ISIS. Il concetto di “partecipazione” alle associazioni di cui all’art. 270-bis c.p. (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 4 maggio 2022, n. 17758).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CATENA Rossella – Presidente

Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere

Dott. MOROSINI Elisabetta Maria – Consigliere

Dott. DE MARZIO Giuseppe – Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfredo – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) MAHDI nato a CIRIE il 11/01/19xx;

avverso la sentenza del 01/12/2020 della CORTE ASSISE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. ALFREDO GUARDIANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. VINCENZO SENATORE che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore L’avvocato (OMISSIS) ALESSANDRO si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso.

FATTO E DIRITTO

1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di assise di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza con cui la corte di assise si Torino, in data 28.6.2019, aveva condannato (OMISSIS) Mahdi alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia, in relazione ai reati ex artt. 270 bis, co. 2, c.p., e 81, co. 2, 414, co. 4, c.p., 1, d.l. 15.12.1979, n. 625, convertito dalla I. n. 15/80, rispettivamente ascrittigli nei capi A) e B) dell’imputazione, assolveva l’imputato dal reato di cui al capo B), perché il fatto non sussiste, limitatamente alle condotte diverse da quella inerente “il materiale audio sulla piattaforma Soundcloud”, ed, esclusa la contestata recidiva, ritenuto, inoltre, il vincolo della continuazione anche con il fatto reato giudicato con la sentenza emessa dal G.U.P. del tribunale di Torino il 26.11.2015, irrevocabile dal 17.12.2015, rideterminava in senso più favorevole al prevenuto l’entità del trattamento sanzionatorio, confermando nel resto la sentenza impugnata.

2. Avverso la sentenza del tribunale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando:

1) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento all’art. 270 bis, c.p., avendo “specifico riguardo ai punti concernenti la rilevanza ai fini dell’integrazione della condotta partecipativa dei contatti antecedenti al 2013; dei riconoscimenti privi di alcun contatto; dei tentativi dell’imputato di accreditarsi presso Omar Alamriki e Abdulrahaman Mosh;

2) violazione di legge, in ordine alla previsione dell’art. 238 bis, c.p.p., avendo la corte territoriale utilizzato, ai fini della prova della condotta partecipativa, le trascrizioni delle conversazioni telefoniche riportate nelle sentenze prodotte dal pubblico ministero;

3) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento al mancato riconoscimento dell’incidenza delle pur riconosciute attenuanti generiche nella loro massima estensione sulla pena-base, ridotta, per effetto delle menzionate circostanze attenuanti, in misura inferiore a un decimo.

3. Il ricorso va rigettato, per le seguenti ragioni.

4. Al ricorrente vengono addebitate una serie di condotte riconducibili al paradigma normativo, di cui agli artt. 270 bis, co. 1 e 2, c.p., per avere partecipato “all’organizzazione terroristica denominata Stato Islamico (IS) ovvero Daesh, associazione che si propone il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo” (capo A), e agli artt. 81, co. 2, 414, co. 4, c.p., 1, d.l. 15.12.1979, n. 625, convertito dalla I. n. 15/80, per avere fatto apologia del delitto di attentato per finalità terroristiche (art. 280, c.p.) di cui all’art. 270 bis, c.p. (capo B).

Orbene, in via preliminare, va risolta la questione processuale sollevata con il secondo motivo di ricorso.

Il ricorrente ritiene che, ai fini di dimostrare la partecipazione dell’imputato all’organizzazione terroristica di cui si discute, non è possibile valorizzare, come fatto dalla corte di appello, “i contatti operativi” dell'(OMISSIS) con Kachia Abderrahmane e, indirettamente, con l’amico di quest’ultimo, Moutaharrikk Abderrahim”, nel periodo in cui, come evidenzia la corte territoriale, questi ultimi, “coerenti alla loro manifestazione di piena disponibilità per l’ISIS, fino al martirio, iniziano ad esaminare la possibilità di compiere la loro missione con un attentato terroristico in Italia”.

Ciò in quanto tali contatti sono stati dimostrati da una serie di conversazioni telefoniche oggetto di captazione, riportate nelle motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado, rese nell’ambito di diverso procedimento penale, prodotte, ai sensi dell’art. 238 bis, c.p.p., dal pubblico ministero.

Conversazioni, tuttavia, ad avviso del ricorrente, non utilizzabili in quanto, da un lato, il pubblico ministero non ha prodotto i verbali relativi alle operazioni di trascrizione delle menzionate intercettazioni, eseguite in un procedimento diverso, dall’altro, il difensore dell’imputato non ha partecipato all’assunzione della prova in tale procedimento.

Si tratta di una carenza, ad avviso dell’imputato, non risolvibile facendo riferimento al disposto dell’art. 238 bis, c.p.p., alla luce del quale le sentenze divenute irrevocabili possono costituire prova dei soli fatti intesi come eventi storici esterni al processo.

Tale censura va ritenuta inammissibile, ai fini della decisione del proposto ricorso.

Come affermato dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, infatti, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (cfr. Cass., Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, Rv. 269218; Cass., Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, Rv. 270303; Cass., Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, Rv. 279829).

Siffatto onere non risulta adempiuto dal ricorrente, a fronte di un articolato percorso motivazionale, in cui, come si vedrà nel prosieguo della motivazione, i contatti dell'(OMISSIS) con Kachia Abderrahmane e e Moutaharrik Abderrahim, non assumono un valore assorbente nel fondare la responsabilità dell’imputato.

5. Ciò posto, va innanzitutto rilevato che l'(OMISSIS) non contesta la natura terroristica dell’associazione a delinquere denominata Isis, ma esclusivamente il percorso motivazionale seguito dai giudici di merito e, in particolare, dalla corte territoriale, per giungere alla conclusione della partecipazione a pieno titolo dell’imputato a tale sodalizio criminoso.

Si tratta di un profilo di particolare complessità ermeneutica, in quanto, secondo una tecnica di tipizzazione della fattispecie associativa già sperimentata nello stesso codice penale, il Legislatore non ha indicato in cosa consista l’attività di “partecipazione” ovvero il “prendere parte” a un’associazione di natura criminale come quella prevista dall’art. 270 bis, c.p. (“Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico”), lasciando, dunque, all’interprete il non facile compito di riempire di concreto contenuto espressioni che possono apparire indefinite, proprio perché idonee a ricomprendere in sé una serie potenzialmente infinita di condotte.

Sarebbe un errore di prospettiva, ad avviso del Collegio, pretendere di pervenire a una nozione astratta di “partecipazione”, valevole per ogni tipo di reato associativo.

Partecipare” significa prendere parte o essere parte rispetto a qualcosa di diverso dal soggetto che “partecipa”; ne consegue che il modo con cui si declina la “partecipazione” non può non essere determinato dalle caratteristiche proprie della entità alla quale si “partecipa”.

Se è vero, pertanto, che, alla luce di un’ovvia esigenza di coerenza sistematica, non sembra esercizio sterile rinvenire un minimo comune denominatore delle diverse condotte partecipative penalmente rilevanti, è altrettanto vero che ogni condotta di “partecipazione” presenta dei connotati peculiari, in ragione della particolare natura e struttura della associazione a delinquere cui si “partecipa”.

Ciò vale massimamente nel caso che ci occupa, tenuto conto delle peculiarità dell’organizzazione criminale in esame, che si manifestano, come si dirà in seguito, sia sul piano organizzativo, sia su quello culturale, trattandosi di un’organizzazione le cui attività terroristiche sono finalizzate alla realizzazione di un disegno di eversione dell’ordine internazionale e di singoli Stati, sostenuto da una “teologia politica”, in cui gioca un ruolo determinante la condivisione, da parte dei singoli aderenti, della religione islamica, nella sanguinaria interpretazione fornitane dall’Isis, quale fondamento del jihad (“guerra santa”), che conduce (e, in parte, ha storicamente condotto in alcune zone della Siria e dell’Iraq) alla nascita di un nuovo califfato ovvero di una nuova entità statuale, nota come “Stato islamico”.

5.1. Così delimitato il perimetro della questione di diritto sottoposta all’attenzione del Collegio, appare opportuno svolgere lo sguardo, sia pure sinteticamente, alla elaborazione maturata in subiecta materia dalla giurisprudenza di legittimità nel corso degli anni.

Punto di partenza dell’excursus proposto, si individua in un orientamento affermatosi in passato, secondo cui in relazione al delitto di associazione con finalità di terrorismo, che è reato di pericolo presunto, per la configurabilità della responsabilità del partecipe non è sufficiente l’adesione a un’astratta ideologia, per quanto caratterizzata dal progetto di abbattere le istituzioni democratiche, ma è necessaria l’effettiva pratica della violenza come metodo di lotta politica e la predisposizione di un programma di azioni terroristiche, da intendersi come proposito concreto ed attuale di atti di violenza (cfr. Cass., Sez. 1, n. 30824 del 15/06/2006, Rv. 234182).

Non è sufficiente, dunque, per tale orientamento, successivamente ripreso, la sola adesione ideale al programma criminale o la comunanza di pensiero e di aspirazioni con gli associati, occorrendo invece l’effettivo inserimento nella struttura organizzata, con lo svolgimento di attività preparatorie per l’esecuzione del programma e l’assunzione di un ruolo concreto nell’organigramma criminale (cfr. Cass., Sez. 1, n. 22719 del 22/03/2013, Rv. 256489).

Già in passato era ben chiaro alla giurisprudenza di legittimità come giocassero un ruolo determinante per definire la nozione di partecipazione al reato associativo ex art. 270 bis, c.p., da un lato, la struttura dell’associazione criminale; dall’altro, il valore da attribuire alla dimensione politico-culturale, che permea lo scopo del sodalizio, fungendo da forza di attrazione nei confronti dei singoli aderenti.

A tale ultimo proposito, si è osservato che la costituzione di un sodalizio criminoso avente le caratteristiche di cui all’art. 270 bis, c.p., non può dirsi esclusa per il fatto che lo stesso sia imperniato per lo più attorno a nuclei culturali che si rifanno all’integralismo religioso islamico perché, al contrario, i rapporti ideologico-religiosi, sommandosi al vincolo associativo che si proponga il compimento di atti di violenza con finalità terroristiche, lo rendono ancor più pericoloso (cfr. Cass., Sez. 2, n. 669 del 21/12/2004, Rv. 230432, nonché, nello stesso senso, Cass., Sez. 5, n. 50189 del 13/07/2017, Rv. 271646).

Costante, come si è accennato, è stata, inoltre, l’attenzione della giurisprudenza di legittimità nel costruire il significato della partecipazione al reato associativo, muovendo proprio dalla particolare struttura del delitto di cui si discute, secondo un percorso che nel corso degli anni si è affinato proprio in ragione di una migliore comprensione delle forme organizzative assunte dai gruppi del terrorismo internazionale strutturati secondo il modello dell’Isis.

Si è così evidenziato che il delitto di partecipazione ad un’associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico, di cui all’art. 270 bis, c.p., è integrato, in presenza di una struttura organizzata sia pure in modo rudimentale, da una condotta di adesione ideologica che si sostanzi in seri propositi criminali diretti alla realizzazione delle finalità associative, senza che sia necessario, data la natura di reato di pericolo presunto, che si abbia l’inizio di materiale esecuzione del programma criminale (cfr. Cass., Sez. 2, n. 24994 del 25/05/2006, Rv. 234345; Cass., Sez. 2, n. 14704 del 22/04/2020, Rv. 279408).

In altri termini il delitto di associazione con finalità di terrorismo internazionale o di eversione dell’ordine democratico, per la sua natura di reato di pericolo presunto, è integrato in presenza di una struttura organizzativa con grado di effettività tale da rendere possibile l’attuazione del programma criminoso, mentre non richiede anche la predisposizione di un programma di azioni terroristiche (cfr. Cass., Sez. 1, n. 34989 del 10/07/2007, Rv. 237630; Cass., Sez. 5, n. 2651 del 08/10/2015, Rv. 265924).

In questo solco interpretativo si inseriscono una serie di importanti decisioni, che hanno approfondito la particolare natura delle organizzazioni terroristiche di matrice islamica di recente costituzione, individuando molteplici sintomi rivelatori della partecipazione del singolo a tali organizzazioni.

Al riguardo si è sottolineato come, ai fini della configurabilità del delitto di associazione sovversiva con finalità di terrorismo internazionale, la necessità di una struttura organizzativa effettiva e tale da rendere possibile l’attuazione del programma criminale non implica necessariamente il riferimento a schemi organizzativi ordinari, essendo sufficiente che i modelli di aggregazione tra sodali integrino il “minimum” organizzativo richiesto a tale fine.

Ne deriva che tali caratteri sussistono anche con riferimento alle strutture “cellulari” proprie delle associazioni di matrice islamica, caratterizzate da estrema flessibilità interna, in grado di rimodularsi secondo le pratiche esigenze che, di volta in volta, si presentano, in condizioni di operare anche contemporaneamente in più Stati, ovvero anche in tempi diversi e con contatti fisici, telefonici o comunque a distanza tra gli adepti anche connotati da marcata sporadicità, considerato che i soggetti possono essere arruolati anche di volta in volta, con una sorta di adesione progressiva ed entrano, comunque, a far parte di una struttura associativa saldamente costituita.

Ne consegue che, in tal caso, l’organizzazione terroristica transnazionale assume le connotazioni, più che di una struttura statica, di una “rete” in grado di mettere in relazione soggetti assimilati da un comune progetto politico-militare, che funge da catalizzatore dell'”affectio societatis” e costituisce lo scopo sociale del sodalizio (cfr. Cass., Sez. 5, n. 31389 del 11/06/2008, Rv. 241175).

Sul tema specifico della struttura organizzativa, alcuni recenti e condivisibili arresti hanno evidenziato come l’Isis e altre analoghe organizzazioni terroristiche siano conformi a un modello “polverizzato” di articolazione (cfr. Cass., Sez. 5, n. 8891 del 18/12/2020, Rv. 280750), in quanto è l’Isis, insieme al sedicente Stato Islamico che ne è l’espressione politico-territoriale, la struttura criminale in relazione alla quale devono valutarsi i caratteri organizzativi e la consistenza del programma alla cui attuazione i sodali, singolarmente o in gruppo, si propongono di prestare ausilio sulla base di una condivisione degli scopi, con la conseguenza che ai fini del riconoscimento della natura terroristica di una cellula periferica della suddetta organizzazione non è necessario che la stessa sviluppi le caratteristiche proprie della struttura centrale attraverso la predisposizione di un preciso piano di attentati terroristici (cfr. Cass., Sez. 2, n. 14704 del 22/04/2020, Rv. 279408).

Il medesimo schema si rinviene nella organizzazione facente capo ad “Al Quaeda”, che assume una struttura peculiare, proprio perché, al pari dell’Isis, non composta, come le organizzazioni criminali e terroristiche interne, da persone, mezzi e luoghi di incontro, ma caratterizzata da un’adesione, aperta anche se non indiscriminata, realizzata con modalità informatizzata su base planetaria, propugnando la diffusione del credo religioso e politico attraverso cellule “figlie” che, aderendo al programma, svolgono, sia pure attraverso un rapporto del tutto smaterializzato con l’organizzazione “madre”, un ruolo strumentale per la realizzazione del fine criminoso, consentendone da un lato la più efficace forma di proselitismo e dall’altro fornendo supporti didattici operativi (quali, ad esempio, l’individuazione di obiettivi sensibili, i modi di utilizzazione di bombe ed esplosivi, i suggerimenti per rendere alto e credibile il rischio di attentati) per la realizzazione delle finalità criminose dell’organizzazione (Nella specie, la Corte ha riconosciuto il carattere di cellula “figlia” ad un gruppo che, non solo si riconosceva nelle ideologie dell’organizzazione, ma attuava il programma per via telematica, con collegamenti “internet” realizzati attraverso la partecipazione a forum, direttamente collegati all’organizzazione “madre”, e a successivi momenti di indottrinamento e di adesione degli adepti: cfr. Cass., Sez. 2, n. 7808 del 04/12/2019, Rv. 278680).

Su tali presupposti, come si diceva, è stata costruita dalla giurisprudenza di legittimità, con indubbia coerenza logica, la nozione di partecipazione all’Isis.

Si è affermato, invero, che integra il delitto di partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo internazionale ex art. 270-bis, c.p., e non il delitto di istigazione a delinquere ex art. 414, c.p., la condotta di soggetti che, aperti sostenitori del c.d. Stato islamico e rispondenti alla chiamata al jihad, abbiano posto in essere condotte strumentali al consolidamento ed al rafforzamento dell’organizzazione, sia mediante atti di propaganda apologetica rilevanti sul piano della concreta incentivazione dell’adesione al progetto criminoso (nella specie, uso del “web” e dei “social media” con pubblicazione di video relativi a gravi attentati terroristici per divulgare la chiamata al jihad; partecipazione a gruppi chiusi di condivisione dell’ideologia jihadista; adesione espressa alla rivista “on line” “Dabiq News” che fornisce consigli sui bersagli da colpire in occidente, sulla fabbricazione di armi e sulle modalità di emigrazione verso i territori conquistati dal c.d. stato islamico), sia con condotte volte ad agevolare il reclutamento e l’autoradicalizzazione (nella specie, evidenziando la conoscenza ed i pregressi contatti con soggetti combattenti nelle zone di guerra e fornendo ausilio a chi intendeva unirsi alle milizie jihadiste), nonché il convogliamento di risorse economiche-finanziarie verso l’organizzazione di matrice islamica (cfr. Cass., Sez. 2, n. 22163 del 21/02/2019, Rv. 276065).

Si è del pari evidenziato che la partecipazione all’ISIS o ad analoghe associazioni internazionali, può essere desunta da concrete condotte sintomatiche della condivisione ideologica delle finalità dell’associazione, in cui si sostanzia la messa a disposizione del singolo verso il gruppo criminale e si struttura il relativo rapporto. (In motivazione la Corte ha precisato che l’adesione – nella specie ad una associazione di matrice jihadista – può avvenire anche con modalità spontaneistiche e “aperte”, non implicanti una formale accettazione da parte del gruppo terroristico, ma volte ad includere progressivamente il partecipe, attraverso contatti con i livelli intermedi o propaggini finali, anche “mediatamente” e flebilmente riconducibili alla “casa madre”, purché idonei a dare una qualche consapevolezza, anche indiretta, della sua adesione: cfr. la già citata Cass., Sez. 5, n. 8891 del 18/12/2020, Rv. 280750).

Principi ribaditi in una recente e condivisibile decisione della Suprema Corte, in cui si è evidenziato come la partecipazione all’Isis o ad analoghe associazioni internazionali rispondenti ad un modello polverizzato di articolazione, può essere desunta dall’individuazione di proiezioni concrete della condivisione ideologica delle finalità dell’associazione in cui si sostanzia la messa a disposizione del singolo verso l’associazione e si struttura il suo rapporto con il gruppo criminale (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure l’ordinanza di conferma della custodia cautelare applicata all’indagato per la condotta di partecipazione all'”Isis”, desunta, tra l’altro, dalle seguenti condotte: l’aver fornito assistenza ad un associato; l’aver svolto attività di apologia del terrorismo su “Twitter” mediante un profilo aperto e condiviso da tredici “follower”; la detenzione di materiale “jihadista” di propaganda, indottrinamento ed arruolamento, acquisito nel cd. “deep” ovvero nel “dark web” attraverso canali accessibili soltanto mediante specifiche chiavi informatiche; l’aver compiuto attività di propaganda e proselitismo su “Whatsapp” e nel corso di lezioni di religione in un centro culturale: cfr. Cass., Sez. 1, n. 51654 del 09/10/2018, Rv. 274985).

Ulteriore sintomo di partecipazione all’Isis è stato individuato nella condotta di chi travalicando i confini della mera adesione interiore ed ideologica alla causa della “jihad”, per essa si attivi fattivamente, seppur singolarmente, non solo prodigandosi in un’opera di indottrinamento e proselitismo, ma realizzando, altresì, un’attività di auto-addestramento (c.d. lupo solitario), sia pure teorica, alla preparazione ed esecuzione di attentati terroristici, nonché intrattenendo contatti operativi con persone intranee al “network” internazionale del terrore (Nella specie, era emerso che l’indagato aveva accesso al canale segretissimo “Ahwaal ummat” ed alla consultazione della rivista “Rumiyah”, elementi ritenuti indicativi del grado di intraneità e dell’esistenza di pregnanti contatti con la struttura reticolare dell’associazione terroristica, in quanto caratterizzati da contenuti immediatamente operativi rivolti a soggetti già radicalizzati e pienamente disponibili alla lotta jihadista: cfr. Cass., Sez. 5, n. 1970 del 26/09/2018, Rv. 276453).

Ovvero nella condotta di chi, offrendo ospitalità ai “fratelli” ritenuti pericolosi, preparando documenti d’identità falsi e propagandando all’interno dei luoghi di culto la raccolta di fondi per i “mujaeddin” ed i familiari dei cd. “martiri”, esprime, in tal modo, il sostegno alle finalità della stessa associazione terroristica ed assicura un concreto intervento in favore degli adepti, in adesione al perseguimento del progetto “jiadista” (cfr. Cass., Sez. 5, n. 2651 del 08/10/2015, Rv. 265925).

Va, infine, segnalato un orientamento della giurisprudenza di legittimità, che pone particolare attenzione al valore sintomatico da attribuire alle condotte dei singoli, consistenti in attività di proselitismo e di indottrinamento.

Partendo dal principio più volte ribadito, secondo cui per la configurabilità del delitto di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale è necessaria la sussistenza di una struttura criminale che si prefigga la realizzazione di atti violenti qualificati da detta finalità ed abbia la capacità di dare agli stessi effettiva realizzazione, si è sottolineato come non siano sufficienti al riguardo semplici attività di proselitismo e indottrinamento, che possono comunque ben rappresentare precondizione ideologica per la costituzione di un’associazione terroristica, finalizzate a inculcare una visione positiva del martirio per la causa islamica e ad acquisire generica disponibilità ad unirsi ai combattenti in suo nome (cfr. Cass., Sez. 5, n. 48001 del 14/07/2016, Rv. 268164).

Sul piano della partecipazione del singolo, si è, altresì, sostenuto che, in tema di associazione con finalità di terrorismo di matrice islamica, l’adesione a un sodalizio operante sul territorio nazionale che sia solo “servente” rispetto all’associazione internazionale, implica la partecipazione anche all’organizzazione internazionale “madre” a condizione che risultino contatti effettivi e reali, non potendosi attribuire di per sé rilevanza, ai fini della configurazione della condotta partecipativa, né a condotte di supporto ad una generica finalità terroristica, quali la preparazione di documenti di identità falsi ovvero la propaganda all’interno di luoghi di culto, né a quelle relative ad una generica messa a disposizione “unilaterale” (cfr. Cass., Sez. 6, n. 51218 del 12/06/2018, Rv. 274290).

In questa prospettiva, l’inserimento del singolo in una struttura associativa “locale” non implica automaticamente la prova della sua partecipazione al gruppo “madre” internazionale, in assenza della dimostrazione dell’esistenza di un contatto anche indiretto ma reale, non putativo, ulteriore rispetto alla mera adesione ideologica a valori comuni (cfr. Cass., Sez. 6, Sentenza n. 14503 del 19/12/2017, Rv. 272731).

5.2. Orbene ritiene il Collegio che, ai fini della integrazione della condotta di partecipazione all’associazione terroristica internazionale nota come Isis, sia decisiva la semplice attività di propaganda, indottrinamento e proselitismo svolta in nome e nell’interesse del sodalizio in questione.

Appare quasi ovvio ribadire, a tale proposito, che la convinta adesione del singolo al progetto politico-religioso dell’Isis, definita in dottrina anche come “radicalizzazione”, che rimanga confinata nel foro interiore dell’agente, risulta del tutto priva di rilevanza penale, non essendo perseguibile ciò che rimane circoscritto in una dimensione tale da esaurirsi nel semplice pensiero, senza concretizzarsi in azione esterna.

Diversamente, oltrepassa i limiti della mera adesione interiore e ideologica alla causa del jihad, entrando a pieno titolo nel territorio del penalmente rilevante, come forma affatto originale di partecipazione a un’organizzazione a delinquere, a sua volta, come si è visto, strutturalmente diversa dalle “tradizionali” associazioni criminali contemplate dal Legislatore, la condivisione del menzionato progetto politico-religioso, che presenti determinate caratteristiche.

Che si traduca, in particolare, in un’attività rivolta a diffondere sistematicamente verso i terzi, attraverso scritti e immagini, provenienti da fonti, spesso di accesso limitato, sicuramente riferibili all’Isis, anche utilizzando gli strumenti della moderna comunicazione “planetaria”, un ampio ventaglio di informazioni intimamente attinenti alla vita del gruppo terroristico.

Come, a titolo esemplificativo, i contenuti e i proclami ideologici e politico-religiosi; gli obiettivi, di volta in volta perseguiti o raggiunti dall’Isis, con l’esecuzione, anche da parte di cd. “lupi solitari”, degli attentati programmati ovvero con il conseguimento dei successi militari contro i nemici negli scontri diretti sul teatro di guerra; l’esaltazione dei suoi “martiri” e dei suoi combattenti, tra cui numerosi sono i foreign fighters, provenienti da paesi non musulmani, corsi a combattere sui campi di battaglia del Medio Oriente, accogliendo il richiamo del jihad; le crudeli punizioni inflitte ai traditori e agli “infedeli”; le ferree regole imposte alla popolazione nei territori occupati dallo “Stato islamico”.

Non si tratta, occorre rimarcare per eliminare ogni possibile dubbio sul punto, di plurime forme di manifestazione di un pensiero politico- religioso, sia pure estremo, in quanto tale oggetto di possibile tutela ai sensi della previsione dell’art. 21 della Costituzione, ma di un concreto e variegato atteggiarsi nel mondo esterno della (interiore) condivisione ideologica delle finalità dell’associazione, in relazione alla quale assumono valore centrale i principi dell’integralismo religioso musulmano di matrice sunnita e di ispirazione salafita, la cui applicazione si traduce in un’inevitabile e, nella prospettiva dell’Isis, necessaria lesione del bene giuridico protetto dall’art. 270 bis, c.p.

In tale condivisione, come si è detto, si sostanzia la messa a disposizione del singolo verso l’associazione e si struttura il relativo rapporto con il gruppo criminale, che viene rafforzato nel perseguimento del suo fine strategico (la creazione, il mantenimento e l’espansione dello “Stato islamico”, attraverso la partecipazione dei sodali alla “guerra santa”), intorno al quale si costruisce e si irrobustisce l’affectio societatis, mediante la sistematica reiterazione di atti di indottrinamento, proselitismo e propaganda apologetica, rilevanti sul piano della concreta incentivazione dell’adesione al progetto criminoso, senza che sia necessario, data la natura di reato di pericolo presunto, come più volte sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, che si abbia l’inizio di una materiale esecuzione del programma criminale.

Tale conclusione trova conforto nel complesso, invero notevole, del materiale propagandistico riconducibile al ricorrente o da lui visionato, indicato in dettaglio nella motivazione di entrambe le sentenze dei giudici di merito, che conferma i risultati cui sono giunti numerosi studi storici e politologici, riconducibili ormai alla categoria del fatto notorio, avendo dato vita sul tema a una comune cognizione storica (cfr. Cass., Sez. 3, n. 30720 del 18/09/2020, Rv. 280020), secondo cui lo “Stato islamico” (dotatosi, addirittura, di un apposito organo per la gestione dei media e della propaganda, il “Consiglio per i Media”), ha “speso e spende molte energie in un’attività di propaganda di portata globale”, utilizzando con grande competenza e diffusività i social networks e i canali di comunicazione via internet.

Tale attività costituisce un aspetto fondamentale del conflitto in cui è impegnato.

Questa campagna di promozione serve diversi scopi: legittimare la propria autorità; reclutare militanti e fiancheggiatori e motivare i simpatizzanti; intimidire e condizionare i nemici.

Quello che lo distingue dai gruppi terroristici precedenti sono la sofisticazione e la professionalità con le quali persegue tali obiettivi.

L’attività di propaganda mediatica dello Stato islamico si rivolge a pubblici differenti, tanto ai nemici quanto agli amici, modulando opportunamente la prospettiva, il registro e il linguaggio utilizzati.

Tra i molti nemici figurano gli sciiti, gli yazidi, i curdi e i cristiani del Levante, gli apostati (murtaddin) del mondo sunnita e gli infedeli (kuffar) occidentali.

Gli amici comprendono militanti (inclusi i cosiddetti foreign fighters, provenienti anche dall’Europa), fiancheggiatori, potenziali reclute e simpatizzanti”, ciascuno dei quali, giova evidenziare, è “autorizzato”, anzi sarebbe più corretto dire, è esortato dal credo jihadista, a compiere atti di violenza contro i nemici della fede, in nome dell’Isis (sulla possibilità di tenere conto dei risultati di indagini storico-sociologiche ai fini della valutazione, in sede giudiziaria, dei fatti di criminalità associativa, con particolare riferimento alle organizzazioni criminali di stampo mafioso, come utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori, cfr. Cass., Sez. 5, n. 47574 del 07/10/2016, Rv. 268403).

Se, dunque, la pubblicità a livello globale della propria ideologia e delle proprie imprese rappresenta elemento costitutivo dell’Isis, a differenza di quanto accade per le associazioni a delinquere di stampo mafioso, che fanno della segretezza una condizione essenziale del loro agire, appare evidente che il contributo sistematico fornito alla diffusione del progetto dello “Stato islamico”, nelle forme in precedenza elencate, rappresenta una delle tipiche forme di partecipazione all’associazione a delinquere prevista dall’art. 270 bis, c.p., attestando una dinamica messa a disposizione del singolo in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi, da cui è lecito desumere lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione (cfr., sul punto, sia pure con riferimento al modello dell’associazione di stampo mafioso, Cass., Sez. U., n. 36958 del 27/05/2021, Rv. 281889).

5.3. Orbene non può non rilevarsi come la corte territoriale abbia fatto buon governo di tali principi, risultando, nel contempo, le censure difensive infondate, anzi tali da collocarsi ai confini della inammissibilità, in quanto in gran parte meramente reiterative delle doglianze prospettate in sede di appello e disattese dal giudice di secondo grado con motivazione immune da vizi.

5.4. Ed invero il giudice di appello ha desunto la partecipazione all’Isis del ricorrente, da una serie di elementi di fatto dal valore indiscutibilmente sintomatico di tale partecipazione, alla luce dei principi esposti nelle pagine precedenti.

Hanno formato, infatti, oggetto di specifico accertamento giudiziale le sistematiche, costanti e imponenti attività di ricerca nel mondo del “web”, poste in essere dall'(OMISSIS), di materiale di propaganda e di indottrinamento, incentrato sulla esaltazione del credo dello “Stato Islamico”; “di sermoni di esponenti o fiancheggiatori dell’IS incitanti alla jihad o esplicitamente ad attentati terroristici, di altri documenti multimediali, anche attinti direttamente dagli organi di propaganda dell’organizzazione, alcuni dei quali relativi all’addestramento militare in funzione di attacchi ai miscredenti ed alle nazioni occidentali (ad esempio le lezioni “Terror Tactics” pubblicate sulla rivista ufficiale IS “Rumiyah”, vertenti sulle armi da fuoco, sull’uso di armi bianche, sulle tecniche per la presa di ostaggi, ecc.) o esaltanti la capacità militare dello Stato Islamico ovvero gli autori di gravi attentati in Europa (quello a Nizza, quelli a Bruxelles e Parigi, la strage dei mercatini di Natale a Berlino, lo sgozzamento di due poliziotti in Francia, ecc.).

Dal materiale acquisito si evince inoltre il morboso interesse a macabri filmati di efferate esecuzioni (eseguite con colpi alla nuca, sgozzamenti, decapitazioni, lapidazioni o quella di un pilota giordano arso vivo in una gabbia)”.

Materiale, giova evidenziare, che l’imputato ha acquisito e archiviato nei supporti informatici di cui era in possesso (cfr. pp. 6-7-della sentenza oggetto di ricorso).

Particolarmente significativa in questo contesto, rileva con logico argomentare la corte territoriale, è la circostanza che la maggior parte di quanto acquisito dall'(OMISSIS) era stato reperito da quest’ultimo “su diversi cloud (principalmente One Drive, gestito dalla Microsoft, o Dropbox, gestito da Google), inaccessibili alle ordinarie attività di ricerca su internet e reperibili solo previa conoscenza degli specifici indirizzi in rete, evidentemente ben noti all’imputato.

Tra i canali riservati raggiunti dall'(OMISSIS) sul cloud Google Drive vi era quello “Ahwal Ummat Official”, strumento di trasmissione di contenuti direttamente promananti dall’ISIS”, come riferito dal teste (OMISSIS) (cfr. p. 38 della sentenza impugnata).

Di particolare rilievo appare anche l’accesso da parte dell’imputato ad una serie di canali attivati sulla piattaforma di messaggistica “Telegram”, “dotata di presidi di riservatezza e caratterizzata dall’operatività di canali non pubblici (cui cioè non ci si può iscrivere se non previa conoscenza dell’indirizzo) o che comunque assicurano l’anonimato degli amministratori e l’impossibilità di risalire agli altri interlocutori”, uno dei principali strumenti di diffusione della propaganda dell’Isis, proprio in ragione dell’elevato standard di riservatezza che assicurava.

Grazie a “Telegram”, il ricorrente aveva aderito al canale “Amaq Agency”, organo di stampa dell’Isis; aveva scaricato video riconducibili all’organizzazione terroristica, in cui si esaltavano le pratiche degli attentati suicidi a mezzo di autobomba e della eliminazione fisica delle spie; si era iscritto a canali di diretta emanazione dello “Stato islamico” o a esso riconducibili, come quelli delle riviste ufficiali dell’Isis, “Rumiyah” e “Dabiqi”, “quello di “Omar”, quello denominato Khalifa News Publications, contenente notizie dal fronte, Amer e Tawhid Network” Infine, l’imputato si era spinto sino al punto di costituire su “Telegram” un clone del canale “Ahwal Ummat (cfr. pp. 38-39 della sentenza impugnata).

La possibilità di entrare in piattaforme protette, riconducibili all’Isis, alle quali non tutti potevano accedere, ma solo coloro che fossero in possesso dei relativi indirizzi informatici, assume un duplice rilievo.

Da un lato, essa rivela la pervicace volontà e la consapevolezza dell’imputato di accedere a materiale di propaganda terroristica.

Dall’altro, l’utilizzazione di specifici e riservati indirizzi informatici, senza i quali non sarebbe stato possibile accedere al materiale propagandistico in precedenza indicato, dimostra l’esistenza da parte dell'(OMISSIS) di contatti con “i livelli intermedi o propaggini finali, anche “mediatamente” e flebilmente” riconducibili all’Isis (cfr. la già citata Cass., Sez. 5, n. 8891 del 18/12/2020, Rv. 280750), perché solo da ambienti anche solo indirettamente riconducibili all’organizzazione terroristica potevano provenire i suddetti indirizzi informatici.

Al riguardo va nuovamente evidenziato come la giurisprudenza di legittimità, con condivisibile arresto, abbia affermato che l’accesso al canale segretissimo “Ahwaal Umnnat” e alla consultazione della rivista “Rumiyah”, devono ritenersi elementi indicativi del grado di intraneità e dell’esistenza di pregnanti contatti con la struttura reticolare dell’associazione terroristica di cui si discute, in quanto caratterizzati da contenuti immediatamente operativi rivolti a soggetti già radicalizzati e pienamente disponibili alla lotta jihadista (cfr. la già citata, Cass., Sez. 5, n. 1970 del 26/09/2018, Rv. 276453).

Anche il profilo della condivisione con altri del materiale propagandistico e di indottrinamento acquisito dall'(OMISSIS) è stato affrontato dalla corte territoriale con motivazione del tutto esaustiva e priva di vizi.

Lungi dal mantenere nella propria sfera personale il materiale in questione, l’imputato ha provveduto a diffonderlo attraverso gli strumenti della comunicazione globale, mettendo a disposizione del pubblico filmati delle uccisioni e altri video sulla piattaforma “Archive.org”, nonché dando vita a tre “playlist” pubbliche, attraverso l’uso del software “Soundcloud”, piattaforma pubblica di “files” audio utilizzata anche dallo Stato Islamico”, al cui interno era possibile accedere, tra l’altro, ai sermoni del portavoce dell’Isis, Abu Mohammad Ali Adnani, “contenenti la “propaganda dello Stato Islamico ed incitazioni ad attentati in Europa”, nonché ampi stralci dei documenti di adesione all’ideologia radicale propugnata dall’Isis, redatti dallo stesso imputato, tra cui occupa un posto di fondamentale importanza il contributo intitolato “Lo Stato Islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare”.

Nel quadro delle opere di esaltazione dell’ideologia e delle pratiche criminali dell’Isis, i giudici di merito collocavano, infine, correttamente, anche il contenuto di alcuni manoscritti, in cui l’imputato aveva rielaborato e sintetizzato il contenuto del materiale propagandistico reperito nei canali innanzi indicati, come base “per un nuovo testo sullo Stato Islamico e per un corso di lezioni da diffondere sul web”.

Tali lezioni erano state poi effettivamente impartite ai cittadini ivoriani Akossi e Traore e ad altri soggetti non identificati (cfr. pp. 10-12; 46-50 della sentenza di appello).

Risulta, infine, integrato nei confronti del ricorrente anche l’ulteriore requisito richiesto dalla giurisprudenza di legittimità per ritenere configurabile la condotta partecipativa e, precisamente, l’esistenza di contatti operativi con componenti o soggetti comunque riconducibili, anche per via mediata, all’Isis, purché idonei a dare una qualche consapevolezza, anche indiretta, della sua adesione (cfr., sul punto, oltre alle già citate decisioni della giurisprudenza di legittimità, anche Cass., Sez. 6, n. 13421 del 05/03/2019, Rv. 275983, secondo cui occorre dimostrare l’esistenza di un contatto concreto tra il singolo e l’organizzazione che, in tal modo, abbia consapevolezza, anche indiretta, dell’adesione da parte del soggetto agente).

In questa prospettiva vanno sicuramente inquadrati non solo l’accesso ai canali riservati di comunicazione sul web, di cui si è già detto, reso possibile solo in virtù di un collegamento quanto meno con propaggini, riconducibili in via mediata, anche “flebilmente”, alla “casa-madre”, da cui l’imputato ricevette i relativi indirizzi informatici, ma anche gli accertati contatti di quest’ultimo con foreign fighters o soggetti che condividevano le posizioni radicali ed estremiste dello Stato Islamico, come El Abboubi Anas, Kachia Oussama e Rmaili Mohammed, sin dall’inizio del suo percorso di radicalizzazione, sui quali si sofferma la corte territoriale.

Ma, soprattutto, assume valore determinante, ad avviso del Collegio, la valorizzazione, operata dal giudice di appello, della figura di Bushra Haik, il cui ruolo di reclutatrice di foreign fighters, nell’interesse dello “Stato Islamico” è stato accertato dalla sentenza della corte di assise di appello di Milano, passata in giudicato il 19.11.2019, con cui la donna è stata condannata per il delitto di cui all’art. 270 bis, c.p., in ragione della sua appartenenza all’Isis.

Nella sua attività di reclutamento che condurrà a partire per i territori controllati dall’Isis in Siria, tra gli altri, Sergio Marianna, la Bushra, come si evince dal contenuto di una conversazione telefonica oggetto di captazione, il cui verbale di trascrizione è stato prodotto dal pubblico ministero nell’ambito del presente procedimento (l’acquisizione e utilizzazione ai fini decisori del quale il ricorrente non ha contestato), fornisce alla Sergio “il link alla versione in formato pdf del documento redatto” dall'(OMISSIS), “Lo Stato Islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare”, riconoscendo al suddetto documento un’importanza talmente elevata, quale strumento di propaganda e di indottrinamento politico-religioso, da definire il suo autore come “un fratello”, per il quale invocare “la ricompensa divina per l’aiuto prestato a trasmettere la verità” (cfr. pp. 27-28 della sentenza impugnata).

Difficile rinvenire una manifestazione così evidente, da parte di un soggetto sicuramente facente parte dell’ISIS, con precipui compiti operativi, quali il reclutamento di sostenitori del jihad e il loro trasferimento nei territori siriani occupati dallo “Stato Islamico”, della consapevolezza dell’adesione alla suddetta organizzazione terroristica da parte di un altro soggetto, quale l'(OMISSIS), attraverso la diffusione del credo dell’Isis attraverso la sua opera scritta, non a caso ritenuta dalla reclutatrice uno strumento decisivo per il successo dell’opera che le è stata affidata.

Nel svalutare questo contributo, che considera una semplice condivisione da parte della Bushra delle riflessioni ideologiche dell'(OMISSIS), il ricorrente svolge, in realtà, una censura (peraltro di natura fattuale) che non coglie nel segno.

Egli, infatti, trascura di considerare che non appare affatto manifestamente illogico o contraddittorio desumere l’esistenza di un contatto dell'(OMISSIS) con i livelli intermedi o propaggini finali dell’organizzazione terroristica di cui si discute, dalla utilizzazione, da parte di una sicura appartenente all’Isis, degli scritti, riconducibili all’imputato, attraverso i quali egli diffondeva il “verbo” dello Stato Islamico, trattandosi di scritti destinati non solo a finalità di proselitismo, ma anche a rendere nota all’organizzazione l’adesione del prevenuto al jihad della parola, secondo quelle modalità di partecipazione al sodalizio criminoso spontaneistiche e “aperte”, di cui si è già detto nelle pagine che precedono.

In questa prospettiva vanno anche considerati i contatti, del pari accertati, tra l’imputato e due appartenenti all’ISIS, tali ritenuti sulla base di sentenza di condanna passata in giudicato, Kachia Abderrahmane e Moutaharrik Abderrahim, sulla base di operazioni di intercettazione svolte nell’ambito del presente procedimento, dopo che questi ultimi, all’esito del percorso di radicalizzazione, avevano manifestato la “volontà di raggiungere il Califfato per combattere i miscredenti”, che hanno un indubitabile valore indiziario, rafforzando l’ipotesi accusatoria sul punto, già esaustivamente confermata, tuttavia, da quanto emerso a proposito della Bushra Haik.

Lo stesso dicasi per le acclarate iniziative poste in essere dall’imputato, “per accreditarsi, quale autorevole “jihadista della parola”, presso vari esponenti, soprattutto anglofoni, del network di sostegno all’islamismo radicale vicino alle posizioni dell’ISIS” (cfr. pp. 39 e ss. della sentenza impugnata).

6. Di fronte ad un percorso motivazionale così articolato e assolutamente conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, le doglianze difensive, come si è già detto, non possono condividersi.

Il ricorso appare fondato, invero, su di una valutazione atomistica e parcellizzata delle risultanze processuali, inidonea a contrastare con efficacia il percorso argomentativo seguito dalla corte territoriale, proponendo in definitiva una diversa valutazione del materiale probatorio, non consentita.

Così come attinente al merito del trattamento sanzionatorio, in quanto tale non scrutinabile in questa sede di legittimità, appare l’ultimo motivo di ricorso, tenuto conto che sul punto la corte territoriale ha reso una puntuale motivazione, evidenziando come la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione sì giustifica in quanto “l’imputato non ha mai espresso condotte realmente significative di resipiscenza e di revisione critica delle proprie scelte delittuose, mantenendo anzi un atteggiamento rancoroso nei confronti della Polizia Giudiziaria e contestando espressamente il percorso di deradicalizzazione in vista del quale è stato immesso in un circuito penitenziario ordinario ad elevata socializzazione” (cfr. p. 52 della sentenza impugnata).

Tale conclusione appare, peraltro, conforme al condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la mancata concessione delle attenuanti generiche nella massima estensione di un terzo non impone al giudice di considerare necessariamente gli elementi favorevoli dedotti dall’imputato, sia pure per disattenderli, essendo sufficiente che nel riferimento a quelli sfavorevoli di preponderante rilevanza, ritenuti ostativi alla concessione delle predette attenuanti nella massima estensione, abbia riguardo al trattamento sanzionatorio nel suo complesso, ritenendolo congruo rispetto alle esigenze di individualizzazione della pena, ex art. 27 Cost. (cfr., ex plurimis, Cass. sez. 7, n. 39396 del 27/05/2016, Rv. 268475; Cass., sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, Rv. 281217).

7. Al rigetto del ricorso, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 27.1.2022.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

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