Il no al permesso premio, per l’assenza di una prova concreta di ravvedimento, opposto al detenuto in vista del fine pena rischia di tradursi in un indebito ostacolo al reinserimento sociale (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 14 settembre 2023, n. 37631).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE PENALE

Composta da:

ANGELA TARDIO – Presidente –

DOMENICO FIORDALISI

GIORGIO POSCIA

ANGELO VALERIO LANNA

EVA TOSCANI – Relatore –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso l’ordinanza del 31/03/2022 del TRIB. SORVEGLIANZA di FIRENZE

udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott.ssa EVA TOSCANI;

lette le conclusioni del PG che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in preambolo, il Tribunale di sorveglianza di Firenze respingeva il reclamo dell’interessato – detenuto dal 15 marzo 2006 a fronte di una condanna a ventitré anni di reclusione in ragione di un provvedimento di esecuzione di pene concorrenti e con fine pena in data 14 novembre 2024 – avverso il decreto con il quale il Magistrato di sorveglianza di (omissis) aveva rigettato l’istanza di concessione di un permesso premio di sei ore da trascorrere nel Comune di (omissis).

Il Tribunale – dopo avere preso atto della fondatezza del primo profilo di censura inerente l’errato diniego del beneficio sulla scorta della natura ostativa della condanna, riconoscendo che la pena irrogata per i delitti ostativi, pari ad anni 14 e mesi 6 di reclusione, risultava interamente espiata – entrando nel merito dell’istanza, attestava, sulla scorta delle risultanze in atti, gli indubbi progressi trattamentali dell’interessato, ininterrottamente detenuto da oltre sedici anni, la presenza di «una progettualità futura in ambienti geografici lontani da quelli di commissione dei reati», l’evidenza delle finalità trattamentali del permesso premio richiesto (attesa la nascita dell’ultima figlia dell’istante pochi giorni dopo l’inizio della detenzione, la presenza di un figlio disabile e di uno con problemi scolastici e di condotta).

Dall’altra parte, rimarcava che la doverosa valutazione in ordine alla pericolosità sociale dovesse passare necessariamente attraverso una seria revisione critica degli agiti illeciti, tanto più pregnante quanto più le condotte illecite abbiano provocato danni a persone offese ben individuate e alla collettività in generale.

Per tale via, riteneva che, al momento della decisione, mancasse, «al di là dì un generico riconoscimento di responsabilità, una seria revisione critica» in relazione ai fatti che hanno comportato il riconoscimento dell’aggravante mafiosa.

2. Avverso tale provvedimento, ha proposto ricorso (omissis) (omissis) a mezzo del proprio difensore di fiducia, ed ha dedotto due motivi.

Con il primo motivo, lamenta la contraddittorietà della motivazione rispetto all’esito cui è pervenuta, poiché da un lato riconosce la fondatezza del motivo relativo all’ammissibilità dell’istanza, ma tale decisione non è poi stata trasfusa in dispositivo.

Il difensore sottolinea l’interesse a una tale declaratoria, che avrebbe potuto consentire al detenuto la “declassificazione” dal circuito penitenziario dell’Alta Sicurezza e che non avrebbe consentito di rimettere in discussione tale profilo nei procedimenti relativi alle successive ed eventuali istanze.

Con il secondo motivo, deduce la contraddittorietà della motivazione rispetto, al contenuto della relazione di (omissis) che aveva segnalato un lineare e avanzato percorso di revisione critica del detenuto, sottolineando come fosse intervenuta una piena, matura e completa ammissione di responsabilità per i fatti oggetto di condanna, una totale accettazione delle pene subite ed una comprensione della loro efficacia esecutiva.

La stessa relazione, peraltro, chiarisce come il detenuto avesse prestato piena adesione alle attività trattamentali propostegli, la natura dei risultati ottenuti e l’esistenza di una progettualità rispetto al futuro, visto l’atteggiamento maturo e consapevole dell’interessato.

Il ricorrente evidenzia, infine, raggiunto il «ravvedimento» che, comunque, è requisito che erroneamente il giudice a quo sembra richiedere ai fini della concessione del beneficio del permesso premio, che invece postula la «regolare condotta».

3. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto che il provvedimento venga annullato con rinvio, risultando fondato il secondo motivo di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.

2. Il primo motivo è infondato, atteso che il Tribunale, in accoglimento del reclamo, ha esaminato l’istanza nel suo complesso, ovverosia tanto sotto il profilo dell’ammissibilità al beneficio (che ha ritenuto sussistente rilevando l’avvenuta espiazione integrale della pena per i reati ostativi), quanto nel merito e l’ha ritenuta complessivamente infondata e, pertanto, passibile di rigetto, non essendo in alcun modo tenuto a enunciare nel dispositivo dell’ordinanza la circostanza dell’intervenuta espiazione dei reati ostativi.

3. Risulta, invece, fondato il secondo motivo di ricorso.

L’art. 30-ter legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.),. prevede, al primo comma, che <<Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del successivo comma 8 e che non risultano socialmente pericolosi, il magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell’istituto, può concedere permessi premio di durata non superiore ogni volta a quindici giorni per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro». L’ottavo comma dell’art. 30-ter specifica, poi, che «La condotta dei condannati si considera regolare quando i soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturalli».

L’istituto dei permessi premio è volto a soddisfare una pluralità di concorrenti esigenze, in quanto caratterizzato dalla specifica funzione pedagogico propulsiva – quale parte integrante del trattamento, di cui costituisce uno strumento cruciale, secondo quanto indicato dalla Corte costituzionale già con la sentenza n. 504 del 1995 – che si accompagna a quella premiale, strettamente connessa all’osservanza di una regolare condotta da parte del detenuto ed all’assenza, nel beneficiario, di pericolosità sociale, anche se orientata alla coltivazione di interessi affettivi, culturali e cli lavoro.

Il giudice, pertanto, a fronte dell’istanza intesa al la concessione dei permessi premio, deve accertare, acquisendo le informazioni necessarie a valutare la coerenza del permesso con il trattamento complessivo e con le sue finalità di risocializzazione, la sussistenza di tre requisiti, integranti altrettanti presupposti logico-giuridici della concedibilità del beneficio e costituiti, rispettivamente, dalla regolare condotta del detenuto, dall’assenza di sua pericolosità sociale e dalla funzionalità del permesso premio alla coltivazione di interessi affettivi, culturali e di lavoro (in questo senso, cfr., tra le altre, Sez. 1, 36456 del 09/04/2018, Corrias, Rv. 273608; Sez. 1, n. 11581 del 05/02/2013, Grillo, Rv. 255311).

Quanto al secondo requisito, si è chiarito che lo stesso dev’essere valutato con maggiore rigore nei casi di soggetti condannati per reati di particolare gravità e con fine pena lontana nel tempo, in relazione ai quali rileva, in senso negativo, anche la mancanza di elementi indicativi di una rivisitazione critica del pregresso comportamento deviante (Sez. 1, n. 5505 del 11/10/2016, Patacchiola, Rv. 269195).

4. Tanto premesso, nell’interrogarsi sul fattore costituto dal grado di revisione critica del condannato, il Tribunale non si è attenuto ai criteri appena sunteggiati, posto che ne ha affermato l’inadeguatezza con motivazione contraddittoria e, comunque, parziale.

E’, difatti, lo stesso provvedimento impugnato che segnala una pluralità di indici suscettibili di positiva valutazione desunti dalla relazione trattamentale, a fronte dei quali la decisione reiettiva, non confortata da risultanze in atti di segno contrario, appare apodittica e incorre, inoltre, in manifesta illogicità laddove invoca una più prolungata osservazione che – siccome non supportata da alcun elemento concreto di pericolosità sociale, anche in considerazione del prossimo fine pena del recluso – rischia di tradursi in un indebito ostacolo rispetto al percorso di graduale apertura verso l’esterno.

5. L’ordinanza va pertanto annullata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Firenze per un nuovo esame, effettuato tenendo conto dei rilievi posti in evidenza.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Firenze.

Così deciso il 24 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria oggi, Roma lì 14 settembre 2023.

SENTENZA