici acquisiti, il fatto nella serata dell’8 settembre 2017, allorquando è certa la presenza dell’imputato in servizio sul luogo del fatto.

Il ricorso é, del resto, privo di critiche in merito agli altri episodi ingiuriosi descritti nell’imputazione a carico di (OMISSIS), temporalmente collocati nei giorni precedenti a quello dianzi indicati.

2.4. Prive di specificità sono, del resto, le analoghe cesure mosse da (OMISSIS) sulla sua presenza al momento del fatto, posto che i giudici di merito l’hanno accertata sulla base di concordanti dichiarazioni testimoniali che, in disparte le minacce che sono state profferite alla sola presenza della VFP1 (OMISSIS), hanno confermato la presenza dell’imputato la sera del fatto.

2.5. E’, del resto, inconferente la deduzione difensiva circa la mancata acquisizione di copia integrale dei registri della base, già acquisiti per stralcio, poiché non è indicata la decisività e il contrasto con la documentazione già versata nel fascicolo del giudizio a seguito delle acquisizioni della polizia giudiziaria.

3. E’ infondato il secondo motivo di ricorso nell’interesse di (OMISSIS).

3.1. L’art. 199 c.p.m.p. esclude l’applicabilità della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 196 c.p.m.p. – che prevede come reato l’ingiuria ad un inferiore – quando il fatto è commesso “per cause estranee al servizio e alla disciplina militare”.

In base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 199 c.p.m.p. (ordinanza della Corte costituzionale n. 367 del 6 novembre 2001), la clausola di esclusione del reato non opera con esclusivo riferimento alla condizione di “estraneità dal servizio“, in cui in concreto si trova la persona ingiuriata o minacciata (Sez. 1, 12/07/1989, n. 13214, De Tommasi, Riv. 182202), assumendo piuttosto rilevanza l’eventuale inesistenza di una correlazione tra la situazione in cui si trovi ad agire l’autore del fatto ed il servizio militare.

Ben possono, pertanto, essere qualificate come “cause estranee al servizio” quelle che esulano dall’attività svolta dal soggetto attivo del reato o che, comunque, risultano collegate in modo del tutto estrinseco all’area degli interessi connessi alla tutela del servizio e della disciplina, ponendosi con questi in rapporto di semplice occasionalità, anche se non estranee al servizio svolto dalla persona offesa dell’illecito.

Non é, quindi, possibile sanzionare penalmente condotte di minaccia e di offesa all’onore, ma non collegate in alcun modo al servizio svolto dal militare soggetto attivo del reato.

Non appare, infatti, conforme alla ratio dell’intera disciplina una nozione formale e generalista di disciplina militare, invasiva di ogni momento della vita del soggetto, in servizio o fuori servizio, pur in assenza di ogni effettiva lesione del prestigio militare o di qualsiasi collegamento con i rapporti gerarchici che ineriscono al servizio svolto dall’autore del fatto.

3.2. Sulla base di queste considerazioni il giudice di appello ha mantenuto ferma la qualificazione giuridica ex art. 196 c.p.m.p., per la condotta (caratterizzata dall’espressione “si vede che ti sei lasciata, si sente l’odore di cagna fino a qua”, profferita da (OMISSIS) avvicinando il viso alle parti intime della persona offesa), evidenziando l’attinenza della stessa alla disciplina e al servizio, in ragione delle precedenti espressioni, pure oltraggiose, del tipo “non fai mai un cazzo”, evidentemente riferite ad un presunto scarso rendimento in servizio e alla complessiva azione di prolungata “vessazione sessista” che caratterizzava, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, l’impiego del militare di sesso femminile all’interno del reparto, quasi integralmente composto di uomini.

3.3. Ciò che ha rilievo, per stabilire se le frasi proferite si possano considerare lesive dell’interesse tutelato dal reato di ingiuria, contrariamente a ciò che si sostiene nel ricorso, non è affatto la circostanza che le stesse siano state pronunciate mentre entrambi i protagonisti non erano comandati in servizio (trovandosi comunque all’interno della caserma militare), quanto la circostanza, riconosciuta anche dal ricorso, che le frasi incriminate sono state pronunciate in relazione ed a causa di un comportamento tenuto in servizio dall’inferiore (cfr. Sez. 1, n. 19970 del 30/01/2013, Sorce, Rv. 256179; Sez. 1, n. 40811 del 27/10/2010, Mecoli, Rv. 248441).

In tale contesto, giustamente la Corte militare di appello ha ritenuto, in sostanziale adesione all’interpretazione dell’art. 199 c.p.m.p., che la frase ingiuriosa pronunciata non potesse ritenersi del tutto avulsa dal contesto militare e priva di collegamenti con il rapporto gerarchico inerente al servizio.

L’elemento giuridico, che ha trovato un non contestato supporto fattuale nelle espressioni riportate nell’imputazione, che riconnette al servizio e alla disciplina militare l’espressione ingiuriosa, così attratta nella fattispecie dell’ingiuria, è proprio quello dell’essere la persona offesa, comandata in servizio presso lo spaccio, reiteratamente offesa per la presunta neghittosità e scarso rendimento di donna “distratta dal dovere” a causa delle proprie vicende sentimentali, ciò in luogo frequentato da altri militari, e nell’ambito della gerarchia militare.

4. Quanto al primo motivo di ricorso di (OMISSIS), se, per le ragioni dette, lo stesso si presenta inammissibile in punto di credibilità della persona offesa e di ricostruzione del fatto, deve essere evidenziato che è de-assiale la doglianza che, per escludere la responsabilità, si domanda quale sarebbe stato l’interesse dell’imputato a minacciare l’inferiore.

4.1. Del resto, se è indubbio che (OMISSIS) abbia segnalato i comportamenti inurbani e vessatori ai quali la persona offesa era appena stata sottoposta (da altro militare giudicato separatamente), richiedendo anche un accorato pronto intervento in aiuto della stessa da parte dei superiori in servizio al corpo di guardia, è parimenti incontestato che (OMISSIS) era in servizio e che, dopo il riferito incontro con la VFP1 (OMISSIS), la persona offesa era apparsa molto agitata e preoccupata, tanto che aveva riferito le gravi pressioni ricevute a seguito della segnalazione a (OMISSIS) e a un’altra militare.

5. Anche il secondo motivo di ricorso di (OMISSIS) è inammissibile.

E’ privo di rilievo che, nello specifico, (OMISSIS) non fosse nella posizione gerarchica da consentirgli di promuovere direttamente un procedimento disciplinare ai danni di (OMISSIS), poiché, come hanno bene posto in luce i giudici di merito, si tratta di una minaccia vera e credibile che ha indotto al silenzio, per diverso tempo, la persona offesa.

6. I restanti motivi di (OMISSIS) sono del pari inammissibili.

6.1. Le doglianze sulla causa di non punibilità dell’art. 131-bis c.p. sono versate in fatto là dove criticano le motivate valutazioni compiute dai giudici di merito sulla gravità della condotta e sulla personalità dell’imputato, anche in riferimento ai precedenti penali e all’obbligo di prestare soccorso a chiunque versi in pericolo o abbisogni di aiuto, previsto dall’art. 732, comma 3, lett. b), T.U.O.M., derivante dalla segnalazione di (OMISSIS).

6.2. Analoga sorte attende la doglianza sulla mancata concessione, per la seconda volta, della sospensione condizionale, tenuto conto della piena discrezionalità concessa al giudice di merito e delle specifiche valutazioni da esso compiute in proposito, con le quali il ricorso omette di confrontarsi.

7. All’inammissibilità del ricorso di (OMISSIS) consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in Euro 3.000,00.

7.1. Al rigetto del ricorso di (OMISSIS) consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Rigetta il ricorso di (OMISSIS) (OMISSIS) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto disposto d’ufficio e/o imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.