Costretto alla detenzione domiciliare, viene trovato nel terreno adiacente alla casa: condannato per evasione (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 22 novembre 2022, n. 44425).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Presidente –

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere –

Dott. DI GERONIMO Paolo – Rel. Consigliere –

Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere –

Dott. DI GIOVINE Ombretta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(OMISSIS) Sabatino, nato a Pescara il 27/3/19xx;

avverso la sentenza emessa il 7/2/2022 dalla Corte di appello di L’Aquila;

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

udita la relazione del consigliere Dott. Paolo Di Geronimo;

letta le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Perla Lori, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. la Corte di Appello di L’Aquila confermava la condanna di Sabatino (OMISSIS) in ordine al reato di cui all’art. 385 cod. pen., commesso mediante allontanamento dall’abitazione nella quale si trovata ristretto in regime di detenzione domiciliare.

2. Avverso la suddetta sentenza, il ricorrente ha formulato un unico motivo di ricorso con il quale deduce cumulativamente violazione di legge e vizio di motivazione.

In particolare, si deduce che (OMISSIS) veniva sorpreso all’esterno della propria abitazione, ma su un terreno immediatamente adiacente, sicché non vi era stato un effettivo allontanamento.

Aggiungeva il ricorrente che, tra le prescrizioni imposte con il provvedimento che disponeva la detenzione domiciliare, non vi era alcun cenno al divieto di permanere nella corte adiacente l’abitazione e, quindi, doveva escludersi la configurabilità stessa del reato. In ogni caso, il ricorrente chiedeva il riconoscimento della particolare tenuità del fatto.

3. Il procedimento è stato trattato in forma cartolare, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.I. n. 137 del 2020 e art. 7 d.l. 23 luglio 2021, n. 105.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2. Il ricorrente invoca l’applicazione del principio giurisprudenziale secondo cui, nell’ordinanza con la quale si applicano gli arresti domiciliari, il giudice può circoscrivere la nozione di abitazione, inibendo l’accesso a pertinenze della stessa, altrimenti fruibili. Si assume che in difetto di tale delimitazione, il soggetto ristretto in detenzione domiciliare legittimamente potrebbe intrattenersi anche in zone pertinenziali dell’abitazione.

2.1. La tesi non si confronta con la descrizione del fatto contenuta nella sentenza impugnata, nella quale si specifica che il (OMISSIS) si trovava lungo una stradina posta a cica 30 metri dalla sua abitazione, senza indicare in alcun modo che tale luogo fosse una pertinenza esclusiva dell’immobile nel quale il ricorrente era in stato di detenzione.

In ogni caso, si rileva come per consolidata giurisprudenza si ritiene che agli effetti dell’art. 385 cod. pen. deve intendersi per abitazione lo spazio fisico delimitato dall’unità abitativa in cui la persona conduce la propria vita domestica, con esclusione di ogni altra pertinenza, ad eccezione di quegli ambiti parzialmente aperti (balconi, terrazzi) o scoperti (cortili interni, chiostrine) che costituiscano parte integrante dell’unità immobiliare, in quanto la detenzione domiciliare deve svolgersi secondo modalità analoghe a quelle della misura intra muraria.

Tale principio è stato affermato in un caso di condanna emessa nei confronti di soggetto sorpreso in abbigliamento casalingo, sulla strada adiacente l’abitazione ed all’esterno della recinzione che delimitava l’immobile, intento a spazzare il cancello ed a liberare il binario di scorrimento che ne impediva la chiusura. (Sez. 6, n. 47317 del 28/102016, Di Carlo, Rv. 268500).

2.2. Né ha pregio il richiamo difensivo al principio affermato da questa sezione 2 secondo cui è consentito al giudice di “circoscrivere” la nozione di abitazione inibendo l’accesso alle pertinenze, altrimenti fruibili, qualora la stessa, genericamente intesa, non sia idonea, per le caratteristiche logistiche, a salvaguardare le esigenze cautelari del caso concreto (Sez.6, n. 32371 del 27/3/2019, Tomasso, Rv. 276800).

Si tratta, invero, di un principio che risente della fattispecie concreta oggetto della pronuncia, relativa ad un caso in cui gli arresti domiciliari erano stati disposti all’interno di una villa recintata con giardino di esclusiva pertinenza.

La pronuncia richiamata non ha affatto affermato che, nel disporre la detenzione domiciliare, il giudice sia tenuto a specificare l’ambito della abitazione, né, tanto meno, è sempre necessario indicare se e quali luoghi pertinenziali siano liberamente fruibili dal detenuto.

La misura restrittiva domiciliare, infatti, va riferita all’abitazione in quanto tale, comprensiva di quelle pertinenze (balconi, terrazzi) che presentino una intrinseca separazione verso l’esterno, non occorrendo che nel divieto di allontanamento siano specificamente indicati quei luoghi che, pur potendo costituire pertinenze dell’immobile in senso civilistico, rappresentano comunque luoghi aperti e strutturalmente distinti dall’abitazione intesa in senso proprio.

3. Manifestamente infondata è la doglianza relativa al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, avendo la Corte di appello reso una motivazione puntuale e specifica sul punto.

È stata correttamente valorizzata la circostanza che l’imputato non solo si trovava al di fuori della sua abitazione, ma era stato sorpreso in compagnia di due pregiudicati, in tal modo contravvenendo anche al divieto di intrattenere rapporti con terzi gravati da precedenti penali.

Il giudizio di esclusione della tenuità del fatto, pertanto, è stato correttamente svolto con una motivazione che, afferendo al merito, non è sindacabile in questa sede.

4. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Casa delle ammende.

Così deciso il 4 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.