Il furto subito non è sufficiente per invocare l’inadempimento contrattuale della società di vigilanza (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 15 febbraio 2024, n. 4163).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

DANILO SESTINI                                          Presidente

PASQUALINA ANNA PIERA CONDELLO   Consigliere Rel.

ANTONELLA PELLECCHIA                          Consigliere

PAOLO PORRECA                                        Consigliere

MARILENA GORGONI                                 Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2960/2023 R.G. proposto da:

(omissis) (omissis), quale titolare della omonima impresa individuale, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale alle liti in calce al ricorso, dall’avv. (omissis) (omissis), domiciliato per legge presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione

– ricorrente –

contro

(omissis) (omissis) S.P.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. (omissis) (omissis), ______________________________, così elettivamente domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 1485/2022, pubblicata in data 24 ottobre 2022;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 dicembre2023 dal Consigliere dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

Fatti di causa

1. (omissis) (omissis), titolare dell’omonima impresa individuale, conveniva in giudizio la (omissis) s.p.a. al fine di sentir dichiarare la risoluzione, per inadempimento della convenuta, del contratto di videosorveglianza con la stessa concluso e al fine di ottenere il risarcimento del danno patito.

A supporto della domanda esponeva che:

a) in data 14 dicembre 2011 aveva sottoscritto un contratto di commissione di servizio ispettivo di videosorveglianza per l’attività di rifornimento di carburante che svolgeva presso la stazione ubicata in (omissis) (omissis);

b) nella notte del 23 gennaio 2012, ignoti avevano forzato la colonnina del self service, asportando l’intero incasso senza che alcun segnale di allarme si fosse attivato;

c) nella notte del 1° aprile 2012, pur avendo disattivato l’allarme, non aveva ricevuto alcuna chiamata, seppure contrattualmente prevista;

d) nella notte del 14 maggio 2012 aveva ricevuto comunicazione di attivazione del segnale di allarme e, dopo essere stato contattato dai referenti dell’istituto di sorveglianza, era stato rassicurato circa il fatto che, dopo un sopralluogo di una guardia giurata, non erano state rilevate sul posto anomalie, ma il giorno successivo aveva riscontrato un furto perpetrato da ignoti.

Instauratosi il contraddittorio, si costituiva la (omissis) s.p.a., che negava ogni addebito e spiegava domanda riconvenzionale chiedendo la corresponsione dei canoni contrattualmente dovuti.

Il Tribunale di Chieti dichiarava la risoluzione del contratto, ritenendo provato l’inadempimento della convenuta in relazione al furto subito dall’attore in data 14 maggio 2012, e rigettava la domanda riconvenzionale.

2. Interposto gravame dalla soccombente, la quale ribadiva che il teste escusso in primo grado aveva confermato di avere eseguito, nella notte del 14 maggio 2012, una video ispezione e di avere inviato una pattuglia in loco, la Corte d’appello ha parzialmente accolto l’appello, rilevando che la (omissis) s.p.a. aveva assolto gli obblighi contrattuali.

In particolare, i giudici di appello hanno osservato che dal video prodotto dall’appellante emergeva che il furto, poi denunciato dal (omissis), non fosse avvenuto nella contestualità della ricezione del segnale di allarme, ma successivamente ad esso e senza che le parti avessero dedotto, con riferimento a tale successivo momento temporale, ulteriori e diverse circostanze dell’inoltro di altro segnale di allarme.

Più precisamente, hanno rilevato che la condotta furtiva era avvenuta in orario diverso rispetto a quello pacificamente indicato dalle parti, segnatamente tra le ore 03,15 e le ore 03,30, ossia almeno un’ora dopo dalla ricezione del segnale d’allarme, ed hanno, di conseguenza, ritenuto che, a fronte della prova dell’adempimento, fornita dall’appellante, degli obblighi stabiliti negozialmente, l’appellata avrebbe dovuto comprovare il proprio assunto difensivo (ossia il non riallineamento degli orari del sistema di videosorveglianza) mediante l’indicazione di specifici mezzi di prova.

La Corte territoriale, inoltre, ha accolto la domanda riconvenzionale limitatamente ad alcune somme portate da alcune fatture, condannando il (omissis) a restituire all’appellante le somme da questa corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado.

3. (omissis) (omissis) ricorre per la cassazione della decisione d’appello, sulla base di tre motivi.

(omissis) (omissis) s.p.a. resiste con controricorso.

4. La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1. cod. proc civ.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la ‹‹nullità della sentenza resa dalla Corte d’appello per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., anche in relazione all’art. 99 c.p.c.››.

Sostiene che i giudici d’appello sarebbero incorsi nel vizio di ultrapetizione per averlo condannato alla restituzione di quanto corrisposto dall’appellante in esecuzione della sentenza di primo grado, sebbene non fosse stata formulata, sul punto, domanda.

1.1. La censura è infondata.

1.2. Questa Corte ha già chiarito (Cass., sez. 1, 12/02/ 2016, n. 2819; Cass., sez. 3, 02/07/2019, n. 17664) come l’art. 336 cod. proc. civ., disponendo che la riforma o la cassazione della sentenza estenda i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla decisione riformata o cassata, comporti che, non appena sia pubblicata la sentenza di riforma, vengano meno immediatamente sia l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, sia l’efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con conseguente obbligo di restituzione delle somme pagate e di ripristino della situazione precedente. In sostanza, è sufficiente l’accoglimento dell’impugnazione perché sorga l’obbligo restitutorio.

L’esistenza, peraltro, di un credito certo, liquido ed esigibile non comporta un’implicita condanna a pagare, e la necessità di una pronuncia restitutoria espressa rende ammissibile la relativa domanda; la quale, tuttavia, non costituisce neppure un presupposto indefettibile della pronuncia stessa.

Infatti, è ammissibile la pronuncia anche d’ufficio sulle restituzioni conseguenti alla riforma della sentenza: nel giudizio di appello, il ripristino può, cioè, essere disposto anche di ufficio dal giudice, il quale ha il potere di adottare direttamente i provvedimenti a tal fine necessari (Cass., sez. 1, 29/10/2020, n. 23972 ; Cass., sez. 6 -3, 21/11/2019, n. 30495).

2. Con il secondo motivo, censurando la sentenza gravata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per ‹‹violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 112, 115, 116, 167 c.p.c. e 2697 c.c.››, il ricorrente sostiene che la Corte d’appello sarebbe addivenuta all’accoglimento del gravame con una forzatura del dato probatorio acquisito, valorizzando alcune circostanze emergenti da documenti e non procedendo ad una valutazione globale di tutto il materiale probatorio offerto.

Sostiene, in particolare, che i giudici di merito hanno rigettato la domanda di risoluzione del contratto argomentando sulla possibile perpetrazione del furto in orario diverso rispetto a quello in cui si era attivato il segnale di allarme, sebbene tale circostanza non fosse mai stata prospettata dalla parte appellante, che si era limitata a produrre il video, né risultasse suffragata dalle risultanze processuali, dando quindi rilevanza a fatti estranei al thema decidendum, sulle quali non si era instaurato il contraddittorio.

Non avvedendosi che la dinamica dei fatti non era in contestazione tra le parti, ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto fare applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e ritenere fondata la domanda di risoluzione del contratto.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. Occorre premettere che l’obbligazione assunta dall’istituto di vigilanza con il contratto in esame non può ritenersi di risultato, non potendo certamente l’istituto assumere l’obbligo di impedire in modo assoluto che il proprio cliente subisca un furto, ma deve essere considerata obbligazione di mezzi, dovendo l’istituto predisporre le tutele convenute per garantire la sicurezza dei luoghi.

Di conseguenza, il riferimento, contenuto a pag. 18 del ricorso, ad una ‹‹potenziale utilità allo scopo dell’impianto di allarme››, che, secondo l’assunto di parte ricorrente, costituisce ‹‹ nozione di fatto ›› rientrante nella comune esperienza, ai sensi del secondo comma dell’art. 115 cod. proc. civ., costituisce argomentazione che il giudice non avrebbe potuto porre a fondamento della decisione al fine di dichiarare l’inadempimento dell’istituto di vigilanza.

Posto ciò, le censure svolte con il mezzo in esame non colgono nel segno.

La Corte d’appello, all’esito della valutazione del corredo probatorio relativo all’episodio del furto consumato da ignoti in data 14 maggio 2012, ha accertato, con apprezzamento di fatto non scrutinabile in questa sede perché adeguatamente motivato con argomentazioni prive di vizi logici, che l’istituto di vigilanza ha pienamente assolto gli obblighi contrattualmente assunti, risultando dalla relazione di servizio predisposta dal dipendente della società (omissis) s.p.a., confermata in sede di escussione, che alle ore 02,11 era giunta alla centrale operativa una segnalazione di allarme riferibile al sito del (omissis), che l’operatore collegato per effettuare la video-ispezione, pur non avendo riscontrato anomalie, aveva comunque inviato una pattuglia al fine di effettuare una ispezione, che aveva, tuttavia, dato esito negativo per non essere stati riscontrati segni di effrazione.

Alla luce di tali elementi emersi dalla istruttoria espletata in primo grado, il giudice d’appello ha ritenuto non ravvisabili profili di inadempimento a carico dell’istituto di vigilanza, avendo quest’ultimo dato prova che l’allarme e le telecamere avevano funzionato e che erano state poste in essere tutte le attività di ispezione previste in contratto.

Piuttosto, il giudice d’appello ha desunto, da l video prodotto in giudizio da (omissis) s.p.a., che il furto era stato perpetrato in un orario diverso da quello indicato dalle parti e che, in difetto di prova di segno contrario, non offerta dal (omissis), non poteva ritenersi che la diversa indicazione di orario fosse da ricondurre al ‹‹mancato adeguamento tra ora solare ed ora legale››.

A fronte della ricostruzione della vicenda fattuale come sopra delineata, il giudice di merito ha, dunque, escluso la sussistenza di una condotta inadempiente in capo alla società (omissis) s.p.a., puntualizzando che il video comprovava che il furto, denunciato dal (omissis), fosse stato attuato in un momento successivo a quello di ricezione del segnale d’allarme e della ispezione effettuata dalla pattuglia, senza che fosse stato provato, da parte del (omissis), l’inoltro di un diverso segnale d’allarme che avrebbe imposto all’istituto di vigilanza, in esecuzione degli obblighi contrattuali, di attivarsi ulteriormente sia utilizzando le telecamere, sia effettuando una visita ispettiva in loco.

Il giudice non è, pertanto, incorso né nella violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., che presuppone che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio)( Cass., sez. U, 30/09/2020, n. 20867), né tanto meno nella violazione del precetto dell’art. 2697 cod. civ., che è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non, invece, laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass., sez. 3, 29/05/2018, n. 13395 , Cass., sez. 6 -3. 31/08/2020, n. 18092).

Difatti, la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, allegando la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass., sez. U, n. 13533/2001) e ha fondato la decisione sulle sole risultanze di causa, valorizzando, in particolare, l’orario indicato nel video prodotto in giudizio, attestante che il furto avvenuto in data 14 maggio 2012 non si era verificato in concomitanza con la ricezione del segnale d’allarme, ma in un momento temporalmente successivo.

A ben vedere, le doglianze del ricorrente sono volte a dedurre che il giudice d’appello ha male esercitato il potere di apprezzamento delle prove, ma tale contestazione è possibile in sede di legittimità entro i ristretti limiti in cui il novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. consente ancora il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., sez. U, 07/04/2014, n. 8053 e n 8054), dovendosi, peraltro, escludere che ricorra la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., che è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo ‹‹prudente apprezzamento››, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento (Cass., sez. U, n 20867/2020, cit.).

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo, per non avere la Corte territoriale considerato che aveva contestato il ‹‹ complessivo inadempimento della (omissis) ››, adducendo una serie di fatti e circostanze – quali il furto del 23 gennaio 2012, l’omessa comunicazione della disattivazione del segnale di allarme la notte del 1° aprile 2012 ed il furto subito la notte del 14 maggio 2012 – a dimostrazione della totale inadeguatezza dell’impianto e dei servizi di videosorveglianza.

In ogni caso, secondo la ricorrente, anche a voler ritenere che (omissis) s.p.a. avesse correttamente e tempestivamente eccepito il differente orario, i giudici di appello avrebbero dovuto scrutinare anche l’ulteriore rilievo formulato, con cui aveva esplicitamente chiesto di spiegare perché, ammesso che il furto fosse avvenuto alle ore 03,13, l’allarme non avesse rilevato la manomissione successiva; tali fatti, pur se dedotti, non erano stati esaminati, sebbene rilevanti e decisivi.

3.1.La censura è infondata.

3.2. I fatti che l’odierno ricorrente assume siano stati pretermessi dal giudice d’appello non rilevano, in quanto trattasi di fatti che non hanno costituito oggetto di appello incidentale.

Quanto detto trova conferma nella sentenza qui impugnata, nella quale, a pag. 11 della motivazione, si legge: ‹‹ gli inadempimenti asseritamente dedotti nel giudizio di prime cure e causa dei precedenti furti sono stati esclusi nell’impugnata sentenza, non fatta oggetto di gravame sul punto dall’appellata e, quindi, sul punto passata in giudicato … ››.

Il giudizio di secondo grado ha, in realtà, riguardato esclusivamente la vicenda relativa al furto verificatosi in data 14 maggio 2012 e gli altri episodi che il ricorrente invoca in questa sede a dimostrazione dell’inadempimento della controricorrente, non attenendo alle questioni devolute al giudice d’appello, non dovevano da questi essere prese in esame.

Quanto poi agli ulteriori rilievi svolti dal ricorrente, sostanzialmente volti a criticare il convincimento del giudice di appello, è sufficiente ribadire che rimane estranea al vizio di legittimità ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. qualsiasi contestazione che mira a denunciare l’apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito (Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940) e che, in ogni caso, non costituiscono ‹‹ fatti ››, il cui omesso esame possa essere cagionare il vizio qui contestato: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802; Cass. , s ez. 5, 08/10/2014, n. 21152); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il ‹‹vario insieme dei materiali di causa›› (Cass. , s ez. L, 21/10/2015, n. 21439 ; Cass., sez. 1, 18/10/2018, n. 26305; Cass., sez. 2, 24/11/2020, n. 26709).

4. Alla infondatezza dei motivi non può che conseguire il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, pari ad euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile il giorno 14 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2024. 

SENTENZA – copia non ufficiale -.