Il dirigente pubblico non può essere chiamato a prestare un giuramento decisorio in giudizio (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 15 gennaio 2024, n. 1520).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Alberto GIUSTI – Presidente –

Dott. Patrizia PAPA – Consigliere –

Dott. Linalisa CAVALLINO – Consigliere –

Dott. Giuseppe GRASSO – Rel. Consigliere –

Dott. Danilo CHIECA – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10831/2019 R.G. proposto da:

CURATELA DEL FALLIMENTO (omissis) S.P.A. (P. IVA (omissis)), in persona del Curatore avvocato (omissis) (omissis) (omissis), rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis) (C.F. (omissis)), giusta procura in atti;

–ricorrente–

contro

ASSESSORATO ATTIVITA’ PRODUTTIVE DELLA REGIONE SICILIANA (C.F. 800120008826), in persona dell’Assessore pro tempore;

–intimato–

avverso la sentenza n. 707/2018 del CORTE DI APPELLO DI PALERMO, depositata il 29.03.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal Consigliere dott. GIUSEPPE GRASSO;

Osserva

1. La vicenda giudiziale qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti.

1.1. L’Assessorato alla Cooperazione, Commercio, Artigianato e Pesca della Regione Sicilia (al quale subentrerà nel 2009 l’Assessorato Attività Produttive) stipulò con la s.p.a. (omissis) un contratto in base al quale quest’ultima si obbligava a dare attuazione ai programmi predisposti dall’Assessorato destinati a promuovere attività volte a pubblicizzare e valorizzare prodotti regionali. Il 90% della spesa prevista per le singole manifestazioni doveva essere corrisposto dall’approvazione del progetto.

Sul presupposto che per talune manifestazioni l’Assessorato non aveva pagato il residuo 10%, la (omissis) (nel frattempo dichiarata fallita) chiese e ottenne decreto ingiuntivo per l’ammontare di £. 91.377.169 (di cui £. 52.650.294 a titolo di costi generali).

1.2. Il Tribunale di Palermo accolse l’opposizione dall’Assessorato, revocò il decreto monitorio e rigettò la domanda d’illecito arricchimento, giudicata nuova.

1.3. La Corte d’appello reputò improponibile la domanda avanzata ai sensi dell’art. 1453, co. 2, cod. civ. e confermò la declaratoria d’inammissibilità per novità della domanda di arricchimento senza causa.

1.4. La Corte di cassazione, con la sentenza n. 752/2013, cassò con rinvio la decisione di secondo grado, impugnata dalla Curatela del Fallimento, reputando fondato il secondo motivo, giudicando applicabile l’art. 1458 cod. civ., il quale dispone che la risoluzione per inadempimento del contratto non ha effetto retroattivo tra le parti nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite.

In particolare, in sede di legittimità si chiarì che resta (…) divisibile l’effetto contrattuale ed esclusa la retroattività della risoluzione quando sia compromessa la possibilità di ricostituire[l’] equilibrio mediante le restituzioni.

1.5. Riassunto il processo dalla Curatela del Fallimento innanzi al Giudice del rinvio, la Corte di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, condannò il Fallimento a rifondere all’Assessorato, le spese di primo grado, confermando nel resto la sentenza gravata, con ulteriore condanna al rimborso delle spese del secondo grado, del giudizio di cassazione e di quello di rinvio.

1.6. Il Giudice del rinvio, in relazione all’art. 3 della convenzione negoziale, il quale richiedeva la produzione dell’elenco analitico delle spese sostenute (…) debitamente quietanzate e corredate con i necessari elementi di riscontro di pagamento ed in regola con i regimi fiscali del Paese nel quale le spese sono state effettuate, afferma che l’appellante non aveva dimostrato e neppure chiesto di dimostrare di aver prodotto la predetta documentazione, pur avendo ricevuto per assai larga parte il compenso.

Non risultava, inoltre, rilevante l’istanza di esibizione della documentazione fatta oggetto di sequestro da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo e della Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Sicilia della Corte dei Conti (trattavasi dei decreti istitutivi della Commissione regionale costituita al fine di esaminare i rendiconti presentati dalla società poi fallita, le note dell’organo in parola e il decreto di revoca di esso).

Per contro, le fatture e i documenti giustificativi avrebbero dovuto trovarsi in copia custoditi dalla (omissis).

La prova testimoniale non sarebbe stata in grado di dimostrare che l’invio della richiesta avesse compreso le pezze d’appoggio previste.

Incerta la corretta esecuzione delle prestazioni e gli asseriti esborsi per pagamenti a terzi, il giuramento decisorio, dedotto in via subordinata nei confronti dell’assessore pro tempore, non poteva ammettersi, non avendo costui disponibilità autonoma del diritto.

La domanda di arricchimento indebito, pur ammissibile, era priva di fondamento, non essendo riuscita l’appellante a dimostrare il proprio effettivo impoverimento, causato dal preteso pagamento a terzi.

3. La Curatela del fallimento della (omissis) s.p.a. propone ricorso avverso la sentenza resa in sede di rinvio sulla base di quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria.

L’Assessorato Attività produttive della Regione Sicilia si è costituito al solo fine di eventualmente partecipare alla discussione della causa ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ.

4. Con il primo motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo in relazione al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., assumendo che la Corte di Palermo, disattendendo la richiesta di prova testimoniale, aveva omesso di considerare un fatto controverso e decisivo per il giudizio, risultante dai documenti prodotti dalla Curatela nel corso delle precedenti fasi del giudizio e che sarebbe stato confermato dalle dichiarazioni dei testi, ove correttamente ammessi.

Nel corpo del motivo la ricorrente indica i documenti che assume rilevanti in relazione alle singole manifestazioni organizzate.

5. Con il secondo motivo, correlato al primo, viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., per non essere state ammesse le prove orali.

6. Con il terzo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2731 e 2737 cod. civ., per non essere stato ammesso il giuramento decisorio richiesto.

In particolare la ricorrente espone che tenuto conto del diverso tenore [degli artt.2737 e 2731 cod. civ.] deve ritenersi che le condizioni di capacità richieste dall’art. 2737 c.c. per la delazione ed il riferimento del giuramento decisorio sono diverse da quelle richieste allo scopo della prestazione del giuramento; ed invero il silenzio osservato sul punto della norma in questione (art. 2737 c.c.) induce a ritenere che per accettare e prestare il giuramento sia sufficiente la legitimatio ad processum .

7. Con il quarto motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.

La prima sentenza d’appello, si rileva con il motivo in rassegna, aveva condannato la Curatela al pagamento in favore dell’Assessorato delle spese processuali del grado.

La decisione era stata cassata, disponendosi il rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

L’Assessorato, costituendosi in sede di rinvio, aveva limitato la richiesta di condanna al rimborso delle spese solo di quest’ultimo giudizio.

Per contro, la decisione di rinvio aveva liquidato le spese di tutti i gradi, oltre quelle del giudizio di legittimità, nonostante che anche in sede di precisazione delle conclusioni la controparte si fosse riportata alla comparsa di risposta.

8. I primi due motivi, tra loro osmotici, non superano il vaglio d’ammissibilità per più autonome ragioni.

8.1. Palesemente non si è in presenza di un fatto omesso, bensì della critica a una decisione istruttoria.

Il Collegio condivide e intende dare continuità al consolidato orientamento di questa Corte, la quale ha più volte precisato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. 6, n. 28887, 08/11/2019, Rv. 655596; conf., ex pluris, Cass. nn. 2745/2018, 2498/2015).

8.2. La ricostruzione probatoria, come noto, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non può essere contestata in questa sede, poiché l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è, in questa sede, sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299).

Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite in epoca recente (sent. n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037).

E inoltre che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. 659037).

8.3. il motivo non coglie la “ratio” della sentenza, la quale alle pagg. 14 e 15 spiega le ragioni dell’inconcludenza del mezzo, né, peraltro, in assenza della riproduzione dei capitoli di prova, eventualmente articolati, risulta utile l’elencazione dei documenti assertivamente esistenti.

9. Il terzo motivo è infondato.

9.1. Il giuramento decisorio, sia deferito che riferito, la cui regolamentazione procedurale è disciplinata dagli artt. 233 e segg. cod. proc. civ., costituisce una modalità di disposizione del diritto controverso, attraverso l’irretrattabile affermazione o negazione della “quaestio facti” che ne è alla base (artt. 2736 e segg. cod. civ.).

La speciale solennità dello strumento, residuato di una ben nota tradizione risalente nel tempo, che assegna efficacia decisiva alla dichiarazione giurata resa davanti al giudice, procura la regolamentazione del diritto, non ammettendo prova contraria.

Lo spergiuro andrà incontro alla condanna penale (art. 371 cod. pen.) e a seguito di essa la controparte potrà domandare il risarcimento del danno procurato (art. 2738, co. 2, cod. civ.), ma la sentenza emessa sulla base del giuramento non è soggetta a revocazione.

Condizione d’ammissibilità è che la parte alla quale il giuramento viene deferito o riferito abbia la capacità di disporre del diritto (comb. disp. degli artt. 2737 e 2731 cod. civ.).

La tesi del ricorrente, secondo la quale le condizioni di capacità richieste dall’art. 2737 c.c. per la delazione ed il riferimento del giuramento decisorio sono diverse da quelle richieste allo scopo della prestazione del giuramento , oltre che obiettivamente oscura, è priva di ogni logica ragionevolezza, tenuto conto del richiamo operato dall’art. 2737 cod. civ. all’art. 2731 e alla natura dell’istituto, che importa la perdita definitiva del diritto, anche al di là dell’effetto procurato dalla confessione, la quale è soggetta a revoca, se determinata da errore di fatto o da violenza (art. 2732 cod. civ.).

Per inciso, si giustifica la revoca della confessione, sia pure limitata ai casi indicati, e non del giuramento, proprio a cagione delle modalità solenni di prestazione di quest’ultimo, che non può essere che reso davanti al giudice, il quale (superata oramai la forma ancor più sacramentale, ma contrastante con i precetti costituzionali, prevista dal vecchio testo, che richiamava all’importanza religiosa – Corte cost. n. 334/1996 –), “ammonisce il giurante sull’importanza morale dell’atto e sulle conseguenze penali delle dichiarazioni false”.

Il giurante [prosegue la disposizione], in piedi, pronuncia a chiara voce le parole “consapevole della responsabilità che col giuramento assumo” (anche in questo caso la Corte cost., con la sentenza sopra citata, ha eliminato le parole davanti a Dio e agli uomini ).

Dal breve richiamo alla disciplina è utile a rendere evidente che l’istituto conserva una solennità peculiare e, si può dire unica, proprio in ragione degli effetti sostanziali e irrevocabili che il giuramento procura.

9.2. Il giuramento decisorio, riferito o deferito, presuppone, pertanto, quale condizione non eludibile, la capacità di disporre, con autonomia e libertà, del diritto.

Deve escludersi che di una tale capacità goda la persona fisica che ricopre protempore la funzione di Assessore regionale.

Costui, infatti, titolare di un “munus” pubblico, non ha la libera e autonoma disponibilità del diritto. Invero, pur ovviamente sussistendo modalità attraverso le quali la pubblica amministrazione può regolare i propri diritti, un tale regolamento non può risolversi in un libero e autonomo atto volitivo della persona fisica chiamata a giurare.

Una tale libertà, invero, cui fa da contraltare la responsabilità penale, contrasta con l’agire amministrativo, che non può trovare fondamento in un atto volitivo puro della persona fisica, i cui motivi restano inconoscibili, bensì attraverso un procedimento deliberativo, le cui finalità e tutela del pubblico interesse devono restare ostese e ripercorribili.

In sintesi, risulta utile enunciare il seguente principio di diritto: “deve escludersi l’ammissibilità del giuramento decisorio, deferito o riferito, nei confronti della persona fisica che ricopre una pubblica funzione o un pubblico incarico, in relazione a diritti della pubblica amministrazione, da costui organicamente rappresentata, poiché il medesimo non ne ha la libera e autonoma disponibilità”.

10. Il quarto motivo non può essere accolto.

L’evidenziata omissione non è indicativa di una volontà abdicativa, trattandosi, per vero, di una espressione sintetica ed ellittica, alla quale non può assegnarsi il valore abdicativo voluto dal ricorrente, che avrebbe richiesto l’emersione di una inequivoca volontà. In ogni caso, questa Corte ha di recente affermato la non configurabilità in generale, in un analogo caso, di ultrapetizione (Cass. n. 20065/2023).

11. Non vi è luogo a statuizione sul capo delle spese poiché la controparte è rimasta intimata.

12. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002 (inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12), dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.