LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. UMBERTO BERRINO – Presidente –
Dott. ROSSANA MANCINO – Rel. Consigliere –
Dott. FRANCESCO BUFFA – Consigliere –
Dott. ALESSANDRO GNANI – Consigliere –
Dott. LUCA SOLAINI – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 14069-2019 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS);
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 1100/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 15/10/2018 R.G.N. 697/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/01/2024 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. STEFANO VISONA’, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Lecce, con la sentenza in epigrafe indicata, ha confermato la decisione di prime cure che aveva ritenuto l’evento lesivo occorso al maresciallo (omissis) rientrare nei rischi connessi all’ordinaria attività di pattugliamento, con esclusione del riconoscimento dello status di vittima della criminalità o del dovere e del diritto ai relativi benefici.
2. La Corte di merito, premesso, in fatto, che le lesioni riportate erano conseguite al normale servizio di pattuglia nel corso del quale il maresciallo era intervenuto per far cessare un alterco, con vie di fatto, per contrasti relativi alla circolazione stradale, e premesso altresì che si controvertesse, in causa, dell’essere stato il servizio di pattuglia finalizzato al contrasto della criminalità, negava la riconoscibilità della qualità di vittima del dovere.
3. In particolare, per i giudici del gravame, non ricorre va alcuna delle ipotesi indicate nell’art. 1, co. 563 legge n. 266 del 2005, difettando un rischio specifico per la particolare pericolosità dell’attività concretamente svolta; escludevano l’applicabilità, nella specie, della disciplina prevista dal comma 564 e, in particolare, che si potesse ravvisare “la missione di qualunque natura” o i “rischi specificamente attinenti ad operazioni di polizia preventiva o repressiva”, sul presupposto che i rischi connessi alla normale attività di pattugliamento non esulassero dai rischi ordinari per i quali valeva il riconoscimento della causa di servizio, per costituire circostanza normale l’eventualità di imbattersi in soggetti a rischio.
4. In definitiva, la Corte di merito esclude va la dipendenza da causa di servizio correlata a particolari condizioni ambientali e operative.
5. Avverso tale sentenza ricorre (omissis) (omissis), con ricorso affidato a due motivi, ulteriormente illustrato con memoria, cui resiste il Ministero dell’Interno, con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. Con il primo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo per avere la Corte di merito omesso di considerare la specifica tipologia del servizio prestata dal ricorrente, come emersa dal testimoniale acquisito alla causa, di contrasto alla criminalità, tale dovendo intendersi non solo la criminalità organizzata ma anche quella comune, e avere altresì trascurato di considerare che l’attività rientrasse nel servizio di ordine pubblico e a tutela della pubblica incolumità.
7. Con il secondo motivo il ricorrente si duole di violazione di legge, art. 1, commi 563 e 564 legge n. 266 del 2005 e art. 1 d.P.R. n.243 del 2006, e denuncia l’erronea ricostruzione del concetto di “particolari condizioni ambientali ed operative” necessario presupposto per il riconoscimento dello status di soggetto equiparato alle vittime del dovere.
8. Il primo motivo è inammissibile perché richiede un riesame delle circostanze fattuali precluso dalla doppia decisione conforme, nei gradi di merito, per tacer della inammissibile pretesa di nuova valutazione del materiale probatorio.
9. Il mezzo d’impugnazione sconta, invero, le preclusioni derivanti dalla doppia conforme in fatto previste dal novellato vizio di motivazione e poiché la fattispecie di doppia conforme in punto di fatto ricorre non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (così Cass. n. 7724 del 2022), è fin troppo evidente che ogni censura al riguardo risulta in questa sede irrimediabilmente preclusa.
10. Nel precisare la portata del vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità a seguito della modifica dell’art. 360, n. 5 c.p.c., le Sezioni Unite di questa Corte hanno infatti chiarito che il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto della previsione dell’art. 111, comma 6°, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o, ancora, risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, sempre ammesso che il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, e ferma restando l’irrilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (così Cass. S.U. n. 8053 del 2014, seguita da innumerevoli successive conformi).
11. Tanto basta per rilevare nel caso di specie la palese inammissibilità della censura: è infatti evidente che, parte ricorrente si propone di criticare il riesame del merito attraverso un insistito confronto con le risultanze processuali che, a suo avviso, avrebbero potuto e dovuto giustificare una conclusione differente.
12. Non migliore sorte segue il secondo mezzo d’impugnazione, inammissibile per difetto di interesse perché la sentenza impugnata è fondata su due autonome rationes decidendi: l’assenza del presupposto della “missione” e l’assenza, comunque, del presupposto delle “particolari” condizioni ambientali ed operative”.
13. Ebbene, il mezzo d’impugnazione ha contrastato solo una ratio, rimanendo cristallizzata la ratio decidendi sull’assenza di una missione ex art. 1, co. 564, non censurata in questa sede di legittimità.
14. questa Corte di cassazione ha più volte affermato il principio secondo il quale, il giudice di merito che, dopo avere aderito ad una prima ratio decidendi, esamini ed accolga anche una seconda ratio, al fine di sostenere la propria decisione, non si spoglia della potestas iudicandi, atteso che l’art. 276 c.p.c., distingue le questioni pregiudiziali di rito dal merito, ma non stabilisce, all’interno di quest’ultimo, un preciso ordine di esame delle questioni; in tale ipotesi, pertanto, la sentenza risulta sorretta da due diverse rationes decidendi, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, sicché l’inammissibilità del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile (fra tante, Cass. n. 15399 del 2018; Cass. n. 21490 del 2005).
15. In conclusione, il ricorso è rigettato.
16. Segue coerente la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, co. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17 gennaio 2024.
Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2024.
SENTENZA – copia non ufficiale –
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