REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VERGA Giovanna – Presidente –
Dott. D’AGOSTINI Piero Messini – Consigliere –
Dott. SGADARI Giuseppe – Rel. Consigliere –
Dott. PERROTTI Massimo – Consigliere –
Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS) nata a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 14/03/2022 della Corte di appello di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere dott. Giuseppe Sgadari;
sentito il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, dott. Pietro Molino, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
sentito il difensore, Avv. Salvatore (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Messina, in esito a giudizio abbreviato, confermava la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina emessa il 24 maggio 2021 che aveva condannato la ricorrente alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno nei confronti della parte civile in relazione ai reati di usura, estorsione consumata e tentata e furto aggravato.
2. Ricorre per (OMISSIS) (OMISSIS) deducendo:
1) violazione di legge e nullità della sentenza impugnata per non avere la Corte di appello disposto il rinvio dell’udienza del 14 marzo 2022 a causa del documentato impedimento dell’imputata a presenziare dovuto a motivi di salute insorti in concomitanza dell’udienza.
La ricorrente censura la motivazione della Corte che non avrebbe valutato tutta la documentazione a corredo dell’istanza di rinvio;
2) violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al mancato assorbimento nel reato di estorsione consumata di cui al capo 2 delle condotte di usura e tentata estorsione contestate rispettivamente ai capi 1 e 3 della L’accettazione del patto usurario, secondo le dichiarazioni della persona offesa, sarebbe avvenuta con violenza o minaccia, così configurandosi soltanto il reato di estorsione;
3) violazione di legge e vizio di motivazione quanto al diniego della circostanze attenuanti generiche ed alla determinazione della pena, non essendo stata valorizzata la confessione dell’imputata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Quanto al primo motivo, la Corte, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha rilevato che la certificazione sanitaria prodotta dalla difesa per giustificare il legittimo impedimento della ricorrente per l’udienza del 14 marzo 2022, non documentasse l’assoluta impossibilità a comparire richiesta espressamente dall’art. 420-ter proc. pen..
Ciò, tenuto conto, in particolare, del referto del Pronto Soccorso dell’Ospedale di Milazzo dello stesso 14 marzo 2022 che, superando ogni altra documentazione, non aveva riscontrato la presenza di una colica renale nel dolore algico lombare solo riferito dalla paziente, dimessa, la stessa mattina dell’udienza, senza alcuna prognosi.
In punto di diritto, si ricordi il principio secondo il quale, in tema di impedimento a comparire dell’imputato, il giudice, nel disattendere un certificato medico ai fini della dichiarazione di contumacia, deve attenersi alla natura dell’infermità e valutarne il carattere impeditivo, potendo pervenire ad un giudizio negativo circa l’assoluta impossibilità a comparire solo disattendendo, con adeguata valutazione del referto, la rilevanza della patologia da cui si afferma colpito l’imputato (Sez. U, n. 36635 del 27/09/2005, Gagliardi).
L’impedimento a comparire dell’imputato, idoneo a giustificare un rinvio d’udienza, deve possedere i caratteri dell’assolutezza e deve essere effettivo (Sez. 3, n. 11460 del 05/12/2018, dep. 2019, Salvucci, Rv. 275184).
La valutazione di tale dato è risultata assorbente senza vizi logici, avendo la Corte, peraltro, fatto generico riferimento a tutta la documentazione di interesse, valutando come più rilevante il referto del Pronto Soccorso.
2. Anche il secondo motivo è infondato.
Le due sentenze di merito, conformi nel giudizio di condanna (cfr., in particolare, i fgg. 3 e 4 della sentenza di primo grado, ove sono state trasfuse le esatte dichiarazioni rese dalla persona offesa), hanno sottolineato che i prestiti usurari, scomposti in due segmenti temporali, erano stati pattuiti spontaneamente tra le parti, il primo addirittura avendo la ricorrente fatto credere subdolamente alla vittima che non avrebbe preteso nulla a titolo di interessi, per poi mutare atteggiamento attraverso pesanti intimidazioni volte ad commettere l’usura.
Ne consegue che la ricostruzione fattuale, non rivedibile in questa sede, ha giustificato l’applicazione del principio di diritto, che la ricorrente non discute, volto ad escludere l’assorbimento delle condotte di usura nel reato di estorsione consumata.
Infatti, è configurabile il reato di usura o di estorsione a seconda che l’iniziale pattuizione usuraria sia stata spontaneamente accettata dalla vittima, ovvero accettata per effetto della violenza o minaccia esercitata dal soggetto attivo, mentre i due reati possono concorrere quando la violenza o minaccia siano esercitate al fine di ottenere il pagamento degli interessi pattuiti o degli altri vantaggi usurari (Sez. 2, n. 38551 del 26/04/2019, D’Amico, Rv. 277090).
L’assorbimento del reato di tentata estorsione di cui al capo 3 in quello di estorsione consumata di cui al capo 2 non è stata, invece, corredata da deduzioni difensive e risulta generica, ove si consideri anche la diversa indicazione temporale relativa ai due reati indicata nelle rispettive imputazioni.
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato in quanto la Corte territoriale ha negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e ritenuto congrua la pena inflitta dal primo giudice, ben inferiore alla media edittale, tenendo conto dei precedenti penali della ricorrente e della gravità dei fatti dimostrativi della spiccata capacità criminale della ricorrente.
Si è fatto espresso riferimento, quindi, ad alcuni parametri di cui all’art. 133 cod. pen., dovendosi rammentare che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime. (da ultimo, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2, n. 4790 del 16.1.1996, Romeo, rv. 204768).
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferra rio; Sez. 3 n. 1182 del 17/10/2007 dep. 2008, Cilia, rv. 238851).
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuaIi.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 14.12.2022.
Depositato in Cancelleria, Seconda Sezione Penale, il 13 marzo 2023.