REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Illmi Sigg.ri Magistrati
Dott. Felice Manna – Presidente –
Dott. Linalisa Cavallino – Consigliere –
Dott. Mauro Criscuolo – Rel. Consigliere –
Dott. Antonio Mandini – Consigliere –
Dott. Stefano Oliva – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 17384-2021 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente-
contro
(OMISSIS) (OMISSIS);
-intimato-
avverso la sentenza n. 6377/2020 della CORTE D’APPELO di ROMA, depositata il 15/12/2020;
lette le memorie del ricorrente;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/10/2024 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. (omissis) (omissis) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Frosinone (omissis) (omissis) e L’Automobile S.r.l. affinché fossero condannati al risarcimento dei danni subiti dalla prioria autovettura.
Deduceva che era proprietario di una Ferrari e che in data 22 aprile 2008 in Roma aveva affidato la vettura a (omissis) (omissis), dipendente della società convenuta, affinché la portasse a Frosinone al fine di procurarne la vendita. Tuttavia, durante il tragitto, allorché il (omissis) era da solo alla guida, ne perdeva il controllo con la conseguente distruzione del mezzo.
Il giudice adito, dopo avere escluso la responsabilità della società e ciò sul presupposto che l’incarico di procacciatore d’affari fosse stato conferito al solo (omissis), e senza alcuna attinenza con le mansioni lavorative espletate presso la società, riteneva che per effetto del contratto di procacciamento di affari, il (omissis) avesse assunto la custodia del veicolo, con la conseguenza che era onerato della prova liberatoria della responsabilità.
Una volta esclusa l’ammissibilità delle prove articolate dal convenuto, dalla documentazione in atti emergeva che effettivamente il convenuto aveva perso il controllo del veicolo mentre ne era alla guida e che era ragionevolmente da escludersi, anche alla luce degli accertamenti effettuati dalla Polizia Stradale, che il sinistro fosse stato cagionato da un ostacolo fisico sulla corsia di marcia.
Il (omissis) era stato contravvenzionato per eccesso di velocità così come era da reputarsi fallita la prova liberatoria invocata dal convenuto circa l’esistenza di un caso fortuito, tuttavia, poiché l’autovettura viaggiava senza essere stata sottoposta alla revisione obbligatoria periodica, come accertato dai verbalizzanti, ricorreva anche una negligenza del proprietario che aveva permesso la circolazione del veicolo.
Per l’effetto andava affermata anche la corresponsabilità dell’attore ex art. 1227, co. 1, c.c., nella percentuale del 50 %, con la conseguenza che il convenuto andava condannato al risarcimento del danno per la residua quota.
Avverso tale sentenza ha proposto appello (omissis) (omissis) e la Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 6377 del 15 dicembre 2020 ha rigettato il gravame, osservando che l’art. 80 del CDS, che vieta la circolazione in assenza di revisione, costituisce una norma posta anche a garanzia della sicurezza della circolazione stradale, in quanto la revisione mira a garantire che il veicolo abbia i necessari requisiti di efficienza, idonei ad assicurare la circolazione senza rischi alle persone o alle cose.
La decisione dell’attore di permettere la circolazione del veicolo, sebbene privo di periodica revisione, costituisce quindi un antecedente causale del sinistro, alla cui produzione ha poi concorso anche la colpevole condotta del convenuto. Risultava poi anche incensurabile la determinazione della percentuale di corresponsabilità dell’attore, in quanto l’avere posto in circolazione un veicolo privo dei prescritti requisiti di sicurezza aveva avuto la medesima incidenza causale della condotta del convenuto.
2. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso (omissis) (omissis) sulla base di quattro motivi, illustrati da memorie.
L’intimato non ha svolto difese in questa fase.
3. Il Consigliere Delegato ha depositato proposta di definizione del giudizio ex art. 380 bis c.p.c. e nel termine di legge il ricorrente ha presentato istanza di decisione.
4. Preliminarmente, rileva la Corte che nel procedimento ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., come disciplinato dal d.lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 2024 depositata il 10.4.2024).
Sulla scorta di tale pronuncia, il cons. Mauro Criscuolo, autore della proposta di definizione ex art. 380 bis c.p.c., non versa in situazione di incompatibilità.
5. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227, co. 1, c.c., in quanto, essendo emerso il perfetto stato di manutenzione della vettura, e la professione del (omissis) (meccanico di professione), in assenza di fattori esterni, deve reputarsi che la responsabilità dell’incidente debba essere ascritta in via esclusiva al convenuto, a causa della sua imprudente condotta di guida, essendo palese l’errore commesso dai giudici di merito nell’individuare anche una corresponsabilità dell’attore sul piano causale.
Inoltre, la condotta addebitata al ricorrente costituisce sì una violazione delle norme del codice della strada, ma la stessa deve reputarsi priva di incidenza causale sul verificarsi del sinistro.
Il secondo motivo lamenta la violazione sempre dell’art. 1227, co. 1, c.c. e dell’art. 80, co. 14, CDS, nella parte in cui i giudici di merito hanno affermato la corresponsabilità del ricorrente per la sola violazione della norma del codice della strada, senza indicare quale sia stato il contributo causale della violazione al verificarsi del fatto dannoso.
Inoltre, si è trascurata la circostanza che la contravvenzione per la violazione della norma de qua è stata irrogata al (omissis).
Il terzo motivo denuncia la nullità della sentenza per la violazione degli artt. 132, co. 2, n. 4, c.p.c. nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e 111, co. 6, Cost. in quanto il ragionamento della Corte d’Appello si fonda su capisaldi del tutto incompatibili tra loro (responsabilità del (omissis) per la fuoriuscita di strada della vettura, stante la sua condotta imprudente e la corresponsabilità del ricorrente per l’assenza di revisione della vettura), il che rende la motivazione assolutamente apparente, e quindi affetta da nullità.
Il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227, co. 1, c.c., nonché la nullità della sentenza per difetto di motivazione, quanto al rigetto della doglianza relativa all’individuazione della percentuale di corresponsabilità dell’(omissis), in quanto, anche a voler ammettere un concorso di colpa, la condotta della controparte appare indubbiamente connotata da maggiore gravità ed incidenza causale, così che non si legittima il riparto paritario della responsabilità causale dell’accaduto.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono privi di fondamento.
La tesi del ricorrente parte dall’assunto, frutto di personale convincimento, e che non trova obiettivo riscontro nella motivazione della sentenza impugnata, secondo cui sarebbe stata accertata l’esclusiva responsabilità del conducente nella causazione dell’incidente che ha coinvolto la vettura dell’attore.
In realtà, i giudici di merito, con valutazione conforme in entrambi i gradi, hanno evidenziato che le prove offerte dal conducente al fine di superare la presunzione di responsabilità posta dall’art.2054 c.c. o comunque dettata dall’art. 1218 c.c. nei rapporti interni con il proprietario, dal quale la vettura gli era stata affidata, erano inidonee, ma hanno sottolineato come in realtà non fosse possibile accertare con sicurezza quale fosse stato il fattore causale determinante il sinistro.
É del pari frutto di una personale convinzione del ricorrente quella secondo cui l’autovettura avesse uno stato perfetto di manutenzione (atteso che anche la CTU di cui si riferisce in ricorso è stata condotta non già sul veicolo, andato completamente distrutto, ma su archivi elettronici), così che è stata messa in evidenza la circostanza che i verbalizzanti hanno contravvenzionato il (omissis), che al momento del fatto era alla guida del veicolo, sia per eccesso di velocità sia per aver fatto circolare una vettura al momento priva di revisione obbligatoria. Quest’ultima però costituisce una condotta il cui addebito deve essere fatto risalire anche al proprietario della vettura, in ragione dell’assolutezza del divieto posto dal co. 14 dell’art. 80 del CDS, che, nella versione applicabile ratione temporis, non permetteva nemmeno lo spostamento del veicolo al solo fine di permettere l’esecuzione della revisione periodica.
Correttamente è stato affermato che, se sussisteva una responsabilità del conducente, anche alla luce della presunzione di cui all’art. 2054, co. 1, c.c., del pari doveva ipotizzarsi un concorso di responsabilità del proprietario per avere permesso la circolazione del veicolo, pur nella consapevolezza che lo stesso, per l’assenza della prescritta revisione, non potesse essere posto in circolazione.
Trattasi di prescrizione che, come sottolineato dalla Corte d’Appello, è posta a presidio della sicurezza della circolazione stradale, posto che solo tramite la revisione può essere verificato lo stato manutentivo del veicolo con il decorrere del tempo, e quindi la sua idoneità a poter circolare, verificando che le sue condizioni non determinino un incremento del pericolo insito nella circolazione stradale.
In tal senso rileva la giurisprudenza di legittimità che per i veicoli che non abbiano passato la revisione periodica ha escluso anche la circolazione in prova (Cass. n. 16310/2016), potendosi unicamente invocare lo stato di necessità, costituito da una effettiva situazione di pericolo imminente di danno grave alla persona, non altrimenti evitabile, ovvero l’erronea persuasione di trovarsi in tale situazione, persuasione provocata da circostanze oggettive (Cass. n. 4710/1999).
Ne consegue che il proprietario avrebbe dovuto astenersi sia dal mettere personalmente in circolazione sia dal permettere che altri lo facessero, così che avere consentito al Bufalini di condurre la vettura da Roma a Frosinone, al fine di procurarne la vendita, in presenza di una situazione di contrasto con le regole precauzionali poste in maniera assoluta dal CDS, implica che questi si sia volontariamente esposto ad un rischio, nella consapevolezza di porsi in una situazione da cui consegua la probabilità che si produca a proprio danno un evento pregiudizievole, il che rende incensurabile l’affermazione di corresponsabilità del danneggiato, ed impone di ridurre, proporzionalmente, la responsabilità del danneggiante, in quanto viene a costituire un antecedente causale necessario del verificarsi dell’evento, ai sensi dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., e, a livello costituzionale, risponde al principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost. avuto riguardo alle esigenze di allocazione dei rischi (riferibili, nella specie, all’ambito della circolazione stradale) secondo una finalità comune di prevenzione, nonché al correlato obbligo di ciascuno di essere responsabile delle conseguenze dei propri atti (Cass. n. 11698/2014, richiamata in motivazione; Cass. n. 1295/2017, secondo cui il fatto colposo del danneggiato, rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 1227, comma 1, c.c., deve connettersi causalmente all’evento dannoso, non potendo quest’ultimo essere pretermesso nella ricostruzione della serie causale giuridicamente rilevante, né potendosi collegare direttamente la condotta colposa del danneggiato con il danno da lui patito; ne consegue che non ogni esposizione a rischio da parte del danneggiato è idonea a determinarne un concorso giuridicamente rilevante, all’uopo occorrendo, al contrario, che tale condotta costituisca concreta concausa dell’evento dannoso).
Analogamente di recente è stato affermato che (Cass. n. 1386/2023, che ha superato Cass. n. 27010/2005, richiamata dalla difesa del ricorrente nelle memorie)la consapevolezza della persona trasportata che il conducente sia sotto l’effetto di alcol o di altre sostanze eccitanti, pur non potendo determinare l’assoluta esclusione del suo diritto alla tutela assicurativa, costituendo però una esposizione volontaria ad un rischio, è idonea ad integrare una corresponsabilità del danneggiato ed a ridurre, proporzionalmente, la responsabilità del danneggiante, ponendosi come antecedente causale necessario del verificarsi dell’evento ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c.. (conf. Cass. n. 11095/2020, a mente della quale la messa in circolazione di un veicolo in condizioni di insicurezza – nella specie, un autoveicolo con a bordo un trasportato senza le cinture di sicurezza allacciate – essendo ricollegabile all’azione o omissione non solo del conducente – il quale, prima di iniziare o proseguire la marcia, deve controllare che questa avvenga in conformità delle normali regole di prudenza e sicurezza -ma anche del trasportato, che ha accettato i rischi della circolazione, implica un’ipotesi di cooperazione colposa dei predetti nella condotta causativa dell’evento dannoso, così che, in caso di danni al trasportato medesimo, la condotta di quest’ultimo, sebbene non sia idonea, di per sé, ad escludere la responsabilità del conducente, né a costituire valido consenso alla lesione ricevuta, vertendosi in materia di diritti indisponibili, può costituire, tuttavia, un contributo colposo alla verificazione del danno, la cui quantificazione in misura percentuale è rimessa all’accertamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se correttamente motivato).
Alla luce di tali principi, pur ad ammettere che la condotta imprudente di guida del convenuto abbia concorso a determinare il sinistro, nella serie causale riveste rilevanza decisiva anche la decisione a monte del ricorrente di permettere la messa in circolazione di un veicolo che era rovo dei requisiti che ne legittimavano la circolazione, e proprio in ragioni di esigenze di prevenzione finalizzate ad impedire il verificarsi di eventi quale quello poi accaduto (e senza che tale conclusione possa reputarsi inficiata dal fatto che sia stato, in conformità delle regole del codice della strada, sanzionato in via amministrativa colui che al momento è stato rinvenuto alla guida del veicolo).
Deve pertanto reputarsi incensurabile l’affermazione di corresponsabilità del ricorrente, e occorre altresì rilevare l’infondatezza delle censure che investono l’iter motivazionale della sentenza impugnata che invece si mostra ampiamente satisfattiva del principio del cd. minimo costituzionale della motivazione (Cass. S.U. n. 8053/2014).
Quanto invece alla critica che investe la determinazione della percentuale di responsabilità ascrivile al ricorrente, va ricordato che l’accertamento in termini percentuali del concorso di colpa della vittima nella causazione del danno costituisce il frutto di un procedimento logico e non matematico e, come tale, è insuscettibile di giustificazione analitica; ne consegue che colui il quale si dolga in sede di legittimità del relativo accertamento compiuto dal giudice di merito non può limitarsi a dedurre il vizio di motivazione, ma deve far emergere la contraddittorietà tra l’espressione percentuale del concorso di colpa e le osservazioni logiche che la sorreggono (Cass. n. 12676/2024), essendosi altresì affermato che la quantificazione in misura percentuale del contributo colposo della vittima alla causazione del danno è rimessa all’accertamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se correttamente motivato (Cass. n. 33771/2019).
6. Il ricorso va, pertanto, rigettato, nulla dovendosi disporre quanto alle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., vanno applicati –come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis c.p.c.– il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento di una ulteriore somma ‒nei limiti di legge‒ in favore della cassa delle ammende.
Con riferimento all’applicazione dell’art. 96 c.p.c. va data continuità al principio secondo cui “In tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) –che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c.– codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché non attenersi ad una valutazione del proponente poi confermata nella decisione definitiva lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente” (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023).
7. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento della somma di € 2.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 15 ottobre 2024.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2024.