REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Lucia ESPOSITO – Presidente
Dott. Gabriella MARCHESE – Consigliere
Dott. Daniela CALAFIORE – Consigliere – Rel.
Dott. Francesco BUFFA – Consigliere
Dott. Alfonsina DE FELICE – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24805/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS) S.R.L (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS);
-ricorrente-
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante, pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, (OMISSIS);
-controricorrente-
nonché contro
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE già (OMISSIS) S.p.A.;
-intimata-
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di TRIESTE n. 400/2017 pubblicata il 18/05/2018 N.R.G. 91/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/03/2023 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE.
RILEVATO che:
la Corte d’appello di Trieste, con sentenza n. 400 del 2017, ha rigettato l’impugnazione proposta da (OMISSIS) s.r.l. (OMISSIS), nei confronti dell’INPS e di Agenzia delle Entrate – Riscossioni, avverso la sentenza di primo grado che, in giudizio di opposizione avverso verbale di accertamento ispettivo ed avviso di addebito (cui era anche seguito un pignoramento) proposto per ragioni sia formali (difetti di notifica telematica a mezzo pec) che di merito (reale natura dei rapporti di lavoro di alcuni collaboratori a progetto già assicurai presso la gestione separata ) aveva dichiarato tardiva l’opposizione, in quanto proposta l’11 aprile 2016, a fronte di notifica dell’avviso di addebito, effettiva e regolare, avvenuta il giorno 8 agosto 2015;
ad avviso della Corte territoriale, ai sensi dell’art. 30, comma 4, d.l. 78 del 2011, era legittima la notifica a mezzo pec all’indirizzo risultante dagli elenchi previsti dalla legge, senza che potesse richiamarsi l’art. 149 bis c.p.c.; alla notifica dell’avviso di addebito, in particolare, doveva applicarsi l’art. 26 d.p.r. n. 602 del 1973, che non richiede la relata di notifica; quanto al documento oggetto di notifica, di cui era controversa la natura di copia o di duplicato informatico di originale informatico (art. 1, comma 1 lettere i quater ed i quinquies, CAD) oppure di copia informatica, o copia per immagine su supporto informatico, di un originale analogico (art. 1, comma 1, lettere i bis ed i ter CAD), la Corte ha ritenuto trattarsi di documento di origine cartacea, disciplinato dall’art. 22 CAD vigente nel 2016, per cui il documento doveva essere firmato da firma digitale o altra firma elettronica qualificata, nel caso non presente, e disconosciuta dalla destinataria; tuttavia, data la assoluta conformità delle copie cartacee prodotte dalle parti, per convergenti indizi, a prescindere dalle denunciate irregolarità, si era determinato l’effetto sanante della effettiva conoscenza dell’atto alla data dell’8 agosto 2015, ispirato al principio di strumentalità delle forme, per cui l’opposizione si confermava tardivamente proposta; anche le questioni di merito, sollevate con il ricorso in opposizione, dovevano ritenersi colpite dalla tardività della proposizione del ricorso; quanto alla domanda di compensazione (non potendosi effettuare conguagli tra le diverse gestioni alla luce della mancanza di tempestiva opposizione), la stessa veniva dichiarata in parte improponibile, per difetto di domanda di ripetizione delle somme indebitamente versate, ed in parte infondata;
avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione la società sulla base di cinque motivi; con successiva nota, la ricorrente ha comunicato di essere stata posta in liquidazione coatta amministrativa;
resiste l’INPS con controricorso;
Agenzia delle Entrate – Riscossione è rimasta intimata;
chiamata la causa all’adunanza camerale del 9 marzo 2023, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, c.p.c.);
CONSIDERATO che:
osserva preliminarmente il Collegio che nessuna influenza spiega sulla procedibilità del ricorso il sopravvenuto ingresso della ricorrente nella procedura concorsuale di LCA, trovando per essa applicazione il principio, espresso in termini con chiarezza già da Cass. s.u. 6624/1986 e riaffermato da ultimo da Cass. SS.UU. 23/02/2023, (ud. 22/11/2022, dep. 23/02/2023), n. 5694, per cui manca, “per il caso della sopravvenienza dell’evento stesso nel corso del giudizio di legittimità, un ostacolo alla proseguibilità del procedimento, stante l’inoperatività dell’istituto dell’interruzione del processo in sede di Cassazione”; né tale evento, a prescindere dal relativo omesso richiamo esplicito all’art. 200 l.f., può collegarsi con qualche effetto al principio interruttivo fissato, per il fallimento, all’art. 43 l.f. come novellato dal D.Lgs. n. 5 del 2006, il quale nemmeno “comporta l’interruzione del giudizio di legittimità, posto che in quest’ultimo, in quanto dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge” (Cass. 21743/2017, 21153/2010, secondo principi ripresi anche in Cass. 15928/2021);
con il primo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 2697 c.c. e 115 c.p.c., in riferimento agli articoli 1,22,48 del d.lg.vo n. 82 del 2005 e degli articoli 2727, 2712, 2719 del c.c.; in particolare, ci si duole del fatto che la sentenza, prima della questione della conformità del documento di cui si discute all’originale, avrebbe dovuto risolvere la questione della natura giuridica del medesimo documento notificato, con la necessaria conclusione che lo stesso non integrasse i contenuti di un avviso di addebito o di un valido titolo esecutivo, con conseguente erroneo riferimento alla regola della strumentalità delle forme processuali;
con il secondo motivo, si deduce la violazione degli artt. 112, 115, comma, 1 c.p.c. e degli artt. 1241, 1242 e 1243 c.c., con riferimento al rigetto della domanda subordinata, relativa all’accertamento della compensazione di quanto versato alla gestione separata con il debito oggetto dell’avviso di addebito;
con il terzo motivo, si deduce il vizio di motivazione inesistente/apparente e comunque l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, sempre con riferimento alla domanda subordinata di compensazione, posto che la sentenza impugnata aveva in modo del tutto contraddittorio affermato che la compensazione, pur essendo incontestato il pagamento indebito presso la gestione separata, non era fondata, in conseguenza della irretrattabilità del credito contributivo portato dall’avviso di addebito non opposto, ed al contempo improponibile per difetto di domanda amministrativa;
il quarto motivo attiene alla violazione degli artt. 112,115, 443 c.p.c. ed il quinto all’ omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, entrambi riferiti alla domanda subordinata di compensazione di cui sopra, nei cui confronti la Corte d’appello avrebbe espresso un sostanziale non liquet fondato in parte sull’erronea affermazione della necessità di una preventiva domanda amministrativa per ottenere il riconoscimento del diritto a compensare le somme versate indebitamente a titolo di contribuzione alla gestione separata;
il primo motivo è inammissibile in quanto, senza confrontarsi con il contenuto effettivo della decisione impugnata, lamenta la violazione della disciplina del riparto dell’onere della prova e del ragionamento presuntivo che ha condotto a ritenere provata la regolarità della notifica dell’avviso di addebito al fine di giungere alla conclusione che la sentenza impugnata avrebbe errato nel riconoscere al titolo sotteso al pignoramento la valenza di un avviso di addebito e quindi, in definitiva, a ritenere legittimo l’atto di pignoramento presso terzi; il tema devoluto alla Corte territoriale, infatti, non era quello della contestazione sull’assenza di un avviso di addebito sotteso all’atto di pignoramento, ma quello della esistenza della sua notifica alla Società odierna ricorrente;
la Corte d’appello ha accertato le modalità con cui la comunicazione via pec aveva raggiunto la destinataria ed ha concluso che era stato raggiunto lo scopo della notifica dell’avviso di addebito, sotteso al pignoramento presso terzi, il motivo non dialoga con tale contenuto ma ipotizza che addirittura l’atto impositivo non fosse esistente e lamenta una violazione della disciplina dell’onere della prova sul tema dell’esistenza del titolo che era del tutto estraneo all’ambito del giudizio d’appello;
i seguenti motivi, tutti relativi alla mancata disamina della domanda di compensazione tra la contribuzione versata presso la gestione separata e quella qui pretesa e per questo da trattare congiuntamente, sono fondati;
in primo luogo, è evidente che la domanda di compensazione giudiziale postula che la definitività dell’accertamento del credito dell’INPS portato dall’avviso di addebito sotteso al pignoramento, ed infatti fu proposta in via subordinata rispetto alla richiesta di accoglimento dell’opposizione, per cui la Corte d’appello ha errato nel ritenere preclusa tale possibilità per effetto della tardiva proposizione dell’opposizione che, anzi, rendendo ormai intangibile la pretesa creditoria era il presupposto della domanda di compensazione;
inoltre, la sentenza di appello ha errato là dove, pur non negando in astratto tale possibilità, ha rilevato che la parte non aveva allegato, né provato, di aver proposto domanda amministrativa all’INPS;
tale affermazione di principio, relativa alla necessità di presentare una domanda amministrativa, è errata in quanto non supportata da esplicita previsione di legge (come accade per il caso della richiesta di conguagliare somme indebitamente anticipate dal datore di lavoro, ex art. 1, comma 5, del D.L. 30 dicembre 1979 n. 663, convertito con modificazioni nella legge 29 febbraio 1980 n. 33); questa Corte ha invero ripetutamente affermato – e il Collegio non ritiene di doversi discostare dall’orientamento formatosi – che il rimborso dei contributi indebitamente versati costituisce oggetto di una obbligazione pecuniaria che trova la sua fonte nell’art. 2033 cod. civ. ed è assoggettata, nei limiti dell’intrinseca compatibilità, alle norme dettate in generale per le obbligazioni pecuniarie (v. Cass. nn. 3014-89, 1244-88, 2513-87, 2432-87, 281-87; 9399- 91);
il tema della restituzione dei contributi indebitamente versati dal datore di lavoro, quanto ai limiti di operatività in relazione alle conseguenze sulla posizione contributiva dei lavoratori, è semmai oggetto della previsione del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, art. 8, e la giurisprudenza di legittimità è consolidata (tra le tante Cass. Civ. Sez. lavoro, 22/12/1988, n. 6996 e più recentemente Cass. 09/08/2022, n.24540) nel senso di ritenere che la disposizione realizzi un meccanismo inteso a far refluire in favore dell’assicurato e non dell’INPS gli effetti della mancata restituzione dei contributi indebitamente versati, sia disponendo che, ove l’accertamento intervenga decorsi cinque anni dall’indebito versamento, i contributi stessi non sono più ripetibili e divengono computabili agii effetti dei diritto e-o della misura delle prestazioni; sia disponendo che i contributi (pur ripetibili ma) non richiesti siano restituiti all’assicurato al momento della liquidazione della pensione;
il mancato accertamento del carattere indebito dei contributi versati entro il quinquennio, provoca effetti diversi dalla mera prescrizione, in quanto il decorso del quinquennio, più che estinguere il diritto del creditore, fa sorgere in capo all’INPS un vero e proprio diritto soggettivo che prevale su quello del contribuente ed il cui contenuto consiste nell’incremento delle singole gestioni dell’INPS nell’interesse del lavoratore a cui favore i contributi divengono computabili;
in definitiva, accolti i motivi dal secondo al quinto e dichiarato inammissibile il primo motivo, la sentenza impugnata va cassata quanto ai motivi accolti; la causa va rinviata alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione affinché esamini la domanda subordinata, alla luce dei principi sopra esposti, e provveda anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.
p.q.m.
La Corte, accolti i motivi dal secondo al quinto e dichiarato inammissibile il primo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia quanto ai motivi accolti, alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 09/03/2023.
Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2023.