Delitto di rapina. Liste testimoniali tardive: il giudice può ammetterle d’ufficio (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 2 febbraio 2022, n. 3720).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VERGA Giovanna – Presidente –

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere –

Dott. PERROTTI Massimo – Rel. Consigliere –

Dott. CIANFROCCA Pierluigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

(OMISSIS) NICCOLO’ nato a PESARO il 15/11/19xx;

(OMISSIS) ANDREA nato a AOSTA il 18/10/19xx;

(OMISSIS) BARBARA nato a SAVIGLIANO il 06/04/19xx;

(OMISSIS) LUIGI nato a GATTINARA il 01/10/19xx;

(OMISSIS) PAOLO nato a CARIGNANO il 12/04/19xx;

(OMISSIS) DARIO nato a CERNUSCO SUL NAVIGLIO il 20/04/19xx;

(OMISSIS) ENRICO ANTONIO nato a TORINO il 17/06/19xx;

avverso la sentenza del 11/09/2019 della CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MASSIMO PERROTTI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa VALENTINA MANUALI che ha concluso chiedendo l’inammissibilità di tutti i ricorsi;

udito i difensori:

L’avvocato (OMISSIS) CLAUDIO, in difesa di (OMISSIS) NICOLO’, (OMISSIS) ANDREA, (OMISSIS) LUIGI, (OMISSIS) PAOLO e (OMISSIS) ENRICO ANTONIO, dopo breve dibattimento, chiede l’accoglimento del ricorso.

L’avvocato (OMISSIS) GIANLUCA, in difesa di (OMISSIS) BABARA e (OMISSIS) DARIO, dopo breve dibattimento, chiede l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Torino confermava l’affermazione di responsabilità per il delitto di rapina di cui al capo 1 nei confronti di Niccolò (OMISSIS), Andrea (OMISSIS), Barbara (OMISSIS), Luigi (OMISSIS), Paolo (OMISSIS), Dario (OMISSIS) ed Enrico Antonio (OMISSIS), dichiarava estinti i reati di cui ai capi 2 e 3, per intervenuta prescrizione (eliminandone le conseguenze sanzionatorie), applicava i doppi benefici di legge a Barbara (OMISSIS), Dario (OMISSIS), E.A. (OMISSIS) e Luigi (OMISSIS), e confermava nel resto la sentenza emessa in data 20 maggio 2016 dal tribunale del medesimo capoluogo.

1.1. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso i difensori degli imputati, deducendo i motivi in appresso sinteticamente riportati, secondo quanto prescrive l’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen..

2. Barbara (OMISSIS) e Dario (OMISSIS),

2.1. inosservanza della legge processuale prevista a pena di nullità ed inutilizzabilità (art. 606, comma 1, lett. c, in relazione agli artt. 507, comma 1 e 113, cod. proc. pen.), avendo la Corte di merito rigettato il motivo di gravame con il quale era stata chiesta la declaratoria di nullità della ordinanza emessa in data 5 maggio 2016 dal tribunale, ovvero la inutilizzabilità della testimonianza rinnovata il 20 maggio successivo dal teste (OMISSIS); ed invero, la Corte aveva ritenuto ineludibile la rinnovazione della escussione giacché nella precedente occasione non erano stati registrati, trascritti o comunque riportati a verbale i nomi dei soggetti che il teste aveva identificato presso la mensa dell’Università di Torino il 28 gennaio 2011, in occasione della occupazione, nel corso della quale erano stati sottratti e consumati, senza corrispettivo, alimenti e bevande; la difesa riteneva invece che la obiettiva impossibilità di ascoltare e trascrivere i nomi pronunciati dal teste nel corso della precedente escussione doveva essere verificata dal tribunale nel contraddittorio (riascoltando il nastro) e, solo dopo aver esperito ogni tentativo per tentare di recuperare l’informazione auditiva, il tribunale avrebbe potuto eventualmente rinnovare l’atto ma solo su circostanze diverse da quelle oggetto della precedente escussione (nei termini la difesa richiama giurisprudenza di questa stessa Sezione, n. 54274, del 4/10/2016, Rv. 268857); la novella integrale escussione del medesimo teste già ascoltato in precedenza costituirebbe pertanto nullità di ordine generale a regime intermedio, che la difesa aveva fatto valere con l’atto di gravame proposto nel merito; in ogni caso il vizio che colpisce la prova è quello della radicale inutilizzabilità, atteso che la prova è stata rinnovata in violazione di una precisa norma processuale che regola l’ammissione extra ordinem della prova ad iniziativa del giudice;

2.2. violazione della legge penale sostanziale e vizio esiziale di motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione concorsuale di (OMISSIS) e (OMISSIS) alle azioni materialmente commesse da altri senza loro evidente condivisione o partecipazione; del resto, la condotta ostruzionistica da costoro tenuta nei confronti dell’ag.te di p.g. presente ai fatti in nulla favoriva o facilitava la condotta sottrattiva commessa da altri ignoti;

2.3. i medesimi vizi afferiscono alla qualificazione giuridica del fatto di rapina, per intima contraddittorietà della motivazione ed illogicità manifesta, atteso che molti altri partecipi ai disordini del 28 gennaio erano stati mandati assolti in primo grado proprio perché non si riteneva provata la condotta sottrattiva e minatoria tenuta in quel contesto alimentare; al più infatti le condotte tenute potevano qualificarsi in termini di violenza privata, ai sensi dell’art.610 cod. pen.;

E.A. (OMISSIS), Andrea (OMISSIS), Paolo (OMISSIS), Niccolò (OMISSIS), Luigi (OMISSIS);

2.4. violazione e falsa applicazione della legge penale incriminatrice e vizio esiziale di motivazione per avere il giudizio di merito riconosciuto nei fatti il delitto di rapina, laddove difettano sia la condotta violenta o minatoria che la sottrazione di beni con finalità di profitto.

Difetterebbero, comunque, nella condotta contestata, tanto le minacce ultimative, quanto la finalità di trarre ingiusto profitto dalla sottrazione, mentre è rimasta provata la totale estraneità del (OMISSIS) alle condotte consumate dagli altri all’interno della mensa.

2.5. Con i motivi aggiunti trasmessi a mezzo p.e.c. in data 12 ottobre u.s. il difensore ribadisce l’assenza nella condotta tenuta dai ricorrenti del profili minatorio, non potendosi differenziare la condotta tenuta da costoro e quella tenuta gli altri imputati assolti in primo grado, la Corte che invece ha mantenuto tale del tutto illogico e non percepibile distinguo avrebbe pertanto violato anche le disposizioni normative dettate in tema di concorso di persone nel reato.

COSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono nel loro complesso infondati e vanno rigettati.

1.1. Infondato è il primo motivo (processuale).

Con esso il difensore insiste nell’eccepire la nullità della ordinanza adottata dal tribunale, ex art. 507, comma 1, cod. proc. pen., in data 5 maggio 2016, oltre alla inutilizzabilità della trascrizione della rinnovata escussione assunta il successivo 20 maggio.

L’argomento di censura ha formato oggetto del primo motivo di gravame proposto avverso la sentenza di primo grado.

La Corte territoriale ha rigettato il motivo di gravame ritenendo in fatto che la rinnovazione dell’atto istruttorio fosse ineludibile, in quanto assolutamente necessario al fine di assumere la prova della corretta identificazione delle persone presenti ai fatti del 28 gennaio 2011, tali indicazioni nominative non potevano rinvenirsi né dalla lettura del verbale di udienza, ove i nominativi non erano stati trascritti, né dal riascolto del file audio, atteso che già la trascrizione ufficiale della registrazione dava atto della inaccessibilità auditiva dei dati onomastici atti alla identificazione dei soggetti presenti nel luogo teatro dei fatti.

La rinnovazione dell’esame testimoniale si rendeva pertanto, sul punto, assolutamente necessaria. Il che rende ragione anche della fallacia dell’argomento di inammissibilità proposto dal P.G. in udienza, trattandosi dell’unico elemento essenziale per addivenire alla identificazione degli imputati, superandosi così la richiesta “prova di resistenza”.

1.1.1. Rileva preliminarmente il Collegio che l’argomentazione in fatto della Corte di merito appare logica e coerente con le risultanze istruttorie.

La difesa, per dar corpo al motivo spiegato avrebbe dovuto allegare al ricorso, non già i verbali di trascrizione delle udienze dibattimentali di primo grado, ma i file audio atti a dimostrare che la rinnovazione era superflua, potendo invece provvedersi al più attento ascolto del file audio e trarre da quella traccia gli elementi ritenuti indispensabili ai fini del decidere.

Tale allegazione difetta, il motivo si rivela pertanto, sotto questo profilo, del tutto privo della necessaria specificità. Era dunque necessario rinnovare l’atto istruttorio, non potendosi ricostruire la traccia fonica già registrata al fine di fare chiarezza sui nominativi indicati.

1.1.2. La parte ricorrente era inoltre presente all’atto della adozione della ordinanza istruttoria (ud. del 5 maggio 2016), trattandosi di nullità a regime intermedio l’eccezione (ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen.) avrebbe dovuto precedere l’atto e ove ciò non fosse possibile, seguirla immediatamente, il che non risulta, né dagli atti allegati ai motivi di ricorso, né da quelli trasmessi ed accessibili alla Corte in ragione del vizio processuale dedotto.

Consegue la intervenuta sanatoria della nullità dedotta per la pria volta con i motivi di appello.

1.1.3. Ma v’è di più: la parte che deduce la nullità del rinnovato atto istruttorio non accompagna la deduzione con l’argomento sostanziale del pregiudizio effettivo recato alla difesa dalla disposta rinnovazione.

Non viene dedotto, in altri termini, quale concreto vulnus tale dedotta nullità avesse prodotto alla difesa la rinnovazione dell’atto istruttorio.

Si trattava, come poco sopra detto, di incombente stimato dal giudice del merito come assolutamente necessario ai fini del decidere e non altrimenti ovviabile; il sistema processuale, del resto conosce altre forme di necessaria rinnovazione dell’esame reso nel contraddittorio (nel caso in cui muti la composizione soggettiva del collegio giudicante), senza che tale rinnovazione rechi alcun pregiudizio alla difesa.

Il motivo difetta pertanto anche della argomentazione del necessario interesse che deve accompagnare sempre la impugnazione (art. 586, comma 4, cod. proc. pen.), oltre che la deduzione della nullità (art. 182, comma 1, cod. proc. pen.).

1.1.4. In ogni caso lo strumento scelto dal tribunale per acquisire l’elemento ritenuto assolutamente indispensabile, non può ritenersi “eversivo” rispetto al sistema processuale.

Secondo consolidato orientamento di legittimità, il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, previsto dall’art. 507, comma 1, cod. proc. pen., non può essere limitato a quei mezzi di prova aventi carattere di novità nel senso che non avrebbero potuto essere richiesti dalle parti al momento del deposito delle liste testimoniali, poiché il requisito della “novità” si riferisce sia ai mezzi di prova non introdotti precedentemente, sia a quelli provenienti da fonti probatorie già esaminate, ma su circostanze e contenuti differenti (Sez. 2, n. 54274 del 04/10/2016, Altana, Rv. 268857; Sez. 6, n. 10561 del 16/03/1998, Grimaldi, Rv. 211719).

In una tale prospettiva, è stato, altresì, affermato che il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova può essere legittimamente esercitato dal giudice anche con riferimento a quelle prove in ordine alla cui ammissione si sia verificata la decadenza delle parti per omesso tempestivo deposito della lista testimoniale, ai sensi dell’art. 468, comma 1, cod. proc. pen. (ex plurimis Sez. 5, n. 32017 del 16/03/2018, Parnoffo, Rv. 273643; Sez. 4, n. 22033 del 12/04/2018, Militello Rv. 273267; Sez. I, n. 3979 del 28/11/2013, P.G. in proc. 1-15221-2020 Milano, Rv. 259137).

Ed invero, sebbene la formazione della prova in dibattimento sia rimessa al potere di indicazione e richiesta delle parti, nonché sottoposta a precise regole per assicurarne la discovery, sì da consentire la piena esplicazione del diritto di difesa attraverso l’esercizio del diritto alla prova contraria (pacificamente esercitato nella concreta fattispecie processuale), tuttavia il principio dispositivo in materia di prova non è incondizionato.

Tale principio, enunciato all’art. 190 del codice di rito, conosce molteplici eccezioni attraverso il riconoscimento dei poteri istruttori d’ufficio nel giudizio dibattimentale (art. 507 cod. proc. pen.), nel giudizio di appello (art. 603 comma 3 cod. proc. pen.) e nel giudizio abbreviato (art 441, comma 5, cod. proc. pen.).

Tali deroghe sono state ritenute compatibili con il principio del contraddittorio affermato dall’art. 111, comma 2, della Costituzione, in quanto anche la prova testimoniale ammessa d’ufficio a norma dell’art. 507 cod. proc. pen. è assunta – al pari della prova ammessa su richiesta delle parti – nel rispetto delle regole del contraddittorio e secondo la modalità dell’esame diretto e del controesame stabilite dall’art. 498 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 41281 del 17/10/2006, P.M. in proc. Greco, Rv. 234907; Sez. U, n. 11227 del 06/11/1992, Martin, Rv.191606).

In tal senso, il potere del giudice di assunzione, anche d’ufficio, dei mezzi di prova può essere esercitato anche ove trattasi di prove dalle quali le parti siano decadute – per mancata o irrituale indicazione nella lista di cui all’art. 468 cod. proc. pen. – dovendo intendersi per prove “nuove” ai sensi dell’art. 507 (e, correlativamente, dell’art. 603) tutte quelle precedentemente non disposte, siano esse preesistenti o sopravvenute, conosciute, conoscibili ovvero sconosciute.

E siffatto potere suppletivo non trova ostacolo nella circostanza che non vi sia stata alcuna acquisizione probatoria ad iniziativa delle parti, dato che la locuzione “terminata l’acquisizione delle prove” indica non il presupposto per l’esercizio del potere del giudice, ma solo il momento dell’istruzione dibattimentale a partire dal quale – nell’ipotesi in cui tali acquisizioni vi siano state – può avvenire l’assunzione delle nuove prove (ibidem, Rv.191606).

Tale assetto processuale è stato ritenuto (Corte cost. n. 111 del 26 marzo 1993) conforme ai principi della Carta, in quanto nel sistema accusatorio – i cui princìpi cardine si rinvengono nell’oralità, nel contraddittorio nella formazione della prova e nella accentuata terzietà del giudice – non può trascurarsi che «”fine primario ed ineludibile del processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità” (sentenza n. 255 del 1992), e che ad un ordinamento improntato al principio di legalità (art. 25, secondo comma, della Costituzione) – che rende doverosa la punizione delle condotte penalmente sanzionate – nonché al connesso principio di obbligatorietà dell’azione penale (cfr. sentenza n. 88 del 1991 cit.) non sono consone norme di metodologia processuale che ostacolino in modo irragionevole il processo di accertamento del fatto storico necessario per pervenire ad una giusta decisione (cfr. la sentenza n. 255 del 1992)».

Deve quindi affermarsi che il potere officioso del giudice di disporre l’assunzione di nuovi mezzi di prova, esercitato nel perseguimento dell’interesse della ricerca della verità in vista della punizione delle condotte penalmente sanzionate, non trova limitazione nel potere dispositivo in materia di prove delle parti ed è esercitabile anche per l’assunzione di prove da cui le parti siano decadute, cui abbiano rinunciato o non abbiano richiesto, purché ne ricorra l’assoluta necessità (nei termini Sez. 5., n. 556, del 22/11/2018, dep. 2019, n.m., P.G. in proc. Chacon; ibidem, n. 38222, del 25/5/2017, n.m., La Gaipa), compresa l’ipotesi, certamente meno lesiva dei diritti della difesa, in cui debba rinnovarsi l’istruttoria dibattimentale a causa di un inconveniente tecnico nella registrazione o nella verbalizzazione.

Alla stregua di siffatti principi, pienamente condivisi dal Collegio, deve affermarsi che il potere officioso del Giudice di disporre l’assunzione di nuovi (o rinnovati) mezzi di prova esercitato nel perseguimento dell’interesse della ricerca della verità in vista dell’accertamento di condotte descritte in imputazione, non trova un limite nel potere dispositivo in materia di prove delle parti ed è esercitabile anche per la rinnovazione di esame già compiuto, purché ne ricorra l’assoluta necessità.

Correttamente, pertanto, il tribunale ha disposto l’ammissione della rinnovata prova testimoniale, stante la ritenuta indispensabilità della rinnovazione dell’atto ai fini della decisione.

1.2-3-4. Quanto ai successivi motivi di ricorso, la Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette, esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha qualificato in termini di rapina aggravata i fatti accertati, valorizzando le dichiarazioni costanti e coerenti rese dai testi presenti e gli aspetti inequivoci delle singole, personali condotte, esplicitamente evidenziati in motivazione.

1.2.–.1. A fronte della doppia decisione conforme di condanna, fondata su congruo e non contraddittorio ordito motivazionale, inammissibili si rivelano le doglianze svolte in merito alla ricostruzione dei fatti, alla consistenza del compendio probatorio ed al travisamento della prova, in quanto tutte si risolvono nella inammissibile richiesta di valutazione della capacità dimostrativa delle prove già assunte nel merito, che è esclusa dal perimetro che circoscrive la giurisdizione di legittimità.

Il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest’ultima:

a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

c) non sia intimamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Cass. sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Rv. 251516); segnatamente: non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Cass. sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).

1.2.–.2. Poste tali premesse di metodo e di limite, va ribadito che la Corte di merito, la cui motivazione si fonde e si integra con quella consonante del giudice di primo grado, ha spiegato in maniera chiara, logica e coerente che, nella complessiva valutazione di coerenza, continuità sostanziale e non contraddizione del narrato, i testi assunti nel merito hanno reso dichiarazioni assolutamente veridiche e genuine, nel descrive una aggressione connotata da prepotente plurisoggettività, determinata a conseguire lo scopo della spoliazione ed organizzata in più diverse frange (tra loro osmoticamente concorrenti), alcune delle quali occupavano i luoghi della distribuzione alimentare, con acceso ai banchi frigo ed agli scaffali da depredare, mentre altri si occupavano di impedire alle unità di p.g. presente di accedere al locale mensa anche al solo fine di identificare gli autori della predazione.

1.2.–.3. Né può accedersi alla tesi prospettata con i motivi di ricorso, caratterizzati dall’erroneo comune presupposto del deficit di finalità di profitto (personale o di altri).

Sul punto, la conforme motivazione resa nei due gradi di merito ha già chiarito che la tesi prospettata con il motivo di ricorso si scontra con la avvenuta “consumazione” della condotta di profitto concretizzatasi nella mancata corresponsione del corrispettivo dovuto anche per la sottrazione di alimenti dai banchi e dagli scaffali.

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta i ricorsi, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.