È omicidio stradale anche se il pedone investito ha attraversato col rosso (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 26 marzo 2024, n. 12336).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUARTA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. DOVERE Salvatore – Presidente

Dott. VIGNALE Lucia – Relatore

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere

Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere

Dott. CIRESE Marina – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) nato a (omissis) il 06/07/1970;

avverso la sentenza del 20/09/2023 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa LUCIA VIGNALE;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa MARILIA DI NARDO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 20 settembre 2023, la Corte di appello di Milano ha riformato quanto al trattamento sanzionatorio la sentenza pronunciata il 25 ottobre 2021 dal Tribunale di Busto Arsizio.

(omissis) (omissis) è stato ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 589 bis cod. pen. per aver provocato la morte di (omissis) (omissis), verificatasi il 7 marzo 2017 a seguito di incidente stradale.

La Corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado con riferimento all’affermazione della penale responsabilità, ma ha ridotto la pena base (indicata dal giudice di primo grado in anni due e mesi sei di reclusione) ad anni due di reclusione. La pena così determinata è stata ridotta per effetto delle attenuanti già riconosciute dal giudice di primo grado. È stata portata, quindi, ad anni uno ai sensi dell’art. 589 bis, comma 7, cod. pen. ed è stata ulteriormente ridotta ai sensi dell’art. 62 bis cod. pen. Si è giunti così alla pena finale di mesi otto di reclusione. Nel resto la sentenza impugnata è stata confermata.

2. Il procedimento ha ad oggetto un incidente stradale verificatosi intorno alle 6:00 del mattino del 7 marzo 2017 a (omissis) in viale Toselli. Secondo la ricostruzione dei fatti fornita dai giudici di merito, (omissis) si trovava alla guida dell’autovettura Fiat Bravo targata (omissis), procedeva a una velocità superiore ai 50 km/h consentita in quel tratto di strada e, giunto nei pressi della via per (omissis) (omissis) (omissis), ove è posto un attraversamento pedonale regolato da semaforo, investì il pedone (omissis) (omissis) che stava attraversando la carreggiata procedendo da destra verso sinistra per la direzione di marcia dell’auto ancorché il semaforo pedonale proiettasse luce rossa. L’urto avvenne tra la parte anteriore angolare sinistra dell’auto e gli arti inferiori del pedone che fu caricato sulla parte laterale sinistra del veicolo, urtò contro il parabrezza e fu sbalzato sul manto stradale riportando gravi lesioni che ne causarono il decesso.

3. Contro la sentenza ha proposto tempestivo ricorso il difensore dell’imputato.

Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen.

Sostiene che – a fronte del riconoscimento del concorso di colpa del pedone (che attraversò anche se il semaforo pedonale proiettava luce rossa) e della incertezza sulla velocità mantenuta dal veicolo (che il perito nominato dal Tribunale ha determinato in 76 km/h con «ragionamento ipotetico») – la sentenza impugnata non avrebbe fornito adeguata motivazione in ordine alla possibilità per (omissis) di prevedere ed evitare l’investimento. Un investimento che, secondo la difesa, sarebbe ascrivibile esclusivamente al comportamento imprudente e imprevedibile del pedone.

Nella parte finale del ricorso, la difesa si duole che, pur in presenza di un concorso di colpa della vittima, all’imputato sia stata applicata la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida determinandone la durata in mesi quattro.

4. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.

2. La vicenda oggetto del procedimento è stata ricostruita con chiarezza dalle decisioni di merito, che possono essere lette congiuntamente e costituiscono un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).

I giudici di merito hanno chiarito che l’investimento avvenne al centro della carreggiata e hanno adeguatamente motivato tale conclusione facendo riferimento ai danni riportati dalla macchina, collocati nella parte anteriore angolare sinistra (pag. 3 della sentenza impugnata), e alle dichiarazioni del teste (omissis) (omissis), che viaggiava in direzione opposta rispetto a (omissis) e vide il pedone scendere dal marciapiede raggiungendo la seconda corsia della carreggiata opposta a quella che lui stava percorrendo (pag. 4 della sentenza di primo grado).

Hanno osservato inoltre .che, come emerso dalle dichiarazioni dello stesso (omissis) e di altri testimoni ((omissis) (omissis) e la moglie della vittima (omissis) (omissis)), il settantanovenne (omissis) non correva e, poiché la strada era rettilinea e adeguatamente illuminata, (omissis) poteva certamente avvistarlo.

Hanno sottolineato, infine, che l’imputato ha ammesso di aver proceduto a una velocità superiore a quella consentita in quel tratto di strada (pari a 50 km/h) e che, secondo i calcoli eseguiti dal perito, se avesse mantenuto una velocità conforme ai limiti, (omissis) avrebbe avvistato il pedone da una distanza di 55,6 metri «più che sufficiente ad arrestare il veicolo in tutta sicurezza prima dell’urto» (pag. 5 della sentenza impugnata).

Alla luce di tali considerazioni i giudici di merito hanno escluso che il pedone possa essere apparso all’improvviso sulla strada e che l’impatto fosse inevitabile. Inoltre, pur riconoscendo il concorso di colpa della vittima (che attraversò col rosso), hanno ritenuto che, rispettando il limite di velocità e prestando la dovuta attenzione alla strada, (omissis) avrebbe potuto evitare l’evento.

Si tratta di motivazioni complete, non contraddittorie e non manifestamente illogiche, conformi ai principi più volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, in caso di investimento di un pedone, la responsabilità del conducente può essere esclusa solo quando la condotta della vittima si ponga come causa eccezionale e atipica, imprevista e imprevedibile, dell’evento e sia stata da sola sufficiente a produrlo (Sez. 4, n. 37622 del 30/09/2021, Landi, Rv. 281929).

Si collocano in questa linea interpretativa le numerose decisioni secondo le quali, in caso di omicidio colposo, il conducente del veicolo va esente da responsabilità per l’investimento di un pedone quando, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile (Sez. 4, n. 33207 del 02/07/2013, Corigliano, Rv. 255995; Sez. 4, n. 10635 del 20/02/2013, Calarco, Rv. 255288).

Queste condizioni non ricorrono nel caso di specie, atteso che, secondo i giudici di merito, il pedone camminava e non correva, i suoi movimenti erano agevolmente avvistabili da (omissis) che procedeva lungo un tratto di strada rettilineo dotato di adeguata illuminazione, l’impatto avvenne al centro della carreggiata.

Muovendo da queste premesse, la Corte territoriale ha chiarito che l’ostacolo rappresentato dal pedone non era in concreto imprevedibile, non solo per la presenza dell’attraversamento pedonale (pur regolato da impianto semaforico), ma soprattutto perché, quando avvenne l’impatto, la vittima aveva attraversato quasi interamente le due corsie dalle quali è composta la semicarreggiata che l’imputato stava percorrendo.

In conclusione, i motivi di ricorso non si confrontano criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, ma si limitano a lamentare, in maniera generica, una presunta carenza o illogicità della motivazione.

Ne consegue l’aspecificità e, quindi, l’inammissibilità del ricorso (tra le tante: Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 3, n. 3953 del 26/10/2021, dep. 2022, Berroa Telleria Rv. 282949).

3. Non ha maggior pregio il motivo col quale la difesa si duole che sia stata applicata all’imputato la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per la durata di mesi quattro.

Si deve subito osservare che il motivo non era stato proposto con l’atto di appello e, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «non sono deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura “a priori” un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello» (fra le tante: Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Tocco, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, Martorana, Rv. 279903; Sez. 2, n. 46765 del 09/12/2021, Bruno, Rv. 282322).

A ciò deve aggiungersi che, nell’alternativa tra la revoca e la sospensione della patente di guida (introdotta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 88 del 17 aprile 2019), il Tribunale ha ritenuto di applicare la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente e ne ha determinato la durata nella misura di mesi quattro, di gran lunga inferiore alla media edittale.

È sufficiente allora ricordare che, per giurisprudenza costante, nelle ipotesi in cui la sanzione concreta sia stata determinata entro il limite della media edittale, il richiamo ai criteri previsti dall’art. 218, comma 2, cod. strada – ancorché reso esplicito con un generico riferimento alla congruità della sanzione – costituisce giustificazione sufficiente dell’uso della discrezionalità del giudice (cfr. Sez. F, n. 24023 del 20/08/2020, Rojas, Rv. 279635; Sez. 4, n. 21194 del 27/03/2012, Tiburzi, Rv. 252738).

4. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità. 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 12 marzo 2024

Il Consigliere estensore                                                                         Il Presidente

Lucia Vignale                                                                                        Salvatore Dovere

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2024.

Sentenza – copia non ufficiale -.