Incidente stradale. Personalizzazione del danno dinamico-relazionale non oltre il tetto di legge (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 25 gennaio 2024, n. 2433).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dai Signori Magistrati:

Raffaele Gaetano Antonio FRASCA – Presidente –

Francesco Maria CIRILLO                 – Consigliere Rel. –

Marco DELL’UTRI                               – Consigliere –

Salvatore SAIJA                                   – Consigliere –

Carmelo Carlo ROSSELLO                – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24876/2021 R.G. proposto da:

(omissis) (omissis) rappresentata e difesa dall’avvocato (omissis) (omissis);

-ricorrente-

contro

(omissis) s.p.a. elettivamente domiciliata in ROMA, alla via (omissis) presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che la rappresenta e difende;

-controricorrente-

nonché contro

(omissis) (omissis) e (omissis) (omissis);

-intimate-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA n. 346/2021 depositata il 05/03/2021.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/12/2023 dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

FATTI DI CAUSA

1. (omissis) (omissis) convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Pescara, (omissis) (omissis) e la società di assicurazioni (omissis) poi divenuta (omissis) s.p.a. nelle rispettive qualità di proprietario-conducente e assicuratore di un autotreno con rimorchio, chiedendo che fossero condannati al risarcimento dei danni da lei patiti in conseguenza di un incidente stradale, verificatosi il 2 settembre 2009, asseritamente dovuto all’esclusiva responsabilità del (omissis).

Espose, a sostegno della domanda, che, nel mentre stava attraversando la strada a piedi nel centro del Comune di (omissis) era stata investita dall’autotreno a causa dell’evidente disattenzione del conducente, riportando gravissimi danni.

Si costituirono in giudizio entrambi i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda o, in subordine, il riconoscimento di un concorso di colpa del pedone investito.

Espletata  l’istruttoria  anche tramite  lo svolgimento di una c.t. u., il Tribunale accolse in parte la domanda e, riconosciuta la pari responsabilità del conducente e del pedone nella determinazione del sinistro, condannò il (omissis) e la società di assicurazione al risarcimento dei danni liquidati, al netto degli acconti già versati, nella somma complessiva di euro 353.452,56, oltre al danno da ritardo nella misura degli interessi legali e con il carico del 50 per cento delle spese di lite, compensate quanto all’altra metà.

2. La pronuncia é stata impugnata da (omissis) e la Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza del 5 marzo 2021, ha rigettato il gravame, ha confermato la decisione del Tribunale ed ha interamente compensate le spese del grado.

Ha osservato la Corte territoriale che l’appellante aveva contestato la sentenza di primo grado sia in ordine al riparto delle rispettive responsabilità che alla liquidazione del danno.

2.1. Affrontando, innanzitutto, il problema del riparto delie responsabilità, la Corte di merito ha premesso che la sussistenza della presunzione di responsabilità del conducente del mezzo investitore prevista dall’art. 2054, primo comma, cod. civ., anche se non superata, non preclude comunque l’accertamento dell’imprudenza e della pericolosità della condotta tenuta dal pedone investito.

Detto questo, la sentenza ha ritenuto di dover confermare la decisione del Tribunale in ordine ad un riparto paritario della responsabilità, posto che la (omissis) pur essendo pacifico il dato obiettivo dell’investimento da parte dell’autotreno, aveva «tenuto una condotta del tutto anomala, in condizioni di particolare pericolo e senza valutare le conseguenze del proprio agire».

Dalla ricostruzione della dinamica dell’incidente, infatti, era emerso che la vittima aveva deciso di attraversare la strada fuori dal perimetro delle strisce pedonali, benché le stesse si trovassero a distanza di circa 12 metri, e tanto pur avendo visto il sopraggiungere dell’autotreno che percorreva quella strada «a bassissima velocita». Decisione, questa, ancor più improvvida alla luce del fatto che la cabina di guida del mezzo era posta «molto in alto rispetto alla sede stradale», di modo che per ii conducente era davvero difficile avvistare la presenza di ostacoli «situati proprio in prossimità della parte antistante».

La (omissis) (omissis) cioè, nonostante l’intenso traffico, si era avventurata in un attraversamento molto rischioso, per di più senza accertarsi che quella manovra potesse essere portata a termine in sicurezza.

Ed infatti, proprio a causa del grande traffico su entrambe le direzioni di marcia, la donna era stata costretta a fermarsi in prossimità della mezzeria e all’interno della corsia percorsa dall’autotreno; per cui il conducente non aveva più, a quel punto, «oggettiva possibilità di scorgerne la presenza».

La grave imprudenza consistita nell’attraversamento al di fuori delle strisce é in un contesto di oggettiva pericolosità era aggravata, poi, dal fatto che ella si era «andata ad incuneare nell’angolo cieco alla visuale del conducente, ivi arrestando la sua marcia in attesa di poter transitare tra i veicoli che circolavano sull’opposta direzione di marcia, amplificando la condizione di rischio che ha portato al tragico evento lesivo».

In ordine al riparto delle responsabilità, inoltre, non potevano assumere alcun rilievo le osservazioni compiute dal perito incaricato dalla Procura della Repubblica, finalizzate evidentemente all’accertamento dell’esistenza di una responsabilità penale e regolate, comunque, da principi del tutto diversi da quelli vigenti per la responsabilità civile.

2.2. In ordine, poi, alla liquidazione del danno, la Corte abruzzese ha ugualmente confermato la decisione del Tribunale pescarese.

Ha premesso la Corte che non sussistevano ragioni obiettive per disporre una diversa e maggiore personalizzazione del danno rispetto alla percentuale del 25 per cento già fissata, ritenuta congrua e idonea a risarcire i danni subiti dall’appellante, avendo tale liquidazione previsto anche «una personalizzazione in misura superiore rispetto al punto-base del c.d. danno morale soggettivo».

Richiamati ampi stralci dell’ordinanza n. 7513 del 2018 di questa Corte – contenente, ad avviso della Corte d’appello, un vero e proprio decalogo della giurisprudenza di legittimità in ordine alla individuazione delle diverse voci di danno – la sentenza in esame ha osservato che era da considerare corretta la liquidazione del valore-punto in relazione all’età della vittima ed all’elevata percentuale di invalidità permanente accertata dal c.t.u. (65 per cento).

Su quel valore il Tribunale aveva correttamente calcolato l’aumento percentuale massimo del 25 per cento a titolo di personalizzazione, e ciò al fine di tenere conto anche accertate peculiari conseguenze che il sinistro aveva determinato nella vita della danneggiata.

Ed invero, la determinazione dell’invalidità nella misura del 65 per cento era stata compiuta dal c.t.u. proprio alla luce di tutte le menomazioni patite dalla (omissis) sia in tema di pregiudizi estetici e funzionali che di sindrome depressiva reattiva.

La personalizzazione, dunque, era doverosa e pienamente giustificata, anche perché al di la della «profonda e radicale trasformazione della vita individuale e sociale del danneggiato», era emersa anche una «sofferenza interiore non limitata al dolore fisico».

Ora, benché la vittima non avesse chiesto espressamente il risarcimento anche di tale danno soggettivo, la Corte abruzzese ha ricordato che, alla luce della sentenza n. 25164 del 2020 di questa Corte, la liquidazione del danno secondo le tabelle milanesi si fondava «su un sistema che incorpora nel valore monetario dei singolo punto di invalidità anche il pregiudizio morale».

Seguendo le indicazioni della citata pronuncia – la quale ha censurato alcune inesattezze contenute nelle tabelle milanesi – la Corte d’appello ha concluso rilevando che la sentenza del Tribunale, «non avendo epurato la componente (insita nel punto base delle tabelle milanesi) del danno morale soggettivo, ha provveduto alla sua liquidazione»; di talché la censura relativa alla liquidazione del danno morale doveva parimenti essere rigettata.

In relazione, infine, al profilo delle spese, la sentenza ha osservato che, sussistendo una soccombenza reciproca in relazione all’an della responsabilità, la parziale compensazione disposta in primo grado era da ritenere corretta e da ribadire, poi, anche per il giudizio di appello.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila, propone ricorso (omissis) con affidato a quattro motivi.

Resiste la (omissis) s.p.a. con controricorso.

(omissis) (omissis) non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2054 e 1227 cod. civ., per avere la Corte d’appello erroneamente applicato la presunzione di responsabilità a carico del conducente.

Osserva la ricorrente che nel caso in esame la presunzione di colpa a carico del conducente non sarebbe stata superata.

Richiamate alcune pronunce di legittimità, la ricorrente evidenzia che l’accertamento del comportamento colposo del pedone che viene investito non é sufficiente ad affermare la sua esclusiva responsabilità, perché il conducente del veicolo investitore deve vincere la presunzione di colpa di cui al primo comma dell’art. 2054 cit., e può farlo solo «dimostrando di aver fatto tutto ii possibile per evitare il danno».

II rapporto tra l’art. 2054 e l’art. 1227 cod. civ. é, alla luce della giurisprudenza di legittimità, impostato nel senso che «la prevenzione degli incidenti é affidata, prevalentemente, al conducente, il quale é esente da responsabilità solo davanti a comportamenti imprevedibili del pedone, non solo colposi, ma appunto imprevedibili ed in quanto tali inevitabili».

Nel caso specifico, la responsabilità esclusiva del conducente dell’autotreno avrebbe dovuto essere affermata tenendo presenti le seguenti circostanze:

l’attraversamento, da parte del pedone, in prossimità delle strisce pedonali;

il fatto che si fosse in pieno centro abitato e in ora di punta (le 17,40 circa);

la presenza di un traffico intenso;

l’andatura lenta del pedone e il fatto che egli avesse già completato l’attraversamento della mezzeria di pertinenza dell’autotreno, andando da destra a sinistra rispetto alla direzione di marcia di quest’ultimo.

Nessun comportamento più attento e migliore poteva, dunque, essere preteso da parte del pedone; con la conseguenza per cui il motivo chiede la cassazione della sentenza impugnata con il riconoscimento della responsabilità esclusiva del conducente del mezzo pesante.

2. Con ii secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2054 e 1227 cod. civ., nonché degli artt. 2733 e 2697 cod. civ., unitamente agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello attribuito un concorso di colpa a carico della danneggiata, per di più in misura paritaria rispetto al conducente dell’autotreno.

Dopo aver richiamato tutte le argomentazioni in base alle quali la Corte d’appello ha affermato tale concorso di colpa, la ricorrente rileva che esse sarebbero prive di valenza decisiva.

L’attraversamento al di fuori delle strisce sarebbe irrilevante, posto che esse si trovavano circa dodici metri più avanti, e numerose pronunce hanno stabilito che l’attraversamento sulle strisce può essere equiparato a quello che avviene in prossimità delle stesse (come avvenuto nella specie).

Le ulteriori considerazioni sulla pericolosità dell’attraversamento nonostante il previo avvistamento, da parte del pedone, dell’autotreno che sopraggiungeva sarebbero non decisive.

Rileva la ricorrente, in proposito, che l’esistenza del c.d. angolo cieco sarebbe irrilevante nella specie, trattandosi di un problema che non può interessare ii pedone; che l’attraversamento della strada, da parte sua, avvenne lentamente; che la presenza di veicoli circolanti nell’opposto senso di marcia non avrebbe alcun valore, perché ella fu investita quando aveva già completato l’attraversamento della mezzeria di pertinenza dell’autotreno, e che comunque la strada aveva una larghezza di oltre cinque metri, sicché il conducente di un mezzo a visuale alta aveva tutto il tempo di accertarsi dell’esistenza di un pedone in fase di attraversamento.

La sussistenza di una colpa esclusiva del conducente del mezzo investitore sarebbe poi confermata sia dalle dichiarazioni rese da quest’ultimo in sede di interrogatorio formale (rilevanti come confessione ai sensi dell’art. 2733 cod. civ.) sia dall’accertamento compiuto dal perito nominato in sede penale, il quale aveva concluso nel senso della colpa esclusiva del conducente (omissis).

3. I primi due motivi di ricorso, benché tra loro differenti, possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi tra loro.

3.1. É opportuno ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni ribadito che in materia di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, la ricostruzione delle modalità del fatto generatore del danno, la valutazione della condotta dei singoli soggetti che vi sono coinvolti, l’accertamento e la graduazione della colpa, l’esistenza o l’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, integrano altrettanti giudizi di merito, come tali sottratti al sindacato di legittimità se il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico (v., tra le altre, le sentenze 23 febbraio 2006, n. 4009, 25 gennaio 2012, n. 1028, e l’ordinanza 5 giugno 2018, n. 14358).

Nel caso specifico la Corte abruzzese ha ricostruito con grande precisione e attenzione la dinamica deI sinistro, considerando le caratteristiche della strada, l’orario del fatto, ii punto dell’impatto, ii comportamento del conducente del mezzo pesante e del pedone, la velocita dell’autotreno e le modalità di attraversa mento della strada da parte della vittima. E tanto ha fatto con una motivazione ricca, argomentata e tecnicamente ineccepibile.

3.2. Fatta simile  premessa,  il  punto  suI  quale  occorre soffermarsi – che la parte ricorrente ha evidenziato con richiami di giurisprudenza – é quello relativo ai criteri applicativi degli artt. 2054, primo comma, e 1227 cod. civ. in presenza di un sinistro stradale costituito dall’investimento di un pedone.

La ricorrente, ponendo l’accento, in particolare, sulla sentenza 4 aprile 2017, n. 8663, e sull’ordinanza 28 febbraio 2020, n. 5627, di questa Corte, ha ricordato che l’accertamento del comportamento colposo del pedone investito da un veicolo non é sufficiente per l’affermazione della sua esclusiva responsabilità, essendo pur sempre necessario che l’investitore vinca la presunzione di colpa posta a suo carico dall’art. 2054, primo comma, cod. civ., dimostrando di aver fatto tutto ii possibile per evitare il danno e tenendo conto che, a tal fine, neanche rileva l’anomalia della condotta del primo, ma occorre la prova che la stessa non fosse ragionevolmente prevedibile e che il conducente avesse adottato tutte le cautele esigibili in relazione alle circostanze del caso concreto, anche sotto il profilo della velocita di guida mantenuta (cosi la sentenza n. 8663).

Questo principio é stato ripreso dall’ordinanza n. 5627 cit., peraltro non fatta oggetto di massimazione dal competente ufficio, la quale ha osservato che l’art. 2054 cit. «pone una regola nella quale la prevenzione e prevalentemente a carico del conducente, il quale deve dimostrare di aver fatto il possibile per evitare il danno. Una tale prova liberatoria può essere fornita certamente allegando l’imprudenza del pedone, ma solo se questa si presenti come condotta imprevedibile».

Si tratta, a ben vedere, di un principio che emerge anche da altre decisioni di questa Corte (v. le ordinanze 22 febbraio 2017, n. 4551, e 28 marzo 2022, n. 9856) e che é riassumibile nell’affermazione secondo cui la violazione, da parte del pedone, delle regole del codice della strada non é di per se sufficiente a vincere la presunzione di colpa che l’art. 2054, primo comma, cod. civ. pone a carico del conducente (v., tra le altre, la sentenza 18 novembre 2014, n. 24472, e le ordinanze 28 gennaio 2019, n. 2241, e 13 luglio 2023, n. 20137. Da vedere anche l’ordinanza 17 gennaio 2020, n. 842, la quale contiene l’affermazione speculare per cui il mancato superamento della presunzione di colpa .da parte del conducente non esclude la necessaria indagine sull’imprudenza e la pericolosità della condotta del pedone).

I principi di diritto, come sempre, devono essere letti alla luce della specificità dei singoli casi.

Si potrà vedere, ad esempio, che nelle ordinanze n. 4551 del 2017 e n. 9856 del 2022 quel principio é stato richiamato per rigettare i ricorsi contro due sentenze di merito che avevano escluso totalmente la responsabilità del conducente, ritenendo cioé che l’intera colpa del sinistro fosse da porre a carico del pedone.

Nell’ordinanza n. 5627 del 2020, invece, il caso era diverso, perché questa Corte ha cassato una sentenza che aveva riconosciuto a carico del pedone un 30 per cento di responsabilità.

Si é detto nella motivazione, tra l’altro, che «l’incidenza della condotta del danneggiato va misurata sullo standard di diligenza imposta al danneggiante».

Facendo attenzione al caso specifico esaminato in quell’occasione, si vede che la cassazione é stata disposta perché la Corte d’appello aveva riconosciuto il concorso di colpa, a carico del pedone, per non essersi avveduto, nel momento dell’attraversamento della strada, del sopraggiungere del motociclo investitore.

Dalla lettura dell’intera motivazione si apprende (p. 6), però, che l’investimento era avvenuto su di una strada a senso unico, per cui non poteva pretendersi che il pedone prestasse attenzione, prima di attraversare, anche al lato di marcia vietato agli autoveicoli (il che é del tutto ovvio e ragionevole e marca la specificità di quel caso).

Cosi adattato, correttamente, ii principio di diritto alla vicenda, si comprende facilmente che né l’ordinanza n. 5627 del 2020 né la sentenza n. 8663 del 2017 spostano le regole generali della responsabilità civile in senso sbilanciato cioè a favore esclusivo del pedone e necessariamente contro il conducente del mezzo.

É evidente – e in tal senso la giurisprudenza di questa Corte é da tempo consolidata e va ribadita – che su quest’ultimo grava un dovere di attenzione e di prudenza maggiore, non fosse altro che per l’evidente incomparabile differenza tra la pericolosità del mezzo meccanico e la situazione inerme del pedone.

Ma quello che il Collegio oggi ritiene di dover riaffermare e che la lettura combinata degli artt. 1227 e 2054, primo comma, cod. civ. esige, da parte del giudice di merito, che si svolga uno specifico accertamento delle rispettive colpe in relazione alla particolarità del singolo caso in esame, che e quello che la Corte d’appello abruzzese ha fatto nel caso in esame, individuando criticità tanto nel conducente che nel pedone.

É qui il caso di ricordare quanto si e detto in precedenza, e cioé che la sentenza ha evidenziato tutte le specifiche ragioni di colpa esistenti a carico della (omissis) (omissis) costituite non solo e non tanto dall’attraversamento fuori dalle strisce pedonali (che distavano appena dodici metri), quanto dal fatto di non aver calcolato correttamente il tempo necessario all’attraversamento in relazione al traffico esistente, finendo in tal modo per rimanere bloccata al centro della carreggiata a causa del sopraggiungere dei veicoli marcianti in senso contrario, sicché il conducente dell’autotreno, pur procedendo a bassissima velocita, non aveva potuto evitarla.

Quanto, poi, aI riparto percentuale delle rispettive responsabilità, il Collegio sottolinea che si tratta di una valutazione appartenente ad un tipico potere del giudice di merito, il cui sindacato esula dai limiti del presente giudizio di legittimità.

3.3. Deriva da quanto detto che il primo e il secondo motivo di ricorso sono privi di fondamento.

4. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, 3), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 cod. civ., nonché dell’art. 138 del codice delle assicurazioni.

II motivo ha ad oggetto l’entità del danno liquidato, in particolare in relazione alla c.d. personalizzazione.

Dopo aver ricordato che la sentenza impugnata, applicate le tabelle milanesi, ha già riconosciuto una personalizzazione nella misura del 25 per cento, il motivo pone in luce che vi sono alcune pronunce di legittimità che consentirebbero una personalizzazione anche in misura più elevata, fino al 50 per cento.

Poiché non e stata ancora emanata la tabella per le lesioni più gravi prevista dall’art. 138 cod. ass., sussistono, secondo la ricorrente, tutte le condizioni per una personalizzazione in misura più alta, poiché il sinistro ha causato danni che vanno ben al di la degli effetti standard di una lesione.

4.1. É opportuno ricordare che l’art. 138, comma 2, lettera e), del d.lgs. 7 settembre  2005, n.  209, dispone che «al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all’integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilita in applicazione dei criteri di cui alle lettere da a) a d) e incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione».

II successivo comma 3 del medesimo art. 138 stabilisce che, qualora la menomazione accertata «incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati», l’ammontare del risarcimento «può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30 per cento».

Da queste disposizioni si traggono due conclusioni: 1) che ii danno morale, ricorrendone le condizioni, deve essere liquidato in via autonoma rispetto al danno biologico (sentenza 11 novembre 2019, n. 28989) e 2) che l’aumento previsto dal comma 3 fino al 30 per cento ha ad oggetto soltanto il danno biologico, e non anche quello morale.

4.2. La Corte abruzzese, ricostruendo con perfetta correttezza l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità, ha ricordato che in base alla fondamentale ordinanza 27 marzo 2018, n. 7513, di questa Corte costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno dinamico-relazionale, atteso che con quest’ultimo si individuano pregiudizi di cui é già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale).

Ha poi ricordato che, alla luce della sentenza 10 novembre 2020, n. 25164, le tabelle milanesi redatte prima degli interventi correttivi della più recente giurisprudenza di questa Corte prevedevano si la liquidazione del danno dinamico-relazionale e del danno morale, ma pervenivano (non correttamente) all’indicazione di un valore monetario complessivo (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno; v. in argomento la recentissima ordinanza 30 dicembre 2023, n. 36609, pubblicata nel mentre era in corso la stesura della presente motivazione).

Tutto ciò premesso, la Corte di L’Aquila ha chiarito che:

1) il danno da sofferenza interiore, certamente spettante alla vittima, benché non fosse state espressa mente richiesto, era da ritenere in realtà già liquidate dal Tribuna le, proprio a causa della ricomprensione di tale voce all’interno del danno dinamico­ relazionale stabilito dalie tabelle milanesi all’epoca vigenti;

2) che, in considerazione dell’età della danneggiata e della grave percentuale di invalidità permanente, trovava piena giustificazione l’aumento della liquidazione del 25 per cento a titolo di personalizzazione del danno biologico, essendosi in presenza di postumi peculiari, non ordinari e di particolare gravita.

4.3. Appare evidente, quindi, che, contrariamente a quanto si afferma nel ricorso – nel quale si sostiene, in modo poco generoso, che la Corte d’appello avrebbe “liquidato” la questione in poche battute, dopo una «accurata quanto inutile dissertazione sulla natura del danno non patrimoniale alla luce delle c.d. sentenze di San Martino bis del 2018» (che sono invece del 2019, per amore di precisione) – la sentenza impugnata ha esaustivamente e correttamente affrontato l’argomento, ritenendo doverosa e sufficiente una personalizzazione nella misura del 25 per cento.

E non spetta certamente a questa Corte ritenere dovuta una misura di personalizzazione più elevata (fino al limite del 30 per cento), trattandosi di una valutazione rimessa aI giudice di merito e non sindaca bile in presenza di una motivazione ineccepibile come quella resa dalla sentenza qui oggetto di impugnazione.

Quella che va precisato, invece, é che non giova alla ricorrente il richiamo, contenuto nel terzo motivo, alla sentenza 14 giugno 2016, n. 12146, di questa Corte.

Ed invero – ferma restando l’ovvia considerazione che quella sentenza fu emessa in un contesto normative e giurisprudenziale ben diverse da quello odierno, nel quale non era ancora intervenuta la nuova formulazione dell’art. 138 del d.lgs. n. 209 del 2005 ad opera dell’art. 1, comma 17, della legge 4 agosto 2017, n. 124 – si deve affermare che il tetto del 30 per cento fissato per la personalizzazione del danno biologico e assolutamente imperativo e vincolante, in quanto stabilito per legge.

II fatto che non sia intervenuta ancora (fino alla data della camera di consiglio della presente decisione) la tabella unica nazionale prevista dall’art. 138 cit. non significa che, una volta liquidate il danno biologico con le tabelle allo stato in applicazione, si possa poi disporre un aumento, a titolo di personalizzazione, in una misura “libera”, perché quel tetto, appunto, é stabilito dalla legge ed é insuperabile e immediatamente operativo.

4.4. Consegue dall’insieme di tutte le esposte considerazioni che il terzo motivo di ricorso é privo di fondamento.

5. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. in punto di liquidazione delle spese.

La ricorrente osserva che non vi é stata alcuna soccombenza reciproca, ma solo una riduzione del quantum risarcitorio rispetto a quello chiesto dalla danneggiata, con la conseguenza che le spese avrebbero dovuto essere poste per intero a carico dei danneggianti.

5.1. II motivo non é fondato.

La sentenza della Corte d’appello, confermando anche su questo punto quella del Tribunale, ha riconosciuto un riparto delle colpe nella misura del 50 per cento; ne consegue che la decisione della compensazione parziale non si fonda solo sull’accoglimento in misura minore della richiesta risarcitoria, ma anche sulla preponderante ragione di una parziale soccombenza dell’odierna ricorrente in ordine all’an della responsabilità per quanto e purtroppo accaduto.

  1. II ricorso, pertanto, é rigettato.

A tale esito segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 13 agosto 2022, n. 147, sopravvenuto a regolare i compensi professionali.

Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 7.300, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, da atto della sussistenza delle condizioni per ii versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per ii ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, l’11 dicembre 2023.

Il Presidente

RAFFAELE GAETANO ANTONIO FRASCA

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.