Denunciare un collega, tecnico comunale, che poi è stato assolto non è calunnia (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 28 dicembre 2023, n. 36266).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

composta dai signori magistrati:

dott. Giacomo TRAVAGLINO -Presidente

dott. Lina RUBINO -Consigliere Rel.

dott. Marco ROSSETTI -Consigliere

dott. Augusto TATANGELO -Consigliere

dott. Raffaele ROSSI -Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n.29392/2021 R.G. proposto da:

(omissis) (omissis), elettivamente domiciliato in ROMA VIA (omissis) (omissis) 44, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (omissis) (omissis);

-ricorrente-

contro

(omissis) (omissis), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis);

-controricorrente-

nonchè contro

(omissis) (omissis);

-intimato-

avverso SENTENZA d ella CORTE D’APPELLO di PALERMO n. 600/2021depositata il 21/04/2021.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/11/2023 dal Consigliere Dott.ssa LINA RUBINO.

FATTI DI CAUSA

1. (omissis) (omissis) propone ricorso per cassazione, articolato in due motivi, nei confronti di (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), per la cassazione della sentenza n. 600\2021 emessa dalla Corte d’appello di Palermo, pubblicata il 21.4.2021, con la quale la corte d’appello, in solo parziale accoglimento dell’appello del (omissis), compensava le spese del primo grado di giudizio e, compensando anche le spese del grado di appello, per il resto confermava il rigetto della domanda di risarcimento dei danni per diffamazione proposta dal ricorrente nei confronti degli attuali controricorrenti.

2. Resiste il (omissis) con controricorso.

Il (omissis) non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Nessuna delle parti ha depositato memoria.

3. Questa la vicenda processuale, per quanto ancora di rilievo in questa sede: (omissis) (omissis), tecnico comunale, veniva tratto a giudizio per i reati di falso ideologico in concorso, in relazione ad alcune pratiche di sanatoria edilizia da lui istruite, a seguito delle dichiarazioni rese dai colleghi (omissis) e (omissis) ai sensi dell’art. 351 c.p.p.

Era prosciolto dopo essere stato sottoposto a tre procedimenti penali, per uno dei quali l’assoluzione giungeva in sede di rinvio dopo il giudizio di legittimità, dopo aver riportato una condanna a pena non sospesa, perché il giudice del rinvio escludeva che esistessero prove idonee a fondare una falsificazione volontaria, da parte del (omissis), della realtà documentale.

3.1. Conclusi i procedimenti penali, il (omissis) evocava in causa il (omissis), responsabile dell’ufficio sanatorie edilizie del Comune di Palermo ove prestava servizio all’epoca dell’inchiesta penale, e il (omissis), tecnico comunale che lo aveva sostituito dopo il suo trasferimento ad altro ufficio dello stesso Comune, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, assumendo che i procedimenti penali era no stati instaurati nei suoi confronti a causa delle dichiarazioni calunniose rese dai suddetti in sede di sommarie informazioni testimoniali (s.i.t.).

3.2. Il tribunale rigettava la domanda e la Corte d’appello di Palermo confermava il rigetto, osservando che la denuncia di un reato perseguibile d’ufficio o la proposizione di una querela per un reato perseguibile solo su iniziativa di parte possono costituire fonte di responsabilità civile a carico del denunciante o querelante, in caso di successivo proscioglimento o assoluzione, solo ove contengano sia l’elemento oggettivo che l’elemento soggettivo del reato di calunnia poiché al di fuori di tale ipotesi l’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale si sovrappone all’iniziativa del denunciante o querelante interrompendo ogni nesso causale tra tale iniziativa e il danno eventualmente subito dal denunciato.

Aggiungeva che la presentazione della denuncia di un reato costituisce adempimento di un dovere, rispondente a un interesse pubblico, che risulterebbe frustrato dalla possibilità di andare incontro a responsabilità in caso di denunce semplicemente inesatte o rivelatesi infondate (e richiamava in tal senso Cass. n.11271 del 2020).

3.3. Premesso ciò, la corte d’appello sottolineava l’irrilevanza, ai fini della configurabilità o meno di un comportamento calunnioso da parte degli appellati, del la sussistenza o meno di errori in capo al (omissis) nella gestione delle pratiche urbanistiche.

La Corte escludeva quindi che il (omissis) avesse dolosamente sostenuto che il (omissis) aveva commesso ripetutamente e volontariamente degli errori nell’istruzione delle pratiche di sanatoria edilizia affidategli, allo scopo di favorire il rilascio di concessioni in sanatoria.

3.4. Osservava per contro che le valutazioni effettuate dal (omissis) facevano parte dei suoi dover i d’ufficio, trattandosi di pratiche che gli erano state assegnate per essere nuovamente esaminate da parte del capo ufficio dott. (omissis) dopo il trasferimento del (omissis) ad altro ufficio, in ordine alle quali era quindi tenuto ad effettuare una propria valutazione, ed escludeva che emergesse un qualche movente che potesse aver indotto il (omissis) a smentire volutamente il collega, nei cui confronti non era emerso alcun motivo di rancore o di rivalità.

3.5. La Corte d’appello escludeva ogni responsabilità anche in capo al (omissis), responsabile dell’ufficio sanatorie edilizie del Comune di Palermo, che si era limitato ad esercitare i suoi poteri di vigilanza e controllo, in quanto responsabile dell’ufficio trasferendo il (omissis) ad altro settore sia per il normale avvicendamento sia perché aveva dei sospetti, manifestati in sede di s.i.t., di inappropriata gestione delle pratiche, fondati su una eccessiva frequentazione da parte del pubblico dell’ufficio gestito dal (omissis), riassegnando quindi le pratiche ancora da portare a termine ad altro dipendente (il (omissis)).

3.6. Riteneva inoltre inidonea a costituire una dichiarazione calunniosa l’esternazione compiuta dal (omissis) agli inquirenti, secondo la quale negli uffici comunali girava la voce che il (omissis) avesse intascato una cospicua tangente, affermazione ritenuta al più avventata ma non calunniosa.

La Corte d’appello concludeva quindi affermando che “sebbene il comportamento degli appellati possa ritenersi erroneo o avventato, si ritiene che sia tuttavia privo del necessario elemento psicologico del delitto di calunnia costituito dal dolo e che pertanto non possa dar luogo a responsabilità risarcitorie ex articolo 2043 c.c.”

4. La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale all’esito della quale il Collegio ha depositato ha riservato il deposito della decisione entro 60 giorni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 c.c., 368 e 595 c.p., 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. nonché degli artt. 40 e 41 c.p.

Ritiene che abbia errato la sentenza impugnata là dove ha ritenuto che le sommarie informazioni rese dai controricorrenti, sia pur decisive nella formulazione dei giudizi di condanna a suo carico poi riformati, non avrebbero in ogni caso leso l’onore e la reputazione del (omissis) perché non gli avrebbero attribuito specifiche condotte criminose consapevolmente non commesse.

Aggiunge che entrambi i controricorrenti non erano né denuncianti né querelanti ma erano stati ascoltati come soggetto informato dei fatti, la cui responsabilità indica come equiparabile a quella del testimone nel rendere le sue dichiarazioni.

Sostiene quindi che occorra verificare se la Corte territoriale sia incorsa in errore allorché ha escluso la natura calunniosa o diffamatoria delle sommarie informazioni testimoniali rese dai controricorrenti.

Evoca la violazione del parametro legale della continenza, relativo alla diffamazione, e ripropone la lettura e l’interpretazione degli atti di causa relativi alle tre richieste per falso nell’istruire alcune pratiche di condono edilizio per le quali è stato tratto a giudizio.

Segnala un precedente di questa Corte di legittimità (Cass.n.9059 del 2018) relativa al comportamento denigratorio tenuto da un genitore nei confronti di un’insegnante, sottoposta a procedimento penale a seguito delle sue dichiarazioni e poi assolta con formula piena, che la sentenza citata aveva accolto il ricorso contestando ai giudici territoriali l’omessa valutazione dei fatti secondo la sequenza ricostruttiva condotta-causalità-evento-danno, che avrebbe dovuto condurre all’affermazione della responsabilità risarcitoria per avere il genitore denunciante – a prescindere dalla natura calunniosa o diffamatoria delle sue affermazioni – attribuito condotte moralmente riprovevoli e giuridicamente lesive di beni costituzionalmente protetti all’insegnante, in tal modo obiettivamente danneggiandola, a prescindere dalla calunniosità delle dichiarazioni, e auspica l’applicazione del medesimo principio di diritto nel suo caso.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’esistenza di una motivazione contraddittoria, illogica ed apodittica, sviluppando le considerazioni già svolte all’interno del primo motivo sotto il profilo della carenza motivazionale, sostenendo che la Corte d’appello, con motivazione appunto apparente e illogica, avrebbe ignorato la valenza calunniosa o diffamatori a delle dichiarazioni accusatorie rese dai due controricorrenti.

Sviluppa le sue critiche orientandole direttamente contro la c.t.u. svolta in sede civile, denunciando la difformità tra le valutazioni e le conclusioni del c.t.u. nel giudizio civile e quelle rese da altro tecnico ausiliare del giudice nei giudizi penali, e sostiene di aver segnalato tale contrasto al giudice dell’impugnazione chiedendo, invano, la rinnovazione della c.t.u.

Il ricorso è complessivamente inammissibile.

Quanto al primo motivo, è da dire che la sentenza di primo grado escludeva già in termini astratti la responsabilità del denunciante o del dichiarante ai sensi dell’articolo 2043 c.c. anche in caso di proscioglimento o di assoluzione, in mancanza degli estremi della calunnia.

L’appello del (omissis) non veicolava alcuna censura al principio di diritto cui si era uniformata la sentenza di primo grado, secondo il quale il nesso di causalità giuridica tra condotta del denunciante ed evento dannoso è interrotto dall’iniziativa pubblicistica del P.M. se non è configurabile l’ipotesi di calunnia.

L’impugnazione, in base a quanto emerge dalla motivazione della sentenza, non concerneva la ricostruzione in diritto contenuta nella sentenza di primo grado, ma lamentava piuttosto un preteso travisamento dei fatti, deducendo che il tribunale avesse errato nel non considerare calunniose le dichiarazioni rese dal (omissis) e dal (omissis).

Anche con il primo motivo di ricorso per cassazione, il (omissis) solo apparentemente svolge una critica contro i principi di diritto applicati dalla corte d’appello nel confermare il rigetto della sua domanda risarcitoria, là dove ha ritenuto necessario, ai fini della ipotizzabilità di una responsabilità risarcitoria in capo agli odierni controricorrenti, che si erano limitati a rispondere alle domande poste dai pubblici ufficiali in sede di sommarie informazioni testimoniali, l’attribuzione volontaria e consapevolmente falsa di fatti di rilevanza penale in capo al ricorrente, ritenuta non provata in quanto erano stati segnalati dai dichiaranti solo alcuni errori nell’esame delle pratiche.

In realtà, chiede il riesame del contenuto delle dichiarazioni rese dai due intimati a sommarie informazioni testimoniali e dei fatti processuali, che abbondantemente richiama, al fine di giungere alla affermazione della loro valenza calunniosa o diffamatoria.

Sollecita in definitiva, inammissibilmente, il giudice di legittimità a rinnovare l’esame dei fatti di causa, attività riservata al giudice del merito.

Il secondo motivo riproduce, sotto il profilo del vizio di motivazione le stesse critiche contenute nel primo, evidenzianti l’errato apprezzamento dei fatti da parte del giudice di merito, critiche comunque inammissibili, come chiarito in riferimento al primo motivo, indirizzandole questa volta, oltretutto, direttamente contro gli esiti della consulenza tecnica eseguita in appello, che sottopone a critica attraverso la ricostruzione del contenuto delle tre pratiche edilizie all’origine di tutta la vicenda e proponendo una alternativa, rispetto agli esti della consulenza tecnica, ricostruzione.

In tal modo, omette anche di confrontarsi direttamente con la sentenza impugnata. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

Si dà atto, peraltro, del fatto che uno dei due avvocati indicati nel controricorso come patrocinanti per il controricorrente, e precisamente l’avv. (omissis) (omissis), non risulta iscritto all’albo speciale dei cassazionisti.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Pone a carico della parte ricorrente le spese di giudizio sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi euro 3.000,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori.

Da atto della sussistenza dei presupposti, per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 27 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.